Celeste - Lasciati trovare [S...

By Ritaska99

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[SEGUITO DI "CELESTE - LA MIGLIOR COSA CHE NON HO MAI AVUTO". È CONSIGLIABILE LEGGERE QUELLA, PRIMA DI QUESTA... More

Prologo
0.1 Celeste
0.2 Peter
0.3 Celeste
0.4 Peter
0.5 Celeste
0.6 Peter
0.7 Celeste
0.8 Peter
0.9 Celeste
1.0 Peter
1. Ruin
2. The Scientist
3. The One That Got Away
4. Always hate me
6. When We Were Young
7. Friends
8. What Happened To Perfect
9. Places Where We Are

5. Drunk

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By Ritaska99

"I wanna hold your heart in
Both hands, not watch it fizzle
At the bottom of a Coke can.
And I got no plans for the weekend,
So should we speak then?
Keep it between friends...
Though I know you'll never
Love me like you used to".

"No... No! assolutamente no! Te lo scordi: non andrai a zonzo chissà dove a notte fonda tutta sola!" mi ordina Will, categorico e tassativo, balzando giù dal letto e puntandomi l'indice di una mano contro.

"Esattamente. Non è proprio concepibile. Per di più non si fa così: prima si comporta da stronzo apatico e ora da piagnone che ha bisogno di te. Non sei il suo giocattolino. Hai pure l'influenza!" gli dà manforte Colin, con le sopracciglia aggrottate e il mio cellulare ancora in mano.

"Ragazzi, per favore, non partite prevenuti. Magari è successo qualcosa. Cerchiamo prima di capire la situazione" razionalizza Connie, strappando il telefonino a Colin e porgendomelo, incitandomi poi con lo sguardo a rispondere al messaggio.

Tre paia di occhi saettano nella mia direzione. Colin e Will sono scettici, e incrociano simultaneamente, in un gesto abbastanza inquietante, le braccia al petto per sostenere il loro punto. Connie solleva entrambe le sopracciglia e li fissa con aria di sfida. Io ho lo stomaco in subbuglio e febbre e stanchezza addosso che non mi fanno ragionare correttamente. Poi mando al diavolo tutto e tutti e decido di fare di testa mia. Non che la cosa costituisca chissà che novità, per i miei standard: anzi, ciò che è sconvolgente è che io non abbia già agito per conto mio una decina di minuti fa, quando sono arrivati i messaggi.

"Come mai sveglio a quest'ora?" evito la sua domanda e la aggiro, anche se di solito lui odiava quando lo facevo, ripetendo in continuazione che non dovevo divagare, o rispondere a una domanda che mi poneva con un'altra domanda.

Non appena smetto di digitare, si catapultano immediatamente tutti e tre al mio fianco (Will per tornare sul letto si getta di peso sul materasso, facendoci sobbalzare per la foga impiegata nel gesto) per sbirciare cosa ho scritto. Colin emette un breve mugolio di sufficienza come approvazione e gli altri due rimangono in silenzio stampa.

"Npn csmbre discsrso t sot apsetnado" è la replica che non tarda ad arrivare, giusto un minuto dopo.

Non è molto difficile decifrare il testo, ma quello che appare più ovvio e lampante è qualcos'altro, che non fa che accrescere la mia preoccupazione e mandarmi in palpitazione.

"Meraviglioso. È ubriaco. Solo questa ci mancava. La aggiungo alla lista delle gioie che ci perseguitano da quando abbiamo intrapreso questa follia" sentenzia Colin sarcasticamente, senza mezze misure, subito dopo aver spiato dal mio cellulare.

Mentre quei tre continuano a dibattere, io sono già in piedi, con un giramento di testa dovuto all'alzata troppo rapida, il telefono tra un orecchio e una spalla, cercando le scarpe sotto il letto e facendo partire la chiamata. Sono in pigiama, ma poco importa. Devo sapere dov'è e devo raggiungerlo il prima possibile. Devo dare la precedenza alle priorità. Non devo soffermarmi a pensare al fatto che abbia contattato proprio me, manifestando un suo desiderio di vedermi nell'immediata imminenza. Cambio solo i pantaloncini del pigiama (per non rischiare di prendere freddo e peggiorare la mia salute già non del tutto ottimale) con dei jeans recuperati in fretta e furia dalla mia valigia non ancora disfatta e infilo rapidamente le scarpe e una felpa. Prendo il mio zaino dal tavolino in legno di fronte al letto, sul quale lo avevo poggiato, e mi precipito fuori. Sento Will e Colin urlare da dietro la porta della stanza, che mi chiudo velocemente alle spalle, e quest'ultimo uscirne e chiamarmi a gran voce poco dopo, ma ora come ora presto attenzione solo agli interminabili squilli che sto facendo a Peter, nella speranza che risponda presto. Sto correndo più veloce che posso, ho il fiatone e non mi è molto semplice riuscire a schivare abilmente ogni ostacolo che mi si presenta sulla via. Mi sento come se fossi in un'altra dimensione, come se tutto quello che sta avvenendo non stia capitando proprio a me, tanto che è surreale. Sto tremando, ma non credo che sia per lo sforzo dovuto alla corsa o per la mia attuale debolezza fisica. Sto tremando perché è notte fonda, Peter è ubriaco, e io sono la prima persona alla quale ha pensato (o almeno così mi è parso). Senza contare il fatto che potrei addirittura essere la causa della sua sbronza, se proprio vogliamo esagerare. Quando ho preso la folle decisione di partire a cercarlo, non avrei mai immaginato di ritrovarmi qui, adesso, provando a rintracciarlo mentre è seduto in un bar chissà dove a pensare o a fare chissà cosa. Il cuore mi batte così forte nel petto che penso che potrebbe esplodere, e a tratti non respiro neppure correttamente. Sto correndo da Peter. Si è rivolto a me. Vuole me. Si racconta che gli ubriachi dicano la verità, il più delle volte. Magari ho la speranza che possa confidarsi veramente con me e dirmi tutto quello che gli passa per la mente. Oppure no, forse non parleremo affatto e potrebbe essere così ubriaco da non riuscire nemmeno a reggersi in piedi, figurarsi a fare un discorso sensato. L'importante è trovarlo. E che risponda a questa maledetta telefonata il prima possibile. Fortunatamente esco dall'albergo illesa, e Peter si degna di rispondere quando sono ormai sul marciapiede - in attesa di un miracolo, ma per adesso mi va bene anche solo un taxi -, mettendo finalmente a tacere le voci irrequiete nella mia testa.

"Pronto!" esclama, con veemenza, come se fosse infastidito dal fatto che ho osato disturbarlo telefonandogli.

"Dove sei?" domando, senza troppi giri di parole, comprendendo che è troppo tardi per sperare nel passaggio di un taxi e che dovrò chiamare direttamente la stazione per farmene mandare uno appositamente.

"In un posto" controbatte, ridacchiando, e, Dio, è così ubriaco.

Ma come è stato possibile? Al college non toccava mai una bottiglia d'alcool, le rifuggiva come la peste. Non voglio credere che il mio ritorno lo abbia sconvolto a tal punto...

"Grazie al cazzo! Peter, collabora, per l'amor del cielo!" mi sfogo, isterica, perché non è veramente il momento di fare dello spirito: sono sull'orlo di una crisi di nervi, e il fatto che sono febbricitante non aiuta per niente.

"Sei adorabile quando vai fuori dai gangheri, piccola - ammette, e il mio cuore fa una capriola come non ne faceva da tempo - Sono in un pub sulla Jackson Street. Trovami e sarò tuo" dichiara con serietà, per poi scoppiare a ridere a fine frase e chiudere la chiamata.

Rimango con la bocca semiaperta e il telefonino ancora vicino all'orecchio per svariati secondi. Poi rinsavisco e mi ricordo che è ubriaco fradicio e che certamente la maggior parte delle cose che ha detto e che dirà sono cavolate, perciò non devo farci troppo affidamento. Però, dannazione, lo stronzo sa bene che carte giocarsi, anche quando non è completamente lucido. Spero solo che resti lì e non si muova finché non arriverò io. Il cellulare comincia a vibrare poco dopo, ma è Colin, per cui lo silenzio e mi incammino speditamente verso quello che credo essere il centro, mentre cerco su Internet il numero da comporre per il servizio taxi.

×××

Mi ci vuole più di mezz'ora per giungere a questa stramaledetta Jackson Street, con un tassista assonnato, burbero e per nulla collaborativo, e l'ansia che mi divora lo stomaco sempre di più a ogni minuto che passa. Dieci li ho impiegati soltanto per raggiungere quello che lo scontroso autista si è premurato di informarmi essere l'unico pseudo pub-ristorante su questa via. Uno irlandese, il Kells. Il vero problema è che il gentilissimo conducente mi ha anche spiegato che tutti i bar e i pub della zona chiudono alle due di notte massimo. Quindi Peter deve avermi messaggiato una volta uscito da lì dentro. Il che significa che potrebbe essersi inoltrato ovunque, e che le probabilità di trovarlo si stanno piano piano azzerando. Invece mi ritrovo davvero a gridare al miracolo, nell'attimo in cui il taxi sosta di fronte al suddetto Kells e intravedo qualcuno seduto per terra davanti all'entrata, mentre giocherella con un telefono ed è appoggiato con una spalla al muro. Ringrazio tutti i santi del cielo e pago il tassista per la corsa, pregandolo però di rimanere nei paraggi. Lui mi assicura che non c'è alcun problema, ma, non appena scendo dalla vettura, ingrana la marcia e va via. Magnifico. Soffoco un grido e mi avvicino cautamente alla figura a qualche metro da me. Mi accovaccio al suo capezzale e gli tocco il naso con la punta dell'indice destro, per poi attestare: "Trovato!", con un piccolo sorrisetto trionfante in viso. Mi guarda immediatamente negli occhi, e la sua espressione pensierosa muta tutto d'un tratto in una impassibile, come quella che aveva poche ore fa, a quel ricevimento. Mi faccio seria anche io e abbasso le spalle. L'odore di whiskey è così forte, che quasi penso ci si sia fatto proprio un bagno dentro. Puzza anche di tabacco, ma voglio sperare che sia perché un tizio accanto a lui stava fumando, e non perché lui ha improvvisamente preso a farlo. Ripone il cellulare in una delle tasche interne della sua giacca, e solo ora noto che è vestito esattamente come quando l'ho incontrato qualche ora fa. Non si è cambiato. Il che mi porta a ipotizzare che non sia tornato a casa. O che ci sia tornato ma che sia uscito di nuovo poco dopo. Mi siedo al suo fianco e osservo la strada deserta dinanzi ai nostri occhi. È una serata serena, tutto sommato: in cielo non ci sono nuvole, e il manto della notte è profondamente scuro e presenta rari sprazzi di stelle qua e là. Non fa freschetto, ma sento freddo ugualmente: non so se è per la febbre, o per il gelo che mi trasmette la statua di ghiaccio alla mia destra.

"Perché?" indaga a un certo punto, rompendo il silenzio, in un sussurro talmente delicato, che quasi credo di essermelo immaginato.

"Perché cosa?" gli chiedo, non sapendo cos'è che vuole sentirsi dire, voltandomi di poco verso di lui, che continua, però, a fissare un punto indefinito davanti a sé.

"Lo sai" proferisce semplicemente, con ovvietà e un cipiglio sul volto.

Non saprei dire se, nel mentre non sono arrivata qui, gli sia passata o meno la sbronza, ma di sicuro sembra meno brillo di qualche minuto fa. Sospiro e chiudo gli occhi per qualche secondo, con il sangue che mi pulsa alla velocità di un treno in corsa nelle vene.

"Mi mancavi..." confesso, con il cuore in mano, provando a instaurare un contatto visivo che lui, tuttavia, mi nega.

Lui fa una smorfia, e, proprio quando riacquisto non so da dove il coraggio per proseguire, prende lui la parola.

"Che stronzata. E ti ricordi che esisto dopo sei anni dal nostro ultimo addio? Wow..." constata, sprezzante, fornendomi una coltellata al cuore dopo ogni sillaba.

Non che non abbia ragione, ma sapere dalle sue labbra che la pensa davvero così non è la migliore delle sensazioni da augurare a qualcuno.

"Mi manchi, Peter. Non ci sono giustificazioni al fatto che io abbia aspettato così tanto, ma -" principio, ma mi blocca ancor prima che possa terminare il concetto.

"Davvero credevi che me ne sarei stato sei anni con le mani in mano ad attendere un tuo ritorno? Cazzo, mi facevi veramente disperato..." assoda, ridendo fintamente e poggiando la testa alla parete alla sua destra.

"Se vogliamo dirla tutta, non è che tu ti sia poi fatto vivo, eh..." lo attacco, siccome l'attacco è la mia miglior difesa, e perché devo impedirmi in tutti i modi di piangere: almeno non davanti a lui; non posso dargli anche questa soddisfazione.

"Tu mi amavi. Lo so che mi amavi. Solo che non sapevi come gestirla. E ora di' che non è vero" stabilisce, senza se e senza forse, fortemente convinto della sua tesi, e solamente ora si gira a guardarmi e incastra gli occhi nei miei.

Dio, quanto mi erano mancati i suoi occhi.

"È davvero questo il tuo pallino? Seriamente?" sbotto, colta in fallo, ma troppo orgogliosa per ammettere che, no, non si sbaglia per niente; neanche un po'; neanche un minimo.

"Sei solo una codarda. Tanto scapperai di nuovo. Mi stupisce che tu non l'abbia ancora fatto" asserisce, ed è la goccia che fa traboccare il vaso.

Non mi ha mai guardata con tanto rancore e disprezzo come sta facendo adesso. Non mi ha mai parlato così. Non ha mai centrato il punto in questa maniera subdola e stronza. Mi si appanna la vista, perché gli occhi mi si riempiono di lacrime, e mi si forma il familiare nodo alla gola.

"Perché mi stai facendo questo?" inquisisco, in un bisbiglio, permettendo a una lacrima ribelle di solcarmi il viso.

"Perché mi hai distrutto nel modo peggiore possibile, Celeste. E questa non potrò mai perdonartela" mi confida, con una sincerità disarmante, avvicinando il volto al mio e lasciando che ci separino solo pochi centimetri.

A questa distanza la sua espressione cambia, e da sicura e spavalda si fa sincera, senza maschere. Mantiene gli occhi nei miei e poi passa alle mie labbra, osservandole, studiandole, con le sopracciglia aggrottate. Ed è nel momento in cui vedo il suo pomo d'Adamo fare su e giù, che ho la prova del nove.

"E ora di' che non muori dalla voglia di baciarmi" gli intimo, mormorando, facendomi impercettibilmente più vicina a lui.

"Se lo dicessi, non sarebbe vero comunque" rivela, tenendo lo sguardo fisso sulle mie labbra e mordendosi il suo inferiore.

Il cuore mi affonda in picchiata nello stomaco e smetto di respirare per qualche attimo. Senza finzioni e senza artifizi, ora ho davanti il vero Peter; non quello bastardo, apatico e senza cuore, no. Quello vero, di cui mi sono innamorata anni fa e che amo ancora adesso, nonostante le cattiverie che mi ha detto, gli anni e la lontananza. Perché quando si ama tutte queste cose non contano. O, almeno, si è sempre convinti che sia così. Adesso non lo so più. E non voglio che lui ora senta la necessità di baciarmi per la foga del momento, ma che domani, magari, mi comunichi di amare alla follia quella Jane e che è stato tutto uno sbaglio. Io non voglio che si penta, di me e di tutto quello che potremmo essere, se solo lo permettesse. Se solo me lo permettesse, sarei soltanto sua, totalmente e completamente, per sempre. Ma la vita non è come quei film dove tanto le battute da dire e le cose da fare te le scrivono gli altri, tutto per fare in modo che la vicenda e gli eventi seguano il corso che si è prefisso l'autore. No. La vita è tremenda. È una montagna russa di alti e bassi, dove ti sembra sempre che le salite non finiscano mai e che le discese durino decisamente troppo poco. La vita ti pone dinanzi a delle scelte, le cui conseguenze poi potresti anche essere costretto a scontare per sempre. Perché, io non mi ritroverò a scontare per sempre la scelta che feci quel giorno? Di non rincorrerlo e dirgli che, fanculo Parigi, io volevo solo lui? E tutti pensano che sia la vita, il problema, e le addossano tutte le colpe delle loro esistenze di merda. Ma la colpa è solo nostra. Non è la vita a essere una carogna: siamo noi gli imbecilli masochisti che le occasioni non le sanno cogliere, e che poi si pentono fino alla fine dei loro giorni delle stronzate che fanno. Dio solo sa quanto mi odio per quel giorno maledetto.

"È tornato di moda il fenicottero spennato?" mi domanda con finta nonchalance, distogliendomi dai miei pensieri e facendomi subito scoppiare a ridere, seguita da lui pochi secondi dopo.

Anche la sua risata mi è mancata tantissimo. Quasi mi manca il fiato al pensiero di quanti anni, mesi, settimane, giorni e ore sono stata in grado di resistere lontana da lui, da tutto questo, da me e lui insieme. E lo faccio senza riflettere o programmarlo, ma mi butto di slancio tra le sue braccia e lo stringo forte a me, con il terrore che possa andarsene o, peggio, respingermi. Invece mi circonda a sua volta in un abbraccio spaccaossa e mi porta più vicina a sé, permettendomi di percepire il suo battito cardiaco accelerato e di inalare il profumo della sua acqua di colonia, offuscato dall'odore pungente di alcool e tabacco.

"Mi sei mancato così tanto..." mi lascio scappare, ancora stretta al suo petto, per niente intenzionata a muovermi di lì.

"Anche tu, Celeste. Anche tu..." mi pare di sentirlo sussurrare, mentre mi stringe più forte a sé e mi lascia un bacio sulla fronte che fa svolazzare le oramai estinte farfalle nella mia pancia.

So che c'è, un posto per me. E, se dovessi dirti qual è, direi che è ovunque, a patto che ci sia te.

"Ma tu scotti..." assoda, frastornato, distanziandosi di poco da me, ma perseguendo ad avvolgermi tra le sue braccia.

"È solo un po' di febbre: non è il nostro problema principale, al momento" gli faccio presente, allontanandomi a mia volta quel poco che mi consente di guardarlo in viso e di accarezzarlo con una mano, per poi aggiustargli un ciuffo di capelli all'indietro.

Mi osserva, mi analizza con sguardo pensieroso, per poi prorompere con un "Oddio, allora io sono incinta!", allontanarsi da me con uno scatto felino, alzarsi, barcollare, cadere sulle ginocchia poco dopo e iniziare a vomitare sul marciapiede. Comincio a ridere a crepapelle, per poi mettermi in piedi a mia volta e provare a convincere il nuovo mammo dell'anno a farsi portare a casa.

×××

Mezz'ora dopo siamo su un taxi diretto all'indirizzo di casa sua che mi ha fornito Steve qualche giorno fa, perché di certo non avrei potuto fare affidamento su Peter per dare delle indicazioni all'autista, viste le sue attuali condizioni abbastanza critiche. Continua a emettere dei mugolii sconnessi, mentre si lamenta del fatto che deve smettere di girargli tutto attorno e che non vuole che Obama lo arruoli nel suo esercito personale. Provo a instaurare con lui una conversazione quantomeno sensata, ma non c'è niente da fare, e quasi credo che si stia comportando così di proposito: prima, quando eravamo lì fuori a discutere, mi sembrava decisamente più lucido di com'è ora. Colgo l'occasione per richiamare Colin (mi ha lasciato così tanti messaggi in segreteria - che non ho ascoltato, naturalmente -, che credo che me l'abbia intasata), quando Peter si poggia con la testa allo sportello e chiude gli occhi per un po'. Mi auguro solo che non si addormenti, perché a quel punto sarebbe un problema abbastanza serio portarlo in casa di peso, e non penso proprio che il tassista sarebbe disposto a farci questo immenso favore.

"Era ora!" mi accoglie "premurosamente" il mio migliore amico, rispondendo alla telefonata al secondo squillo.

Sono in vivavoce. Lo si intuisce facilmente dai rumori di sottofondo e dall'acceso dibattito che stanno avendo Connie e Will, che mi arriva forte e chiaro alle orecchie.

"Si è fottuta il mio gel per capelli!" protesta quest'ultimo, piagnucolando, risentito.

"È lacca, Mr. Genio. E si dà il caso che sia per donne. Che diamine ci faceva nel tuo beauty-case? E perché mai tu dovresti avere un beauty-case?!" controbatte lei a tono, pronta ad avere un esaurimento nervoso.

Ridacchio sommessamente per non disturbare Peter, e aggiorno Colin riguardo gli ultimi sviluppi. Non gli parlo dello scambio di battute che abbiamo avuto. Gli dico solamente che l'ho trovato, e che ora stiamo andando a casa sua. Mentre sono intenta a pronunciare quest'ultima frase, Peter farfuglia qualcosa che mi fa subito scattare in testa un campanello d'allarme.

"Jane sarà furiosa" sogghigna, parlando tra sé e sé.

"Colin?" lo richiamo allora, tentando di attirare nuovamente la sua attenzione, poco prima della fine della chiamata.

"Eh..." risponde, seccato e sbuffando.

"Pensi che lui e quella ragazza convivano?" lo interrogo, al limite del nervosismo, mordendomi con forza il labbro inferiore.

Segue un minuto intero di silenzio. Persino Connie e Will, dopo dieci minuti di battibecchi, si zittiscono all'istante.

"Non escluderei la possibilità... - fa una breve pausa, per poi sospirare - Torna presto, okay? È tardi, sei malata e hai bisogno di recuperare le forze" mi comanda, con tono più dolce e pacato.

Annuisco, pur sapendo che non può vedermi, lo saluto e attacco poco dopo. Mi giro a guardare Peter ed esamino i suoi lineamenti più marcati, la sua espressione pacifica, i suoi vestiti tutti stropicciati e i primi bottoni della camicia fuori dalle asole. Non so cosa mi sia messa in testa: domani non sarà cambiato niente; lui tornerà tra le braccia della sua fidanzata, e io sarò di nuovo al punto di partenza. E lo capisco, perché è giusto così, ma non è ciò che voglio. Vorrei, invece, che parlassimo chiaramente, senza rancore e sottintesi, e che ci dicessimo quello che pensiamo realmente. Anche se ho una paura tremenda di sapere cosa pensa lui. Forse è davvero innamorato di lei. Forse non posso più cambiare le cose. Forse è troppo tardi per farlo. Forse dovrei girare i tacchi e andarmene, lasciarlo alla sua vita e alle sue cose, che procedevano a gonfie vele prima del mio arrivo. L'ho sempre considerato come la mia salvezza, ma lui cosa dovrebbe dire di me? Sono la sua rovina. E lui non merita questo. L'auto sosta nei pressi di un palazzo sui toni del rosa carne, dalle finestre e le saracinesche dei garage bianchi e il piano terra esternamente dipinto di rosso mattone. Pago il conducente e sveglio Peter con dolcezza, per poi uscire dal veicolo e aiutare lui a fare altrettanto, prendendo un suo braccio e ponendomelo attorno alle spalle per sorreggerlo. Raggiunto il portone dell'ingresso principale, cerco le chiavi nelle tasche della sua giacca, ma lui scoppia improvvisamente a ridere sotto i baffi.

"Non sono da quelle parti, piccola" allude, lanciandomi uno sguardo mezzo malizioso e mezzo ubriaco.

Roteo gli occhi al cielo, recupero il mazzo di chiavi da una delle tasche anteriori dei suoi pantaloni eleganti, e lui sussulta, per poi prorompere in un "Ehi, ehi! Ci siamo rincontrati da sole tredici ore e quarantaquattro minuti e già vuoi passare al dolce?" e ridacchiare subito dopo. Tralascio il fatto che abbia tenuto il conto e, dopo svariati tentativi, trovo la chiave giusta e accediamo all'interno dell'edificio. Lo trascino con difficoltà fino all'ascensore e gli chiedo a che piano siamo diretti. Mi fa segno con le dita di una mano e premo il pulsante per il terzo e ultimo piano. Sospiro e lui si appoggia a me, con una guancia contro la mia tempia sinistra, e rimaniamo così, con soli i nostri respiri e il rumore dei meccanismo dell'ascensore a riempire il silenzio che le parole che ho bloccate in gola non riescono a colmare. Il cuore mi batte all'impazzata nel petto e, fortunatamente, arriviamo a destinazione pochi attimi dopo: non so se avrei risposto delle mie azioni, altrimenti. Mentre siamo intenti a camminare per il corridoio, si accascia a terra con un tonfo e si posiziona con la schiena davanti una delle porte. Lo osservo con le braccia sui fianchi, e lui mi rivolge un'espressione innocente che mi fa venir voglia di prenderlo a sberle. Sto per inveirgli contro e perdere le staffe, imponendogli di dirmi dove cavolo abita, in modo da potermene poi andare in albergo a dormire - o almeno a provarci - e riflettere su tutto quello che è accaduto stanotte, ma lui sospira, affranto, e chiude gli occhi per un po'.

"Resta, stavolta. Per favore" mormora, lasciandomi senza fiato né parole.

Sto per replicare in qualche modo, ma la porta di fronte quella alla quale si è poggiato si apre, rivelando una ragazza in vestaglia di seta rosa con i capelli lunghi spettinati e un'espressione allarmata in viso.

"Peter! Grazie a Dio! Ti ho chiamato un milione di volte!" esclama, sollevata, Jane, catapultandosi al suo capezzale e accarezzandogli il viso.

Nel frattempo, dall'appartamento spunta anche un Border Collie dal pelo lungo bianco e nero, che corre dietro Jane e salta addosso a Peter, facendogli un sacco di feste e producendo uno scampanellio con la medaglietta che ha attaccata al collare. Vivono insieme. Hanno un cane. È la sua fidanzata. È una cosa che più seria di così si muore. Ora sì che devo andarmene. Non sarebbe un bello spettacolo piangere davanti a loro. Davanti a lei.

"Non so davvero come ringraziarti per avermelo riportato - a quelle parole sono quasi certa di sentire il mio cuore sfracellarsi - Da qui in poi ci penso io" mi assicura, sorridendomi e intimando al cagnolino scodinzolante di rientrare in casa.

Assento, incapace di dire qualcosa - qualsiasi cosa - e mi volto, pronta ad andarmene. Lui, però, mi richiama, facendomi voltare per ricevere un'ennesima pugnalata al cuore per un'ultima volta.

"Per favore" ripete soltanto, prima che Jane lo conduca dentro il loro appartamento e che si scusi tanto del disturbo arrecatomi, dandomi poi la buonanotte e chiudendo la porta.

"I know I can't heal things
With a handshake. You know
I can change, as I began saying
You cut me wide open like landscape".

N/A

P.S. Mi dispiace anche per non essere riuscita a rispondere a tutti i vostri commenti dolcissimi, ma giuro che li leggo uno per uno. Alcune volte, però, mi lasciate talmente spiazzata e senza parole, che non so come rispondere. Ma li leggo ed apprezzo tutti quanti. Grazie anche per questo.

P.P.S. Per chi non lo sapesse, sto scrivendo una storia breve, "Parlami di noi", che è sul mio profilo, per chiunque volesse passare a leggerla.

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