Suicide love: le origini di H...

By EowynWagner

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" Quando ero un medico non facevo altro che ascoltare i problemi degli altri. E poi ho trovato lui. Il Joker... More

Prologo...? Perché no.
Un Arkam al profumo di rose
Solo tu ed io, puddin'
Il colore del Male
Perché sei così serio...?
ROTTEN.

Così dolce, così letale

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By EowynWagner

Harleen si svegliò di soprassalto quando qualcuno le scosse gentilmente una spalla, facendola svegliare.

" Mio Dio, non mi dica che è rimasta qui tutto il tempo? " a parlare fu la stessa infermiera gentile che l'aveva medicata, dopo l'aggressione da parte di Joker. Harleen non ricordava più il suo nome. Si sistemò gli occhiali che le erano scivolati sulla punta del naso e si raddrizzò sulla sedia, avvertendo un insopportabile scrocchio alla schiena e alla base del collo, quando si accorse di essersi assopita in una posizione tutt'altro che salutare.

" Maledizione " gemette, cercando di massaggiarsi una spalla con la mano, applicando un po' di tensione per sciogliere i nervi accavallati sotto la pelle. " Che ore sono? "

" Le 22.30, dottoressa."

" Che cosa? " esclamò lei, sbalordita. Era rimasta in quell'ospedale per tutto il tempo?! Impossibile. Perché nessuno era venuto a dirle di andarsene?

L'infermiera la osservò di sottecchi, come se le avesse appena letto nel pensiero. " Eravamo tutti un po' presi ad evitare che il clown morisse soffocato nel suo stesso sangue. L'intervento per ricucirgli la lingua è durato più di sei ore, l'hanno dovuto operare una seconda volta perché dopo la prima si è strappato via tutti i punti con i denti. "

" Ho capito. Va bene " sibilò la ragazza, cercando in tutti i modi di non immaginare la scena. Per una dozzina di secondi se ne restò immobile, una mano portata a coprirsi il labbro, pensierosa e scioccata, per poi alzarsi in piedi con aria stanca.

" Dovrebbe andare a casa." suggerì l'infermiera.

" Voglio vederlo. "

" Dottoressa... il dottor Dullhmacher ha espressamente d-"

" Solo dieci minuti, davvero. Poi toglierò il disturbo."

L'infermiera non sembrava entusiasta all'idea di trasgredire gli ordini del suo capo " Ma è sotto sedativi, e ci sono le guardie di sicurezza a controllarlo. Sarebbe inutile, in ogni caso."

" Come ti chiami? " sospirò Harleen, guardandola con occhi esasperati, e piazzandosi di fronte a lei. L'infermiera sgranò gli occhi azzurri, dietro le spesse lenti degli occhiali, non tanto per la foga con cui Harleen continuava ad insistere, quanto al fatto che da un comportamento serio e formale, fosse passata di colpo a darle del tu, con aria di supplica. Fu per quello che decise di rispondere, con un sospiro arrendevole: " Kristen. Kristen Kringle. "

"Va bene. Kristen. Non voglio metterti nei guai e non succederà, te lo prometto. In caso il dottore o chiunque altro venisse a lamentarsi da te, mi assumerò tutta la responsabilità, ma per favore- "

Si bloccò, incapace di credere alle sue stesse parole.

Santi numi; cosa le stava passando per la mente?! Perché, poi? Perché una tale insistenza, da parte sua, per una persona e una causa che al di là del rapporto professionale non avrebbe dovuto importarle, tanto meno suscitare pietà in lei?

Perché ne va del tuo futuro, dolcezza. E la tua carriera.

Harleen rimase in silenzio, per qualche secondo. Vedeva Kristen parlarle, ma non si curò di ascoltarla, colpita da un altro pensiero che l'aveva attraversata come un coltello nel cuore.

[" Se ti ripresenterai ad Arkam, domani, non ne uscirai più. "]

Così le aveva detto, la notte prima, al telefono. Harleen deglutì, avvertendo un brivido ghiacciato farsi strada lungo la spina dorsale e scosse con forza la testa, facendo rimbalzare i capelli biondi trattenuti per troppo tempo dalla coda di cavallo ormai sfatta.

" Anzi, sa cosa le dico, signorina Kringle? Ha ragione lei. Sono molto stanca, farei meglio ad andare a casa. Oltretutto, sarà bene parlare con il dottore domani, dal momento che per un po' il paziente non sarà più in grado di parlare. "

Kristen osservò in silenzio la giovane donna fare qualche passo indietro con un sorriso che voleva essere gentile, ma che copriva a malapena tutta la tensione che le deformava quel viso dai tratti angelici, per poi vederla andare via quasi correndo, da quel manicomio che era l'Arkam Asylum.

3 settimane dopo.

In quel lasso di tempo trascorso a fare inutili toccate e fughe nell'ospedale, Harleen aveva iniziato a nutrire il dubbio che il dottor Dullhmacher cercasse di evitarla apposta, perchè probabilmente lo infastidiva la sua presenza;non sapeva spiegarselo, ma aveva la sensazione che il dottore ritenesse che l'incidente avvenuto al suo paziente più prezioso fosse accaduto per colpa sua, per colpa di qualcosa che la ragazza doveva aver detto o fatto, mentre era in quella stanza, da sola con lui.

Grandioso, sbuffò lei, attraversando la strada il più in fretta possibile, prima che il semaforo tornasse rosso. Adesso sarebbe anche colpa mia!! Sarei io il pericolo, secondo quell'idiota, non certo Joker! Lui è solo la vittima, povera stella, il dottore perderà la sua piccola miniera d'oro la prossima volta che si strapperà via mezza lingua a morsi per colpa della brutta, cattiva Quinsel!!!

Ok, basta. Doveva farla finita, era da quasi un mese che si torturava mentalmente con questa storia. Tra lei e quell'uomo non sarebbe mai corso buon sangue, ma c'era un contratto di mezzo, ed entrambi avrebbero dovuto farsene una ragione. Harleen tenne in equilibrio la scatola di cartone di Starbucks contenente due bicchieroni fumanti di mocaccino, prima di risalire in macchina, diretta ad Arkam.

Una volta arrivata, si diresse immediatamente verso la stanza riservata agli incontri tra lei e il suo paziente, passando rapida come un proiettile davanti alla porta chiusa dello studio del suo capo; se c'era una cosa che voleva a tutti i costi evitare era rivolgergli anche solo mezza parola, quel giorno.

Il clangore delle porte d'acciaio che si chiudevano alle sue spalle era ormai una piacevole melodia, in vista di quello che la stava attendendo - o forse no - in quella camera senza colori e dalle pareti imbottite, e Harleen fece un respiro profondo, controllando che la mano che sosteneva la scatola con i bicchieri non tremasse.

I suoi tentativi di apparire silenziosa fallirono miseramente quando i suoi tacchi produssero un inevitabile ticchettio sul pavimento usurato dal tempo, prima che prendesse, come di consuetudine, posto di fronte a lui.

Lui, che teneva lo sguardo perso nel vuoto, contro la parete, in stato quasi catatonico. Ma Harleen sapeva benissimo che si era ripreso; certo, potrebbe aver avuto difficoltà a parlare, ma sarebbe stato un problema suo, si ritrovò a pensare, con una vena di cattiveria, pentendosene subito dopo.

Non sapeva come comportarsi, quando si trovava davanti a lui.

Qual era la maniera giusta di agire? Provando odio nei confronti di quel mostro e delle azioni che aveva scelto di fare, uccidendo e ingannando e cercando di fare lo stesso con lei? Oppure chiudere gli occhi e pregare per la sua anima, quell'anima corrotta da una malattia della mente, che aveva portato tutte quelle azioni a non dipendere dalla sua volontà?

" Buongiorno, signor J. " disse, con dolcezza nella voce rilassata " è passato un po' di tempo. "

Nessuna risposta.

Harleen smise di sorridere, appoggiando un blocchetto per appunti sul tavolo, con una matita a fianco, e ci riprovò.

" Capisco benissimo se non se la sente di parlare; in fondo sono passate solo tre settimane e, considerando la routine giornaliera, qui dentro, la sua non deve essere stata una convalescenza tranquilla. E' normalissimo sentirsi spossati, mi creda, nessuno si aspetta niente, da lei. Possiamo anche restare in silenzio a guardarci per le restanti due ore consecutive, se il dolore che prova è troppo, non la costringerò certo a sforzarsi per me."

Psicologia inversa. Un tentativo molto (molto) blando, dato che aveva dovuto improvvisare sul momento, ma chissà... Joker era ancora sotto effetto di sedativi, suppose la ragazza, a giudicare dai capillari iniettati di sangue che si intravedevano nei suoi occhi, che il prigioniero faticava a tenere aperti, quindi forse stavolta Harleen avrebbe potuto contare sulla sua incompleta lucidità e sul fatto che aveva appena indirizzato una frecciatina alla sua vanità criminale, ergo...il punto debole di qualunque serial killer. O quasi. Restava da vedere se il Joker avrebbe reagito.

Se c'era una cosa che avrebbe evitato, da lì in futuro, decise in quel momento, era non farsi mai più alcuno scrupolo a giocare sporco contro un soggetto del genere.

Nessuna risposta, tanto per cambiare. Questa volta però ad Harleen non sfuggì l'occhiata fulminea che le rivolse il suo paziente. La dottoressa cercò di trattenere un sorriso, certa di essere riuscita a provocarlo almeno in piccola parte, ma poi vide gli occhi del Joker indugiare sul suo seno e poi le seguenti parole strascicate uscire da quelle labbra contorte: " Non le serve ricorrere a patetici escamotage da quattro soldi, dottoressa Quinsel. Oggi ho deciso che parlerò con lei solo per la deliziosa cortesia che si è premunita di concedermi. "

" Quale cortesia..?" mormorò lei, aggrottando la fronte.

I suoi occhi chiari seguirono la lingua del Joker, che andò a leccarsi quelle labbra nere con esagerata lentezza, mentre gli occhi dell'uomo non abbandonarono per un secondo il petto della donna, tanto che lei, per un riflesso involontario, abbassò il proprio sguardo per controllare, e ciò che vide le fece imporporare le guance dall'imbarazzo e dalla rabbia.

Dio, no!, pensò furiosa, quando si accorse che due dei bottoni della sua camicetta color crema si erano aperti, rivelando il suo reggiseno nero di pizzo e buona parte delle forme che esso conteneva. Doveva essere successo mentre correva in mezzo alla strada, per non fare tardi. E dal momento che, una volta entrata ad Arkam, aveva fatto del suo meglio per non incrociare nessuno, nessuno aveva potuto avvisarla.

Le sue mani andarono tremanti a chiudere in fretta i bottoni, mentre lei teneva lo sguardo basso, per niente intenzionata ad incrociare il suo, quando iniziò ad udire quella risatina prendere vita dalle labbra morte del Joker. Una risata sadica e perversa, ma ostacolata dall'effetto dei farmaci.

Ben ti sta, bastardo, pensò lei, con quell'unico vantaggio come debole consolazione.

" Non è stato intenziona- Ok. " esordì lei, imponendosi di restare calma, mentre vedeva il paziente raddrizzarsi, per poi portare le mani ammanettate insieme sul bordo del tavolo. " Oggi non intratterremo discorsi in particolare, gradirei solo passare due ore leggere in sua compagnia. Va bene per lei? Pensavo potremmo fare un gioco. " disse, tirando fuori dei cartoncini dalla borsa che aveva appoggiato per terra.

" Perché no. Le manette le abbiamo. "

" Bel tentativo. Ma, no, non è quel tipo di gioco. " sbottò Harleen, senza perdere il distacco professionale, anche se per un secondo le era venuta un'improvvisa tentazione di ridere.

" Io parlavo di Guardie e Ladri. "

"... Come?"

" Dottoressa... " gli occhi del Joker si ridussero a due fessure, mentre lui si sporgeva, per quanto le catene alla sedia glielo permettessero, verso di lei " Seriamente, a quale gioco pensava mi stessi riferendo? "

Le mani di Harleen stritolarono i cartoncini per una frazione di secondo. Brutto, grandissimo figlio di...

" Su ognuno di questi cartoncini c'è una parola. Voglio che la legga, e che subito dopo mi dica la prima parola che le viene in mente. Anche se non c'entra nulla, la dica e basta. Tutto chiaro? Bene, proviamo. "

Prese il primo cartoncino bianco, sul quale era scritta, in nero, la parola: sole.

Il prigioniero gettò un'occhiata al cartoncino, per poi tornare sul suo volto, e questa volta Harleen pensò che se davvero gli sguardi avessero potuto ammazzare...

" Oh, andiamo! Non si tratta di indovinare cosa dire, o altro, vorrei solo che provass...va bene, prendiamone un altro. " si arrese lei, mollando il primo cartoncino alla sua destra e pescando il secondo dal mazzo, con su scritto: pistola.

Joker aggrottò la fronte " Questa è piuttosto ambigua. "

" Signor J, evidentemente non mi sono spiegata; non c'è una risposta giusta o sbagliata, deve solo rispondere. " sospirò Harleen, iniziando seriamente a temere che tra i due, quella che avrebbe per prima gettato la spugna e la pazienza sarebbe stata proprio lei.

" Dottoressa Quinsel " le fece verso lo psicopatico, sporgendosi ancora di più. Pur avendo le manette ai polsi, se solo li avesse allungati le avrebbe potuto sfiorare la mano appoggiata alla scrivania " Evidentemente sono io a non essermi spiegato: questa-è-piuttosto-ambigua. E, mi creda, se adesso le dicessi la prima cosa che mi è passata per la mente, lei si offenderebbe. E oggi sopporterei qualunque cosa, tranne offenderla e non poter più godere del piacere della sua compag-"

" Andiamo avanti. " lo interruppe lei, mettendogli il terzo cartoncino quasi davanti al viso, con un gesto scattoso, forse più del necessario.

Non riesci a controllarlo, vero babe? Che cosa penserebbe il dottor Dullhmacher, se ti vedesse perdere così facilmente la calma con il soggetto che, in teoria, dovresti essere tu a controllare?, rise una vocina nella sua testa, venuta fuori da chissà dove, che le fece sbattere le palpebre un paio di volte, prima che la ragazza si raddrizzasse con calma, attendendo la risposta di Joker alla parola: specchio.

" Harley Quinn. " fu la risposta immediata del Joker, sotto lo sguardo prima confuso, poi perplesso della ragazza, che si affrettò ad appuntare la sua prima risposta nel blocchetto.

Harley Quinn. Si accorse di aver rabbrividito, quando il feroce sospetto che il clown con quel nomignolo si stesse riferendo proprio a lei le attraversò la mente con irruenza. Dopotutto era così che l'aveva soprannominata, quella notte, al telefono.

[ " Dimmi una cosa, Harley: ti fai chiamare così anche dai tuoi amanti? " ]

La donna si schiarì la voce, prendendo un altro cartoncino: moneta.

" Tedioso. "

Harleen scrisse anche quello, impassibile.

Festa.

" Tedioso. "

Prigionia.

" Tedioso. "

" E' la terza volta che ripete la stessa cosa, non è possibile... queste parole indicano cose e stati d'animo che non hanno niente in comune l'uno con l'altro! " esclamò Harleen, allargando le mani, come per enfatizzare l'ovvietà della cosa.

" Infatti non mi riferivo a quelli. Questo gioco è tedioso!!! "

Harleen si trattenne dal dire una cosa decisamente fuori luogo e poco professionale, mentre tirava con rabbia delle righe d'inchiostro sulle ultime tre parole che si era appuntata, mentre Joker fece una risatina, senza perdere d'occhio ogni sua mossa.

" Se mi permette una confidenza, dottoressa, credo che abbiamo opinioni diverse sui giochi. E sul divertimento " indugiò sull'ultima parola, come se volesse attirare l'attenzione della ragazza su qualcosa in particolare, costringendola ad alzare lo sguardo. Ma lei si guardò bene dal farlo. " Perché adesso non mi toglie queste manette e non mi permette di mostrarle cosa sia, per me, il vero divertimento? " le sussurrò poi, e la visione di quei denti fece quasi fuggire Harleen dalla stanza.

" Semplicemente, perché io non ho mai detto che questo gioco sarebbe stato divertente. E continuando a parlare in confidenza, sono sempre più convinta che lei non si divertirà più per i prossimi decenni, signor J. " rispose, con un sorriso sfacciato.

Ok. Che accidenti le era saltato in mente?!

Questa non avrebbe dovuto lasciarsela sfuggire. In tutta la sua, seppur acerba, carriera da psichiatra, mai aveva faticato così tanto a mantenere indifferenza e distacco nei confronti di un paziente, per quanto deviato e pericoloso questo fosse. Ma l'uomo di fronte a lei... quel Joker, era in qualche modo capace di tirar fuori la parte peggiore di lei. Quella che Harleen conosceva di meno. Quella arrogante. E frivola. E incurante delle conseguenze.

" Ne ero quasi convinto anch'io, poi ho incontrato te, Harley. " ribattè Joker, con un sorriso di sfida.

Harleen strinse i denti. Eccolo che tornava a darle del tu. La sua mano si chiuse a pugno, stritolando la matita. Il Joker se ne accorse. E ne approfittò.

" Ohhhhh, e in caso te lo stessi chiedendo... voglio dire, il fatto che ti stia dando del tu, infastidendoti apposta per farmi dare un altro schiaffo mentre sono legato e alla tua totale mercè, be', complimenti dottoressa, per una volta sei arrivata alla conclusione giusta. "

La mano di Harleen corse con rabbia al registratore in funzione, disattivandolo immediatamente.

" Che stai facendo? Cosa diavolo credi di fare?! " sibilò contro di lui, dopo qualche secondo di silenzio, senza nemmeno accorgersi di avergli dato del tu a sua volta.

Per tutta risposta Joker scoppiò a riderle in faccia, con le lacrime agli occhi dal divertimento " Non posso crederci, no no no, è troppo, trrrrroppo facile con lei, dottoressa Quinsel!! E' troppo facile, ed eccitante, giocare con la sua ingenuità... "

" Ah, davvero? E perché? " ribattè lei, con la stessa arroganza, anche se in realtà non le interessava; la verità era che, ancora una volta, era rimasta a corto di parole. Non sapeva cosa dire, né cosa fare. E la cosa peggiore, era che lui ne era consapevole.

" Perché cosa? Perché è facile, o perché è eccitante? " il Joker si finse dubbioso. Alla mancata risposta della giovane, i suoi occhi color ghiaccio si posarono per la prima volta sui due mocaccini che lei aveva portato nella stanza e il suo sguardo si fece incuriosito. " Per chi è il secondo bicchiere? "

All'improvviso Harleen si ricordò dei mocaccini. Perse qualche secondo ad osservare i bicchieroni di carta dai quali ormai non usciva quasi più fumo e rispose, sforzandosi per tirar fuori la voce: " L'avevo preso... era per lei. "

" Ma che pensiero gentile. Per quale motivo ha ritenuto che me lo meritassi? "

Lei sospirò, lasciando cadere la matita sul blocchetto. " Non ha importanza, ormai si sarà raffreddato. "

" Lo voglio bere. " Joker pronunciò con una tale compostezza - e cortesia - quelle tre parole, che per Harleen fu impossibile opporsi. Non che realmente volesse farlo. Rimasero a fissarsi in silenzio per diversi istanti, prima che lei si decidesse a prendere uno dei due bicchieri e a rimuovere il coperchio di plastica. Poi spinse con un dito il bicchiere fino al centro del tavolo.

Un ghigno nacque dalle labbra di Joker, quando sollevò appena le mani intrecciate nell'abbraccio freddo delle manette, mormorando un lascivo: " Dovrà farlo lei per me. "

" Non le conviene esagerare. Simili attenzioni, se così preferisce chiamarle, nei confronti di soggetti come lei, non è permesso concederle. Le ho già detto a cosa andrà incontro se tirerà troppo la corda, e la avverto che nessun futuro dottore sarà piacevole quanto me. " lo minacciò Harleen, ben sapendo che era fiato sprecato.

" Io non voglio altri dottori, dottoressa Quinsel. Io voglio solo lei. "

Provare a descrivere le sensazioni infinite che quella semplice frase scaturì in lei sarebbe stato impossibile, e Harleen prese un bel respiro silenzioso, prima di sollevarsi appena dalla sedia, per potersi sporgere quel tanto che bastava per avere Joker ad appena una decina di centimetri di distanza dal viso.

Mi aggredirà, pensò, quando il suo cuore prese a battere più in fretta, consapevole del pericolo e del rischio che le mani del Joker erano abbastanza vicine adesso da poterle afferrare la gola.

Ma lui non si mosse.

Si limitò a bere, quando lei gli posizionò il bicchiere sotto le labbra, inclinandolo per permettergli di bere una generosa sorsata, cosa che fece, senza staccare per un secondo i suoi occhi vitrei da quelli verdi e luminosi della sua dottoressa.

" Ancora tre cartoncini " mormorò lei, a pochi centimetri dal suo viso, mentre allontanava un attimo il bicchiere per avere la sua attenzione " Ancora tre parole, poi non giocheremo più. Ma deve farlo, d'accordo? "

" Io ho smesso di giocare da un pezzo. " fu la risposta incredibilmente seria del Joker, prima che tornasse a bere. Harleen lo vide leccarsi le labbra, dopo essere arrivato a metà bicchiere.

" Comunque ha un sapore sgradevole. " sbraitò di colpo, facendo una smorfia disgustata.

Harleen si rimise seduta, mettendo via il bicchiere. " E' nocciola; non credo esista un mocaccino migliore. "

" Non era nocciola, quella. "

" E invece sì, lo era. " replicò lei, con un sorriso paziente.

" E invece no. "

" Invece sì. " ripetè lei, senza sorridere più.

" Invece no. " le fece verso lui, imitando la sua voce, di un paio di ottave più alta.

" Al diavolo " borbottò lei, troppo piano perché lui la sentisse, per poi afferrare con decisione gli ultimi tre cartoncini, esponendone uno.

Joker tossicchiò un paio di volte, prima di leggere la parola e rispondere subito: " Tedioso. "

All'occhiata di Harleen sollevò appena le mani, in segno di tregua " Oh no, non fraintenda, questa è stata davvero la prima cosa che mi è passata per la testa. "

Harleen lasciò cadere il cartoncino, per poi afferrare il secondo.

Salvezza.

" Mmh, ispirazione. "

Promessa.

" Moglie. "

Un sorriso vittorioso nacque sul volto di Harleen nell'esatto momento in cui quello sadico e arrogante del Joker scomparve, non appena la dottoressa sussurrò: " Eccellente. "

Joker tossì di nuovo. " Diamine, era davvero disgustoso. Spero che l'altro bicchiere abbia un sapore migliore- "

" Perché ha detto moglie? " esclamò Harleen.

" Cosa? "

" Perché ha detto moglie? " ripetè lei, mantenendo quel sorriso, che a quanto pareva stava innervosendo seriamente il suo paziente.

" Il gioco contempla solo una risposta, non la sua spiegazione. " mormorò lui, con un sorrisetto che morì sul nascere, quando lei rispose: " Non fa niente, perché in tal caso parlerò io per lei. Vede, per tutti, signor J, lei rappresenta un punto interrogativo. Nessuno, nemmeno i suoi ex sottoposti, i suoi vecchi colleghi, tra quelli che sono stati catturati e coloro che sono andati a costituirsi al commissariato di Gotham, nessuno di loro ha mai saputo nulla di personale che la riguardasse. Chi è colui che si nasconde sotto il nome di Joker? "

Lo sguardo dell'uomo intanto si era fatto decisamente più duro; anzi, no: minaccioso. Sembrava aver già intuito cosa si nascondesse dietro le parole di quella giovane donna, che osava guardarlo in faccia, con un'arroganza che - ah, dannazione! - era una smania incontenibile per il suo inguine, e sapeva che non si sarebbe fermata.

" In queste tre settimane sono venuta a conoscenza di informazioni interessanti, sa? Ma non ero in grado di usarle come prova del nove... almeno, non fino ad ora. " continuò lei, arrotolandosi una manica della camicia bianca " Lei ha detto che abbiamo visioni differenti del divertimento, e sono certa che abbia ragione, ma c'è stato un periodo in cui ho avuto diciassette anni anch'io, e ho passato un periodo di ribellione che mi ha portata a provare cose nuove " quando spostò la stoffa, rivelò numerosi tatuaggi colorati che spiccavano sulla pelle di alabastro del suo braccio.

" Al nostro primo incontro, ho fatto attenzione ad uno dei suoi tatuaggi, signor J. Una cosa che mi sono sempre chiesta è da dove sia nata quest'ossessione, non tanto per il nome Joker, quanto per la sua iniziale. Molti assassini seriali pur cambiando completamente identità non possono fare a meno di portare ovunque vadano un particolare impercettibile agli occhi di chiunque, che li tenga in qualche modo allacciati alle loro origini, e il più delle volte, questo particolare è proprio un tatuaggio. Quello dietro il suo collo, una J affiancata da un serpente nero. "

" Dottoressa Quinsel... " la bloccò Joker, scuotendo lentamente la testa " detesto doverla interrompere perché adoro la sua voce, ma so cosa sta per dire e la sua è solo fatica sprecata. La sua teoria non sta in piedi. "

" Oh sì, invece. Perché, vede, una volta fuggii di casa a diciassette anni. Questo mi costrinse ad adattarmi a situazioni scomode, e a compiere anche un paio di cose non esattamente legali... e in quel periodo feci tante scelte sbagliate, tra cui queste. " aggiunse, abbassando lo sguardo sui propri tatuaggi " Mi sono fatta marchiare la pelle quel tanto che basta da riconoscere a colpo d'occhio quando un tatuaggio è autentico, e quando invece è stato fatto apposta per nascondere qualcosa che stava sotto. " concluse, tornando ad osservare lui, con un'occhiata di sfida. " Ha lasciato scoperta solo quella J. Posso solo dedurne che quel serpente copra il resto del suo vero nome, signor J. O forse dovrei dire Jared? "

Gli occhi del Joker si spalancarono e il killer si mosse verso di lei con uno scatto improvviso, che Harleen neanche vide, non fosse stato per le catene che lo trattennero alla sedia. Lui si lasciò sfuggire un verso infastidito, prima di scuotere la testa e unire lentamente le mani, battendole tre volte, in una sorta di lento e raccapricciante applauso, che produsse un'eco agghiacciante nella stanza vuota.

" Quel poco che ho trovato è stato sufficiente per ricostruire un pezzo della sua storia, signor J. " aggiunse Harleen " Jared Valeska, nato il 26 dicembre 1971, marito di Camille Lefèvre. Nel '93 sua moglie scomparve, ma quando la polizia si presentò a casa sua per interrogarla, lei era sparito senza lasciare traccia. E' stato incredibilmente bravo a nascondere la sua identità, posso comprendere come mai nessuno sia mai riuscito a scoprirla, fino ad ora " disse, riferendosi ovviamente alla trasformazione fisica dell'uomo di fronte a lei. Aveva visto in un referto medico che il dottor Dullhmacher era, in quelle settimane, finalmente riuscito ad appropriarsi, una vecchia foto di Jared Valeska...ed era rimasta a fissarla per quasi mezz'ora, nello shock più totale. Quell'uomo, quel giovane, affascinante uomo dal sorriso caldo, poteva davvero essere lo stesso seduto di fronte a lei adesso? " Quando ci siamo parlati, quella notte, mi ha detto che per quanto qualcuno si sforzi, un travestimento rimane sempre un autoritratto; e nessuno usa un nome falso per un matrimonio, a meno che non voglia renderlo illegale. Rimanevano comunque prove senza fondamenta, non fosse stato per un piccolo dettaglio decisivo. "

" Che sarebbe? " sibilò il Joker, con rabbia, prima di tossire di nuovo. Una tosse che ben presto mutò, trasformandosi in un respiro rantolante, affaticato e pesante.

" Mi dispiace " sussurrò Harlen a voce bassissima, prima di dire con voce ferma: " Aveva ragione: non c'era solamente nocciola lì dentro. "

Non appena concluse la frase, il Joker si piegò su se stesso, preda degli spasmi, strabuzzando gli occhi, per poi guardare la dottoressa Quinsel come mai aveva fatto prima di quel momento. Dal canto suo, Harleen per quelli che furono i dieci secondi più eterni della sua vita, non fece altro che godersi la scena.

" I dati nella cartella medica di Jared Valeska riportavano anche una grave allergia alla cannella. Questo non si può cancellare con un travestimento. " lo sguardo di Harleen si fece più duro che mai, quando aggiunse, abbassando la voce: " E tu pensavi che fosse solo un innocente giochetto tedioso. "

Ne aveva versata lei stessa una generosa dose nel bicchiere, prima di recarsi ad Arkam. Le vene lungo il collo del Joker sporgevano sotto la pelle tirata e senza colore, mentre un suono gutturale prendeva strada dalla sua gola, mischiandosi ai rantoli strozzati, per poi uscire da quelle labbra morte in una spezzata risata di pura - ammirazione? Compiacimento? - follia.

Proprio così. Stava morendo, eppure stava ridendo.

Harleen si costrinse a reagire, e tirò fuori dalla tasca del camice bianco una siringa. Sfilò rapida il cappuccio, per poi sporgersi per la seconda volta in avanti, afferrando un polso del Joker con decisione. Ma quando trovò la vena e fece per infilare l'ago, le dita del Joker scattarono rapide come una trappola inevitabile, stringendo con una forza micidiale il polso di Harleen, che dal dolore quasi lasciò cadere la siringa. La donna fece un verso strozzato quando udì l'osso scricchiolare, mentre le unghie nere del Joker si facevano strada nella sua pelle. Possibile che non capisse?!

" Sto cercando di aiutarti...! " gli sibilò contro Harleen, trattenendo le lacrime dal dolore. E poi si rese conto che lui lo sapeva già. Lo sapeva e stava comunque cercando di impedirglielo. Ma non aveva più forze, e fu solo questo che le permise di vincere. Con un gesto rapido si passò la siringa nell'altra mano, riuscendo con un grandissimo sforzo a fare quella puntura, anche se lui si mosse più volte, impedendole di completare l'iniezione nel modo giusto. Gli si sarebbe formata una grandissima ecchimosi sul braccio, nei giorni a venire, ma almeno, si disse Harleen, mentre osservava il rivolo di sangue che gocciolava dal naso di Joker, ora di nuovo libero di respirare, adesso era fuori pericolo.

Harleen si lasciò andare con la schiena contro la sedia, esausta. Si portò le mani alla faccia, sfilandosi gli occhiali, per potersi coprire gli occhi. Se fosse stato per lei, sarebbe rimasta così per sempre; aveva visto più orrore in quei pochi giorni, di quanto ne aveva mai visto in televisione e vissuto nella vita reale, per quasi venticinque anni. E forse fu quello, una volta accertatasi che le condizioni del suo paziente si fossero davvero stabilizzate, a darle la forza di chiedergli: " Tu saresti davvero disposto a morire? "

" Per te sì, Harley. "

Per te sì.

Per te sì.

Per te sì.

Harleen non perse più tempo a chiedersi quante centinaia di significati potessero nascondersi dietro quelle tre parole, che fossero vere o false, si limitò semplicemente ad accettarle.

" Saresti disposto a morire per me...? " ripetè in un sussurro, come se quello che le aveva appena confessato fosse il più irripetibile dei segreti, il calice proibito di un veleno mortale perfino agli Dei.

" Sì " fu la risposta semplice e immediata di Joker, che sollevò le sopracciglia, come se stesse sottolineando un concetto talmente ovvio, ad un bambino.

Harleen scosse la testa. In quel momento comprese una volta per tutte che nemmeno lei ce l'avrebbe mai fatta; avrebbe, anche lei, fallito laddove tutti gli altri prima di lei avevano fallito con lui. Non sarebbe riuscita ad aiutarlo. Mai. Nessuno mai avrebbe potuto estirpare una simile malvagità da un'anima senza che quella stessa crudeltà non mettesse radici anche dentro di loro. E quelle radici, Harleen moriva di paura al solo pensiero, ormai se le sentiva già addosso. Ma questo non era un buon motivo per arrendersi. Non ancora.

" Troppo facile " fu infatti la risposta della giovane donna, mentre puntava gli occhi su di lui, un'ultima volta " Saresti piuttosto disposto... disposto a vivere, per me?"




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quando incontri la persona giusta poi è così difficile lasciarla andare, diventa il tuo punto di riferimento, la tua casa, il tuo tutto.