Così dolce, così letale

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Harleen si svegliò di soprassalto quando qualcuno le scosse gentilmente una spalla, facendola svegliare.

" Mio Dio, non mi dica che è rimasta qui tutto il tempo? " a parlare fu la stessa infermiera gentile che l'aveva medicata, dopo l'aggressione da parte di Joker. Harleen non ricordava più il suo nome. Si sistemò gli occhiali che le erano scivolati sulla punta del naso e si raddrizzò sulla sedia, avvertendo un insopportabile scrocchio alla schiena e alla base del collo, quando si accorse di essersi assopita in una posizione tutt'altro che salutare.

" Maledizione " gemette, cercando di massaggiarsi una spalla con la mano, applicando un po' di tensione per sciogliere i nervi accavallati sotto la pelle. " Che ore sono? "

" Le 22.30, dottoressa."

" Che cosa? " esclamò lei, sbalordita. Era rimasta in quell'ospedale per tutto il tempo?! Impossibile. Perché nessuno era venuto a dirle di andarsene?

L'infermiera la osservò di sottecchi, come se le avesse appena letto nel pensiero. " Eravamo tutti un po' presi ad evitare che il clown morisse soffocato nel suo stesso sangue. L'intervento per ricucirgli la lingua è durato più di sei ore, l'hanno dovuto operare una seconda volta perché dopo la prima si è strappato via tutti i punti con i denti. "

" Ho capito. Va bene " sibilò la ragazza, cercando in tutti i modi di non immaginare la scena. Per una dozzina di secondi se ne restò immobile, una mano portata a coprirsi il labbro, pensierosa e scioccata, per poi alzarsi in piedi con aria stanca.

" Dovrebbe andare a casa." suggerì l'infermiera.

" Voglio vederlo. "

" Dottoressa... il dottor Dullhmacher ha espressamente d-"

" Solo dieci minuti, davvero. Poi toglierò il disturbo."

L'infermiera non sembrava entusiasta all'idea di trasgredire gli ordini del suo capo " Ma è sotto sedativi, e ci sono le guardie di sicurezza a controllarlo. Sarebbe inutile, in ogni caso."

" Come ti chiami? " sospirò Harleen, guardandola con occhi esasperati, e piazzandosi di fronte a lei. L'infermiera sgranò gli occhi azzurri, dietro le spesse lenti degli occhiali, non tanto per la foga con cui Harleen continuava ad insistere, quanto al fatto che da un comportamento serio e formale, fosse passata di colpo a darle del tu, con aria di supplica. Fu per quello che decise di rispondere, con un sospiro arrendevole: " Kristen. Kristen Kringle. "

"Va bene. Kristen. Non voglio metterti nei guai e non succederà, te lo prometto. In caso il dottore o chiunque altro venisse a lamentarsi da te, mi assumerò tutta la responsabilità, ma per favore- "

Si bloccò, incapace di credere alle sue stesse parole.

Santi numi; cosa le stava passando per la mente?! Perché, poi? Perché una tale insistenza, da parte sua, per una persona e una causa che al di là del rapporto professionale non avrebbe dovuto importarle, tanto meno suscitare pietà in lei?

Perché ne va del tuo futuro, dolcezza. E la tua carriera.

Harleen rimase in silenzio, per qualche secondo. Vedeva Kristen parlarle, ma non si curò di ascoltarla, colpita da un altro pensiero che l'aveva attraversata come un coltello nel cuore.

[" Se ti ripresenterai ad Arkam, domani, non ne uscirai più. "]

Così le aveva detto, la notte prima, al telefono. Harleen deglutì, avvertendo un brivido ghiacciato farsi strada lungo la spina dorsale e scosse con forza la testa, facendo rimbalzare i capelli biondi trattenuti per troppo tempo dalla coda di cavallo ormai sfatta.

Suicide love: le origini di Harley QuinnWhere stories live. Discover now