L'oro maledetto e il Vaticano

By AlessandroSmerieri

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Nel torbido periodo che segue immediatamente la Seconda guerra mondiale, un parroco viene assassinato nel... More

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By AlessandroSmerieri

Il capitano dormì poche ore di un sonno agitato. Si svegliò con la stanchezza nella ossa e il desiderio di essere lontano. Il caffè non bastò a svegliargli la mente; ci pensò la telefonata di De Castris che lo informava che stava apprestandosi anche lui a interrogare il bracciante nel carcere del capoluogo dove lo avevano portato.

«A lei ha detto qualcosa, capitano?»

«Niente, si limita a ripetere il solito ritornello dell'innocente». Fece una pausa. «Dice che non riesce a parlare. Sa, prima di me l'ha interrogato il maresciallo Laganà e ha usato la mano pesante».

De Castris non batté ciglio. «Ora lo sento io. Lei, capitano, resti in loco e cerchi altri elementi utili per le indagini. Ha visto i giornali no?»

«No».

«Il delitto è in prima pagina su tutti i quotidiani, "Unità" e pochi altri a parte, naturalmente. Ma se siamo fortunati nel giro di qualche giorno avranno ben altro da scrivere. E intanto un arresto già ce l'abbiamo. I giornali per domani sono serviti. Certo, non basta. Dobbiamo chiudere il cerchio. Lei faccia un altro sopralluogo, senta eventuali testimoni, cerchi indizi, prove. Insomma si dia da fare».

Il capitano rifletté che De Castris aveva sempre in mente i giornali, ma non disse niente limitandosi ad augurargli buon lavoro.

Don Gaetano era il parroco più anziano del paese. Era lì da quarant'anni, aveva visto due guerre mondiali insieme alla nascita e alla caduta del fascismo e agli altri sconvolgimenti di quel tragico Novecento. Eppure, dalle sue prime parole e gesti, sembrava che lì, nel cuore dell'Emilia, avesse sempre regnato una monotona tranquillità. Faceva ormai fatica a muoversi e la voce era tremolante, ma nei suoi occhi azzurri brillava una luce viva e accesa. Il capitano non sapeva che aiuto gli potesse dare e forse stava solo perdendo tempo, ma aveva bisogno di qualcuno che gli parlasse della vittima. E che non fosse Laganà.

«Era un sacerdote con tanta voglia di fare don Bassoli» disse il prete. «È un delitto davvero orrendo, ma è vero che avete preso qualcuno?»

La domanda confermò al capitano che don Gaetano, oltre che lucido, sapeva anche occuparsi delle cose di questa terra.

«Un sospetto è stato fermato, un uomo che era improvvisamente scomparso ieri, poche ore dopo il delitto. È fuggito senza motivo, ma le indagini sono in corso e non posso dirle altro».

Don Gaetano abbozzò un sorriso come a chiedere scusa di aver indossato, per un attimo, il ruolo di chi doveva fare le domande.

«Che stupido sono stato» disse cambiando subito argomento. «Non le ho offerto niente. Venga che mettiamo su il caffè. Il capitano lasciò perdere il cerimoniale del "no grazie, sono in servizio", ma poi si pentì perché il parroco mostrava i suoi anni mentre rovistava tra i barattoli e cercava di assolvere al compito. Si sentì in dovere di aiutarlo cercando, inutilmente, di non farlo notare.

«Sì, lo so, sono vecchio» disse don Gaetano. «Avrei bisogno di qualcuno più giovane che mi aiutasse nei doveri del sacerdozio di questa parrocchia che è la più grande e importante del paese. Qualcuno come don Bassoli. Al vescovo del resto la cosa non sarebbe dispiaciuta e neanche a noi due. Ci trovavamo spesso a parlare. Lui ascoltava con ossequio e deferenza, ma ovviamente non seguiva una parola dei miei consigli. Quando si è nel pieno degli anni i vecchi si rispettano, ma non si ascoltano».

«Quando l'ha visto l'ultima volta?»

«Pochi giorni fa. Doveva essere mercoledì quando ci siamo trovati per parlare del catechismo».

«Le ha parlato di minacce dirette in quell'occasione o in altre?»

«Minacce vere e proprie no. Certo i comunisti lo odiavano da sempre per la sua predicazione accesa e senza paura».

«E nelle prediche i comunisti erano citati spesso, vero?»

«Don Bassoli era un uomo coraggioso che amava dire anche le verità scomode». Tacque un attimo e si lasciò andare a un lungo sospiro

«Ora è crudele e tragico dirlo» disse come rammaricandosi con se stesso, «ma io più di una volta l'ho invitato alla prudenza, alla moderazione di parole e termini che, se pur giusti, rischiavano di renderlo sempre più inviso. E poi lui si sentiva un difensore della fede e parlava spesso del fatto che anche noi religiosi siamo chiamati, di fatto, a combattere per difendere i valori del verbo di Cristo».

Fece una pausa e poi guardò il capitano come se volesse studiare se fosse la persona giusta a cui confessarsi. Decise di continuare a parlare.

«Sa, a me la parola combattere non è mai piaciuta, anche se rettamente usata in difesa della fede. Preferisco parlare di pecorelle smarrite da ricondurre sulla retta via. Ma è vero che oggi quel compito per i pastori è sempre più difficile: le pecore troppo spesso non vogliano ascoltare. Don Bassoli diceva che in mezzo a quelli che io chiamavo pecore c'erano, purtroppo, quasi sempre solo branchi di lupi».

Il caffè era pronto e di nuovo il capitano dovette andare in soccorso del sacerdote che vacillava sulle gambe.

«Vede» disse con un sorriso amaro «non riesco nemmeno più a preparare il caffè. Sono ormai solo un povero vecchio e il mio rammarico è che, in fondo, lo pensava anche don Bassoli. Non lo dava a vedere, ma capiva benissimo che avrebbe voluto che le mie prediche avessero almeno un poco del vigore delle sue. Il vigore, capitano, ormai, non c'è più, ma io non sono mai riuscito a parlare come voleva lui». Il tono si fece più confidenziale: «Ho visto troppe guerre, troppa povera gente e troppo odio».

Il capitano si sorprese a pensare che quel parroco sapeva mostrare più di un volto. Dietro il linguaggio che il sacerdozio impone, i confronti con don Bassoli dovevano essere stati aspri e serrati.

«Un odio che non finisce mai» riprese il sacerdote. «Ora piangiamo altre due vittime. Penso anche al povero sacrestano. Era lì a San Martino solo da poche settimane».

«Non era italiano, vero? Si chiamava Jaric, Mirko Jaric, uno slavo. Aveva dei parenti o dei conoscenti qui intorno?»

«No, so che era un esule jugoslavo. Don Bassoli lo era andato a prendere, solo qualche settimana fa, nel monastero di San Giovanni alle pendici dell'Appennino. Lui era spesso in contatto con quei monaci dove amava andare, di tanto in tanto, per meditare e pregare. La montagna gli piaceva: diceva che lo faceva avvicinare a Dio. Anche a me, da giovane, piaceva andare in montagna; ora invece non posso più muovermi di qua. Quanto al povero sacrestano credo fosse in convento come novizio, ma forse era solo un poveraccio che non aveva un posto in cui andare. Don Bassoli lo ha così preso con sé da quella persona generosa che era. Quell'uomo era un tipo schivo e taciturno, ma, le ripeto, era appena arrivato e in paese non lo conosceva praticamente nessuno. Non si sono fatti scrupoli di uccidere anche lui, senza pietà».

«Lei ha dei sospetti?»

«Non tocca a me avere dei sospetti, ma mi viene in mente che l'ultima volta che ci siamo visti per il catechismo... o forse quella precedente... don Bassoli mi ha fatto vedere l'articolo della «Voce del partigiano» come a dirmi: ha visto, don Gaetano, di che pasta sono fatte le sue pecorelle smarrite?»

***

Senza più carabinieri intorno, la chiesa, immersa nei campi di grano, ora lasciava uno strano senso di quiete. Nelle ore precedenti c'era stato un continuo pellegrinaggio di gente. Volevano vedere la salma del parroco. Solo quando aveva cominciato a spargersi la notizia che era stata portata in città per l'autopsia il via vai aveva cominciato a diradarsi. Quando il capitano arrivò, stavano allontanandosi due donne a capo chino e con il volto coperto da uno scialle nonostante la primavera avanzante. Forse, pensò, non volevano farsi vedere. Davanti alla porta della canonica era rimasto solo un appuntato con l'aria annoiata. Fece rimuovere i sigilli ed entrò: un secondo sopralluogo, il giorno dopo la scoperta del delitto, era la prassi. Si spera sempre di trovare qualcosa che è sfuggito alle prime osservazioni. La mente riesce a essere più lucida e a riflettere su particolari che la prima volta possono essere sfuggiti. E poi, a onore del vero, Ricci non sapeva bene dove altro trovare tracce di un delitto in cui, nonostante i chiari sospetti, mancavano le prove.

«E il movente» continuò a ripetersi. «Perché l'hanno ucciso proprio adesso?»

L'odio contro i parroci, specie quelli tenacemente anticomunisti come don Bassoli, non bastava a spiegare una spedizione così violenta e che certo non aveva i tratti di una metodica preparazione.

«Che cosa è successo per fare scattare la rabbia e la reazione?» Ora che i corpi e il sangue erano stati rimossi, la canonica appariva in tutta la grigia monotonia di una parrocchia di campagna. Nello spoglio tinello, dove era stato ritrovato il corpo del sacerdote, c'erano il tavolo e un paio di sedie. Alle pareti quadretti di scarso valore di soggetto religioso. In un lato, unica nota di rilievo, una biblioteca che occupava gran parte della parete. La maggior parte erano libri religiosi e testi di patristica, ma, insieme a essi, c'erano anche volumi di attualità, in particolare sulla guerra civile spagnola. Un libro di quella natura era anche nella stanza da letto del sacerdote.

Il capitano alzò la testa e incontrò lo sguardo del Cristo crocifisso sul lato opposto della parete. La stanza, al di là del comodino e di un piccolo armadio, era anch'essa priva di qualsiasi tipo di arredamento, come si conviene a un sacerdote che ha ben altri pensieri e occupazioni. Spoglia era anche la camera dove dormiva il sacrestano, in pratica uno sgabuzzino in cui erano stati sistemati, alla buona, un materasso e una rete. Se il resto della canonica, nella sua asciuttezza, era estremamente dignitosa, quella stanza da letto era invece decisamente squallida, ma avere un tetto e un luogo in cui dormire in quei tempi, pensò il capitano, restava comunque un bel privilegio. A fargli cambiare idea bastò infatti il ricordo, ancora fresco, delle tante case distrutte dai bombardamenti aerei e della gente che lo guardava dalle macerie mentre lui non poteva fare altro che contare i danni e i morti.

Nella camera, oltre al letto, c'era un comodino, l'unico posto nel quale rovistare. Nel cassetto qualcuno aveva lasciato un quaderno. Era pieno di appunti: i caratteri erano latini, ma la lingua era (o almeno sembrava) slava. Il sacrestano, ricordò il capitano, era un profugo della Jugoslavia. Inutile cercare di capire cosa c'era scritto: si mise il quaderno sotto il braccio ripromettendosi di trovare qualcuno a cui farlo tradurre. Era ormai tardo pomeriggio e fuori dalla canonica si poteva respirare il sapore della primavera che si confonde con l'estate. L'aria tersa e il tiepido sole infondevano una naturale pace anche in quei giorni difficili. Il capitano si fermò ad ammirare i campi di grano e ad assaporare quel clima dolce, la stagione migliore per quella terra che, nell'inverno, affonda nella nebbia e che tra qualche settimana avrebbe affrontato la calura dell'estate. Immerso in questi pensieri, finì per pestare un pezzo di stoffa: si chinò e lo raccolse. Era una mostrina e certo, dopo la prima occhiata, si rese conto che non poteva averla persa un carabiniere. Non era nemmeno dell'esercito. La guardò per qualche attimo, ma poi pensò che era soltanto una coincidenza e che quel pezzo di stoffa poteva, con ogni probabilità, essere caduto negli anni precedenti a un soldato dei tanti eserciti di passaggio. Si infilò comunque la mostrina in tasca: sul luogo di un crimine non si trascura niente. La sua mente iniziò, però, a divagare sulla divisa a cui poteva appartenere la mostrina mentre lui continuava a fare il giro dell'edificio infilando, quasi senza volere, proprio la strada giusta, quella che portava alla legnaia. Stava ancora pensando alla mostrina quando si mise ad armeggiare senza costrutto attorno ad alcuni pezzi di legna. Finì però per muovere proprio il pezzo che faceva leva a tutta una catasta che così crollò rischiando di finirgli addosso. Fece appena in tempo a spostarsi mentre l'appuntato Caputo, che lo aveva sempre seguito, in rispettoso silenzio, si lasciò scappare una serie d'imprecazioni. Quando fu evidente che nessuno si era fatto male Caputo iniziò, deferentemente, a chiedere scusa al superiore per le parole che gli erano uscite di bocca. «Non era rivolto a lei capita'. Volevo solo avvisarla, dirle di stare attento».

Ricci non aveva però tempo per stare a sentirlo. Stava già sollevando la botola di legno che il crollo della catasta aveva svelato.

«Lascia perdere, Caputo, e vieni un po' a vedere qui che cosa c'è». Quando l'appuntato arrivò, era già pronto per un'altra bestemmia. Dentro la botola c'erano fucili, pistole, rotoli di munizioni e perfino i pezzi di una mitragliatrice.

***

«Tutti i pezzi di una mitragliatrice sk sherman americana. pistole, fucili e munizioni anch'essi americani, in gran parte Grant e Meadow, mitragliette Sten inglesi, un arsenale in piena regola, davvero un bel ritrovamento capitano».

De Castris lo guardava, da dietro il tavolo del suo ufficio in Procura, attraverso due lenti spesse e con gli occhi quasi socchiusi. Accanto a lui il fascicolo che diventava sempre più vo25

luminoso. Sparsi sulla scrivania i giornali aperti sulle pagine che parlavano del delitto. Gli articoli erano cerchiati con cura; sopra a tutti c'era «L'Unità»: il servizio era sottolineato quasi riga per riga. L'occhio vi cadeva per forza.

«Ha visto; glielo avevo detto, questo è diventato un caso politico e il partito ci attacca direttamente. Legga».

... In virtù di un vago sospetto per l'omicidio di don Francesco Bassoli e del suo sacrestano è ancora detenuto il compagno Ermete Catellani che, fin dal momento del suo arresto, si è proclamato innocente.

Seguiva un'intervista all'avvocato Pietro Costazzi.

Catellani ha il solo torto di essersi visto la sera prima con alcuni compagni di partito prima di andare alla bocciofila e poi di essersi allontanato per qualche ora dopo essersi reso conto che i carabinieri facevano domande in cui era chiaro il teorema che vedeva un nesso tra la riunione e l'efferato delitto. Il bracciante è rientrato a tarda sera nella sua abitazione dove i militari lo hanno tratto in arresto. Da allora è detenuto mentre sua moglie e suo figlio, senza di lui, non sanno come sfamarsi. Cosa può accadere in questo paese se basta andare a una riunione del Partito comunista per diventare subito dei sospetti e basta aver partecipato a quella riunione ed essersi allontanati per qualche ora per essere arrestati? I carabinieri e la magistratura cerchino altrove i veri colpevoli.

Il capitano notò che non c'era alcun riferimento dell'avvocato al pestaggio di Catellani nella caserma del paese, prova, forse, che il Partito comunista usava «l'Unità» per attaccare l'indagine, ma aveva deciso di non rompere tutti i ponti con le autorità.

«Catellani sta meglio» disse il procuratore. «Tra un paio di giorni non potrà più sottrarsi a un interrogatorio completo per via dell'incrinatura alla mascella. A dire il vero io credo che possa già parlare, ma il medico dice che, per certo, nel giro di quarantotto ore non ci saranno più problemi».

«Certo che...» buttò lì Ricci lasciando inespressa la frase.

«Certo che cosa?»

«Che era meglio se quell'incrinatura alla mascella, come la chiama lei, e quelle altre botte non ci fossero state. Non solo Laganà non ha ottenuto nulla, ma ha sollevato un altro gran casino in paese ed è diventato impossibile interrogare Catellani proprio quando ce n'è bisogno. E poi...»

«Poi cosa, non lasci sempre a metà le frasi!»

«A dirla tutta, qualche ragione «l'Unità», dal suo punto di vista, ce l'avrebbe anche. L'unica prova su Catellani è l'improvvisa sparizione dal posto di lavoro e dal paese per nascondersi nei campi. Certo la sua aveva tutta l'aria di una fuga, ma...»

Ricci osservò che il procuratore stava stringendo, con forza, il pugno appoggiato sul tavolo: le nocche erano diventate bianche, ma il tono con cui parlò non lasciava tradire alcuna perdita di controllo.

«Capitano, c'è qualcosa che non le torna nel modo in cui sto conducendo quest'indagine? Vuole dire che quell'arresto non andava fatto?»

«No, non equivochi, Catellani andava arrestato, ma...»

«Ancora queste pause...»

«... Laganà non doveva pestarlo, almeno non in quel modo».

«Capitano» il procuratore si era alzato in piedi e gli parlava, ora, come un professore a un allievo, «è possibile che siano stati commessi degli errori, ma i panni sporchi dobbiamo lavarceli in casa. Dei metodi di Laganà avremo modo di parlare prima o poi, ma adesso è fondamentale arrivare in fondo a quest'indagine. Invece, torniamo al deposito di armi. Quella è la chiave. È il movente del delitto, ne conviene?»

Ricci annuì.

«La chiesa era stata abbandonata per un certo periodo durante la guerra» continuò il procuratore. «E quale rifugio migliore, per una brigata partigiana, della legnaia di una chiesa come luogo in cui nascondere gli Sten insieme a pistole, fucili, munizioni, persino una mitragliatrice? Un rifugio sicuro anche e soprattutto da quando è arrivato l'ordine di Togliatti di consegnare le armi». De Castris aveva cominciato a girare a larghi passi per la stanza mentre esponeva la sua teoria.

«Dopo la guerra, però, la diocesi provvede piano piano a inviare i preti in tutte le parrocchie rimaste scoperte. Don Bassoli, un sacerdote noto per la sue posizioni anticomuniste, scopre il nascondiglio e questo segna la sua condanna, ne conviene?»

«Certo» abbozzò il capitano, non troppo convinto «è un'ipotesi plausibile, più che plausibile».

«Che cosa non le torna?» chiese De Castris con un'occhiataccia.

«Perché non hanno portato via le armi? Uccidono sacerdote e sacrestano perché avrebbero scoperto il deposito o possono scoprirlo e poi lasciano lì tutto quell'arsenale quando sanno che nel paese arriverà metà dei carabinieri della provincia?»

«Non potevano certo portarsi via tutta quella roba subito dopo il delitto, no?»

«Non so. Certo non era semplice, ma io dico che se un commando non si fa scrupoli ad arrivare in macchina e a entrare in casa di un prete e ucciderlo per la storia del deposito di armi poi la logica dice che quelle armi, il commando, se le carica in macchina».

«Tutto l'arsenale? In una macchina?»

«Magari avrebbero usato un camion, non sarebbe stato difficile procurarselo».

«Un camion avrebbe dato nell'occhio».

«Non tanto più di una macchina che arriva a tarda ora in una parrocchia di campagna e che è stata ugualmente vista dai vicini».

«La pensi come vuole, capitano. Io credo che, per quanto don Bassoli fosse un acceso anticomunista, non lo vedo certo imbracciare uno Sten o montare i pezzi di una mitragliatrice».

«Neanche io».

«E allora di chi sono quelle armi, se non dei partigiani?»

«Io non lo so di chi sono, ma sono più orientato a credere che Bottazzi e i suoi siano andati per cercare; non per trovare».

«Cosa vuole dire?»

«Che i comunisti non sono i soli a nascondere le armi. Ci sono anche quelli che le nascondono per usarle contro i comunisti. E come abbiamo detto prima, quale miglior luogo, come rifugio, della legnaia di una parrocchia retta da un sacerdote come don Bassoli?»

***

«Quelle armi non sono nostre, glielo giuro. Escludo anche che siano di un gruppo che non me lo abbia comunicato. Tra di noi la disciplina ha sempre funzionato». All'interno del comando provinciale dei carabinieri il presidente dell'Anpi del paese, William Baschieri, stava ancora guardando, con attenzione, l'arsenale trovato nella parrocchia e ora sotto sequestro. Allungò una mano per prendere uno dei pezzi della mitragliatrice, ma il capitano lo fermò.

«Non tocchi, è tutto sotto sequestro».

Baschieri ritirò la mano, ma continuò a indicare l'arma.

«Magari averla avuta una mitragliatrice così» disse al capitano con una punta di scherno. «Tedeschi e fascisti avrebbero pagato a prezzo ben più caro i loro rastrellamenti: i nostri ragazzi avevano solo gli Sten per opporsi ai cannoni e agli autoblindo della brigata nera o ai carri armati delle SS».

«È proprio così sicuro che un gruppo non abbia deciso di nascondere le armi dopo il 25 aprile? Non sarebbe certo il primo».

«Sarebbe il primo che le nasconde in una chiesa».

«Bottazzi, durante la guerra, era abituato a fare di testa sua. Non potrebbe essere accaduto anche in questo caso?»

«Gin amava agire in autonomia, ma rispettava gli ordini del comando brigata». Il capitano si morse le labbra, aveva sbagliato a fare il nome di Bottazzi che, nel pomeriggio, avrebbe certo imparato il contenuto di quella conversazione; tanto valeva, a quel punto, incalzare Baschieri.

«Rispettava gli ordini anche quando la brigata non c'era più e lui era il capo della polizia partigiana del paese?»

«La brigata non c'è più, ma è come se ci fosse. Anche adesso». Il presidente dell'Anpi fece una pausa: anche lui si rese conto che era andato troppo in là. «Voglio dire che i legami e la fiducia restano intatti tra noi che abbiamo combattuto per la libertà. Se qualcuno avesse nascosto lì quelle armi, capitano, di certo lo saprei».

Si avvicinò di nuovo all'arsenale. «E poi dia bene loro un'occhiata; nonostante la polvere a me sembrano armi nuove: non hanno mai sparato. Non possono essere di un qualche gruppo partigiano. Noi le armi le usavamo».

Ricci non disse niente, ma in cuor suo pensava che Baschieri avesse ragione. «E di chi sono allora?» «Io non lo so. Magari, dico per dire, invece lo sa il segretario dei democristiani, il notaio Rossi. Era un così buon amico di don Bassoli».

Un appuntato entrò nella sala e cercò di fare un cenno al capitano. Ricci capì che era la telefonata che attendeva e congedò frettolosamente Baschieri facendolo accompagnare fuori dal comando. La conversazione, del resto, era praticamente finita. Il capitano corse all'apparecchio in ufficio. Al telefono c'era il medico legale che aveva terminato l'autopsia.

«Non credo di avere molto da aggiungere a quanto già sapete» disse il dottore, «ma un particolare in effetti c'è».

«Quale?»

«Sono tutte ferite profonde, inferte da una mano, o meglio da mani di chi è abituato a uccidere, assassini professionisti per così dire».

«O partigiani?»

«Partigiani, soldati, tutto è possibile. È gente che ha combattuto, che sa come s'infliggono ferite mortali. Il sacerdote è stato colpito da quattro pugnalate, tutte in organi vitali, il sacrestano in tre. Potrebbero essere stati uccisi da due persone diverse perché la profondità delle ferite è diversa nelle due vittime anche se si tratta, in ambedue i casi, di mani, per così dire, esperte. Se vogliamo fare un distinguo direi che chi ha ucciso don Bassoli era più forte e robusto o almeno aveva la mano più pesante, ma anche l'altro, certo, non scherzava. Sull'ora del decesso mi sembra poi che siate già sufficientemente informati: è la serata di martedì, e al riguardo, non posso essere più preciso. Scriverò la mia relazione, come di consueto, ma questo è comunque tutto, al momento. Ho già informato il magistrato, ma ho voluto riferire anche a lei».

Il capitano ringraziò il dottore per il riguardo. Una volta terminata la telefonata si abbandonò sulla sedia poggiando la testa all'indietro sullo schienale. «Ci vorrebbe un caffè», disse ad alta voce. Prese carta e matita e su un foglio cercò di fare uno schizzo degli elementi utili che erano stati raccolti e di quello che doveva ora fare, ma dopo aver scritto troppi punti interrogativi accartocciò il foglio di carta e lo gettò nel cestino. Da un secondo tentativo rimase una piccola lista delle cose da fare: «Far tradurre il diario, sentire il notaio Rossi, accendere un cero in chiesa». Quell'ultima ironica nota gli fece venire in mente don Gaetano. Prese di nuovo il telefono e fece chiamare il monastero di San Giovanni: il parroco gli aveva detto che il sacrestano era un profugo, accolto da quel convento. L'abate non c'era, il suo sostituto si ricordava di don Bassoli ed espresse tutto il suo dolore per l'orribile delitto; rammentava le sue visite lì alle pendici dell'Appennino, ma non aggiunse molto rispetto a quello che già gli aveva detto l'anziano sacerdote. Ricordava anche il sacrestano; confermò che era un profugo jugoslavo e che aveva cercato asilo nel monastero durante la guerra, ma non era stato esattamente un novizio. Si occupava dell'orto e di altri lavoretti. Poi, poche settimane fa, aveva chiesto di andarsene e don Bassoli aveva accettato di prenderlo come sacrestano. Rammentava la data esatta perché il giorno prima, presso il monastero, aveva fatto sosta una colonna militare inglese. Il capitano era ancora al telefono con il monaco quando il brigadiere Broglia bussò alla porta dell'ufficio: «Scusi il disturbo, capita', ma se può liberare la linea c'è una telefonata importante».

Era il maresciallo che comandava la stazione del paese accanto a quello in cui era stato commesso il delitto.

«Allora, maresciallo Rizzo, cosa c'è di tanto importante?»

«Un testimone, uno che dice di aver visto due uomini la notte in cui don Bassoli è stato ammazzato... Capitano è in linea... Mi sente?»

«Sì, Rizzo la sento, ho preso io l'apparecchio, sono il brigadiere Broglia; il capitano è uscito dall'ufficio di corsa, sta già facendo preparare la macchina per arrivare al più presto da lei».

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