Suicide love: le origini di H...

By EowynWagner

8K 459 102

" Quando ero un medico non facevo altro che ascoltare i problemi degli altri. E poi ho trovato lui. Il Joker... More

Prologo...? Perché no.
Solo tu ed io, puddin'
Il colore del Male
Così dolce, così letale
Perché sei così serio...?
ROTTEN.

Un Arkam al profumo di rose

1.5K 85 9
By EowynWagner

Harleen Quinzel spense con decisione il cellulare, prima di ficcarlo nella borsa rosa con un gesto stizzito. Una volta controllato il binomio camicetta stirata, chignon a posto, scese dal taxi, lasciando una discreta mancia al tassista, il quale grugní in segno di apprezzamento. Non esistevano mezzi pubblici che raggiungessero Arkam e non tutti i guidatori di taxi erano disposti ad aggirarsi da quelle parti. Forse perché le urla dei pazzi rinchiusi in quelle mura di pietra erano così forti da riecheggiare per miglia raggiungendo perfino la città; o forse perché, semplicemente, tutti avevano paura di quel luogo maledetto.

Arkam é l'inferno in terra; per finirci dentro devi aver commesso qualcosa di molto grave, degno  di Guantanamo, ma non é sufficiente: devi anche essere malato. Malato grave, s'intende. Non ti sbattono ad Arkam per curarti, quella é solo una diceria. Certo, viene spacciato per un ospedale e i dottori non mancano, ma la verità è che chi ci finisce, non ha speranze. E questo perché nessuno, una volta entrato, ne é mai uscito. E nessuno é mai riuscito a fuggire.

Per fortuna Harleen aveva deciso di non indossare i tacchi. Non era appropriato, quello era il suo primo giorno e ancora non aveva idea di cosa aspettarsi. Una volta fatta la verifica identificativa allo scanner, le pesanti porte del cancello di Arkam si aprirono e Harleen percorse con calma il cortile spoglio e senza colore dell'ospedale. Gettò un'occhiata alle strette finestre spioventi ai piani superiori, aspettando quasi di vedere dei volti bianchi e cadaverici restituirle lo sguardo, come ritratti di quadri morti. Ma le finestre erano nere.

"Benvenuta ad Arkam, dottoressa Quinzel. La stavamo aspettando." la salutò freddamente un uomo alto dal cranio rasato e gli occhi vitrei, che la fissarono senza reale interesse. "Sono il dottor Dullhmacher. Vogliamo procedere?"

"Molto piacere. Sí, certo." Rispose lei, presa contropiede da tanta fretta.

L'uomo parve leggerle nel pensiero perché aggiunse: "Capirà presto come funzionano le cose ad Arkam. Ci troviamo costretti a lavorare in una scatola di aghi d'argento e camicie di forza; abbiamo prigionieri che attentano alla loro vita e a quella dei nostri dipendenti ogni giorno, é già tanto se abbiamo il tempo di respirare. Francamente mi stupisco che abbia accettato quest'incarico."

"Intendeva pazienti."

"Mi scusi?"

"Ha usato la parola prigionieri, ma questo é un ospedale psichiatrico. Le persone chiuse qui sono pazienti che hanno bisogno di noi."

Le labbra del dottore si sollevarono in un sorriso di scherno che ad Harleen non piacque per niente. "Come ho già detto, dottoressa, capirà presto."

Harleen non diede peso a quel tono saccente. In realtà il dottor Dullhmacher non aveva detto nulla che lei non si aspettasse, il suo commento era stato solo un tentativo ben riuscito di cambiare discorso, impedendo all'uomo di fare ulteriori domande sulla sua effettiva presenza lì.

Harleen aveva 25 anni e già possedeva uno studio privato, pur con appena poco più di un anno di esperienza nel campo della psicologia. E questo grazie ad una sola parola: papà.

Già. Harrison Quinzel era un nome che negli ultimi quindici anni aveva riscosso un notevole successo, a Gotham. Ed essere sua figlia, come volevasi dimostrare, aveva i suoi vantaggi. Ecco perché Harleen aveva spento il cellulare. La scelta di accettare quella proposta di lavoro era stata sua - sua, non di suo padre - e nel momento in cui lui l'avesse scoperto, si sarebbe arrabbiato e avrebbe fatto di tutto per fermarla. Harleen era stufa marcia della solita routine, voleva fare qualcosa che contasse davvero, e non lo faceva per soldi: voleva dimostrare che, sotto quei lunghi capelli biondi, c'era del valore.

Dimostrarlo a chi? Al tuo papino o a te stessa?, ridacchiò la sua vocina interiore, mentre i pensieri e i dubbi della ragazza si facevano sempre più fitti e intricati, parevano non avere fine, come la scala a chiocciola che lei e il dottore stavano percorrendo, per scendere nei sotterranei.

"Lo teniamo qui." le spiegò lui, procedendo per primo. "l'ascensore é fuori uso, per adesso. Abbiamo l'abitudine di trasferire nei sotterranei quelli più pericolosi. Le mura sono insonorizzate, in questo modo i...pazienti meno problematici non vengono disturbati dalle urla di quelli che stanno qui sotto. Dopotutto é qui che conduciamo gli esperimenti, elettroshock incluso. "

"Ha dato qualche risultato sul soggetto?" domandó Harleen, incuriosita, cercando di stare al passo del dottore.

"Non quelli che speravamo." fu la risposta.

La scala terminava in una sala illuminata da fastidiose luci al neon bianche, dove due guardie corpulente se ne stavamo sedute con aria annoiata, masticando hotdog e osservando diversi monitor disposti come dei quadretti a una parete. Non appena videro Harleen balzarono in piedi, ripulendosi le briciole dall'uniforme azzurra.

"Buongiorno, lei deve essere la nuova dottoressa. Dottor Dullhmacher" salutarono poi l'uomo, il quale parve non gradire l'essere messo in secondo piano. Harleen trattenne a malapena un ghigno divertito, mentre stringeva la mano alle guardie.

"Harleen Quinsel, piacere. Va bene Harley."

"Ascolti attentamente, perché é di estrema importanza. " la riprese il dottore, indicando una porta scorrevole che portava al corridoio delle celle riprese dalle telecamere su quegli schermi. "Entrerà da sola. Cammini sempre vicina al muro, e mai in prossimità delle sbarre. Non oltrepassi mai la linea di sicurezza per nessun motivo, non gli passi niente, non lo tocchi, chiaro? Di solito lo teniamo in isolamento, o in una cella con parete comunicativa in plastica, ma nell'ultima settimana si é comportato inspiegabilmente bene, il che ci ha convinti a premiarlo. "

"Aspetti. " il dottore sollevò un sopracciglio a quell'interruzione, ma Harleen non ci badò. "Ha detto che entrerò da sola? E' lei il suo medico curante, non dovrebbe essere presente? "

"Registrerà la conversazione, ovviamente, per quanto possa essere utile. Dubito fortemente che ne verrà fuori qualcosa di interessante, o anche solo una chiacchierata. In ogni caso, lui ci odia, dottoressa; me più di tutti. Se mi vedrà, le garantisco che non aprirà bocca. E per quanto apprezzi non sentire quello psicopatico parlare, abbiamo bisogno di costruire il suo profilo, basandoci su informazioni più dettagliate. É qui da tre anni e non ci siamo ancora riusciti. "

Harleen annuí, iniziando a provare un crescente timore. Aveva paura a formulare la prossima domanda.

"Avete già tentato con gli psicologi, dunque... non credo di essere la prima che vede, mi sbaglio?"

Il dottore si mise a ridere. "Buffo che lo chieda; ha fatto scappare a gambe levate sette diversi psicologi professionisti...in una settimana. Quando é riuscito ad aggredire l'ottavo mandandolo in coma, abbiamo detto basta, e siamo ricorsi a metodi meno ortodossi. "

Otto psicologi professionisti falliti e hanno fatto una proposta simile a me?!, pensó lei, completamente confusa. Lei non aveva esperienza, né aveva mai lavorato con psicopatici di tale portata. Conosceva già la fama di Joker, sapeva chi era e cos'aveva fatto. All'improvviso non fu più tanto convinta di voler andare fino in fondo, ma ormai aveva firmato il contratto.

"Ora, non mi aspetto nulla da questo primo incontro. La prenda come un'occasione per fare conoscenza. Si attenga alle norme sulla sicurezza e ricordi cosa le ho detto. Le guardie resteranno qui tutto il tempo a controllare. "

Uno dei due sorveglianti, di nome Bob, le sorrise come per rassicurarla " Non la perderemo d'occhio un solo momento, signorina. Non c'è niente di cui aver paura. "

" Bene. Buona fortuna. E prego per lei che oggi lui sia di buon umore. " mormorò il dottor Dullhmacher in tono tetro, prima di dare l'ordine, e le porte scorrevoli si aprirono con un cigolio sinistro.

~~~

Si richiusero con un tonfo metallico non appena Harleen le superò. Fu abbastanza forte da farla sussultare.

Coraggio, cammina. Ultima cella, in fondo al corridoio.

Camminò rapidamente, ignorando i ringhii e gli insulti colorati e i fischi provenienti dalle celle che superava. Non li guardò neppure. Non era abituata a tutto questo, c'era un tanfo di morte e qualcosa di simile a sangue rappreso ed escrementi, che per un attimo sentí lo stomaco contorcersi dal ribrezzo. Impossibile. D'accordo, erano criminali spietati, la peggior feccia esistente sulla terra, ma non potevano trattarli alla stregua di bestie da fogna...oppure sí? Dopotutto il dottor Dullhmacher gliel'aveva detto. Capirà come funziona qui. Certo, come no. Più che una rassicurazione, le era sembrata una minaccia. Deglutí, inghiottendo la repulsione e la paura per tutti quegli occhi iniettati di sangue che la seguivano - se li sentiva addosso mentre camminava -, e la spogliavano con lo sguardo.

Infine, giunse in fondo al corridoio dove la luce era più fioca. C'era una sedia di plastica bianca addossata al muro, il più lontano possibile dalle sbarre, ma Harleen non andò a sedersi. Rimase immobile, davanti alla cella, con aria perplessa.

La cella era completamente buia. Non distingueva niente e nessuno al suo interno.

Anche le altre erano più o meno così, ma si sentiva la presenza dei loro ospiti all'interno, dai loro passi pesanti quando strisciavano avanti e indietro, o dalle urla, o quando si avvicinavano abbastanza alle sbarre da distinguerne tutti i tratti. Lí, invece, Harleen non percepì niente, se non buio e silenzio. Come se la cella fosse vuota.

" Sei arrivata tardi, bellezza. JJ aveva richiesto una puttana almeno sei mesi fa! " le urlò uno dei detenuti dalle celle più in lá, sotto le risate frenetiche di tutti gli altri.

Harley strinse i denti, ignorandoli completamente, per poi dire con voce tranquilla, ma decisa: " Signor Joker, mi chiamo Harleen Quinsel. Possiamo parlare un po'? "

A quelle parole una seconda ondata di risate esplose nella galleria, più aggressiva e derisoria di quella precedente.

Harley dovette fare appello a tutta la sua forza di volontà per non cambiare espressione, e fece per riprovarci, quando il prigioniero nella cella accanto al Joker, proprio alla sua sinistra, sibilò con voce roca: " E poi saremmo noi, i pazzi. Ora gli strizzacervelli si mettono a parlare a delle celle vuote. "

" Che cosa significa? " gli chiese Harleen, voltandosi di scatto verso di lui.

Lo sapeva, lo sapeva che non avrebbe dovuto interagire con gli altri detenuti, ma le parole di quell'uomo che se ne stava con la testa appoggiata alle sbarre, seminascosto nell'ombra, l'avevano messa all'erta.

" Se n'è andato, stupida troietta, da quasi un'ora, mentre quei coglioni della sala controllo mangiavano hamburger scaduti e si facevano seghe. A quest'ora, ormai, sarà ben lontano da qui. " le urlò un altro prigioniero, battendo con forza i palmi delle mani contro le sbarre, producendo un rumore metallico e ovattato, che fu presto imitato da tutti gli altri. L'eco di quel rumore si amplificò nello stretto corridoio e le vennero i brividi.

" Impossibile. " fu tutto ciò che disse, impassibile alle parole di quei criminali. Per tutta risposta, l'uomo nella cella di fianco sputò ai suoi piedi, per poi ritirarsi con una risatina.

Harley tornò ad osservare la cella, mentre un dubbio atroce le si insinuava nella mente. Era possibile, che un detenuto controllato giorno e notte, potesse essere riuscito ad evadere? Da Arkam?!

Fece un passo avanti, stando ben attenta a non superare la linea gialla, a un metro dalle sbarre. Davanti a lei c'era solo un silenzio di tomba, avvolto nel mantello nero del buio. Allora tiró fuori il cellulare dalla borsa, che appoggiò a terra, e lo accese, per poi puntare il fascio di luce contro la cella.

Ci mise qualche secondo ad abituarsi, ma alla fine i suoi occhi distinsero un letto ad una piazza, senza coperte e perfettamente intatto, in un angolo della stanza. Il cuscino era per terra, poco più in lá. Al contrario del letto, questo era completamente sbrindellato e distrutto, come se fosse stato fatto a pezzi dai denti di un cane rabbioso, con piume sparpagliate ovunque. E una latrina, seminascosta da una porticina nell'angolo opposto della cella.

Il cuore di Harleen ebbe un sussulto. Quei pazzi non si erano presi gioco di lei, nella cella non c'era nessuno.

Ma é impossibile!!, pensò, fiondandosi in avanti. Strinse le sbarre, infilandoci un braccio in mezzo per illuminare bene l'interno, rifiutandosi di crederci. Poi il suo sguardo cadde sulla serratura. C'era qualcosa, infilato dall'esterno, come un fil di ferro o una forcina. Fece un mezzo passo indietro, quando udí dall'altoparlante le voci allarmate delle guardie ordinarle di tornare immediatamente nella zona di sicurezza.

" Il detenuto é scappato! " gridò rivolta alla telecamera.

" Si allontani! Subito! "

" Avete sentito cos'ho detto? Il Joker non é più nella sua ce-"

Non terminò mai quella frase, perché qualcosa alle sue spalle la afferrò per i capelli e le sbatté la testa contro le sbarre con una violenza omicida. Harleen sbarrò gli occhi, lanciando un grido soffocato e sentí le gambe cederle, ma il secondo braccio del Joker le si avviluppò attorno al collo, impedendole di muoversi.

Il colpo alla testa era stato così violento che la vista di Harleen si offuscò per un istante e credette di svenire. Sentì il respiro sibilante e gelido dello psicopatico alle sue spalle proprio sopra la gola, mentre tutt'intorno a lei scoppiava un pandemonio: acuta e penetrante, la sirena d'allarme prese a ululare impazzita in uno sfolgorio di lampeggianti luci rosse, e tutti i detenuti presero ad urlare e ad agitarsi, come in preda a convulsioni, ridendo istericamente.

" Presto, cazzo! Joker, toglile le mani di dosso!! " Harleen sentì urlare i due agenti che, affannati, aprirono le porte scorrevoli e presero a correre lungo il corridoio, per raggiungerla.

Harleen boccheggiava, incapace di respirare. La stava tenendo troppo stretta, un minimo di pressione in più e le avrebbe spezzato l'osso del collo con un braccio solo. Il Joker le diede uno strattone e lei sentì le sue lunghe unghie graffiarla, penetrandole nella carne, e lanciò un grido strozzato. Era terrorizzata.

Ma quando sentì la lingua del Joker posarsi sul suo collo, per poi risalire fino al suo lobo in quella che era una ripugnante e grottesca carezza, gli occhi le si riempirono di lacrime.

" Molto piacere, Harleen Quinsel. Oggi Arkam profuma di rose " quella fu la prima volta che udì la sua voce. Una voce giovane e sibilante, come il soffio di un serpente, velenosa e letale nella sua delicatezza. 

" Lasciala, figlio di puttana, o faccio fuoco!! " urlò Bob, rimanendo a un paio di metri di distanza, una semiautomatica puntata contro il Joker, il quale non diede neanche segno di essersi accorto delle guardie, e continuò: " E il sapore è decisamente meglio dell'odore. "

" Joker, giuro su Dio...! " lo minacciò Bob, sollevando la pistola.

" Blablablablablablanonsietepernientedivertentilosapete?! " sbraitò lui, scimmiottandoli con voce bambinesca " Sto solo facendo conoscenza della mia nuova, piccola amica. A me non pare che le dispiaccia, a voi? "

L'attimo dopo Harleen sentì un dolore terrificante appena sopra la spalla. Lanciò un urlo agghiacciante e nello stesso istante vide un lampo di luce partire dal taser del secondo agente e colpire il braccio che la teneva ancorata alle sbarre. La scarica da 50000 volt fece cadere il Joker all'indietro, schiantandosi contro il pavimento della cella in una contrazione di spasmi, e finalmente Harleen fu libera. Strisciò all'indietro, freneticamente, finché non toccò la parete opposta de corridoio, il più lontano possibile da quel... mostro, che pur ancora in preda delle convulsioni, aveva cominciato a ridere istericamente.

Harleen si premette una mano alla gola, soffocando i lamenti, nel tentativo di controllare il dolore. L'aveva morsa, sentiva le incisioni lasciate dai denti frastagliati di quello psicopatico, e il sangue che le scorreva addosso, come spesse lacrime cremisi che andavano a macchiarle la camicetta nuova e i pantaloni chiari.

Vide le guardie entrare nella cella del Joker, il quale tra una risata e l'altra, disse: " Se ne volevate un assaggio anche voi bastava chiedere! ", ed estrarre i manganelli elettrici.

Si guardò attorno e di colpo tutto questo fu troppo, per lei: le vene del collo che le pulsavano impazzite e le sue mani imbrattate del suo stesso sangue; i colpi furiosi delle guardie e le risa del Joker, che pareva immune ai loro tentativi di fargli del male; le urla dei detenuti e le bestemmie irripetibili che lanciavano contro gli agenti, e il modo in cui veneravano lui...

Harleen si rimise in piedi, reggendosi al muro, per poi correre verso l'uscita, da quell'inferno oscuro che erano i sotterranei di Arkam.

  ~~~ 

 Un'infermiera le aveva medicato tutti i graffi e le ferite alla nuca che aveva riportato. Harleen la vide chiaramente sbiancare, quando si chinò per disinfettarle la ferita provocatale dal morso del Joker. Non osò immaginare come dovesse essere, per questo decise di non guardarsi allo specchio.

Bob le aveva recuperato la borsa, che aveva lasciato nei sotterranei. Il Joker non era evaso, quegli oggetti metallici inseriti nella serratura erano serviti solo a farglielo credere. E ovviamente, gli altri detenuti gli avevano retto il gioco. Harleen non si era mai sentita così stupida. Quella sarebbe dovuta essere la sua grande opportunità, e invece quello psicopatico si era già guadagnato il primo punto.

Naturalmente, quest'incidente non avrebbe contribuito a farsi amare di più dal  dottor Dullhmacher, il quale, Harleen gliel'aveva letto negli occhi mentre veniva medicata, se solo avesse potuto avrebbe stracciato il contratto con le sue stesse mani.

L'infermiera insistette perché se ne restasse tranquilla per un po', ma dopo un'ora Harleen decise di tornarsene a casa. Non voleva restare lì dentro un minuto di più. Pur essendoci una distanza di svariate decine di metri di profondità tra lei e lui, ogni tanto aveva la terrificante sensazione di risentire la sua risata.

Si massaggiò il collo, sulla zona dove l'infermiera aveva fissato una benda. Poi spalancò gli occhi e afferrò la sua borsa. Ci rovistò dentro, finché non trovò quello che cercava: una boccetta di vetro, rosa e blu. Il suo profumo preferito.

Cosa le aveva sussurrato lui, all'orecchio? Rabbrividì al solo pensiero, ma si sforzò di ricordare.

Oggi Arkam profuma di rose.

Con uno scatto rabbioso, Harleen svuotò la boccetta nel lavandino del bagno, per poi buttarla nel bidone dei rifiuti. Subito dopo, uscì quasi di corsa dall'Arkam Asylum.



Al prossimo capitolo, puddin' <3

Continue Reading

You'll Also Like

73.5K 3.6K 63
quando incontri la persona giusta poi è così difficile lasciarla andare, diventa il tuo punto di riferimento, la tua casa, il tuo tutto.
62.7K 3.3K 44
"E poi, c'hai quel taglietto sul ginocchio che ti sanguina sempre un po', come a ricordarti che in monopattino quando sei in ritardo non ci sai andar...
217K 8.5K 63
"Vorrei ci fossi quando vado fuori, quando perdo il controllo E sei l'unica che riesce a farmi stare calmo E sei artificio come i fuochi che ora scop...
84K 2.6K 67
perché ho gli occhi molto più cechi del cuore e non sono mai riuscita a vederci amore... rebecca chiesa, sorella di federico chiesa, affronta la sua...