Celeste - Lasciati trovare [S...

By Ritaska99

176K 7.9K 2.4K

[SEGUITO DI "CELESTE - LA MIGLIOR COSA CHE NON HO MAI AVUTO". È CONSIGLIABILE LEGGERE QUELLA, PRIMA DI QUESTA... More

Prologo
0.1 Celeste
0.2 Peter
0.3 Celeste
0.4 Peter
0.5 Celeste
0.6 Peter
0.7 Celeste
0.8 Peter
0.9 Celeste
1.0 Peter
1. Ruin
2. The Scientist
4. Always hate me
5. Drunk
6. When We Were Young
7. Friends
8. What Happened To Perfect
9. Places Where We Are

3. The One That Got Away

7K 361 167
By Ritaska99

"Never planned that one day I'll be
Losing you.

In another life, I would be your girl,
We keep all our promises, be us against
The world. In another life I would
Make you stay, so I don't have to say
You were the one that got away".

"Ti pare possibile che dovevamo bucare una gomma proprio adesso? Cazzo, Colin, ti ho detto di schivare quella buca quando eravamo ancora a cento metri di distanza!" si lamenta Will, alterato come fino a ora non lo avevo mai visto, passandosi nervosamente le mani tra i capelli.

"Cerchiamo di mantenere la calma. Dovrebbe esserci una ruota di scorta nel cassone. La sapete cambiare una gomma, no?" si informa Connie, risolutiva, aprendo lo sportello dal suo lato e uscendo dall'auto.

I ragazzi sbuffano, ma non ribattono in alcun modo e scendono a loro volta, sbattendo violentemente le reciproche portiere. Li seguo anche io, per capire se posso dare una mano, in qualche maniera, o fare qualcosa, e ci raduniamo tutti e quattro davanti al portello del cassone, mentre Colin lo abbassa e recupera la ruota, il triangolo arancione e il kit per il cambio. Consegna ogni oggetto a Will non appena lo raccapezza, e quest'ultimo li ripone tutti sull'asfalto della piazzola nella quale siamo riusciti ad accostare. Connie ha le mani sui fianchi e un cipiglio in viso. Io mi munisco del triangolo e lo posiziono lontano di qualche metro dal veicolo per segnalare alle altre automobili la presenza del nostro mezzo in avaria. Il cielo è coperto da un cumulo di nuvoloni grigi e l'aria è umida e pesante. È primo pomeriggio, ma non si direbbe, dal cattivo tempo che le condizioni atmosferiche presagiscono. Ho ragione di credere che stasera è previsto un bell'acquazzone. Poco male, al massimo rinfrescherà un po'. Il che sarebbe l'ideale, vista la calura di questi giorni. Per di più siamo su una strada completamente deserta, solo perché "Il navigatore dice che c'è una scorciatoia", ci ha rassicurati Will, tutto contento, e ora siamo finiti in questo posto sperduto e dimenticato da Dio. Mentre gli "uomini" si danno da fare per rimettere la ruota a posto, Connie mi affianca, con le braccia incrociate al petto, e inizia anche lei a osservare quei due all'opera.

"Come ti senti?" indaga, guardinga, attenta a non fare la mossa sbagliata, come quando entri in una cristalleria e hai paura di rompere qualsiasi cosa anche solo fissandola.

Assumo la sua stessa posizione e, con lo sguardo perso - vuoto - e la testa stranamente leggera, connetto gli occhi ai suoi. Scrollo le spalle e lascio cadere l'argomento, perché non lo so neanche io, come mi sento. Stanno succedendo fin troppe cose in un arco di tempo decisamente breve, e forse avrei davvero bisogno di una pausa riflessiva, quella che ho chiesto a Evan, per esempio, e che non sto sfruttando. Perché, da quando sono partita, tutto ho fatto tranne che riflettere. Ho agito impulsivamente, come mio solito, e ora mi ritrovo qui, in questa landa desolata, e, come se non bastasse, ho coinvolto non una, ma ben tre persone, in questa impresa eroica che di eroico non ha nulla. Per gli antichi Greci esisteva il mito del vaso di Pandora, che narrava la vicenda di due fratelli: Prometeo - colui che pensa prima - ed Epimeteo - colui che pensa dopo. Per punire Prometeo, perché si era permesso di rubare il fuoco - che allora era ancora sconosciuto agli uomini comuni - agli dei, e perché aveva fatto così in modo che l'umanità fosse al pari delle divinità, Zeus - il padre di tutti gli dei - lo incatenò a una montagna e lo condannò ad avere il fegato - che ricresceva ogni notte - divorato da un'aquila; per punire il genere umano, ordinò a Efesto - dio del fuoco - di creare una donna che fosse in possesso di ogni virtù. Ogni dio porse un dono a questa donna - Pandora, chiamata così perché era letteralmente "piena di doni": Atena le donò la saggezza, Afrodite la bellezza, e così via. Spedirono poi la donna tra gli uomini, con un vaso che conteneva tutti i mali del mondo, e che, se scoperchiato, avrebbe portato solo disgrazie: gli uomini non avrebbero più vissuto nell'età dell'oro, avrebbero conosciuto la sofferenza, la fatica, la morte. Una volta sulla Terra, Pandora incontrò Epimeteo - che era ritenuto il fratello stupido, proprio perché agiva senza pensare alle conseguenze delle proprie azioni -, che si innamorò di lei e la sposò. Un giorno Pandora, incuriosita dal misterioso contenuto del vaso, lo stappò. Tutti i mali furono liberati, ma uno in particolare rimase sul fondo del recipiente e non venne fuori: la speranza. Ricordo che il professore di letteratura al liceo ci narrò questo mito, durante un giorno di lezione, e io ne rimasi affascinata. E mi chiedevo perché la speranza fosse considerato un male, quando la reputavo una cosa bella, pensando che, senza speranza, la vita di una persona sarebbe stata priva di significato, piatta e triste. Solo ora capisco quanto invece mi sbagliassi, e quanto i Greci fossero avanti, per aver già compreso quanto c'era da comprendere: la speranza è un male. La speranza illude le persone, le manipola, fa credere loro che possa esserci una possibilità, anche piccola - minima -, ma che ci sia. E poi? Poi, quando rinsavisci e ti rendi conto che non hai fatto altro che raccontarti bugie e finte verità per rimandare la delusione certa, ci rimani doppiamente di merda. E non puoi far altro che arrabbiarti e prendertela con te stesso perché, cavolo, chi ti ha chiesto di prenderti in giro a questo modo, altrimenti? In questi ultimi tempi mi sono aggrappata alla speranza e ne ho fatto il mio appiglio, come se fossi stata sull'orlo di un precipizio e lei fosse stato l'unico ramo d'albero al quale potevo sorreggermi per evitare di cadere nel nulla. Beh, quel ramo si è spezzato, adesso, e io sono inevitabilmente precipitata nel buio, nel vuoto. Che ci faccio qui? E queste persone, queste tre folli persone, perché mi hanno seguita? Okay, Colin posso anche capirlo: siamo sempre stati inseparabili, ci conosciamo da nove anni, siamo l'ombra l'uno dell'altra e abbiamo promesso di sostenerci sempre e comunque. Ma Will? Non sono neppure sicura che sappia cosa sia realmente accaduto, che Colin gli abbia narrato tutta - tutta - la vicenda, che sappia a cosa va incontro. E Connie? A stento conosce il mio cognome. Non sa nulla di me, di noi, così come noi non sappiamo niente di lei, ma ciò non sembra turbarla. E, se da un lato tutto questo è incredibilmente gradevole, perché è una donna che non fa domande e non pretende risposte, dall'altro impedisce anche che gliene vengano fatte. Ho pure ragione di essere convinta che sia incinta, ma perché non dircelo? Capisco che nemmeno noi siamo stati di molte parole riguardo la nostra ricerca, ma l'unica volta che ha provato a chiedermi spiegazioni siamo state interrotte, e lei non ha più introdotto l'argomento. Non esigo chissà cosa, mi interrogo soltanto sul come faccia a meritarmi tutto questo. Io, che ho lasciato il mio ormai ex ragazzo il giorno del suo compleanno. Io, che ho abbandonato Peter sei anni fa, partendo invece di restare e appianare le cose. Io, che ho sempre rifuggito l'amore come la peste, perché avevo una paura fottuta di scottarmi. Io, innamorata dell'amore sin da bambina e diventata cinica a causa dello stesso ragazzo che mi ha rotto e ricomposto il cuore almeno un milione di volte. Io, che, dopo sei anni di silenzio stampa e un ignorarsi reciproco, parto per un folle viaggio attorno all'America senza destinazione né data di ritorno. Io, che ho sbagliato così tante cose nella mia vita che enumerarle tutte risulterebbe impossibile. Io, che l'unica cosa buona che abbia mai fatto è stata incontrare lui, e che me lo sono fatto scappare come un'imbecille. E ora non dovrei neppure piangermi addosso, perché me lo merito. Mi merito tutto questo e anche di peggio. Ma non merito che queste tre persone mettano da parte la propria vita per inseguire me, quando neanche io riesco a starmi dietro. Non è cambiato niente di niente. Sono la stessa ragazzina cocciuta di sei anni fa, immatura ed egoista. C'è gente che morirebbe per me e non lo apprezzo nemmeno. Evan ne è un chiaro esempio. E mi manca. Fatico ad ammetterlo, ma mi manca. Mi ero abituata a lui, e non è che posso buttare nel cesso due anni di relazione così come se niente fosse. E sono un'egoista anche perché non ne ho mai abbastanza, perché voglio sempre di più, perché l'amore di Evan non mi bastava, quello dei miei amici neppure: a me serviva quello di Peter. E forse non sono manco veramente ancora innamorata di lui, e forse non lo sono mai stata. Forse ero innamorata del fatto che fosse innamorato di me. Perché sono partita? Perché sono venuta a cercarlo? Perché sono qui? Probabilmente sono ancora risposte che ho paura di darmi, in quanto la loro natura potrebbe oltremodo spaventarmi più di quanto già non sia.

Un'ora prima

"Ma... non può essere... Non può essere... morto" Will ragiona ad alta voce, e sentirglielo dire non fa che rendere tutto più reale.

La sua domanda è l'ultima cosa che sento, prima che tutti i suoni diventino ovattati e il rumore dei miei singhiozzi disperati annulli tutto il resto. Gli occhi mi si appannano, ma non per questo mi impediscono la vista offuscata dell'espressione sconcertata dell'uomo dai lunghi capelli mori di fronte al quale sono caduta in ginocchio. Mi è successo solo una volta in vita mia, ma credo di avere un attacco di panico. Mi formicola tutto, la testa mi gira, ho il vomito, e sto tremando, mentre il pianto disperato mi fa far fatica a respirare. Will e Colin sono presto ai miei fianchi e mi prendono per le braccia: Will si pone il mio braccio sinistro sulle spalle e Colin il destro, mentre il tizio spalanca la porta, ci fa entrare in casa sua e Connie richiude l'anta dietro di noi. È un casino. Ci sono cose sparse ovunque, ed è un monolocale così piccolo, che quasi sembra impossibile che possa viverci anche solo una persona. Ho la gola secca, e prendere dei respiri mi risulta sempre più complesso. Connie dà le direttive. Non sento quello che dice, ma deve essere molto categorica e ferma, se Colin e Will le obbediscono senza obiettare. È tutto nella tua testa, Celeste, è solo nella tua testa, continuo a ripetermi mentalmente. Poi una vocina petulante mi rammenta che Peter è apparentemente morto, e il mio cuore accelera i battiti, mentre ogni singola parte del mio corpo suda e la voglia di rimettere si intensifica. Le lacrime e il trucco essiccati sulle mie guance mi danno un fastidio smisurato.

"Che cazzo ha?".

"E io che cazzo ne so?!".

"È un attacco di panico, coglioni".

"Ma come è possibile? Che io sappia non ne ha mai avuti!".

"C'è una prima volta per tutto, Einstein".

"E ora che si fa?".

"Ti sembra che ho scritto in testa: 'Wikipedia'?! Che cazzo ne so, io!".

"Per favore, calmatevi: la confusione non farà che peggiorare le cose. Dobbiamo tranquillizzarla".

Una serie di frasi sconnesse mi raggiunge le orecchie, ma non trovo un senso a nessuna di loro, e non mi ci riesco a concentrare per più di tanto, perché mi si annebbia la vista e sento quasi di perdere i sensi.

"Come si chiama la ragazza?".

"Celeste".

"Celeste? Quella Celeste?".

"Ma che cazzo di domanda è?!".

"Ehi, amico, calmati, era per sapere".

"Ci date un taglio, per la miseria?!".

"Celeste, riesci a sentirmi? Fammi un piccolo cenno con il capo se sì" mi ordina dolcemente una voce che non riconosco.

Non sono in grado di parlare, quindi annuisco. O, almeno, cerco di farlo. Qualcuno mi prende le mani e me le stringe. Sono stesa. Quando mi hanno stesa? Questo divano puzza di pizza andata a male. Perché è un divano, quello su cui sono, giusto?

"Va bene, tesoro, ora ti chiederò di fare delle cose, e sarebbe opportuno che tu seguissi i miei consigli, okay?" mi domanda la voce non ancora identificata, e io cerco di assentire nuovamente.

"Perfetto. Ora chiudi gli occhi. Bravissima, tesoro. Sei su una spiaggia, adesso. La vedi? Una spiaggia bellissima, una distesa vastissima di sabbia bianca. Davanti a te c'è l'oceano, terribile e meraviglioso. Lo senti il vento che ti accarezza il volto? I piedi che affondano nella sabbia che te ne solletica la pianta? I bambini in lontananza che giocano a palla e gridano di gioia? Le madri che li richiamano comandando loro di non far chiasso? Le onde che si infrangono a riva in una danza? L'aria salmastra? Il sole sulla pelle? Il ragazzo che passa con il carretto dei gelati con quella canzoncina odiosa? Quello che cerca di venderti del cocco? Ecco, tu sei qui. Su questa spiaggia incredibilmente affollata. Ci sono tutti i tuoi amici, con te e..." mi illustra la voce sconosciuta, pacata e calma, ma viene improvvisamente interrotta da un'altra voce a me familiare.

"Ti pare il momento di fantasticare?! Dovresti farla riprendere, cazzo!".

"Ci sto provando, idiota. Non vedi che già respira normalmente? Tappati quella boccaccia e fammi finire!".

Come risvegliata da un sogno, riapro gli occhi. La prima cosa che vedo è la faccia di Colin a pochi centimetri dalla mia, mentre mi osserva in apprensione. Poi inquadro Will e Connie in piedi che fanno avanti e indietro, e l'uomo senza nome, al quale presuppongo appartenga la voce, a fianco al mio migliore amico - il quale, per inciso, mi sta stringendo le mani così forte, che quasi penso che possa rompermi qualche osso. Respiro regolarmente, non ho più il batticuore, non tremo, non sto più sudando come un camionista in tangenziale sotto il sole d'agosto, non devo più vomitare urgentemente e non mi gira più la testa.

"Ben svegliata, fiocchetto rosa - mi saluta l'uomo, facendo spostare Colin ed entrando nella mia visuale - Io sono Desmond, e ho come l'impressione che abbiate affrontato un lungo viaggio. Che ne dite di accomodarci a tavola e farci una bella chiacchierata? Ho la sensazione che abbiamo parecchie cose di cui parlare... Prego, seguitemi. Vi va qualcosa da bere?" ci propone, e, dacché era accovacciato al mio capezzale, si solleva in piedi e si avvia verso quella che intuisco essere la cucina.

Colin e Will mi danno una mano ad alzarmi a mia volta e Connie ci precede, andando dietro Desmond. La cucina è un metro per un metro, con: un tavolo di legno che sembra vecchio di decenni e che ha più di una gamba divorata dai tarli, un piano di lavoro infimo, un lavabo, tre mobiletti contati, un piccolo frigo, due fornelli e una mini-lavastoviglie che se ne cade a pezzi. Ci sono quattro sedie - dai cuscini che sembra siano stati squartati dai denti di un cane - attorno al tavolo, e ognuno di noi, riluttante, prende posto su una di esse. L'espressione da "mi fanno schifo i germi" di Will è davvero una meraviglia a vedersi. L'uomo ispeziona il frigo e ci comunica di avere solo del succo di arancia. Will lo rifiuta senza pensarci due volte, così come Connie. Io e Colin non ci facciamo troppi problemi e accettiamo: anche perché ho una sete pazzesca. Desmond si procura due bicchieri di vetro - inaspettatamente puliti - da uno dei mobiletti e ce li pone davanti, riempendoli poi di succo. Bevo tutto d'un fiato, mentre Colin lo fa a piccoli sorsi. Il proprietario di casa si appoggia al termosifone sotto una piccola finestrella alla mia destra e alle spalle di Colin, per come siamo seduti, e ci giriamo tutti a fissarlo, in attesa. Tira fuori da una delle tasche posteriori dei suoi pantaloni dismessi un pacchetto di sigarette e se ne accende una, emanando una nuvola di fumo nocivo alla prima aspirazione. Tossisco (se c'è una cosa che non ho mai sopportato e tollerato, quella è il fumo: a che scopo rovinarsi così?) e lui si schiarisce la gola, prima di procedere. Abbiamo tutti e quattro le braccia conserte e i gomiti sulla superficie lignea - che non è proprio certo che sia pulita - del tavolo, e aspettiamo che si decida a parlare.

"Ho conosciuto Peter Poole l'estate del duemilaundici: ben quattro anni fa. Lui e il suo socio, Steve, vennero a vivere in questo appartamento, perché era stato offerto loro uno stage a tempo indeterminato alla CSC: la Chicago Software's Company. È un'azienda molto importante, non si scherza, eh. Non avevano un posto dove stare, e mio nipote Carl ha indicato loro questa catapecchia: l'avevo lasciata a mio figlio Jeremy, ma non viene quasi mai qui, per cui non ne fa e non ne faceva chissà che uso spropositato. Hanno vissuto qui per due anni, e Peter si faceva adorare da tutti: portava la spesa alla signora Houston del piano di sopra, badava al cagnolino di Joe se lui doveva fare un turno straordinario in ufficio e non aveva modo di rincasare presto, ritirava la posta e la consegnava a ogni abitante della palazzina... Insomma, si faceva voler bene. Due anni fa è scoppiato il putiferio. Ha ricevuto una proposta per un incarico a San Francisco. Ha discusso molto con il suo socio, perché a lui non è capitata la stessa sorte, e Peter non voleva andarsene e abbandonarlo qui, mentre Steve era convinto che per lui fosse un'occasione imperdibile. Per farla breve... Peter ha accettato il lavoro a San Francisco, ed è partito qualche mese dopo. Steve è rimasto qui, e - che io sappia - lavora ancora alla CSC. Non era un ragazzo di molte parole, e ha lasciato l'appartamento non appena Peter è partito. Non vedo né sento nessuno dei due da allora. E, da due anni a questa parte, qui ci vivo io, perché io e mia moglie abbiamo avuto delle divergenze e non avevo nessun altro posto dove andare se non questo tugurio..." ci spiega, tra un'inspirazione di fumo e un'altra, con un cipiglio concentrato in viso e lo sguardo pensieroso.

"Non è morto, quindi?" indaga Will, prudente, osservando Desmond di sottecchi, esprimendo ad alta voce i pensieri latenti di noi tutti.

Con il cuore in gola e l'ansia a mille, mi volto anch'io a guardarlo di nuovo, in attesa di una sua risposta. Ridacchia leggermente e tossisce per via del fumo della sigaretta ormai terminata, che spegne in un posacenere al centro del tavolo.

"No che non lo è. È vivo e vegeto, e fino a due anni fa abitava a San Francisco. Ora non ne ho idea, ma potreste provare a chiedere a Steve. A quest'ora sarà sicuramente a lavoro" ci suggerisce, aggiustandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio e accarezzandosi il mento ricoperto di rada barba con una mano.

"E perché hai detto che tutti i giornali parlavano della sua dipartita, prima?" inquisisce Connie, diffidente, con gli occhi assottigliati a due fessure.

"Perché è così. Il lavoro che a ricevuto a San Francisco era da parte della sede della Google, miei cari ragazzi. Sfiderei qualunque giornale a non scriverci un articolo sopra. Quello è un ragazzo davvero in gamba. Meglio non farselo sfuggire, uno così" decreta Desmond, facendo un occhiolino ammiccante a Connie e lasciandoci tutti a bocca spalancata.

Già, meglio non farselo sfuggire, uno così.

×××

Gli omini Michelin cambiano la gomma in circa una mezz'oretta, così ci rimettiamo presto in marcia, alla volta della sede della famosa CSC. Sembra la sigla di un supermercato, o di una marca di preservativi. È sera quando giungiamo a destinazione. Il cielo si è imbrunito e, dai tuoni che risuonano in lontananza, direi proprio che dovremmo darci una mossa, se vogliamo evitare una grossa doccia all'aria aperta. L'edificio della sede è immenso: avrà come minimo una ventina di piani, e sembra essere interamente in vetro a specchio - quel tipo di vetrata che io odio, perché dall'interno è possibile vedere cosa succede all'esterno, ma non viceversa. Sospiro, nel vano tentativo di infondermi coraggio, e procediamo tutti e quattro sincronicamente in direzione dell'entrata. Sorprendentemente, alla reception c'è un uomo - e non una donna! - sulla trentina, capelli rossi, occhi chiari, colorito pallido e una miriade di lentiggini sparse sul viso. Indossa una camicia cerulea che si intona ai suoi occhi, ed è intento a parlare animatamente con qualcuno a telefono, mentre controlla qualcosa al PC. L'ambiente è sui toni del blu opaco, e di vetro è anche la scrivania alla quale siede Bernard - almeno questo è il nome riportato sulla sua targhetta. Alle sue spalle c'è uno schermo piatto che riproduce il logo fluttuante dell'azienda. Tutt'intorno la gente è molto indaffarata, e corre a destra e a sinistra freneticamente, mentre parla al cellulare o controlla dei fogli. Ma come fanno, quelle tizie tutte in tiro, ad avanzare su quei tacchi vertiginosi a quelle velocità?

"Posso esservi d'aiuto?" ci interroga il receptionist, non appena riattacca il telefono e ci lancia un'occhiata veloce, per poi riprendere a digitare lettere e numeri così rapidamente, che è impossibile stargli dietro.

"Ehm..." balbetto, colta alla sprovvista e in difficoltà.

"Sì, beh, stiamo cercando il signor Peter Poole. Può riceverci?" prende parola Connie, guadagnandosi un'espressione smarrita e confusa sia da parte di noi tre che da parte del tipo dietro al bancone.

"Il signor Poole non lavora più qui da anni, ormai" contesta Bernard, impassibile, consultando dei registri e trascrivendo al computer ciò che legge.

"Bene. Allora gradiremmo parlare con il suo socio" statuisce Connie, impassibile a sua volta, osservandosi le unghie di una mano con nonchalance.

"Il signor Smith riceve solo su appuntamento" ci avvisa, con tono piatto e seccato, senza degnarsi neanche di guardarci.

L'espressione di Connie si fa da tranquilla a livida di rabbia in pochi istanti. Batte entrambi i palmi delle mani sulla superficie della scrivania e fa sobbalzare sia il tipo alla reception che noi per il gesto repentino.

"Stammi bene a sentire, cocco di mamma, perché non te lo ripeterò un'altra volta: adesso tu afferri quel cazzo di telefono con la tua bella manina e convochi immediatamente qui il signor Steven Smith, chiaro?! Digli che c'è una ragazza con i capelli color maialino ad aspettarlo e che non ha tutta la serata" gli intima, con un'intonazione che non ammette repliche, diretta e concisa.

Quattro paia di occhi si spalancano simultaneamente, mentre Connie si ricompone e prende un piccolo respiro, ritornando poi a sorridere amorevolmente come se niente fosse. Terrorizzato, Bernard compone velocemente un numero al telefono, e Connie gongola, soddisfatta. Il risultato? Veniamo "gentilmente" scortati fuori dalla sicurezza, con una Connie recalcitrante e la delusione dipinta in volto. Come se non bastasse, ha cominciato a piovere. Prima si trattava di una pioggerella leggera e quasi impercettibile, finché non si è tramutata in uno scroscio d'acqua non indifferente. Will non perde tempo e ci trascina tutti e tre in una folle danza sotto la pioggia, che fa scaturire in poco tempo le nostre risate allegre e spensierate.

"Mi sento leggera come una piuma!" grida Connie, volteggiando sul marciapiede e per poco non cadendo addosso a un signore che le stava passando accanto.

Scoppiamo tutti a ridere fragorosamente e improvvisiamo strani balletti sotto l'acqua, mentre i nostri abiti e i nostri capelli si inzuppano e i passanti ci guardano diffidenti, come se fossimo alieni. Ma noi ce ne infischiamo e seguitiamo, indisturbati, a fare ciò che stiamo facendo. Qualche minuto dopo, fin troppo fradici, andiamo a ripararci sotto una pensilina, mentre Will urla a squarciagola: "I'm singing in the rain, just singing in the rain. What a glorious feelin'. I'm happy again!" facendoci ridere a crepapelle. Lo squillo del mio cellulare mi distrae dalla scena esilarante e mi fa tornare con i piedi per terra.

"Zia Flo!" la saluto, contenta di sentirla, facendo segno ai ragazzi di stare in silenzio e tappandomi un orecchio, perché lo scorrere dell'acqua mi impedisce di ascoltarla chiaramente.

"Ciccina! Ma insomma! Vengo a sapere solo ora da tua madre che sei partita, alla fine! Non mi hai detto nulla" si lamenta, fintamente risentita, facendomi sorridere.

"Oddio, zia, scusa: è stato tutto così frenetico, che mi è proprio passato di mente renderti partecipe della cosa" mi giustifico, sentitamente dispiaciuta, e la conversazione si protrae per un bel po', mentre le riassumo brevemente cosa è capitato in questi giorni, da quando ho lasciato Filadelfia.

"Hai tanto amore da dare, Celeste. Se le cose non dovessero andare secondo i piani, ricorda sempre che l'importante è averci provato. Ti auguro ogni bene di questo mondo, piccolina" la chiamata si interrompe una decina di minuti dopo, con quest'ultima frase da parte sua che mi lascia attonita e senza parole.

Ma le sorprese non sono ancora terminate, a quanto pare. Un ragazzo, che potrà avere all'incirca la nostra età, esce correndo dal palazzo della CSC e si guarda celermente attorno. Nel momento in cui ci individua, si precipita verso di noi sotto la pioggia, senza neppure controllare prima di attraversare. Ha il fiatone, quando giunge a destinazione, e si appoggia con una mano al muro dietro di noi per riprendere a respirare correttamente. Lo fissiamo tutti e quattro confusi, aspettandoci che quantomeno si presenti. Ha la mascella squadrata e ben delineata, le orecchie un po' a sventola, occhi color cioccolato, capelli mori e un accenno di baffetti sul labbro superiore. È alto quanto Will, il che significa che io, Colin e Connie siamo costretti a sollevare la testa verso l'alto per guardarlo in faccia. È vestito alquanto elegantemente: completo nero, camicia blu cobalto e cravatta scura.

"Tu sei Celeste Sullivan?" borbotta, tra un respiro affannato e un altro, facendomi sgranare gli occhi e annuire, titubante.

"Sono Steve... Steven Smith" si introduce, porgendomi una mano zuppa, in attesa che la stringa.

×××

"Quando si è creato il trambusto alla reception, sono sceso ad appurare cosa fosse successo. Bernard mi ha detto che si era palesata una ragazza con i capelli color 'maialino', con al seguito tre amici, e che aveva chiesto esplicitamente di vedermi, ma non riuscivo proprio a capire chi potesse essere. Poi ha specificato che aveva chiesto prima di Pete. Ho fatto due più due, e i conti tornavano. Finalmente ho l'onore di conoscerti! Mi ha parlato di te fino alla nausea" scherza Steven, ridacchiando, e nel farlo il suo pomo d'Adamo va rapidamente su e giù.

Sorseggia il suo tè caldo (sì, esistono persone che bevono tè caldo a giugno) e io mi prendo qualche secondo per osservarlo. È davvero un bel ragazzo, non ci sono dubbi, e sono rimasta abbastanza perplessa, quando è stato lui a richiedere a me di poter scambiare due parole in compagnia. Quei tre hanno capito l'antifona e ci hanno annunciato che si sarebbero avviati nel B&B, che abbiamo prenotato all'ultimo minuto, per farsi una doccia e togliersi quegli abiti bagnati di dosso, dopo aver riscontrato che l'albergo non è molto lontano dall'azienda, e che posso, di conseguenza, anche raggiungerlo a piedi. Ora siamo, entrambi ancora fradici, nel primo bar aperto che abbiamo trovato sul nostro cammino, abbiamo da poco ricevuto le nostre ordinazioni, e io sono sconvolta nell'apprendere che Peter gli abbia parlato di me.

"Ti ha parlato di me?" domando retoricamente, con uno stupido sorriso a incorniciarmi le labbra.

"Devi capire una cosa, cara Celeste. Gli uomini prediligono principalmente tre argomenti di conversazione: politica, sport e donne. Nessuno di noi due è particolarmente interessato alla prima, lo sport dopo un po' stanca, e io non sono propriamente un donnaiolo. Ho avuto solo una ragazza, in vita mia, ed è quella con la quale sono ufficialmente fidanzato adesso. Ci conosciamo dalle scuole medie, e non è una storia appassionante o avvincente. Così diciamo che eri l'argomento primo delle nostre conversazioni" mi confida, un po' imbarazzato, prendendo un altro sorso.

Addento un pezzo di torta al cioccolato e sorrido al pensiero di loro due che si comportano come due vecchiette pettegole sedute a fare taglio e cucito.

"E cosa diceva?" chiedo, vinta dalla curiosità, bevendo una sorsata dal bicchiere d'acqua che la cameriera mi ha cortesemente fornito.

"Segreto professionale, mi dispiace. Però era davvero innamorato di te, Celeste. Non penso di aver mai visto nessuno così legato a una persona anche dopo tutto quello che avete passato. Sembra quasi che le vostre 'disgrazie' vi abbiano avvicinati, anziché allontanati. Siete sempre andati controcorrente e contro le forze del fato, del destino, della vita, per quanto ne so io. Ma ci andate insieme. Forse è per questo che siete così incompatibilmente compatibili" deduce, accarezzandosi il mento con una mano e finendo la sua bevanda.

"Quindi cosa mi consigli di fare, adesso?" mi informo, sospirando, indecisa, rigirando con la forchetta le briciole della torta rimasta incompleta nel piattino, decidendo di ignorare momentaneamente il peso della sua frase filosofica.

"Beh, se fossi in te non prenderei il primo aereo per San Francisco, non lo cercherei all'indirizzo che ti sto scrivendo su questo tovagliolo, non proverei a questa spiaggia dove va sempre nel caso in cui non dovesse essere in casa, non mi presenterei al ricevimento importante che si terrà tra due giorni a questo indirizzo e non lo telefonerei a questo numero. Ma tu non sei me, quindi sei liberissima di fare ciò che più ti aggrada" considera, consegnandomi il tovagliolino sul quale ha scribacchiato fino a ora e riponendo in una tasca interna della giacca la penna che ha utilizzato per scrivere.

Successivamente si mette in piedi e riaccosta la sedia al tavolo, lasciando su di esso una consistente somma di denaro per pagare il suo - e suppongo anche il mio - ordine.

"Grazie?" mormoro, incerta, esaminando attentamente il tovagliolo di carta e alzando lo sguardo verso di lui.

"Non c'è di che, piccola. Salutamelo. E prendilo a calci in culo da parte mia se si azzarda a fare lo stronzo - si raccomanda, facendomi poi un occhiolino a fine frase che mi fa ridacchiare istantaneamente - E, Celeste... In bocca al lupo. È stato un piacere" si congeda poi, mandandomi un bacio volante con una mano e uscendo, lasciandomi sola al tavolino di questo cafè, scombussolata e in possesso di più informazioni di quante in verità ne necessitassi.

"I should've told you what you meant
To me, 'cause now I pay the price".

Continue Reading

You'll Also Like

115K 11K 46
Quando la giovane agente Althea Kelley viene improvvisamente trasferita a Boston per una missione di spionaggio, non si aspettava di dover affrontare...
133K 3.9K 88
@charles_leclerc ha iniziato a seguirti
12.5M 434K 111
Caroline Night Γ¨ una ragazza che deve lavorare per sistemare i danni del padre ormai scomparso da anni. Per colpa di un vecchio patto tra la sua fam...
437K 27.9K 39
π‘Ίπ’π’Žπ’†π’•π’Šπ’Žπ’†π’” π’…π’‚π’“π’Œπ’π’†π’”π’” π’„π’π’Žπ’†π’” π’Šπ’ π’‘π’‚π’Šπ’“π’” "La veritΓ  ha molte facce. È come l'antica strada che portava ad Avalon: dipende dalla...