Behind - La Guardiana

By Scorpion_grey

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Cloe Closerlook ha di recente perso sua nonna, una nonna che non aveva mai saputo di avere. Unico suo lascito... More

Mai credere agli specchi
E noi siamo lo specchio
Anche gli specchi si rompono
L'altro lato delle cose

Paura di un riflesso

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By Scorpion_grey


  E che è l'istinto se non lo specchio fedele, se non ciò che obbedisce in corrispondenza a tutte le manifestazioni della natura?
(Carlo Maria Franzero)  




Una demone. 

Possibile che proprio lei, proprio Cloe Closerlook, nata in California, campionessa elementare di spelling e una frana in tutto ciò che riguardasse colori e pennelli, lei a cui piacevano i dolci, i Cure, il mare, con un abbonamento a Netflix e uno in biblioteca, lei che amava le feste e i film demenziali, lei che era del tutto umana, che forse a volte era fin troppo umana con le sue cotte giovanili e le pazzie con gli amici, come quella volta che aveva guidato a centottanta all'ora con due sue amiche sul lungomare con la macchina che Betany aveva rubato ai suoi, fosse una demone?

"Tesoro." La ragazza alzò lo sguardo dalla sua colazione, incrociandolo con quello di suo padre, intendo a caricare la lavastoviglie con una mano mentre con l'altra reggeva ancora la bozza ricorretta del suo ultimo scritto. Guardava Cloe con curiosità mista a preoccupazione. "Tutto bene? Non hai toccato i cereali." Lei abbassò la testa, notando che effettivamente stava mescolando da mezz'ora una ciotola di quelli che una volta potevano essere definiti cereali, ma che adesso sembravano pappa d'avena e cioccolato, completamente sfatti. Li allontanò con un'espressione disgustata.

"Non ho fame." Sbadigliò, stiracchiandosi sulla sedia e lasciando che il sole di inizio estate le riscaldasse le membra intorpidite. Era rimasta seduta in quella maledetta soffitta fino a poche ore prima. Maximilian era alla stregua di un bambino, a quanto pare lo spaventava il buio, anche se Cloe poteva capirlo pensando a quanto dovesse essersi sentito solo e abbandonato quando Cindy era morta. Questo però non lo autorizzava a tenerla sveglia fino alle sei del mattino a raccontarle la storia della sua vita, abbastanza noiosa, a dire il vero. Cosa poteva raccontare uno che aveva vissuto per anni in uno specchio? "Papà, perché non ho mai incontrato Cindy?" chiese improvvisamente, quasi stesse partecipando ad uno di quei giochi con dialogo a risposta multipla e avesse deciso di scegliere quella più improbabile. Dire "mi piacciono i treni" forse avrebbe sortito lo stesso effetto su Michael. Rimase zitto per un momento, e Cloe pensò veramente che lo avrebbe detto, che le avrebbe confessato di Maximilian e che lui stesso era un demone, invece disse: "Non le sono mai andato a genio. Quando tua madre è morta non ha ritenuto opportuno continuare ad avere rapporti con noi. E' stata una sua scelta." Bugiardo. Se quella era la verità allora perché darle la lettera? No, c'era qualcosa sotto. Suo padre le stava mentendo e lei voleva saperne il motivo. Lui intanto aveva sparecchiato al suo posto, lanciandole una nuova occhiata preoccupata. "Hai delle occhiaie orribili. Non riesci a dormire?" Un bambino mi ha tenuta sveglia.

"Devo abituarmi alla nuova stanza. Il materasso è scomodo."

"Già, quella donna dormiva sul cemento. Anche io ho mal di schiena. Oggi vado al negozio per sceglierne qualcuno, vieni con me?" Cloe annuì, alzandosi e congedandosi con la scusa di provare a dormire un altro po'. Non appena svoltò l'angolo, sentì suo padre urlare: "Alle tre viene il tizio delle disinfestazioni. In tre giorni ci libereremo di quei ratti."

"Evviva." mormorò Cloe in risposta, tornando mogia al piano superiore. Se solo potessi liberarmi del mio, di ratto.

"Che fai?" Maximilian cercava di allungare il collo, come un cucciolo di leone troppo basso per vedere cosa stesse facendo il suo addestratore a qualche metro dalla gabbia in cui era rinchiuso. Cloe stava frugando negli scatoloni in soffitta come una forsennata, i capelli legati in una crocchia scombinata le ricadevano in ciocche spettinate sul viso tondo.

"Cerco." disse, senza neanche voltarsi. Sua nonna aveva conservato un sacco di pattume: vecchi dischi,alcuni anche in vinile, sedie a dondolo, bambole di pezza dall'aria inquietante, e libri. Decine e decine di libri consunti e slabrati, alcuni dai titoli che già conosceva -Orgoglio e pregiudizio, la Lettera Scarlatta, I racconti di Poe, persino Harry Potter- mentre altri le erano totalmente sconosciuti.

"Cosa?"

"Risposte."

"Su cosa?"

"Su Cindy." rispose lei, a malapena alzando lo sguardo dall'ultimo scatolone in cui stava frugando. "E su te. Deve pur esserci qualcosa, un manuale delle istruzioni, magari dei simboli satanici, mi andrebbe bene anche un sito web!" Buttò in aria una manciata di fogli, portandosi le mani tra i capelli e sdraiandosi sul pavimento polveroso con un urlo frustrato. Maximilian la guardava da dietro la polvere e le macchie del vetro, con i capelli lunghi e biondicci che gli ricadevano a ciocche sulla fronte, nascondendo a malapena gli occhi rossi.

"Puoi chiedere a me."

"Io non voglio chiedere a te." sputò la ragazza, voltandosi e puntandogli contro un dito. "Tu non dovresti neanche esistere." Il ragazzo sembrò risentirsi di quelle parole, aggrottò le sopracciglia e fece qualche passo indietro, scomparendo nell'ombra. Cloe guardò lo specchio, che adesso rifletteva solo il suo riflesso sfatto, ed ebbe un momento di sollievo, per poi sbuffare e avvicinarsi a gattoni. "Maximilian?" lo chiamò, picchiettando un dito sul vetro. Nessuna risposta. Forse lo aveva offeso, o forse era solo un sogno o un'allucinazione da panino del fast food avariato che finalmente era svanita. "Max." riprovò, muovendosi come se dovesse guardare dietro ad un muro. "Non fare il bambino." Tirò due pugni assestati allo specchio, facendolo vibrare, ma nonostante ciò la sua immagine rimaneva lì, a ricopiare la sua vecchia T-shirt grigia e i pantaloncini neri, chiazzati di polvere. Aspettò per dieci minuti buoni una sua apparizione, rimettendosi a cercare senza grandi risultati, poi decise di scendere e farsi una doccia fresca per riordinare le idee. Aprì la botola sul pavimento, preparandosi a calarsi giù,senza degnare di un'occhiata la cornice nera dello specchio.

"Mi abbandoni anche tu?" A quelle parole a malapena sussurrate Cloe si bloccò di scatto, voltandosi e trovando di nuovo Maximilian intento a fissarla, gli occhi sbarrati e rossi come lava.

"Cosa?" Lui si guardò intorno, muovendo gli occhi come se avesse paura di essere perseguitato da qualcosa. Arrossì di colpo, vergognandosi di se stesso e abbassando la testa.

"Scusa." disse, senza guardarla. "E' solo che sono rimasto solo e al buio per così tanto e io... beh..." Non riuscì a terminare la frase, troppo imbarazzato per dire qualcosa. Cloe capì comunque -aveva immaginato qualcosa del genere- e sentì il senso di colpa invaderla. Maximilian poteva anche essere un mezzo-demone intrappolato in uno specchio, ma in quel momento aveva l'espressione di un marmocchio terrorizzato e in imbarazzo. Alzò gli occhi al cielo, facendosi venire un'idea.

"Aspetta qui." disse, e davanti allo sguardo di sufficienza di lui si costrinse a correggersi. "Sì, insomma, hai capito." Scese di corsa le scale, entrando di getto nella sua nuova stanza e dando un'occhiata ai vari scatoli ancora pieni delle sue cose, cose che avrebbe dovuto disimballare al più presto se non voleva incorrere nelle ire di suo padre. Quello che cercava lo trovò nascosto sotto una pila di vestiti ben piegati. Era un vecchio carillion di legno, scrostato dal tempo e dall'usura. Cloe lo aveva da quando ne aveva memoria, suo padre le aveva sempre detto che apparteneva alla madre e quindi fino a dieci anni lei ci era rimasta aggrappata, sentendolo come l'unico appiglio a quella figura misteriosa che lei, in fin dei conti, aveva ucciso. Erano ancora visibili i disegni, anche se sbiaditi: un sole sulla sinistra ed una luna sulla destra, collegati tra loro da un decoro semplice, una serie di segni neri che formavano come una specie di corda intorno all'oggetto. Se lo mise in tasca e tornò in fretta in soffitta, dove Maximilian si stava svagando disegnando cavalli stilizzati sul vetro. Non appena la vide il suo viso si rilassò, evidentemente sollevato.

"Sei tornata." constatò con allegria, poggiandosi alla parete di vetro con entrambe le mani. Cloe annuì, trafelata dalla corsa, sedendosi nel punto in cui ormai aveva lasciato una forma nella polvere e mostrandogli l'oggettino che teneva in mano.

"Tengo a questo carillion come alla mia vita. Non me ne separo mai." Glielo lasciò davanti allo specchio, in modo che lui potesse vederlo bene. "Così sarai sicuro che non me ne andrò, non fino a quando questo starà qui."

"Oh." Lo stupore in quegli occhi anormali era spaventosamente grande. Cloe rimase a fissarlo per un po', aspettandosi un grazie che sapeva non sarebbe arrivato. "Aprilo. E' da molto che non sento la musica." Lo stupore era diventato eccitazione, e Cloe si lasciò scappare una risatina, facendo come le era stato detto. Il coperchio nero si sollevò con uno scatto, e due figure emersero dal fondo della scatolina, iniziando a danzare tra loro mentre una musica dolce e flebile come un respiro smorzato riempiva l'aria, rendendola quasi più respirabile, meno polverosa e umida. Maximilian aveva chiuso gli occhi e si muoveva a destra e sinistra con flemma, quasi si stesse cullando. Le catene producevano ancora un rumore fastidioso, ma che stavolta passava in secondo piano.

"Mio padre mi raccontava sempre una storia quando lo accendeva. Anzi, la cantava, ma avrei preferito non lo facesse." Rise di nuovo, pensando alla voce mascolina di suo padre che tentava di lanciarsi in acuti impossibili. Alla fine aveva insegnato il testo alla tata di Cloe, e da allora era stato lei a cantargliela ogni notte per tredici anni, momento in cui lei aveva dovuto dire addio a Moana, tornata in Sudafrica.

"Cindy leggeva per me." disse lui, guardando i due ballerini in legno girare sotto di lui. Il maschio aveva capelli neri e uno smoking, mentre la donna era bionda e più bassa, con un abito bianco latte. Cloe lo guardò divertita, ma era inevitabile concentrarsi sui suoi vestiti luridi e sulle catene.

"E' stata la tua unica Guardiana?" Maximilian alzò lo sguardo di colpo, mentre la musica cessava e l'aria tornava pesante, carica di realtà. Annuì in silenzio, accarezzandosi la catena che teneva ancorato il braccio destro. "Da quanto tempo sei qui dentro?"

"Dieci anni." Dieci anni in gabbia. A Cloe si strinse il cuore, soprattutto con la consapevolezza che l'unica colpa di quel ragazzo -almeno per ciò che diceva lui- fosse quella di essere nato.

"E ci sono altri simili con te? Oppure..."

"Sono solo." tagliò corto con amarezza, sedendosi pesantemente e portando indietro le braccia sode. "Probabilmente ci sono, ma ogni Limbo è un posto a sé, come una piccola stanza." Sospirò, stiracchiandosi. Era una cosa che faceva spesso per tenere attivi i muscoli. Cloe pensò che ormai doveva essere un'abitudine. "Prima non era così, sai? Quelli come me erano gli schiavi degli Aristosemo, dei Purosangue, ma eravamo liberi di camminare, di parlare con gli altri, di giocare. Era sempre stato così prima della Rivoluzione." Cloe alzò un sopracciglio, grattandosi la testa.

"La Rivoluzione Francese? Ha avuto ripercussioni anche giù negli Inferi?" Maximilian scoppiò a ridere, tenendosi la pancia per evitare che la sua milza prendesse il volo a causa dello sforzo. Aveva le lacrime agli occhi e Cloe lo fece smettere picchiando forte sul vetro dello specchio, con il rischio di romperlo. Quando quello si riprese la ragazza era rossa per l'imbarazzo.

"La Rivoluzione Francese è avvenuta nel 1879. Non sono così antico."

"E io che ne so, di quanti anni hai?" si difese.

"In anni umani, ne ho venti." spiegò velocemente, per poi tornare all'argomento precedente. "Io non sto parlando di una rivoluzione, ma della Rivoluzione. Per farla breve, dieci anni fa un gruppo di rivoltosi tra demoni e creature infere ha spodestato e ucciso l'intera Famiglia Reale. Adesso l'Inferno è in mano al loro capo, Kratos."

"Aspetta." lo fermò lei, sconvolta da quelle poche ma assurde informazioni che Maximilian le aveva dato con tanta naturalezza. "Stai cercando di dirmi che il Diavolo non è più il Diavolo?"

"In teoria il Diavolo è Kratos, adesso."

"E Lucifero?" Disse quel nome con tranquillità, senza alcuna sorta di reverenza, non si era neanche domandata se fosse necessaria, ma lo sguardo sbieco che le rivolse il mezzo demone le fece storcere la bocca.

"Lucifero, Ade, Rah, la Stella del Mattino." Elencò tutti quei nomi con una calma glaciale. "Kratos e i ribelli lo hanno ucciso, insieme alla sua famiglia, la Famiglia Reale appunto."

"Non ci credo." Cloe si massaggiò il viso, scuotendo la testa. "Tu mi stai dicendo che Satana è morto e che è stato sostituito da un... ma come si fa ad uccidere Lucifero? Io credevo fosse immortale, con poteri oscuri e tre teste di pipistrello." Maximilian battè una mano sullo specchio, facendola sobbalzare come il giorno prima. Sembrava sinceramente risentito.

"Non nominare il suo nome in vano." le ringhiò, ed ora sembrava veramente un animale in gabbia, tanto che lei si sentì costretta ad alzare le mani in segno di resa.

"Okay, non agitarti e rispondi."

"Non so come abbiano fatto. Ero un ragazzino che lavorava nelle cucine, io e gli altri Metaemo ci eravamo nascosti nel ripostiglio della servitù quando i ribelli hanno attaccato il Palazzo. So solo che quando ne sono uscito gli Inferi erano cambiati, e sul Trono Nero c'era Kratos." Fece un attimo di pausa, massaggiandosi gli occhi con due dita. "Per un po' di tempo le cose per noi andarono bene, lavoravamo un po' di più e venivamo frustati, ma niente di insopportabile. Poi, un giorno, le Guardie ci hanno preso. E' stata una vera e propria deportazione, noi Metaemo eravamo ovunque, in ogni casa. Ricordo che quel giorno le strade erano piene di miei simili. Ci fecero entrare in questo enorme portale nero. Poi mi sono risvegliato qui, legato e solo." Si abbracciò le gambe, poggiandoci il mento e guardando Cloe negli occhi. Il dolore che lei vi leggeva, la nostalgia per un posto che tutti consideravano come il peggiore delle punizioni possibili, erano devastanti. Maximilian non lo nascondeva. In fondo aveva solo dieci anni quando era stato rinchiuso lì, ed era mezzo umano: le sue emozioni erano ben visibili sul suo volto sporco. "Mi assegnarono a Cindy poco dopo. Non mi ricordavo di lei, ma d'altronde sono molti i demoni che vivono sulla Terra come individui normali. Di solito avviene con la vecchiaia. E' considerata un ottimo luogo di villeggiatura, sai?" Sorrise per un attimo, per poi tornare di nuovo serio. "Fino a quel momento solo i criminali venivano mandati nel Limbo. Ho passato anni a chiedermi cosa avessi fatto per meritare questo." Adesso la sua voce era incrinata. Si agitava e scuoteva la testa con violenza. "Giuro che non ho mai fatto niente. Io... io ho sempre fatto il mio dovere. Perché Kratos ci ha fatto questo? Non bastava essere uno sporco Metaemo? Non bastava pulire i cessi di demoni che non facevano altro che sbattermi in faccia quanto loro fossero puri e migliori di me?" Ci fu un attimo di silenzio, nei quali Cloe pensò e ripensò a quelle parole, cercando un nesso logico. Doveva pur esserci un modo per saperne di più. Avrebbe dovuto continuare a cercare in giro per casa, sperando che suo padre non avesse venduto nulla a sua insaputa, difficile visto che con il cottage Cindy le aveva lasciato anche tutta la sua roba.

"Cloe, io sto uscendo. Vieni o no?" Suo padre la chiamò dal piano inferiore, facendola voltare verso la botola lasciata aperta e poi di nuovo verso Maximilian, che la guardava implorante.

"Te ne vai? Di già?"

"Devo comprare dei materassi. Torno tra mezz'ora." Prese il carillion e lo aprì, facendo espandere di nuovo la musica e ballare i due omini in legno, poi si alzò e, dopo essersi data una spolverata veloce ai pantaloni, si affrettò a scendere le scale e chiudersi la botola alle spalle, non prima di aver fatto un veloce cenno di saluto a Maximilian, che ricambiò velocemente. Le aveva raccontato una storia toccante, ma poco verosimile. Non si fidava del tutto di lui, ma avrebbe avuto tempo per pensarci. 

Nessuno la inseguiva, in fondo. 


Certamente non si aspettava un'estate calda e afosa come quelle che aveva affrontato in California, ma Cloe rimase particolarmente delusa nel dover cambiare il suo top verde menta con la felpa blu munita di logo del suo liceo a causa del forte vento che le aveva smorzato il respiro. Suo padre aveva cercato di scherzarci su. Guardava i nuvoloni neri che incombevano sulle loro teste e guidava sulle strade umide la sua monovolume rossa. Il cottage distava dieci minuti dal paese vicino, e Cloe già non ne poteva più di vedere alberi scuri e nodosi stagliarsi contro un cielo ancora più scuro. Quella non era estate. In un primo momento avrebbe pensato che quello era l'Inferno, ma ora quella parola la riportava agli occhi nostalgici di Maximilian, al sangue che forse le scorreva nelle vene, a sua nonna, addirittura all'idea che Lucifero, di cui aveva letto a malapena e sapeva qualcosa solo grazie a due o tre statue studiate a scuola e una serie tv della FOX, fosse morto. Il Diavolo...morto. Era un ossimoro.

L'auto frenò in mezzo ad un parcheggio poco affollato, davanti ad un grande magazzino in cui probabilmente si vendeva di tutto, dai fiori alle lavatrici, grigio come il cielo e con una scritta rossa su bianco che recitava MAGAZZINI WELTON, QUELLO CHE VUOI QUANDO VUOI. Forse avevano anche un manuale per Max. Doveva smettere di chiamarlo Max. Non era un cagnolino, né un suo amico. Era un ragazzo in uno specchio, dannazione!

"Questo paese è deprimente." commentò lei, giusto per sviare i suoi pensieri e perché, comunque, era vero. Michael le mise una mano sulla spalla, scuotendola.

"Dai, andiamo a cercare questi materassi."

Alla fine comprarono due materassi, delle piante per ravvivare l'ambiente e una libreria per i libri di suo padre perché in soffitta non potevano rimanerci, con l'umidità e tutto il resto. Cloe si chiese se anche Maximilian soffrisse il freddo o avesse disturbi reumatoidi a causa dell'umidità. Forse avrebbe dovuto anche prendergli una coperta, magari poteva farla passare attraverso lo specchio attraverso uno strano incantesimo, o forse poteva portare lo specchio giù e sistemarlo nella camera degli ospiti. Lì non avrebbe avuto freddo, sicuramente. Avrebbe voluto prendergli anche dei vestiti nuovi, e magari portarlo da un barbiere, dargli qualcosa per lavarsi, da mangiare. Cosa mangiava Maximilian? Chissà se il carillion gli faceva coraggio.

"Ecco fatto!" Suo padre batté le mani, riportandola alla realtà. Aveva caricato l'ultimo materasso nel bagagliaio, mentre lei era rimasta con quella piantina di gerani arancioni tra le mani a pensare a... a quel coso a cui doveva badare. Lasciò tutto sui sedili posteriori mentre suo padre la raggiungeva, indicandole un edificio poco lontano da lì con la mano rossa per lo sforzo. "Guarda, c'è una libreria. Ti va se ci diamo un'occhiata?" Cloe lo guardò, strofinandosi un braccio. Sapeva che quello era un vacuo tentativo di Michael per tirarla su di morale, ma la verità è che lei non era triste, solo preoccupata: non sapeva come muoversi in quel nuovo mondo e la cosa la metteva a disagio. Era sempre stata una persona pratica, estremamente organizzata. Il Caos la disturbava. Nonostante tutto sorrise al padre, tirandogli una leggera spallata.

"Offri tu?" Lui la guardò, prima di sbuffare e annuire.

"Okay, ma al massimo tre libri." Cloe si mise le mani in tasca, trottando allegramente verso il piccolo edificio che una volta doveva essere stato verde, ma che l'umido e il tempo avevano scrostato in più punti, lasciandoci il grigio del cemento. La porta era in legno, gonfio tanto da rendere difficile il passaggio, e quando lei la spinse la campanella appostata sopra suonò con limpidezza, facendo sbucare dal bancone pieno di libri una donna bassina, magra come un giunco e dagli occhi di rana, che la guardò da dietro la copertina di un libro di Grossam.

"Posso fare qualcosa per lei?" chiese, ed aveva una vocina sorprendentemente flebile. Cloe ci pensò un attimo, poteva chiedere se avessero dei libri su come occuparsi di un demone nello specchio. In fondo era come un Tamagochi gigante, giusto? Però poi si disse che non era un buon argomento di lettura, quindi chiese solo dove fosse la sezione dei libri sulla cultura popolare, cercando di evitare di usare la parola "demoni". "Abbiamo dei manuali sulle tradizioni cristiane nello scaffale tre, mentre quelli su satanismo e più in generale sui culti popolari oscuri non sono molti, ma dovrei avere qualcosa nell'altra stanza. Le fece segno con la penna verso un buco nel muro sprovvisto di porta, dal quale strabordavano libri. La campanella suonò di nuovo, e questa volta fu suo padre ad entrare, salutando con un cenno la donna al bancone. Lei lo guardò intensamente per un attimo, poi tornò a leggere come se nulla fosse. Cloe balzava da un lato all'altro della piccola stanza. odorava come la soffitta, ma c'era il doppio del calore e la metà dello spazio. Afferrò un libro nero da una pila che posava sul pavimento, iniziando a sfogliarlo distrattamente. Come previsto non c'era nulla che potesse aiutarla. Tutte cose che sapeva già, più qualche aneddoto sulla Caduta, sui vari nomi del Diavolo, sulle leggende. Lo rimise a posto, ma nel fare un passo indietro urtò e fece cadere altri libri, che si sparsero sul pavimento. Si affrettò a rimetterli in ordine, trovandosi in mano qualcosa di inaspettato. Un libro si era aperto su una pagina a caso, e Cloe si ritrovò davanti un simbolo bizzarro, un intreccio di linee racchiuse in un doppio cerchio. Lo vide solo per un attimo, ma fu un lampo, un battito di ciglia. Vide quello stesso simbolo disegnato su un enorme tenda, su un soffitto, su un pavimento e su una sedia nera, con dietro delle lance appuntite che le ricordarono la coda di un pavone. Vide qualcuno davanti a quel simbolo, una schiena che le copriva la visuale, una mano sulla sua testa, poi quello stesso simbolo circondato da fiamme e schizzato di sangue, lacerato, distrutto. Era tutto distrutto e c'era qualcuno che gridava. La voce di una bambina. Padre! Astaroth!

"Cloe?" Sobbalzò, cadendo seduta sul pavimento e facendosi male con uno spigolo del libro. Suo padre la guardava dall'alto, perplesso. "Scusa, non volevo spaventarti."

"Non fa niente." disse, leggermente intontita, per poi riemergere da quella valanga con il libro incriminato stretto in pugno. "Prendo questo." Michael lo fissò, alzando un sopracciglio.

"Simbologia dell'occulto? Da quando ti interessa il satanismo?" Per tutta risposta lei alzò le spalle, sfoderando il suo sorriso più riuscito.

"Oh, niente di che. E' un consiglio di un amico."


Kratos sedeva sbragato sul Trono Nero, gli occhi di brace che guizzavano per la sala rimessa a nuovo, la ragazza incatenata per il collo alla sua sedia sostava imbronciata su dei cuscini rosso sangue, intonati al velo che le copriva il viso. Tra le mani reggeva una sfera di cristallo che a guardarla si sarebbe detta senza peso, ma che in realtà aveva il peso del passato, del presente e del futuro, tutto racchiuso in due mani brune e delicate, dalle unghie rosicchiate.

"Hai novità oggi, Moira?" le chiese, strattonando la catena che la legava. La donna non lo considerò, continuava a guardare il vuoto con gli occhi bianchi e ciechi, mugugnando maledizioni per quel trattamento atroce. "Allora?" continuò, impaziente. Lei scosse la testa.

"Perché dovrei avere novità?" Quello fece spallucce, anche se sapeva che lei non poteva vederlo. Il Grande Capo concedeva il dono della trascendenza solo ad un angelo e ad un demone per volta, ma facendo questo lo privava del dono della vista. Chi vedeva oltre la realtà, infatti, non poteva vedere la realtà, o sarebbe stato troppo simile a Lui, ed era una cosa che non si poteva fare.

"Neanche oggi arriverà l'eroe che mi spodesterà dal trono?"

"Non servirebbe un eroe, se solo tu fossi un sovrano giusto come lo era Lucifero." A quel nome lui tirò di nuovo la catena, facendola sdraiare sul pavimento. La sfera rotolò ai suoi piedi e lui la bloccò sotto uno degli anfibi neri, sospirando.

"Lucifero era un esaltato rammollito." ringhiò, mettendosi in bocca un acino d'uva. "L'ho battuto in poco tempo, lui e quel marmocchio di suo figlio. Lo avrei lasciato vivere, sai, se non fosse stato per quella tua profezia fastidiosa. " Moira sorrise, rialzandosi a fatica.

"Non puoi combattere il destino, Kratos." Queste parole le fecero beccare uno schiaffo in pieno viso che la rivoltò, facendole sanguinare una gengiva. Il sapore amaro del suo sangue sembrò quasi rinvigorire la ragazza, che prese a mormorare una litania a Kratos fin troppo conosciuta. "Nel nono giorno del nono mese della nona luna dell'era del Ribelle, il più puro e il più impuro sorgeranno dalle tenebre dell'ignoto e come scure piomberanno sul collo del puro che impunemente impugna lo scettro. E la generazione del Figlio dell'Aurora continuerà a regnare su ciò che è suo, e le regole saranno sovvertite, e il sangue sarà mescolato quando la testa del Ribelle piomberà al suolo." Kratos scoppiò in una risata amara, trascinandola verso di sé e afferrandole il viso con la mano troppo delicata per essere quella di un mercenario. Era bello, se solo Moira avesse potuto vederlo, ma di una bellezza crudele, ispida, di carbone. Strinse la presa così forte da farle male.

"Ecco, visto? Tu e la tua lingua lunga avete causato la fine della Famiglia Reale. Che ironia." La lanciò sul pavimento come uno straccio vecchio, tornando alla sua uva. "La nona luna è passata. Gli impuri sono tutti rinchiusi nel Limbo. Per quanto riguarda il Figlio dell'Aurora, io e le mie guardie abbiamo sterminato personalmente lui e i suoi marmocchi. Inutile continuare a ripetere le stesse cazzate fataliste. Io porterò questo regno al suo massimo splendore." Si alzò dal Trono, dirigendosi verso la brocca d'argento e versandosi in un calice del medesimo materiale un po' di vino, che poi alzò verso la sua più cara prigioniera. "Alla tua, Moira. E alla generazione di Lucifero. Possano le loro anime infantili bruciare nel fuoco del Dimenticatoio." E, dopo quel piccolo encomio, bevve da quello che una volta era stato il calice del Re.


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