Celeste - Lasciati trovare [S...

By Ritaska99

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[SEGUITO DI "CELESTE - LA MIGLIOR COSA CHE NON HO MAI AVUTO". È CONSIGLIABILE LEGGERE QUELLA, PRIMA DI QUESTA... More

Prologo
0.1 Celeste
0.2 Peter
0.3 Celeste
0.4 Peter
0.5 Celeste
0.6 Peter
0.7 Celeste
0.8 Peter
1.0 Peter
1. Ruin
2. The Scientist
3. The One That Got Away
4. Always hate me
5. Drunk
6. When We Were Young
7. Friends
8. What Happened To Perfect
9. Places Where We Are

0.9 Celeste

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By Ritaska99

"The things we said and did have
Left permanent scars. Obsessed
Depressed at the same time. I can't
Even walk in a straight line, I've been
Lying in the dark no sunshine".

Boston; 2015

Non sempre si può vivere solo di momenti. È la risposta che ho sentito dare l'altra sera da mio padre a mia madre, mentre, a tarda notte, discutevano a "bassa" voce del mio "progetto" di partire. Ed è la frase che non ha smesso neanche per un secondo di lampeggiarmi in mente, con la stessa insistenza di un segnale luminoso in autostrada a notte fonda. Lasciale cogliere il momento, Robert, se è di questo che ha bisogno in questo frangente, lo ha pregato lei, con il tono dolce e amorevole che la contraddistingue. Non sempre si può vivere solo di momenti, Marylin; noi cosa faremmo, poi, nel caso in cui non dovesse andare a buon fine? È pur sempre la mia - la nostra - bambina, è stata la sua sentenza, emessa con voce flebile e sofferente. Ho smesso di ascoltare da lì in poi, con una morsa allo stomaco e il cuore dolente. Da tre giorni a questa parte la frase pronunciata da papà non mi dà tregua. Soprattutto perché non mi trovo per niente d'accordo con questa sua osservazione. Il secondo in cui i suoi occhi hanno incrociato quelli della mamma non è stato un momento? Quello in cui ha deciso di chiederle di sposarlo non è stato un momento? L'arrivo di mia sorella non è stato un momento? La mia nascita non è stato un momento? L'attimo in cui ho iniziato a muovere i primi passi non è stato un momento? La vita è formata da tanti momenti, tanti tasselli. Piccoli, alcuni insignificanti, senza i quali, però, il mosaico non sarebbe ugualmente completo, non avrebbe lo stesso senso. Andrà male con Peter? Non posso saperlo, ma non lo saprò mai se resto qui a rimuginarci in eterno. Con Colin e Will abbiamo concordato di andarcene domattina presto - anche per far sì che si riposino entrambi, visto e considerato il lungo viaggio che hanno affrontato per raggiungermi. Stanzieranno a casa dei genitori di Colin per questa notte, cosa che gli ha anche permesso di fare loro un saluto prima di sparire per non si sa quanto, alla volta di non si sa dove. Effettivamente neanche io sarei stata molto per la quale, se mi fossi trovata nei panni dei miei genitori. O dei suoi, è indifferente. A ogni modo, stasera i piccioncini sono a cena da noi, e mamma è ai fornelli dalle sei di oggi pomeriggio, ad armeggiare tra pentole e padelle in fretta e furia. Papà si è anche offerto di darle una mano, ma lei gliel'ha vietato categoricamente, dato il disastro che ha combinato l'altro ieri, quando ha tentato di preparare dei semplici pancake. Io sono rinchiusa nella mia stanza da quando quei due si sono recati a casa di Colin a darsi una rinfrescata. Non è cambiato niente. In sei anni, non è cambiato niente in questa camera. L'armadio è ancora stracolmo di oggetti nostri. C'è ancora il pupazzo di Pikachu con le nostre iniziali ormai sbiadite "incise" sulla targhetta. E sul mio cuore. Finisco di radunare in valigia gli abiti e l'occorrente di cui mi sono servita in questi tre giorni di permanenza qui e richiudo il bagaglio, decretando all'ultimo minuto di ficcarci dentro (come se già non stesse per scoppiare, tanta la roba che ci ho messo) anche il peluche. Lo porto al piano di sotto a fatica, facendo uno sforzo immane per restare in equilibrio, non ruzzolare per le scale e non perdere la presa. Fortunatamente, a metà percorso, forse allertato dai miei lamenti sommessi, sopraggiunge papà ad aiutarmi, togliendomelo di mano e facendosene carico lui stesso.

"Hai svuotato un armadio intero?" ci scherza su, una volta posizionatolo a lato della porta d'ingresso, sotto l'attaccapanni, stiracchiandosi con un piccolo sorriso ad aleggiargli sul viso.

Accenno un sorriso anch'io, per poi raggiungerlo e infilare le mani nelle tasche posteriori degli shorts che sto indossando, sospirando.

"Papà, io..." principio, agitata e nervosa, non sapendo neanche effettivamente cosa ho in programma di dirgli.

"Non ce n'è bisogno, Celeste. Davvero. È una tua decisione e la rispetto. E poi so che sei una testa dura e che, in ogni caso, se hai già deciso, sarebbe impossibile farti cambiare idea" mi fa notare, ridacchiando e avvicinandosi.

Dopodiché mi pone un braccio attorno alle spalle e mi attira a sé, permeandomi con il profumo pungente della sua acqua di colonia.

"Sei una donna, ormai, e non posso opporre resistenza davanti alle tue scelte. Se dovessimo vivere ogni giorno con la paura di morire, non vivremmo più. Però per me rimarrai sempre la mia bambina, e le mie braccia saranno sempre pronte ad accoglierti. Nel bene e nel male" mi sussurra tra i capelli, per poi darmi un bacio su una tempia.

Mamma ci richiama dalla cucina e ci chiede di apparecchiare la tavola, lui sorride e si allontana presto da me, lasciandomi con la sensazione delle sue braccia che mi avvolgevano come una volta e con gli occhi ancora lucidi per le ultime parole che mi ha rivolto.

×××

"E quello cos'è, di grazia?" domando a Colin, una volta fuori dal portone di casa, alla vista dell'enorme pick-up rosso fiammeggiante, accostato al marciapiede, che si staglia dinnanzi ai miei occhi in tutta la sua immensità.

Lui sorride, sornione, facendo ruotare attorno all'indice della mano destra un mazzo di chiavi - che, puntualmente, gli cade qualche nanosecondo dopo, e che poi lui riacciuffa e usa per sbloccare le sicure della macchina -, mentre io, sopraffatta dal caldo e dalla fatica, poggio a terra il mio borsone e mi faccio scendere lo zaino da una spalla. Will fa il giro della vettura e apre il cassone. Il mio migliore amico si premura di sollevare dalla strada le mie cose e di andarle a riporre nel "bagagliaio", assieme alle loro, mentre io mi sto ancora chiedendo cosa ci faccia un pick-up qui fuori. Non tira un filo di vento, e, nonostante sia una giornata alquanto bigia e il cielo prometta pioggia, c'è un'afa che si attacca addosso e fa sudare anche da fermi. Mi lego i capelli, ormai lunghi fino alle spalle, con un elastico, che mi ero avvolta al polso, e mi faccio aria con una mano. Ma è aria calda, e la situazione non migliora per niente. Sistemata la mia valigia, Will richiude il portello e si va a sedere al posto del passeggero.

"Il pick-up che abbiamo fittato per l'occasione. Non puoi pretendere di intraprendere un viaggio on the road in quel tuo catorcio che chiami 'automobile', tesoro" mi spiega Colin, con tono saccente, per poi aprirmi la portiera per il sedile dietro quello del guidatore e invitarmi a salire.

Alzo gli occhi al cielo e mi accomodo, constatando quasi immediatamente che c'è profumo di auto nuova, in questo abitacolo, e storco il naso perché è uno degli odori che meno sopporto. Colin si siede davanti a me e fa per avviare il motore, che, inizialmente, fa un po' di capricci. Io sbuffo e, intanto, supplico Will di accendere l'aria condizionata, perché altrimenti rischio di squagliarmi.

"Due domande. Uno: se viene a piovere, la nostra roba si bagnerà, non credete? Due: perché non posso guidare io? Tre: non è un veicolo un po' troppo grande, per sole tre persone?" mi informo, allacciandomi la cintura e incominciandomi a togliere le Converse, che mi stanno facendo andare a fuoco i piedi.

"Avevi detto che erano solo due domande - mi fa notare Colin, fintamente seccato, roteando gli occhi al cielo e riuscendo a mettere in moto e a ingranare la marcia - E rimettiti quelle scarpe perché c'è puzza di piedi" mi rimbecca poi, autoritario.

"Oggi non pioverà; abbiamo controllato il meteo in concessionaria. Non puoi guidare tu perché Colin dice che guidi abbastanza male. Ed è un po' troppo grande, sì, ma goditi tutto lo spazio che hai dietro, invece di lamentarti" mi rimbecca Will, ridacchiando e azionando la radio.

"Io non guido male! E io non la sento, questa fantomatica puzza!" mi lamento, allungandomi per dare un leggero scappellotto dietro la testa a Colin, che ride di gusto a seguito del mio gesto e del mio indispettirmi.

Sorrido anch'io, mi rilasso contro lo schienale e riposo gli occhi per qualche momento, mentre sento Will armeggiare con il navigatore, che ripete "Ricalcolo" ogni secondo, e lui impreca ogni volta contro quel povero aggeggio, fin quando Colin non ferma la macchina e non lo imposta lui. All'improvviso ho un'illuminazione, sgrano gli occhi di scatto e gli do le indicazioni per passare prima da una certa parte, temendo che, altrimenti, mi sarebbe passato di mente. Will mi osserva confuso, ma Colin capisce subito, e stenta a trattenere un sorriso.

×××

"Perché si è tinta i capelli di quel colore abnorme? E perché mai glielo hai lasciato fare senza battere ciglio? Sembra il colore della pelle di quei gatti senza pelo che fanno impressione! Com'è che si chiamano? I Kinx... Minx... Gli Sphynx! Sembra uno Sphynx!" si lagna Will, sconvolto, quando rimettiamo piede in auto.

Colin se la ride sotto i baffi, mentre io mi passo le dita tra i miei nuovi/vecchi morbidi capelli. Li ho anche tagliati un po', per cui ora mi arrivano più o meno fin sotto i lobi delle orecchie. Non posso non ammettere che mi è mancato tanto... Io mi sono mancata tanto. Eppure sento di stare già intraprendendo il processo di trasformazione. Nella vecchia me. La vecchia Celeste. Quella vera. Quella che ha conosciuto solo lui.

"Non è la prima volta che lo fa. Ti ci abituerai. Sembra piscio di cane, ma ti ci abituerai con il tempo, fidati" lo rassicura Colin, poggiandogli la mano destra sulla coscia sinistra.

Distolgo lo sguardo da quel loro momento di intimità (il primo in mia presenza!), e osservo fuori dal finestrino i colori della città in cui sono nata e cresciuta rincorrersi e darsi il cambio a ogni metro che le ruote percorrono sull'asfalto. Passiamo davanti alla vecchia chiesetta gotica e ripenso a quando mamma mi portava con lei a Messa, di domenica mattina. Ripenso a Peter, che era seduto con suo padre su qualche panca più avanti rispetto alla nostra. Ripenso ai segnali che ci lanciavamo con mani e occhi per comunicare, e ai nostri genitori che ci riprendevano in continuazione. Ripenso a noi che correvamo spensierati fuori dalla struttura a funzione terminata, e alle urla della mamma perché così facendo avrei rovinato il vestitino e strappato le calze. Il parco del nostro quartiere si mostra ai miei occhi, e io non penso più alle sbronze che andavo a prendermi lì con Colin, ma ai pomeriggi interi trascorsi a organizzare giochi di ruolo con Peter. Anche se il nostro preferito rimaneva sempre e comunque il nascondino, nonostante fossimo soltanto in due e fosse fin troppo semplice giocarci. Che succede se i grandi ci trovano?, gli chiedevo spesso, perché il più delle volte scappavamo di casa e ci incontravamo lì, quando in realtà non avremmo dovuto, poiché magari eravamo in punizione per qualche marachella che avevamo combinato insieme; una ne pensavamo e cento ne facevamo. Dico loro che ti ho rapita io, mi rispondeva sempre. E all'epoca ridevo e gli davo dello scemo, ma ora no. Ora no, perché mai avrei immaginato che mi avrebbe rapita sul serio. Anima, cuore e mente. Io non voglio confidarlo neanche a me stessa, ma so di essere ancora innamorata di lui. Sto solo cercando di mantenere il segreto, perché dirlo ad alta voce lo renderebbe reale, e io ho così tanta paura di me stessa da non avere il coraggio di ammetterlo a cuore aperto. Ma per ora mi sta bene così. Sebbene io sappia che i miei genitori avrebbero gradito una spiegazione più esaustiva, prima di salutarmi definitivamente. Non la mamma; lei credo lo avesse già grandemente intuito dal desiderio che traboccava dai miei occhi. Ma papà sì. Papà sì, perché abbiamo sempre avuto un rapporto un po' più stretto, io e lui. Perché sono sempre stata la sua bambina, e perché è quello che è stato peggio di tutti, quando, impotente, mi ha vista sbriciolarmi davanti ai suoi occhi senza poter far nulla per appianare le cose. L'unico mio auspicio, ora che sta accadendo davvero e che non è più solamente nella mia mente, è che non vada a finire con qualcuno costretto a raccogliere gli innumerevoli pezzi in cui mi sarò sgretolata per l'ennesima volta. Anche se non credo che, in quel caso, ci sarebbe tanto da fare...

×××

"Ci siamo" annuncia Colin, posteggiando nell'area parcheggio del college.

Un brivido mi percorre l'intera spina dorsale, mentre guardo questi luoghi così familiari e così uguali a come li ricordavo. Sento lo stomaco affondarmi in pancia e apro istantaneamente lo sportello per uscire. Recupero il mio zaino dal cassone e mi perdo a osservare l'imponenza del campus che spicca di fronte a noi. Quei due scendono a loro volta dal pick-up e Colin imposta l'antifurto, prima di appressarsi e pormi una mano su una spalla.

"Tutto okay?" inquisisce Will, timidamente, affiancandomi.

Annuisco, ma non sono del tutto sicura che vada esattamente bene. Il cuore mi batte all'impazzata nel petto e le gambe potrebbero cedermi da un momento all'altro. E, no, non è per il troppo caldo. Né per le cinque interminabili ore di viaggio ininterrotto. C'è un leggero vento caldo che ci accarezza la pelle, ma l'unica cosa a cui sono in grado di pensare è il desiderio irrefrenabile che ho che un ragazzo dai capelli biondo rame e gli occhi grigi mi venga incontro frettolosamente e mi dia una spallata. Che poi mi mandi a fanculo, ma che mi sussurri di amarmi due mesi dopo, mentre facciamo l'amore a casa dei miei genitori il giorno prima della Festa del Ringraziamento. Mi mordo il labbro inferiore e respiro profondamente, prima di prendere entrambi a braccetto e procedere verso la segreteria. Vedere tutti questi studenti affaccendati e intenti a studiare persino sul prato - addirittura d'estate - mi provoca una strana sensazione alla bocca dello stomaco, che svanisce due secondi dopo, quando Will mormora un "Poveri sfigati" che mi fa scoppiare a ridere fragorosamente. Lui è di due anni più grande di me e Colin, si è laureato in legge qualche annetto fa, e ora lavora in uno studio gestito dalla sua famiglia. Tra i tre, è l'unico che è realmente andato al college, quindi sarebbe l'unico a non dover prendere in giro questi ragazzi. Naturalmente non ricordo dove sia la segreteria, avendola trovata per una botta di... fortuna la prima volta. Perciò siamo costretti a chiedere indicazioni e, ovviamente, ci squadrano tutti dall'alto in basso, straniti, probabilmente interrogandosi sul chi diavolo siamo e cosa diamine ci facciamo qui. Giungiamo alla porta della segreteria dopo qualche giro di troppo attorno al campus e per i corridoi, e mi sudano le mani, tanto che, istintivamente, mi paralizzo letteralmente dinanzi alla porta e smetto per qualche secondo di respirare. Colin mi posa una mano dietro la schiena, e mi accarezza delicatamente attraverso il tessuto della maglietta leggera che ho indosso al momento.

"Andrà tutto bene" mormora, facendomi sorridere e dandomi la forza necessaria per bussare con la nocca dell'indice destro sul duro legno scuro, porre una mano sulla maniglia e abbassarla.

Spingo la porta verso l'interno dopo un forte e chiaro "Avanti!" proveniente dall'altro lato della soglia, ed entriamo tutti e tre, uno dietro l'altro, nella piccola e asettica stanza che non ha nulla di diverso da sei anni fa, se non la donna seduta dietro la scrivania. È una ragazza giovane, sulla trentina, con fluenti capelli mori e penetranti occhi dello stesso colore, naso piccolo e bocca sottile. Ci osserva con aria interrogativa, e Colin si schiarisce la gola, forse con l'intento di incitarmi a prendere parola.

"Salve - incomincio, e Will chiude gli occhi, mentre Colin si sbatte il palmo di una mano sulla fronte; imperterrita, mi mordo la lingua e proseguo senza fare troppe cerimonie - Sono Celeste Sullivan, e ho studiato qui per qualche mese circa sei anni fa. Ecco, io mi chiedevo se fosse possibile ricevere qualche informazione su uno studente che ha frequentato questo istituto nello stesso anno... Era il duemila nove, e il ragazzo in questione è Peter Poole, e noi... Volevamo solo sapere se..." straparlo, tesa e in ansia, con un groppo in gola e il cuore a mille, agitando su e giù una gamba e facendo ticchettare nervosamente la suola delle mie scarpe contro il pavimento di marmo.

"Mi rincresce molto, signorina, ma non credo di poterle essere utile, in questo caso. Vede, le informazioni riguardo i nostri studenti sono riservate e tutelate dalla legislazione sulla privacy..." fa per spiegarmi, con una voce fastidiosamente nasale, sbattendo le lunghe ciglia minimo dieci volte al secondo.

"Ma privacy un corno! Cinque ore, cinque, di macchina ci siamo fatti per venire fino a qua. È il suo vero amore, cazzo, collabori un po' pure lei, per la miseria!" si sfoga Colin, a voce un po' più alta del consono, accostandosi a me - siccome lui e Will erano rimasti in disparte, qualche metro più dietro -, con entrambe le mani chiuse a pugno e un'espressione poco rassicurante in volto.

Allarmata, la donna sbarra gli occhi e lincia il mio migliore amico con lo sguardo.

"Senta, o lei si dà una calmata, o mi costringerà a chiamare qualcuno per farla buttare fuori. Vi ho già detto che non posso divulgare informazioni private a chicchessia; vero amore o meno, andrei contro il regolamento. E ora, cortesemente, fatemi il favore di uscire" si difende, incrociando le braccia al petto e indicandoci la porta con un gesto stizzito del capo.

Colin le fa una smorfia e se ne esce infuriato come non mai. Will lo segue poco dopo, perplesso, e io mi trattengo solo qualche attimo in più.

"La prego..." bisbiglio, con la voce incrinata e l'ultima scintilla di speranza ancora ardente dentro di me.

"Mi dispiace" è la categorica risposta di quella brutta zitella, che si rivela come un'enorme secchiata d'acqua su quella piccola fiamma che bruciava ancora in me.

Contrariata, giro i tacchi e vado dietro ai miei amici, non senza aver prima sbattuto violentemente la porta. Sbuffo, seccata, e ricaccio indietro le lacrime di frustrazione che minacciano di sgorgare dai miei occhi.

"Che stronza" commenta senza filtri Will, rimasto in silenzio durante tutto questo tempo.

Annuisco, ancora frastornata e confusa sul da farsi, quando vedo quello che presumo essere un professore passarmi frettolosamente davanti, con una valigetta di cuoio nero in mano. Senza rifletterci per più di qualche millisecondo, le mie gambe imboccano il primo corridoio che mi si para dinanzi, e corro in direzione dell'unico luogo di questa struttura del quale penso che non scorderei mai la posizione. Supplicando mentalmente tutti i santi del Paradiso, arrivo di fronte alla porta della classe, consapevole che, per alcuni, è ancora orario di lezioni, e che probabilmente sarà impegnato, per cui mi apposto fuori e attendo il suono della campanella. Frattanto, quei due mi raggiungono, affannati e con il fiato corto, reggendosi alle ginocchia e respirando a fatica.

"Ma che cazzo..." bisbiglia Colin, tra un respiro e l'altro.

"Dovrebbe terminare a momenti" enuncio soltanto, lasciandoli a dir poco basiti e sconvolti.

"Ma cosa? Dio mio, io non ce la faccio" decreta il mio migliore amico, appoggiandosi alla parete e accasciandosi al suolo, distrutto.

Anche Will si siede a terra, mentre io fisso il grande orologio sopra le loro teste e la lancetta dei secondi muoversi con estrema lentezza. Quando suona la campanella, è questione di pochi minuti, prima che la porta si spalanchi e che un fiume di studenti si riversi in massa all'esterno dell'aula. Nel momento in cui mi sembra che siano usciti tutti, espiro e oltrepasso la soglia, andando a sbattere contro una spalla del professore.

"Oh, accidenti, mi... Miss Sullivan?" domanda, incerto e incredulo, squadrandomi sconvolto da capo a piedi.

Will e Colin si risollevano in posizione eretta e analizzano a loro volta il professore con lo sguardo, lo stesso professore che, a parte il volto, che ha assunto fattezze più da uomo che da ragazzo, è rimasto identico a come lo ricordavo. Gli sorrido e, saltando i convenevoli, vado dritta al punto.

"Professore, ho bisogno del suo aiuto" esclamo, e deve capire, dal tono della mia voce, che sono alquanto disperata, perché non se lo fa ripetere due volte e ci esorta a seguirlo, mentre si incammina verso il primo corridoio sulla destra e io gli espongo a grandi linee il dilemma.

Non appena menziono il nome di Peter, lui fa dietrofront e cambia direzione, portandoci verso un'altra aula, anzi, addirittura in un altro edificio del campus, facendomi nel frattempo continuare a illustrare la situazione. Colin e Will, straniti e spaesati, ci tallonano, ma non senza qualche dubbio: lo si legge loro in faccia. Arrivata a fine racconto mi zittisco, e il professor Harris spalanca la porta di quello che sembra essere un ufficio, con quadretti di attestati appesi alle pareti e coppe e medaglie in bella vista sugli scaffali e sui mobili che compongono l'arredo della stanza.

"Signorina Sullivan, mi piacerebbe tanto aiutarla, ma, come vede, non posso" dichiara, ma il suo corpo dice tutt'altro.

Seguita ad agitare la testa verso sinistra, e tutti e tre lo guardiamo interdetti. Tossisce, mettendosi una mano chiusa a pugno davanti alle labbra, prima di riprendere il discorso.

"Come le ho già detto, non posso proprio esserle d'aiuto, signorina. Trasgredirei a parecchie regole" ribadisce, ma non smette di muovere la testa in quel modo strano.

Alla fine sospira e poggia una mano alla parete alla sua sinistra, dov'è appeso un articolo di giornale incorniciato in un quadretto. Sospira di nuovo e scuote il capo.

"Spero che riuscirà lo stesso a fare il quadro della situazione, Miss. Con permesso" si congeda, sorridendomi e sparendo oltre la porta subito dopo.

Io e Colin ci guardiamo abbastanza dissestati e preoccupati, non sapendo cosa fare, mentre Will sorride, gongolante, con il cellulare in mano e la fotocamera attivata e puntata verso la cornice vicino alla quale ha sostato il professore poco fa.

"Signori, ho ben ragione di credere che quel tizio ci abbia dato un grande indizio per trovare il nostro uomo" assoda, soddisfatto, per poi mostrarci la fotografia ingrandita che ha scattato all'articolo.

"You've hit your low, you've lost control and
You want me back, you may not believe me
But I gave you all I had".

N/A

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La fantasia, sì😂

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