Indifferent↝Lorenzo Ostuni.

By InvincibLorenzo

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Una presenza apparentemente angelica vaga per i corridoi della scuola e tra i banchi della classe di letterat... More

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Prologue || Orphanage
1 || Hurt
2 || Fakeness
3 || Diary
4 || Poem
5 || My angel
6 || Like the others
7 || Brothers
8 || Hide
9 || Past
10 || I'm normal
11 || Family
13 || House
14 || Lose
15 || Together
16 || Awake
17 || Memories
18 || Alex
19 || White lips
20 || Selfishness

12 || Dreams

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By InvincibLorenzo

Osservavo il foglio stilato perfettamente assieme agli altri, formando il mio libro di letteratura.
Al momento non stavo affatto ascoltando la lezione, stranamente non stavo nemmeno guardando Annika.
Avrei potuto osservarla a lungo quella stessa sera, aveva paura di guardarla, quasi come se la sua bellezza sarebbe potuto sciuparsi e non sarebbe bastata per dopo.

Mi ero soffermato sul singolo foglio, quell'ammasso di cellulosa insignificante che si piegava sotto il tocco della punta della mia matita.

Era strano come con un solo movimento del polso potessi tracciare una linea. Bastava un semplice cenno per creare qualcosa di nuovo, la mina concretizzava ciò che desideravo sulla carta.
Persino quando sbagliavo, quando commettevo un errore, potevo utilizzare la gomma per eliminarlo completamente dal foglio, come se non fosse mai esistito.
Potevo ricominciare da capo senza che nessuno ricordasse il mio sbaglio in eterno, non avevo il peso di dover giustificare le mie azioni.

Analogamente dalla realtà, ero diventato uno mostro ormai a scuola.
Per i professori ogni scusa era buona per fissarmi e controllarmi, mi riprendevano per qualsiasi cosa provassi a sussurrare.
Le ragazze mi evitavano, al nostro passaggio salutavano solamente Victoria.
Persino lei era molto più fredda con me, non che mi dispiacesse, ma mi faceva sentire come se avessi ucciso qualcuno.

Avrei voluto poter scrivere il destino di mio pugno, avrei voluto cancellare tutto con la stessa facilità con cui ora stavo eliminando i tratti scuri sul libro.

Guardai l'armadietto davanti a me. Il blu una volta compatto era ormai striato dal tempo e dalla rugine, avrebbe avuto bisogno di una sistemata, ma sembrava che in quella scuola nessuno facesse attenzione a quelle piccolezze.
Cercavo un posto dove posare gli occhi e calmarmi, quel blu sembrava andarmi contro, invogliando la mia rabbia a divampare.

Mi girai verso la ragazza, aveva le braccia incrociate e lo sguardo basso sulle sue vans rovinate. Indossava la camicietta che le avevo regalato per Natale, era di un colore chiaro come la sua pelle, ricoperta di finti bottoni sul davanti. Appena l'avevo vista aveva subito pensato a lei, ed ora desideravo che potesse stringersi attorno al suo corpo fino a farla soffocare.

Le persone ci passavano in mezzo, io nemmeno me ne accorgevo, ero troppo impegnato a guardarla. Volevo farla soffrire come lei aveva fatto con me.

-Ti sei divertita?-

Chiesi, un ghigno sul volto, tutt'altro che divertito.
Mi guardò stranita, prese tra le dita una ciocca di capelli rossi facendo vagare gli occhi nocciola tra la gente che occupava il corridoio.

La presi per le spalle sbattendola contro gli armadietti, volevo farle male.

-Ti ho chiesto se ti sei divertita mentre fottevi quello stronzo!-

Le sibilai in un orecchio. Solo a dire quelle parole il bruciore cresceva in me, una rabbia malata mi accecava.

-Rispondi!-

Urlai, stanco del suo sguardo che voleva fingere innocenza.

Passai gli occhi attorno a noi, mentre il respiro affannato della ragazza si abbatteva contro di me.

La gente ci guardava.

Una cerchia di persone ci guardava e nessuno mi fermava.
Qualcuno, invece, avrebbe dovuto farlo perché la rabbia non mi avrebbe abbandonato facilmente.

-Perchè non mi rispondi, eh?!-

Strinsi le labbra sentendo gli occhi bruciare, forse stavo per piangere e la colpa era solo della ragazza dai capelli rossi.
Scossi le spalle, prima di tirare uno schiaffo alla ragazza.

Stavo meglio, ma non era comunque abbastanza.

La distanziai dagli armadietti, mentre premeva una mano sulla guancia arrossata. Stava piangendo e provai solo riluttanza davanti a quella scena pietosa.

-Lorenzo, ascolta io...-

Ma non volevo più ascoltare le sue inutili parole.
Sentivo le mani formicolare mentre le rossa cercava di spiegarmi qualcosa che mai avrei perdonato, sentivo il dolore crescere.

Caricai il braccio colpendola allo stomaco, la vidi sgranare gli occhi, mentre le parole le morivano in gola.
Il rumore che avevano fatto le mie nocche contro la pelle magra mi fece stare ancora meglio.

Si accasciò a terra, premendo i polpastrelli contro il pavimento a righe.

Solo quando la mia converse nera si abbatté sulle costole fragili della rossa, sentii qualcuno alle mie spalle.

Due mani piccole mi toccarono le spalle, la delicatezza con cui lo fecero mi costrinsero a girarmi.

-Lorenzo, smettila!-

Gli occhi azzurri erano colmi di lacrime, non c'era nulla della Victoria che ora conoscevo.
Mi guardava implorandomi di smettere, ma qualcosa dentro di me mi suggeriva che non l'avrei ascoltata.

Sollevai il braccio, schiuse le labbra sorpresa e vidi una lacrima solcare il suo volto terrorizzata.

I miei occhi furono oltrepassati da una strana luce, lei non c'entrava nulla, eppure sembravo una furia irrefrenabile.

Delle braccia mi circondarono il collo ed il respiro già affannato divenne flebile.

Riuscii a liberarmi e quando vidi Daniele dietro di me avvicinai le mani al volto del ragazzo per colpirlo.

Lui che mi aveva portato via Esme, lui che era riuscito a sfilarmela dalle mani quando meno me lo sarei mai aspettato.

Ma poi, con la leggerezza di un foglio di carta, mi ritrovai a terra a distanza dalla rossa, lo sguardo verso il soffitto alto.
La guancia aveva iniziato a dolermi e sapevo che nel giro di poche ore sarebbe diventata viola.
Il freddo del pavimento era quasi un sollievo sotto la mia schiena ansimante.

Un sollievo che svanì non appena le persone attorno a noi iniziarono a gridare:

-Ostuni picchia le ragazze!-

Riaprii gli occhi interrompendo la vista di qualsiasi immagine.
Il mostro era tornato, quello che aveva cercato di nascondere per anni sotto strati e strati di maschere e sorrisi.
Potevo sentire ancora la rabbia ribollirmi nelle vene, quella voglia nascosta di ferire chiunque.

Mi voltai con uno scatto, forse troppo violento, sentii sussultare Victoria seduta dietro di me.
I miei occhi scuri si mossero lungo tutta la visuale, fino ad incontrare lei, che con mio stupore mi stava già guardando.
In realtà, tutti stavano guardando me.

Mi calmai appena quelle pozze grigie mi permisero di sprofondare all'interno del loro paradiso, sentii ogni muscolo rilassarsi.
Ne approfittai per scrutarla: lo zigomo violaceo era irrilevante tra il resto delle contusioni del suo corpo, il sangue che le sgorgava da una ferita sul braccio sembrava ormai normale, i capelli chiari cadevano lisci sulle spalle e fino alla metà della schiena.
Era bellissima, come sempre, non importava quando distrutto fosse il suo corpo.

-Ostuni?! Vuoi rispondere tu?!-

La Aberthany doveva aver improvvisamente aguzzato la vista, era riuscita stranamente a vedere ciò che stessi facendo, nonostante la sua parziale cecità.

-Non stavo seguendo.- ammisi, senza la minima enfasi.

La vidi sospirare finchè le sue spalle prendessero una larghezza non indifferente, per poi tornare piccole sotto il cardigan rosa.
Si era arresa anche lei con me, ormai.

-Parlavamo di Shakespeare, stiamo leggendo un brano tratto da The Tempest.-

Annuii, ma in realtà non mi importava, non ero nemmeno sulla pagine giusta del libro.

-Io personalmente amo questo brano, se stessi più attento capiresti anche perchè.-

Emisi uno sbuffo flebile ed incrociai le braccia, alzando un sopracciglio come a sfidare la professoressa a stupirmi.

La donna si poggiò alla cattedra, stringendo tra le mani il bordo di legno chiaro e piegando appena a lato la testa.

-"Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni". È così che il drammaturgo seicentesco Shakespeare, nella sua opera "The tempest", immagina l'essenza umana.-

Sibiló la professoressa, spiegando ciò che avevano appena letto e che io non avevo minimamente ascoltato.

-Ma in fondo, è solo una frasetta... come dite voi giovani? Ah, sì, Tumbrl.-

Mi scappò una risata flebile e scossi appena la testa, il tentativo di farmi interessare alla lezione stava fallendo miseramente.

-Tumblr, professoressa.-

La corressi, i lembi della mia bocca si sollevarono in un sorriso sardonico.
Alzò l'occhio sano verso il soffito e alzò le spalle.

-Ma cosa significa in realtà? Ha un vero senso?-

Mi sistemai sulla sedia, sporgendomi sul banco con la sensazione che avrebbe chiesto a me.
Mi sbagliavo, però, continuò il suo discorso come se nulla potesse scomporla.

-Potremmo dare una miriade di risposte a questa domanda, così come non potremmo darne nessuna. Una domanda semplice che potrebbe mettere in crisi anche il più erudito dei pensatori o, peggio ancora, degli scienziati.-

Mi guardai attorno, qualcuno prendeva appunti, altri sembravano poter addormentarsi sul banco.
Mi chiesi cosa stesse facendo Annika, ma se mi fossi voltato probabilmente avrei perso il filo logico della spiegazione della professoressa.
Non riuscii nemmeno ad immaginarmela tanto che ero attratto dalle parole della donna vestita di rosa.

-Aristotele sosteneva che il sonno trattiene ed elabora gli stimoli sensitivi che ci provengono dall'esterno durante il giorno. Se noi durante il giorno vediamo, ascoltiamo o sentiamo qualcosa, questo qualcosa ci riappare nel sogno con molta più intensità di come lo vediamo, lo ascoltiamo o lo sentiamo durante la veglia.-

Quelle parole furono impresse nella mia mente con una strana voce, pensai a quante volte avevo sognato Annika gridarmi di sparire.
Forse, però, in tutto quello Shakespeare aveva dimenticato di dire che anche gli incubi sono sogni.

-Nel suo celebre libro "l'interpretazione dei sogni", Freud distingue nel sogno un contenuto manifesto che è il racconto del sogno e un contenuto latente, cioè il messaggio del sogno, ciò che è nascosto e che rifiuta di arrivare alla coscienza.-

Diedi uno sguardo al libro e mi chiesi dove avesse letto tutte queste cose.
Mi feci attento, le sue parole mi avevano catturato e mi maledii perché aveva 'vinto' lei.

-Secondo Platone i sogni sono quel luogo dove i pensieri esprimono la loro carica emotiva. Essi non sono solo pensati ma anche sentiti, dunque tra ragione e sentimento si crea una fitta rete di rapporti che va a coinvolgere l'intero essere dell'uomo.-

Mi chiesi come delle persone potessero arrivare a certe cose, mi domandai come facessero a sprecare la propria vita in ragionamenti simili.
Io non sarei mai riuscito nemmeno ad immaginare di pensare cose del genere.

-Ammettere di essere della stessa sostanza dei sogni vuol dire che la nostra vita non si esaurisce nella realtà contingente, ma sussiste oltre di essa, in una dimensione eterea e surreale, dove la nostra anima trova una piena realizzazione.-

Un sospiro abbandonò le labbra secche delle donna dai capelli brizzolati.

-I sogni sono il riflesso di quello che vorremmo diventare o essere, sono lo specchio di noi stessi. La loro dimensione è magica e luminosa ed è proprio in essa che viviamo il nostro mondo che parrebbe non esistere nella realtà, nel mondo non vero.-

Le sue mani si sollevarono facendo cenno verso ciò che ci circondava, quasi a dimostrarci che ciò che stava dicendo fosse vero.

-Quindi sì, i sogni sono sensazioni ed emozioni, come noi. Shakespeare ha ragione. Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni.-

Guardai Annika. Guardò me.
Ci fissammo per poco, ma bastò per riuscire a capire che anche lei aveva sentito ciò che aveva percepito anche io.
Una scarica elettrica tra le ossa, un brivido furente. Non sapevo dargli un nome, ma faceva stranamente bene.

-Tu sei d'accordo?-

Le sue parole sono di colpo dirette e fermo i movimenti della mano, smettendo di cliccare i tasti di plastica.
Sollevo il viso verso il suo, sembra più calmo rispetto al giorno prima e sempre più perso nel suo stesso racconto.
Poggio gli occhiali neri imbarazzanti sulla superficie in legno del tavolo e con le dita sporche porto le ciocche che mi istruiscono la vista dietro l'orecchio per osservare meglio gli occhi scuri.

-Che cosa?-

-Secondo te è vero che siamo fatti della stessa sostanza dei sogni?-

Vedo il suo sguardo abbassarsi sulle sue dita e le flette verso l'interno del palmo, mentre si scruta il perimetro delle mani.
Rimango in silenzio a guardarlo, probabilmente si aspetta una risposta, ma i suoi movimenti mi lasciano una strana sensazione addosso.
Continua a scrutarsi, le sue sopracciglia si abbassano sugli occhi neri senza fondo.
È estremamente strano guardare una persona che conosco così bene autodistruggersi giorno dopo giorno di domande e dubbi non potendo far nulla.
Mi trovo immediatamente affine con la situazione di Lorenzo nella storia e mi chiedo se è quella la sensazione d'impotenza che ha provato anche lui.
In fondo, però, io non sono nessuno, e soprattutto non sono una psicologa: sono solo una scrittrice e devo attenermi al mio lavoro.

-Hayley...?-

Mi richiama e io mi accorgo che quelle pozze nere mi stanno guardando alla ricerca di una risposta, mentre io mi ci sono persa tempo prima. Mi guardo osservando le mie mani fatte solo di epidermide e osservo le vene evidenti sul dorso in cui scorre semplicemente sangue.
Faccio scendere gli occhi sui polsi osservando la linea del mio braccio e trovo dei segni rossi e cicatrizzati.
Come può un disastro del genere essere fatto della stessa sostanza dei sogni?

-No, è solo un'illusione che Shakespeare dà per sembrare poetico.-

Vedo il suo sguardo guizzare nuovamente su di me ed abbasso immediatamente le mani per non far vedere le ferite che mi sono procurata tempo prima.
Faccio scendere la manica tra i miei palmi e stringo il tessuto morbido per nascondere ciò di cui mi vergogno.
Gesticolo molto ed ho bisogno di essere libera quando parlo.

-Quanto sei cinica.- fa un risolino amaro - Perchè ne sei così sicura?

-Perchè siamo fatti solo di ossa, sangue e pelle.- faccio breve.

-Perchè tu hai mai toccato i sogni? Sai di cosa sono fatti?-

I nostri occhi scuri si fissano, ma sono troppo lontana per riuscire a definire qualche sfumatura nel suo sguardo.
La sua espressione, però, non cambia e resta stabile nel suo niente.
È questo che mi mostra sempre, il niente più assoluto, non si scompone nemmeno mentre racconta.

-La verità è che ci aspettiamo sempre troppo dalle cose, ci aspettiamo siano speciali e restiamo delusi.-

Non so che dire, lui è bravo con le parole, molto più di me e mi sento stranamente piccola e stupida.
Rimaniamo un attimo in silenzio, lui fissa il vuoto e mi chiedo a cosa stia pensando, ha gli occhi chiusi per visualizzare chissà quale ricordo.

-E poi dubito che Shakespeare intendesse quella parte di noi. Credo che parlasse dell'anima. Sai, è quella la parte che assomiglia ai sogni, così fragile e volubile.- riprende tenendo gli occhi chiusi.

-Ma tu dici di non essere più capace a sognare, eppure sembri saperne più di me che faccio questo lavoro...-

-Infatti, la teoria è differente dalla pratica, Hayley.-

Sospiro.
Non riuscirò mai a capirlo, è troppo difficile sciogliere il garbuglio nella sua mente di strane idee e ricordi laceranti.
Le persone possono solo essere amate, non salvate.

-E tu quindi credi che siamo fatti della stessa sostanza dei sogni?-

Apre gli occhi e si sistema sulla poltrona mettendo le mani sulle ginocchia.
So che sta per riniziare a parlare con quel suo fare difficile e contorto.

-Te l'ho chiesto proprio perché nemmeno io lo so. Insomma, se dovessi pensarci ti dire di no e risponderei come te.-

Aggrotta le sopracciglia, fissando il muro bianco a lato come se stesse cercando il modo giusto per esprimere i concetti.

- Ma sai, da quando conosco Annika, da quando mi sono innamorato di lei, so per certo che alcuni di noi sono fatti di quella materia speciale che li rende diversi. E lei per me, sì, è un sogno.-

Rimango senza fiato, non so perché ma quelle parole mi colpiscono.
Nessuno ha mai tenuto a me da paragonarmi ad un sogno.

-Sei stato molto più attento di quanto credessi alle lezioni di letteratura, allora...-

-Credevo le piacesse la letteratura e ascoltando la lezione credevo di poter far colpo su di lei...-

Lo guardo e per un attimo credo che possa sorridere, ma si ritira appena nota che lo stia fissando.
Abbasso lo sguardo e salvo il file, noto che il capitolo è piuttosto lungo e assumo un'espressione soddisfatta.

-Vuoi che lo scriva nel prossimo capitolo? Intendo, il modo in cui hai parlato di lei ed i sogni.-

-Sei tu la scrittrice.-

Mormora, e avendo appena sentito le sue parole su Annika, mi sento inutile.
Mi sembra di non valere mai niente per nessuno.
Cerco di non darlo a vedere, non ho nemmeno una ragione plausibile per spiegare il mio stato d'animo.

-Perchè hai smesso?-

Non gli dico cosa, ma lui capisce.
Mi chiedo davvero se possa leggermi nel pensiero, ha qualcosa di strano, qualche potere sovrannaturale, e mi spaventa.

-Perchè chi sogna vive male.-

CHIARIMENTI AMOREVOLI

Questo capitolo è stato completamente scritto da me, con il solo ausilio del mio libro e dei miei appunti, è il mio preferito di tutta la storia.
Potrei incazzarmi se trovo in qualche storia queste stesse identiche cose.

E già ho trovato quattro storie spiccicate a questa, una ha anche come nome lo stesso della protagonista.

Vi prego, evitate.❤❄

×Annalisa×

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