My dream come true

By Captainwithoutasoul

22.8K 974 310

Le uniche cose che mandano avanti Sarah con i cavalli, dopo dieci anni, sono la grinta e la voglia di non arr... More

Premessa
Personaggi & Trailer
Il maneggio di Michele
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
È la fine?
Missing Moment - Il compleanno di Sarah

Capitolo 11

1.4K 46 42
By Captainwithoutasoul

«Ok... fa' piano. Non muoverti troppo bruscamente, rendilo sempre partecipe di tutto quello che fai» mormorò lentamente Michele, mentre legava Killer a due venti nel box doccia.

Aprii l'acqua sotto gli occhi attenti del baio e quindi puntai il tubo sulle sue zampe, pronta ad ogni eventuale reazione.

Di fronte a un suo sbuffo, seguito da niente più che un lieve tentennamento, mi lasciai sfuggire un sospiro di sollievo e solo in quel momento mi accorsi di quanto fossi stata in tensione. Sorrisi soddisfatta, accarezzandogli con affetto il collo possente senza che lui battesse ciglio.

«Hai visto?» fece Michele, sorridendo. 

Mentre lui lo teneva tranquillo, io iniziai a sciacquargli per bene le zampe, ma finii per fare una doccia completa sia a lui, che a me. Notando che neanche il mio istruttore era riuscito a sfuggire al getto della canna dell'acqua, scoppiai a ridere fragorosamente. 

Killer si agitò per quel suono improvviso e, nella fretta di tranquillizzarlo, lasciai cadere a terra il tubo tra gli schizzi. Inutile aggiungere che nessuno uscì indenne da quella pioggia indesiderata.

Lasciammo la doccia fradici ma felici e, prima di rimetterlo in box, decisi di far pascolare Killer alla longhina, in attesa che si asciugasse almeno un po'. 

Mi sedetti sulla chiazza d'erba di fronte al Club House e lasciai che il baio brucasse sotto i tiepidi raggi estivi. Così spaparanzata, rivolsi uno sguardo al cielo, socchiudendo gli occhi di fronte alla sgradevole sensazione del sole sul viso.

Honey se n'era andata già da quasi una settimana. Ne sentivo la mancanza ogni singolo giorno, ma avevo capito che non c'era motivo di piangersi addosso: stavolta ero forte, rinvigorita, sicura di essere sulla strada giusta. Oltretutto i video e le foto di Honey che la sua proprietaria spediva regolarmente a Michele mi aiutavano a sentirmi un po' meno sola. 

Come nel periodo prima dell'arrivo della palomina, avevo ripreso a girovagare un po' tra i cavalli del maneggio: un giorno uno, un giorno un altro. Non avevo la forza di affezionarmici granché, nonostante poi li conoscessi da tempo e non avessimo mai brillato in complicità. Dopo la partenza improvvisa di Honey, mi ero resa conto che affezionarmici era un rischio e avevo preferito buttarmi a capofitto nel lavoro con Killer, che tra l'altro non stava andando poi così male. 

Quella mattina avevamo lavorato nel campo ostacoli, sotto la guida di Michele: lo avevo liberato dalla longia e lo avevo osservato correre all'impazzata da un lato all'altro del campo, in un improvviso attimo di frenesia. Quando aveva finalmente deciso di calmarsi, il mio istruttore mi aveva detto di avvicinarmi: come mi aveva visto venire nella sua direzione si era subito allontanato al galoppo, ma pian piano ero riuscita a riavvicinarlo con il fischio che aveva imparato ad associare allo stop durante il lavoro alla corda, una delle poche cose che ero riuscita a insegnargli. 

In realtà non avevo capito fino in fondo il ragionamento di Michele, il perché dovessi inseguire il mio cavallo sotto il sole, mentre lui mi prendeva bonariamente in giro dicendomi di aumentare il passo. Dopo, però, l'istruttore mi aveva spiegato come la pensava: da quando era arrivato, si era reso conto che a Killer non piaceva essere controllato, cosa che aveva dovuto subire da sempre, nel mondo dal quale proveniva. Se con lui dovevamo ripartire da zero, allora voleva lavorare nel modo opposto in cui era sempre stato addestrato, cioè senza alcuna costrizione. 

Era un ragionamento contorto e non eravamo affatto sicuri che avrebbe funzionato, ma ormai ci eravamo abituati all'idea che con Killer niente andasse dato per scontato.

Dopo qualche altro piacevole minuto, in cui entrambi ci asciugammo un po' sotto i raggi del sole, che si facevano più intensi man mano che ci avvicinavamo al mezzogiorno, riportai Killer nel suo box. Speravo di poterlo portare in paddock, nel pomeriggio, visto l'effetto calmante che aveva su di lui. 

Prima di recarmi al Club House, gli diedi un affettuoso buffetto sul muso, com'ero solita fare con Honey, ma per tutta risposta lui tentò di mordermi le dita.

«Andiamo!» protestai, ridendo. «Sei proprio allergico al contatto fisico!»

Rimisi a posto il suo ciuffo e gli grattai un po' la fronte, nel punto in cui il pelo bianco formava una stella e in cui non avrebbe potuto mordermi, anche volendo. 

Dopo uno sbuffo rassegnato si lasciò coccolare e, di fronte all'espressione mite e teatralmente rilassata che assunse dopo tutti quei grattini, non potei che constatare tra me e me che mi era toccato un cavallo parecchio strano.

«Killer, ma cosa ti è preso? Ti lasci comprare così?!»

Mi voltai verso Michele, appena uscito dalla selleria, che ci fissava con aria divertita. 

Doveva essersi andato a cambiare dopo la doccia di - anzi, con - Killer, perché aveva indosso un'altra delle sue immancabili camicie a quadri e si stava agganciando gli ultimi bottoni.

  L'occhio mi cadde per un attimo sui muscoli del torace che, guizzando, si intravedevano nell'angolo ancora rimasto scoperto dal tessuto, ma mi affrettai a distogliere lo sguardo, per poi scuotere la testa, inveendo mentalmente contro di me. Dopotutto avevo già visto Michele così, reazioni da bambinetta con gli ormoni in subbuglio potevo anche risparmiarmele.

«Allora, andiamo? Il pranzo è pronto, al Club House ci staranno aspettando.»

«Certo!» esclamai, finendo di strapazzare affettuosamente Killer una volta per tutte. 

Mentre il mio istruttore ed io ci incamminavamo fianco a fianco, non mi accorsi dello sguardo del baio sulla schiena, che mi seguì attentamente finché non svoltai l'angolo. 

A quel punto, lo sentii nitrire sommessamente.

***

«Mi fa piacere vedere che oggi siamo così numerosi!» scherzò Michele, spostando lo sguardo da un lato all'altro del tavolo del Club House, quasi del tutto vuoto. 

«Pochi ma buoni» fu l'unico commento - a bocca piena - di Monica, che stava mangiando a quattro palmenti: segno che per lei l'assenza di più della metà del centro ippico non rappresentava poi un grosso problema.

«Possibile che debbano andare da Benedetta tutte insieme, come un pellegrinaggio? Le faranno venire un infarto, le manca solo quello» borbottai, senza preoccuparmi di nascondere l'irritazione.

«Io ci sono andata ieri!» intervenne Deborah, gli occhi che le brillavano di venerazione. «Le ho parlato di tutti i progressi che abbiamo fatto Wind ed io, ed era felicissima. Dovresti proprio andarci anche tu, Sarah!»

«Le hai detto che oggi proverai a girarlo con la sella?» domandò Michele con un sorriso, allungando nel frattempo un colpo alla sua allieva prediletta per impedirle di alzare gli occhi al cielo.

«Ahia!» protestai, sbuffando.

Proprio così, quel giorno Deborah e il mio istruttore avevano in mente di sellare Wind e di girarlo in tondino, per vedere come avrebbe reagito alla novità di portare un peso sulla schiena che non fosse il fascione da lavoro. Il momento in cui avrebbe potuto montarlo si faceva sempre più vicino ed io non potevo che essere molto contenta per lei, anche se, ogni volta che ci ripensavo,  provavo un leggero fremito di impazienza. Io e Killer, infatti, eravamo ancora ben lontani da quell'obiettivo.

«Cosa avete detto a Benedetta di Paprika?» chiesi, interrompendo il fiume in piena che era diventata Deborah mentre rispondeva all'istruttore.

«La verità» rispose Monica, scrollando le spalle. «Che l'abbiamo lasciata al paddock e che ogni tanto la muoviamo in tondino, ed è parecchio giù. Certo non deve essere facile passare dall'essere montata ogni giorno al non fare assolutamente niente...»

In quel momento Michele batté un pugno sul tavolo, lasciandosi sfuggire un'esclamazione di euforia. Quanto a noi, rimanemmo tutte e tre piuttosto scosse, mentre il tavolo del Club House non accennava a smettere di tremare.

«Mi è venuta un'idea!»

«Nel caso non si fosse capito» aggiunse Monica a bassa voce, facendoci scoppiare a ridere.

«Che ne dite di fare una bella passeggiata, oggi? C'è fresco, possiamo anche partire subito!»

Anche se ancora un po' perplesse, eravamo tutte d'accordo.

«Deborah, tu esci con Yale; Monica, tu con la tua Pillow. Quanto a Sarah...»

Il suo sguardo allegro si spostò su di me e io mi irrigidii, captando un brutto presentimento all'orizzonte: quando Michele faceva quella faccia significava sempre che aveva in mente qualcosa di nuovo. Nuovo, appunto, non necessariamente positivo. 

Lui spiegò, serafico: «Che ne dici di muovere Paprika, oggi? Non le può fare altro che bene! Magari puoi stare un po' in campo, prima di partire, così ne approfitti per conoscerla e abituarti a lei.»

Rimasi a bocca aperta. Non dovevo essere stata l'unica ad avere avuto quella reazione, perché le espressioni di Monica e Deborah non erano poi così diverse dalla mia.

«M-ma stai scherzando?!» quasi gli gridai contro, quando riuscii a riscuotermi. «Michele, quella è la cavalla di Benedetta!»

L'entusiasmo di Michele non accennò a spegnersi. «Lo so!»

Com'era possibile che non capisse? La sola idea di cos'avrebbe potuto farmi Benedetta, se avessi osato sfiorare la sua preziosa Paprika, mi dava i brividi. 

«Non puoi chiedermi di montarla!»

«Lo sai com'è fatta Benny... potrebbe... sì, prenderla un po' a male» tentò di spiegare Deborah, aggrottando la fronte.

«Conosco bene Benedetta e so, in effetti, come potrebbe reagire. Se però le spiegassimo che lo facciamo esclusivamente per il bene di Paprika, sono sicuro che non avrebbe proprio niente in contrario» obiettò Michele.

Scossi energicamente la testa. Anche io ero sicura che Benedetta non avesse molti problemi a fare montare Paprika a qualcuna delle sue amiche per un giorno. Il problema ero io. 

Benedetta mi aveva sempre detestato ma, sfortunatamente, tutto questo era estraneo al mio istruttore. Il suo intuito infallibile non era mai riuscito a intercettare niente di insolito negli atteggiamenti che Benedetta mi riservava, un po' perché lei stava molto attenta a nasconderlo e anche perché lui le era molto affezionato, non avrebbe mai sospettato niente. Oltretutto io non avevo mai sentito il bisogno di rivelarglielo, perché me l'ero sempre cavata alla bell'e meglio da sola e Azzurra mi aveva promesso che con lui avrebbe sempre tenuto la bocca chiusa. Non volevo ingigantire la questione e far scoppiare un inutile scandalo.

«Devi vederlo come un aiuto per Paprika, non una mancanza di rispetto nei confronti di Benedetta» spiegò Michele. «Se però non te la senti comunque, non importa» aggiunse alla fine, facendo un sorriso comprensivo.

«Certo che però... la reazione di Benny sarebbe indimenticabile!» commentò Monica divertita, guadagnandosi per tutta risposta un'occhiata truce da parte di Deborah. 

Facevo ancora fatica ad abituarmi al fatto che Monica si stesse progressivamente allontanando da Benedetta, dopo aver aperto gli occhi ed essersi resa conto che l'amicizia con quell'arpia non valeva proprio niente.

Dal canto suo, Michele scoppiò a ridere. «Non dovremmo affatto tenerglielo nascosto! Allora sì che sarebbe scorretto.»

«Mah... il fatto che tu me l'abbia proposto quando mancano tutte le sue amiche mi fa pensare che neanche tu sia esattamente in buona fede» lo presi in giro, guardandomi intorno nella veranda semideserta.

«Dannazione, mi hai beccato. Be', acqua in bocca, d'accordo? - scherzò lui, strizzandoci l'occhio in segno d'intesa.

L'espressione di Deborah a quel punto rasentava lo shock.

«Avanti Debs, non fare quella faccia, sto scherzando!» Michele scoppiò a ridere fragorosamente, seguito a ruota da Monica, e il volto pallido di Deborah parve riacquistare un po' di colore, forse anche per la vergogna.

«È che sembravi così convincente..!» si difese infatti, a metà tra il divertito e l'imbarazzato.

Michele a quel punto aveva le lacrime agli occhi dal gran ridere e dovetti farlo tornare in lui a suon di colpi sulla schiena. 

Monica esclamò decisa: «Dopo questa Sarah, non puoi proprio rifiutarti!»

Rimasi immobile per un attimo. 

Potevo osare così tanto? Michele, nonostante fosse all'oscuro di gran parte della storia, era sicuro di sé come al solito e, alla peggio, pensai con una vena di ironia, avrei potuto godermi lo spettacolo di una Benedetta furiosa il cui sguardo mandava lampi. Dopo di loro, però, il mio pensiero corse alla povera Paprika e risposi senza pensarci un secondo di più.

«Ok, lo farò.»


Dopo pranzo andai a prendere Paprika in paddock, approfittandone per portarci anche Killer, che non vedeva l'ora di uscire all'aperto.

Appena la cavallina mi vide, staccò la testa dal prato e mi venne incontro drizzando le orecchie, incuriosita ma allo stesso tempo molto cauta. Probabilmente era la prima volta che mi avvicinavo a lei così tanto, da quando frequentavo il maneggio di Michele, ma non me ne stupivo poi granché: Benedetta era sempre stata animata da una gelosia irrazionale nei suoi confronti, specialmente con me.

Scuotendo la testa, mentre pensavo a quanto fosse folle la sua padrona, le misi la capezza e uscimmo insieme dal paddock. 

Portai Paprika nel complesso nei box ma, non ricordandomi dove fosse il suo e non vedendo Michele nei paraggi, decisi di legarla ai due venti nelle poste, dove c'erano anche Deborah e Yale.

Quest'ultima, bloccandosi dallo strigliare il manto del grigio, mi mostrò i finimenti di Paprika - li conosceva a memoria -, ma mi consigliò di usare quelli della scuola, nel vano tentativo di addolcire la pillola a Benedetta una volta che fosse venuta a conoscenza della nostra brillante idea. 

Ero pienamente d'accordo con lei, così recuperai in giro un sottosella verde sbiadito, una testiera che a occhio mi sembrava della misura giusta e una sella un po' sformata tra quelle che Michele lasciava a disposizione degli allievi in selleria, e cominciai.

Spazzolai con cura il manto sauro della cavallina, facendo attenzione a togliere i grumi di fango che si erano formati sul pelo dopo tanto tempo passato all'aperto, e mi meravigliai di come si rilassasse al passaggio delle setole della brusca. Killer detestava essere strigliato.

Dopo averle pulito anche il muso e gli zoccoli, mi affrettai a sellarla, visto che Deborah e Monica sembravano essere a buon punto con la bardatura dei loro destrieri. La sella fortunatamente le stava alla perfezione, e dovetti solo allungare di qualche buco la capezzina perché anche la testiera facesse lo stesso effetto.

«I cavalli sono pronti, ragazze?» Michele ci venne incontro dal complesso dei box, con le redini di Harvard strette in pugno e il quarter baio che lo seguiva docilmente.

Annuimmo all'unisono e, dopo aver indossato cap e ghette, potemmo considerarci pronte anche noi. 

Che Paprika era su di giri glielo si leggeva negli occhi, mentre guardava gli altri cavalli con il fiato corto, visibilmente eccitata all'idea di uscire.

«Vuoi prima passare dal campo come avevamo detto?» mi chiese poi, spostando pensieroso lo sguardo sull'irrequieta cavallina. 

 Nel frattempo era salito su Harvard e Monica aveva fatto lo stesso su Pillow. Deborah invece stava ancora stringendo il sottopancia a Yale, che non pareva esattamente entusiasta all'idea.

«Direi di sì. Mi sembra molto agitata» risposi, accarezzandole il collo nel tentativo di tranquillizzarla, mentre continuava a girarmi intorno senza tregua.

Michele annuì, d'accordo con me, e tutti insieme ci avviammo nel campo ostacoli, dove Deborah montò in sella e io feci passeggiare Paprika sulla pista. Gli altri cavalli erano immobili al centro e la saura lanciò loro varie occhiate ansiose, prima di capire che non avrebbe potuto seguirli e iniziare ad ascoltarmi. 

Era molto nervosa e ogni volta che la sfioravo con i talloni scattava precipitosamente in avanti, ma non mi lasciai impressionare. La sua piccola statura mi rassicurava,  nonostante la consapevolezza di ciò che aveva fatto alla sua padrona, e in realtà fu dell'altro a colpirmi di lei.

Se Benedetta era così gelosa, da una parte non potevo che darle ragione! Raramente avevo montato cavalli così pazienti e intelligenti. Con Honey ogni cosa la facevamo lottando, mentre Paprika capì immediatamente cosa volevo da lei e non esitò ad assecondarmi, facendomi però subito capire dove sbagliavo e, in quel caso, protestando sonoramente. Era una cavalla obbediente, ma non un fantoccio nelle mie mani, e il merito di ciò poteva essere solo di Benedetta: tanto si poteva dire su di lei, ma purtroppo non che non fosse un'ottima cavallerizza. 

Dopo qualche ottimo giro di trotto, diressi Paprika al centro del campo, sicura di essermi abituata ai suoi ritmi, e ne informai Michele.

«Ottimo!» esclamò, facendo un gran sorriso. «Allora direi che possiamo partire.»

***

Era da tempo che non facevo una bella passeggiata e mi era mancata quella familiare sensazione di tranquillità che mi avvolgeva quand'ero in sella, di fianco a Michele, circondati da ettari ed ettari campagna. 

Il sole del tardo pomeriggio faceva capolino dalle colline stagliate in lontananza, illuminandoci con gli ultimi raggi e creando meravigliosi giochi di luce sulle chiome degli alberi: per un attimo rimpiansi di non aver portato con me il cellulare in modo da scattare qualche fotografia. 

Il respiro silenzioso della natura era interrotto dallo scalpiccio degli zoccoli sullo sterrato e, a intervalli regolari, dalle battute di Monica e da qualche aneddoto che Michele si divertiva a raccontarci. 

Paprika non faceva che guardarsi intorno, seguendo instancabile qualsiasi dettaglio attirasse la sua attenzione, una volta il volo di un rapace sopra di noi, un'altra le foglie cadute che attraversavano il sentiero sospinte dal vento. Nonostante tutto però, pareva abbastanza a suo agio.

«Galoppiamo un po'?» propose Deborah, che si stava già accorciando le redini sul collo grigio di Yale. 

 Davanti a noi, il sentiero si snodava in due strette stradine che tagliavano a metà un enorme campo, in cui si stagliavano una dozzina di imponenti balle di fieno. Avremmo potuto anche attraversarlo, visto che evidentemente lì avevano già raccolto.

Michele pareva dello stesso avviso, perché si affrettò a rispondere: «Perché no? Avanti, a chi arriva prima ai cancelli di quella fattoria laggiù!»

Davanti a noi si intravedevano in lontananza i profili di una vecchia costruzione da poco ridipinta di rosso e bianco, a giudicare dalla sua brillantezza, recintata da una palizzata degli stessi colori: senza dubbio una fattoria, ma non ricordavo di averla mai vista prima. Non ero mai stata da quelle parti ma, abitando comunque nelle vicinanze, ero a conoscenza di gran parte dei fattori della zona.

«Se vinco mi paghi la cena?» scherzò Monica, spronando Pillow.

«Mi manderesti in bancarotta!» obbiettò Michele, facendole un sorriso d'intesa a evidenziare che non aveva alcuna intenzione di offenderla. 

Ma Monica non era assolutamente il tipo, perché per tutta risposta scoppiò a ridere.

«Avanti!» Riportai l'attenzione sulla gara, incitando Paprika a partire, e lei non si fece pregare. 

Si lanciò al galoppo attraverso la stradina di destra e mi affrettai a sollevarmi sulla sella per non esserle d'intralcio durante la corsa. 

Michele e Harvard nel frattempo avevano imboccato la strada parallela alla nostra e, voltando appena la testa li vidi galoppare a tutta velocità, il mio istruttore chino sul suo collo come un fantino, mentre il vento gli scompigliava i corti capelli castani. 

Riportando l'attenzione sul sentiero davanti a me, vidi che conduceva all'imbocco di un fitto boschetto, da tutt'altra direzione rispetto alla fattoria. 

Così feci cambiare di scatto direzione a Paprika, che tagliò con sicurezza attraverso l'enorme campo, su cui Deborah e Monica si stavano affrontando in un testa a testa, Yale e Pillow ridotti a una chiazza grigia dai contorni indefiniti dietro di noi. 

Anche il sentiero di Michele doveva cambiare direzione all'improvviso, perché d'un tratto ce lo ritrovammo a fianco, mentre il vento ci sferzava il volto e l'eccessiva importanza che stavamo dando a quella competizione minacciava di farci scoppiare a ridere da un momento all'altro.

Di fronte a noi, la fattoria si faceva sempre più vicina e mi accorsi che era davvero gigantesca. Riuscii indistintamente a cogliere qualche dettaglio sullo sfondo: un uomo su un trattore, un paio di mucche al pascolo. 

Mentre il paesaggio ci sfilava rapidissimamente accanto, reso sfocato dalla velocità, mi accorsi che Paprika stava iniziando ad ansimare e, a malincuore, mi affrettai a farla rallentare. 

Michele ci superò nettamente con Harvard, e raggiunse la palizzata bianca della fattoria in un paio di falcate. Lanciò un grido di vittoria che alle mie orecchie suonò abbastanza ridicolo e fu raggiunto pochi attimi dopo da Monica e Deborah, mentre faceva fare un ampio circolo ad Harvard e ci raggiungeva al trotto.

«Non vale, mi hai lasciato vincere!» protestò, palesemente divertito.

«Non abituartici, perché la prossima volta ti farò mangiare la polvere» replicai a tono con una linguaccia, facendolo scoppiare a ridere. 

«A parte gli scherzi» aggiunsi, allungando una mano per accarezzare la fronte baia di Harvard. «Paprika si stava stancando e non mi pareva il caso di sforzarla.»

Michele annuì in segno di approvazione. «Hai fatto benissimo, meglio non tirare troppo la corda, all'inizio.» 

Fece fare una mezza volta al suo cavallo, in direzione di Monica e Deborah. «Rientriamo? Così abbiamo il tempo di muovere Wind,  come avevamo detto.»

Non ci fu neanche bisogno di ripeterlo. Deborah scattò in avanti con Yale e per tutto il viaggio di ritorno cavalcò in testa al gruppo, voltandosi di tanto in tanto verso di noi solo per incitarci ad aumentare il passo.

***

«Sono così emozionata!» esclamò Deborah, lasciandosi sfuggire uno strillo.

«Smettila di agitarti o finirai per spaventare Wind!» la riprese Monica, con un sorriso divertito che però tradiva il tono di rimprovero. 

 Oltretutto il grigio non sembrava affatto spaventato: immobile al centro del tondino, fissava attento la sua giovane padrona, che per l'eccitazione non riusciva neanche a stare ferma e faceva avanti e indietro saltellando, rendendo quello che doveva essere un evento cruciale per l'addestramento di Wind l'ennesimo momento di comicità. 

Sulla sua groppa, Michele aveva messo una vecchia sella nera a cui mancavano gli staffili, scucita e scolorita in più punti, su cui però Deborah non aveva aperto bocca, limitandosi a dire che era semplicemente perfetta. D'altronde potevo capirla: dopo mesi di attesa, qualsiasi cosa Michele le avesse dato sarebbe stata la migliore: niente poteva distoglierla dalla prospettiva che a breve avrebbe potuto montare Wind.

«Michele, qui siamo un po' impazienti!» gridai in direzione del Club House, sollevandomi appena dalla panchina per osservare il mio istruttore venirci incontro, con un sottopancia in mano e una frusta lunga nell'altra.

«Eccomi! Scusate, ero al telefono.» 

Si abbassò per scavalcare la recinzione del tondino e si diresse verso Deborah, a cui consegnò la frusta, prima di mettere il sottopancia a Wind che, obbedientemente, non si mosse di un millimetro. 

Monica mi fece notare a bassa voce che la frusta era alta quanto Deborah, ma la cosa non mi fece poi ridere più di tanto: in effetti era davvero piccola, ma negli occhi aveva tutta la determinazione necessaria ed ero sicura che anche Michele se ne fosse accorto.

Dopo che Wind si fu incamminato sulla pista e Michele ebbe fatto qualche raccomandazione a Deborah, lo vidi venire verso di noi. 

Si dovette accorgere della mia espressione perplessa, perché spiegò, scrollando le spalle: «Non mi ha voluto lì con lei. Incredibile, eh? La piccoletta mi ha cacciato.»

Scuotendo la testa divertito, uscì dal tondino, ma rimase comunque in piedi vicino allo steccato, pronto eventualmente a rientrare per dare una mano alla giovane allieva. 

Ma sembrava che non ce ne sarebbe stato bisogno: Wind seguiva con impegno le indicazioni di Deborah e iniziò a trottare tranquillamente, voltandosi di tanto in tanto giusto per annusare i quartieri della vecchia sella, che sembrava rappresentare un'assoluta novità per lui.

«Come avevi detto, sembra non conoscere i finimenti... per essere un cavallo sdomo e con un passato come il suo, però, è fin troppo tranquillo!» fece Monica all'istruttore, pensierosa.

Michele non si voltò, continuando a fissare attentamente i movimenti del grigio, come se non avesse sentito. Con quell'espressione inafferrabile dipinta sul volto un po' mi affascinava, ma sia io che Monica sapevamo che stava solo riflettendo sulla domanda. 

«Magari ha avuto un buon approccio da piccolo, prima di passare nelle mani di quel contadino. Non ha associato la sella a un ricordo negativo, quindi dubito che quell'uomo possa aver contribuito al suo addestramento. Altrimenti avrebbe tutt'altro tipo di reazioni.»

«Quindi pensi sia sicuro farlo montare a Deborah?» chiesi abbassando la voce, un po' incerta. 

Non volevo mettere in dubbio le sue capacità da istruttore né offendere Deborah, ma quella domanda suonò comunque inappropriata alle mie orecchie.

Michele annuì, continuando a osservare i due nel tondino. Spostai anch'io lo sguardo su di loro: Deborah aveva condotto Wind al centro per cambiare mano, ma si era ingarbugliata con la longia e,  nel tentativo di liberare i piedi, aveva finito per aggrovigliarsi ancora di più. 

Dopo averci lanciato uno sguardo imbarazzato, si era inginocchiata sulla sabbia per sciogliere i nodi con le mani e, in tutto questo, il grigio era rimasto a osservarla, incuriosito ed immobile. I suoi zoccoli erano terribilmente vicini alla testa bionda di Deborah, ma non accadde nulla. 

Alla fine la ragazzina si alzò soddisfatta, con un fascio di corda tra le mani, e si accinse a spronare Wind come se non fosse successo niente.

Monica, Michele ed io tirammo all'unisono un sospiro di sollievo, per poi lanciarci uno sguardo d'intesa e scoppiare a ridere. 

Wind aveva silenziosamente risposto alla mia domanda. Sembrava che si fosse accorto di quanto piccola e impacciata fosse Deborah e avesse agito di conseguenza. Se mi fosse successa una cosa simile con Killer, ci avrei giurato, non sarei sopravvissuta abbastanza per raccontarlo. Anche lui si era reso conto che io ero un'imbranata, ma evidentemente aveva scelto di comportarsi nel modo opposto, approfittando delle mie debolezze.

Scossi la testa, vagamente divertita, prima di alzare lo sguardo e incrociare quello ironico di Michele. Seppi per certo che stavamo pensando alla stessa cosa.

Feci per aprire bocca, ma lui mi anticipò: «Non vedo l'ora che tu faccia lo stesso con Killer, Sarah. Sono sicuro che ce la farete e... ammettilo, su. Piacerebbe anche a te!»

Di fronte al suo sorriso divertito, pensai alla prima volta che avevo avuto un simile pensiero, tante settimane prima, quando avevo girato il baio in tondino con conseguenze disastrose. Lì per lì avevo provato un senso di repulsione. 

Stavolta però, fui sincera.

«Sì» dissi, senza riuscire a trattenere un sorriso. «Sarebbe davvero fantastico!»


IN FOTO: Sarah e Killer.

*SPOILER* E non dovrai neanche aspettare così tanto, cara Sarah! XD
Eccomi tornata! Ci ho messo un sacco perché volevo essere sicura di pubblicare il capitolo insieme al trailer, che dovreste trovare sopra, in allegato all'immagine. Vi piace? So che non sembra, ma ci ho messo davvero tantissimo per farlo, sarei felicissima se mi faceste sapere cosa ne pensate :) Inoltre, ho finalmente trovato il tempo di cambiare la copertina, spero vi piaccia! Vi ringrazio anche per le più di mille e cinquanta persone passate a dare un'occhiata alla storia, lettori che probabilmente ho già perso visto che aggiorno ogni tre secoli. Yeeh!

In questo capitolo accadono tante piccole cose insieme: progressi tra Deborah e il suo grigio, avvicinamenti tra Killer e Sarah, l'inaspettato ritorno di Paprika e non solo... ma tornando a noi, HO UNA NOTIZIA IMPORTANTE - e non tanto bella - PER I QUATTRO GATTI RIMASTI A SEGUIRE MY DREAM COME TRUE: fino ad ora mi sono limitata a copiare ed incollare capitoli che avevo già scritto, mentre a partire dall'undicesimo sono tutti in fase di scrittura. Ed io sono lenta a scrivere. Lentissima. Passerà molto prima che riesca ad aggiornare, ma tornerò! Non abbandonatemi, le avventure di Killer e Sarah (e una new entry tutta nera! **) devono continuare :)

PS: "A Killer non piaceva essere controllato, [...]": signori e signore, abbiamo scoperto che Killer è un Divergente!

Captainwithoutasoul.

Continue Reading

You'll Also Like

8.4K 207 71
Eccoci qui con la seconda parte! Come vedete ho ripreso la foto delle loro braccia (questa è nuova ovviamente) come per la prima parte così per conti...
3.2K 568 18
Talìa Waves è una giovane ragazza di 18 anni. Vive in una piccola città in California,Avalon. Sembra essere sfrontata,diffidente e sicura di sé,semp...
33.4K 3.4K 50
𝑰 𝒈𝒆𝒏𝒊𝒕𝒐𝒓𝒊 𝒅𝒊 𝒖𝒏𝒂 𝒓𝒂𝒈𝒂𝒛𝒛𝒂 𝒄𝒐𝒏 𝒍𝒂 𝒕𝒆𝒔𝒕𝒂 𝒔𝒖𝒍𝒍𝒆 𝒔𝒑𝒂𝒍𝒍𝒆, 𝒊𝒏𝒕𝒆𝒍𝒍𝒊𝒈𝒆𝒏𝒕𝒆 𝒆 𝒊𝒏𝒅𝒊𝒑𝒆𝒏𝒅𝒆𝒏𝒕𝒆 �...
17.4K 1.3K 48
In questa raccolta troverete le più belle e le più importanti citazioni tratte dall'Arrowverse e dal DC's universe ;)