Sex Lessons • H.S

By VittoriaArcidiacono

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Quando il tuo fratellastro ti chiede se è il caso che tu prenda lezioni sul sesso da parte sua, la risposta d... More

00. Prologue.
01. Really?
02. Serios?
03. The introducion.
04. The first lesson.
05. Why?
06. The second lesson.
07. The school.
08. New sister.
09. The police.
10. Cut and psicology.
11. Party and too drink.
12. I lost the verginity.
13. Died and born.
14. My body?
15. Violence.
16. Holiday.
17. Please!
18. How?!
19. The bad messagge.
20. The third lessons.
21. Truth or dare?
22. Where we are?!
23. It isn't a lessons.
24. Hi, it's me.
25. A diary?
26. Sexting or not?
27. Tatoo.
28. Home sweet home.
29. Sex or love?
30. Did you know?!
32. Wanning and memories.
33. Hair cut.
34. Peter!
35. I wrot this.
36. Bathtub.
37. Is this possible?
38. Some years later.
39. Go away.
40. Airport and journey in the memories.
Epilogo.
Ringraziamenti ed altro.
Amate Harry Styles? Bene, allora leggete!

31. I can't believe it!

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By VittoriaArcidiacono

Sorrido ampiamente, incapace di credere che Harry mi abbia portato nella spiaggia dove, pochi mesi fa (è già passato tutto questo tempo?), abbiamo stretto il nostro accordo. Che non sia andato nei migliori dei modi è un altro fatto, ma penso che non sia stato un brutto errore - forse il migliore della mia vita.

Sorrido mentre saltello come una bambina di cinque anni, sulla sabbia fresca; la sensazione che quest'ultima provoca sui nostri piedi è qualcosa di spettacolare. Ho sempre amato andare in spiaggia d'inverno, fin da quando ho quattordici anni e, ad essere sincera, penso sia un'abitudine che non perderò mai. Soprattutto adesso che c'è Stan: è bellissimo vederlo giocare così libero; mi fa sentire bene, anche se può sembrare una cosa stupida. Non che non lo sia, ma, magari, lo è per gli altri; per me è meraviglioso vedere queste creature giocare così liberamente. Forse perché amo gli animali (non lo metto in dubbio, questo) o, magari, solo perché il cucciolo rappresenta i sentimenti che provo per Harry.

«Smettila deficiente!» grido mentre ridacchio, appena mi prende in braccio a mo' di sacco di patate. Dio, mi arriva il sangue al cervello; mi pulsano fortemente le tempie.
«Harry!» strillo di nuovo, cercando di salvaguardare la mia sanità mentale; anche se, ammetto, che non mi dispiace affatto il suo strano modo di giocare.
«Zitta, nana!» mi dà una sculacciata, al che io sobbalzo e mi faccio scappare un urlo poco virile dalle labbra. Sto ridendo; ridacchio come non ho mai fatto nella mia vita: sono felice, non riesco a trovare problemi, di nessun genere. E per questo devo ringraziare il mio ragazzo, nessun altro se non lui; gliene sarò grata per sempre. Perché, anche se un giorno ci lasceremo (spero che non succeda ma, come diceva sempre mia nonna, mai dire mai), io sarò felice di essere stata sua, perché mi ha insegnato cosa significa vivere e non esistere.

Mi ha saputo dimostrare che la teoria di Oscar Wilde era giusta e veritiera, al contrario di come molte persone pensano. Disse che ci sono persone che vivono, come ci sono uomini che esistono; penso sia la cosa più vera che un essere umano possa aver mai sentito uscire dalla bocca di qualcuno o, in tal caso, dalla penna di qualcuno. E, non perché io sia completamente ed egoisticamente dalla parte di questo scrittore forbito, ma credo che sia uno dei migliori che siano mai esistiti.

Prendo tra le mie gracili braccia Stan che, già un po' cresciuto, mi fa gravare per il suo peso corporeo; è un cucciolo pesante, oserei dire, enorme. Ma la cosa mi piace e mi addolcisce alquanto, insomma: quale persona sana di mente a cui piacciono gli animali non adora quelli paffuti? Nessuna, appunto.

«Holland!» grida Harry prima di darmi un morso sulla guancia; Dio, è così infantile.
«Ma sei deficiente?!» strillo spazientita lasciando il piccolo sulla sabbia ed iniziando a correre per acchiappare il mio fratellastro.

~

Quando arriviamo a casa, non so veramente cosa pensare; insomma, Harry adesso è il mio ragazzo (ed io, giuro, non potrei esserne più felice), ma c'è questa costante paura di un qualcosa che non so cosa sia. Dio, sono così contraddittoria con me stessa. Comunque sia, prendo una mela dal vassoio per poter passare un po' di tempo in santa pace; non voglio che nessuno per ora (e con nessuno intendo proprio così) mi rivolga la parola.

Mi stendo sul divano e addento la mia amata mela verde e croccante, mentre penso a tutto quello che mi sta intorno. A come io, una ragazza che ha fatto soffrire tantissima gente, possa aver trovato la mia felicità che, sì, consiste in un ragazzo, ma è pur sempre felicità. A come Harry, seppur uno dei ragazzi più strani che conosco, mi ha accettato per il mio carattere lunatico e non per il mio corpo. Ma, dopo, sopraggiunge un altro pensiero tra le tante immagini che mi si proiettano in testa: la nostra relazione. Potrà davvero funzionare? Insomma, siamo pur sempre parte della stessa famiglia e non penso sia normale che io sia così affezionata a lui. Ho paura che un giorno, per una motivazione o per un'altra, non potremmo più stare insieme - né come fratellastri né come coppia.

È la prima volta che mi succede una cosa del genere; quando lo vedo non respiro più e il mio cuore prende a battere velocemente, facendomi sentir male. Nonostante io sappia che lui ormai è mio (perché siamo fidanzati, il che implica tale cosa), vederlo è sempre un vero e proprio colpo al cuore. E so perfettamente che, detta così, sembra una di quelle frasi prese da strani social network dove gli utenti sono solo undicenni che vorrebbero essere sedicenni innamorati; ma è la pura verità. E la cosa mi infastidisce, terribilmente! Odio con tutta me stessa, dover dipendere da una persona che non sia io; come farò se le cose andranno male?

Senza accorgermene, come se non dormissi da mesi, mi addormento beatamente nel divano in pelle. Percepisco perfettamente il freddo che sento a contatto con il tessuto ghiacciato, ma non me ne curo pur di dormire qualche minuto.

Poco dopo, quando apro gli occhi e metto a fuoco nitidamente le cose che vi sono intorno a me - ad esempio Harry, mi accorgo di aver dormito per ben più di qualche minuto. Comunque sia, Harry mi fissa in modo alquanto inquietante e si mordicchia il labbro inferiore, come è solito fare in determinate circostanze. Cosa succede, adesso? La risposta, nonostante io non la immagini neanche lontanamente, mi spaventa un po': ha lo sguardo perso.
«Haz?» lo richiamo perché, nonostante stia guardando i miei boccoli rossi, sembra che stia vagando tra i suoi pensieri.

«Haz, cosa succede?» chiedo abbastanza preoccupata da quella che potrebbe essere la risposta; Dio, mi sta mettendo in ansia.
«Harry!» urlo con tutto il fiato che ho in gola quando, vagamente, sposta lo sguardo dai miei capelli ai miei occhi, senza mai degnarmi di una parola.
«Cazzo.» una sola parola abbandona le sue labbra carnose e, in questo momento, secche e quasi disidratate. Per quanto è stato qui a fissarmi mentre vagavo tra i sogni?

«Cosa c'è Harry?!» più che una domanda, a questo punto, dalla mia bocca è uscita un'affermazione dal tono abbastanza scocciato. Insomma, vuole dirmi o no cosa è successo che lo ha reso così inerme a tutto?!
«Ho trovato questo.» dice parlando, quasi, a tratti. Mi sta veramente intimorendo; solitamente è molto allegro o, almeno, lo è da quando ho lasciato Niall per dedicarmi completamente a lui: quella che definisco una mossa sensata.

Insieme alle sue flebili parole, mi arriva anche un cofanetto di velluto blu: quelli in cui solitamente si pongono gli anelli per le richieste di matrimonio. Oh Dio, cosa? Spero di aver capito male, e non perché io non tenga ad Harry tanto da non volerlo sposare, ma perché non è il momento giusto, assolutamente. Dio, mi sto facendo troppe paranoie mentali.
«Dove l'hai trovato?» chiedo mentre lo apro e resto a bocca aperta (anzi, spalancata; anche se penso che non ci siano parole per descrivere lo stupore che provo al momento). L'anello che vi sta all'interno sarà di un valore a dir poco inestimabile; ha un diamante enorme al centro.

«Stavo cercando dei preservativi nel cassetto di mio padre...» si gratta il retro della nuca in imbarazzo: adoro il fatto che si senta ancora a disagio nel parlare di questi argomenti, nonostante abbiamo fatto sesso più di una volta.
«E, sì, insomma: l'ho trovato dentro un calzino. Sai cosa significa, vero?» chiede ed io, come solo una stupida farebbe, ci penso per più di qualche secondo.
«Proposta di matrimonio per mia madre?!» dopo qualche secondo arrivo alla conclusione ed i miei muscoli, indolenziti dal lungo pisolino, si tendono irrimediabilmente.
«Già, cazzo!» si alza dal sua posizione ed inizia a camminare avanti e indietro per il salone, con le mani tra i ricci con fare evidentemente disperato. Dio, che situazione è mai questa?

«Harry, sta' calmo, magari...» ma, prima che finisca la frase, mi blocco, rendendomi conto che non vi sono scuse; è proprio come la pensiamo ed è terribile questo.
«Calmo un cazzo, Holland!» sbraita ed io ringrazio di essere soli in casa; sembriamo dei pazzi psicopatici.
«Se non potremo più stare insieme, io non voglio vivere qui!» urla e dà un calcio al tavolino davanti a lui; così, ahimè, distruggerà tutto, anche sé stesso. E se lui si distrugge, io mi rompo in mille pezzi insieme a lui: sono fregata, nel vero senso del termine.

«Harry, Harry.» mi alzo e lo raggiungo sperando che lo possa calmare al meglio. Odio vederlo così, mi fa sentire lo stomaco attorcigliato e il cibo sembra voler abbandonare il mio corpo così come ci è entrato. Afferro il suo viso tra le mie piccole mani e lo guardo dritto negli occhi, quelle fantastiche iridi verdi dal colore unico e sensazionale.
«Calmati, ti prego.» lo supplico baciandogli il mento, dato che la mia scarsa altezza mi permette di arrivare lì (in punta di piedi, tra l'altro).
«Holland, non posso perderti, merda!» il tono, che mi aspettavo fosse adirato, invece è sfinito, calmo, disperato: una semplice constatazione che mi lascia senza parole.
«Amore, sh.» con l'aiuto delle mie mani lo attiro verso di me e, con gli occhi chiusi e pieni di lacrime, lo bacio delicatamente.

«Sei mia, piccola.» poggia la fronte sulla mia e mi dà un bacio sul naso, sospirando pesantemente. So che anche lui, nonostante io lo faccia notare meno, prova le mie stesse sensazioni e i miei stessi sentimenti.
«Solo tua, promesso.» sorrido lievemente, stampandogli un bacio sul palmo della mano con cui mi sta accarezzando il collo.

«Holland, dobbiamo sabotare mio padre cosicché non chieda a Leila di sposarlo.» dice, qualche minuto dopo, mentre siamo accoccolati nel divano.
«Cosa?» chiedo, non arrabbiata o schifata dalle sue ignobili parole, ma stupita; sarebbe davvero capace di farlo solo per stare con me? Dio, mi farà impazzire; o meglio, già lo ha fatto.
«Sì, piccola. Non posso perderti, cazzo.» le sue parole, seppur già dette in precedenza, sono dolcissime e capaci di farmi sentire felice in una situazione così triste.

«Harry, dobbiamo mantenere la calma, okay? Tengo a te più di qualsiasi altra cosa al mondo; non ti perderò, okay?» lo guardo negli occhi, il più intensamente possibile: voglio fargli capire che quello che sento per lui va oltre ogni cosa.

La sera stessa, dopo aver parlato del fatto appena accaduto, ci sediamo a tavola: io e Gemma, Harry di fronte a me e i nostri genitori a capo tavola. L'imbarazzo che proviamo è così tanto che lo avvertiamo come un velo sopra di noi, il quale crea un'ombra scura che non vedo l'ora di rompere.
«Bene, come è andata la giornata, Leila?» Des che, evidentemente cerca di aprire una conversazione per non mangiare nel silenzio più totale (perché, onestamente, non sarebbe una cosa carina), pone la domanda addentando un pezzo di pollo.

Io, di conseguenza, guardo Harry che del cibo nel suo piatto, non ha toccato nulla: adesso che guardo meglio, in realtà, non ha neanche utilizzato le sue posate. Dio, mi dispiace esageratamente vederlo in questo stato di trance, insomma, è come se mi si attanagliassero le viscere. Lo stomaco, improvvisamente, mi si è chiuso: un nodo che, inevitabilmente, considero impossibile da snodare.
«Già, com'è andata?» chiedo alzando un sopracciglio, curiosa di sapere cosa abbia fatto oggi la donna seduta a capo tavola.

«Nulla di molto eccitante in realtà, ho lavorato come sempre.» resta molto vaga, come se non volesse affrontare il discorso che include le sue attività giornaliere.
«E tu, Gem?» chiede il riccio di fronte a me, forse per cambiare discorso, cosa di cui gli sono veramente grata: odio questo tipo di domande. È come se qualcuno volesse sapere gli affari tuoi e, onestamente, è la cosa che odio di più al mondo.

La serata, purtroppo, passa così: con i nostri genitori che, invano, cercano di aprire una conversazione; inutili tentativi. Comunque sia, sono felice del fatto che nessuno di noi ragazzi abbia provato a intraprendere una qualche tipo di strana orazione; insomma, non ero pienamente del giusto umore.

Siamo arrivati al dolce; non so il perché, ma questa sera la cena è stata diversa: piena di delizie e cose che, volente o nolente, ti fanno venire l'acquolina in bocca nonostante siano cucinate da una persona che odi.
«Bene,» Des che, fin ad adesso, ha mangiato il suo piatto dolciastro in silenzio, parla, «vorrei fare un brindisi: alla nostra famiglia che, nonostante tutto, è rimasta unita.» continua alzando il suo bicchiere verso un punto indefinito sopra la tavola.
«A noi.» mia madre, con il suo sorriso malefico e vendicativo, alza il suo bicchiere di vetro e la fa tintinnare con quello del suo futuro marito, a quanto sembra.
«Già, a noi...» dice Gemma, alzando il suo calice pieno di succo di frutta.

Io ed Harry, come se legati da un filo che, pur non vedendosi, è uno dei più forti che io abbia mai percepito tra me ed una persona (persino Allison e Zayn), ci alziamo contemporaneamente guardandoci negli occhi. I suoi fantastici occhi verdi sono lievemente spenti ed onestamente, capisco il perché: è lo stesso motivo per cui io sto male.

Senza dire alcuna parola, non che ve ne sono molte da pronunciare, sbattiamo ognuno il bicchiere in quello di qualcun altro. Ma, dopo qualche secondo, accade quello che tutti e due speravamo non accadesse mai: Des si alza e infila una mano nella sua tasca, frugandoci dentro. Successivamente si inginocchia davanti a mia madre e, con lo stupore di quest'ultima, esce il cofanetto dai suoi pantaloni e sorride come inebetito dalla sua bellezza, non che mi madre sia una delle più belle donne mai viste al mondo.
«Leila, so che è davvero molto presto... ma devo dirti una cosa: sei una delle donne più belle e simpatiche che io abbia mai visto.» inizia quello che credo essere uno dei lunghi monologhi sdolcinati; adesso capisco da chi ha preso il ragazzo di fronte a me.

«Quindi, vorresti rendermi l'uomo più felice del mondo,» apre il cofanetto facendo vedere a tutti per la prima volta (o meglio, così sarebbe dovuto essere) l'anello, «sposandomi?» finisce il suo discorso con un piccolo sorriso, uno di quelli che, solitamente, si usano solo per far addolcire qualcuno che vi è di fronte a noi.
«Sì, certo!» urla la donna con il bicchiere in mano, facendo schizzare il liquido al suo interno da tutte le parti - compreso il mio viso.

«Auguri.» dico sorridendo in modo sarcastico e, dopo qualche secondo, mi alzo per poter andare in camera mia e stare un po' tranquilla, nella più beata solitudine.

È incredibile come una persona possa stare meglio sola, mi dicono tutti. Ogni volta che mi viene detta un cosa del genere, la prima cosa che faccio e respirare a fondo ma, nonostante io conti fino a dieci per placare la mia rabbia, non riesco perfettamente nel mio intento. Penso che ognuno abbia i propri metodi per poter sentirsi meglio; bene: il mio è chiamato solitudine. Comunque sia, raccolgo i miei pensieri ed esco fuori nel balcone, per poi salire sul tetto e sedermi sopra le regole corrose dagli agenti atmosferici quasi bipolari di Londra.
«'Fanculo.» dico tra me e me, prima di lanciare un piccolo sasso di fronte a me con tutta la forza che trovo nel mio esile corpo.
«Perché a me?!» getto fuori un brutto urlo stridulo, così stridulo che in confronto le unghie di un gatto su una lavagna sono un bel suono.

Le lacrime mi corrodono le guance e, nonostante io sappia il motivo del mio piccolo attacco, mi stupisco di me stessa. Ho pianto più tristezza da quando vi è Harry nella mia vita che in tutto il corso degli anni da quando mia madre (mi duole il cuore quando la chiamo così) mi ha partorito. Mi mordo energicamente il labbro che, tra qualche secondo, penso, sarà un ammasso di carne smorta e sanguinante.

«Holland...» la voce che riconosco essere quella del mio ragazzo, interrompe i pensieri masochisti che aleggiavano ininterrottamente nella mia testa.
«Harry...» scoppio in lacrime un'altra volta e mi sento incredibilmente stupida perché, Santo Cielo, proprio io: qualche ora fa gli ho detto di non farsi prendere dal panico perché avremmo sistemato tutto. Ma la verità è tutt'altra: io sono troppo debole per affrontare tutto questo; o meglio, penso che, a rendermi debole, sia stato l'affetto del mio fratellastro.

Mi abbraccia e le sue enormi braccia ricoperte da tatuaggi mi inglobano quasi completante, fino a farmi sparire, in quella che io oso definire "casa". Adesso, riscaldata da quella che definisco parte della mia anima, ho finalmente smesso di piangere. Ciononostante sento ancora qualche singhiozzo; mi giro per scoprire che provengono da Harry il quale, mi sembra, non piange mai.

«Non posso crederci.» dice riscaldandomi la spalla con il suo fiato caldo; una sensazione che riesce a far sciogliere il mio cuore.
«Harry, ne usciremo.» ribatto, seppur io sia la prima ad avere le guance indurite per l'asciugarsi costante del pianto.
«Holland, non so se posso resistere.» mi lascia un bacio umido sulla guancia ed io gli accarezzo i capelli.

Stesa sul letto, con Stan che mi lecca interamente le guance bagnate di lacrime (Dio solo sa se ai cani non manca veramente la parola), sono veramente distrutta. Tutta questa situazione è surreale, una di quelle storie che elabori solo nei tuoi sogni più remoti. Che razza di fratellastri si mettono insieme, come re e reginetta? Nessuno, appunto. Non mi vergogno delle scelte che ho intrapreso, ma vorrei che la serie di eventi cambiasse; certo non in modo radicale, ma almeno un po'. Quel poco che basterebbe a mettere la mia anima e, credo, quella di Harry in pace; non voglio il lieto fine, solo una fine che, preferibilmente, preveda noi insieme.

Anche se, onestamente, non ho mai creduto in tutte quelle cose vagamente affini all'amore: per me sono solo illusioni. E quest'ultime fanno veramente molto male, Dio solo sa quante ne ho avute nella mia vita (a partire da mia madre). Oramai, infatti, ogni volta che mi capita una bella cosa o, non necessariamente bella ma accettabile, mi preparo psicologicamente perché, prima o poi, arriverà quella orribile. E quella terribile non ha le capacità che ha la prima da me citata, assolutamente no; le cose brutte ti spezzano le gambe facendoti sprofondare in un mondo di dolore che, Dio del Cielo, non oso chiamare Terra.

«Mi dispiace.» Gemma fa capolino nella mia camera e, con lo sguardo basso, si avvicina a me. È distrutta e la cosa mi fa piacere; Santo Cielo, chiaramente non perché il suo dolore mi faccia stare bene: semplicemente, la sua bile mi fa capire quanto tiene a me e a suo fratello.
«È okay.» sforzo un sorriso e, Dio, avrebbe visto quanto è falsa la mia espressione anche un bambino la cui vista è pari a zero.
«Non è okay, Jonson!» urla la mia sorellastra (questa parola mi lascia un retrogusto amaro in bocca). E, nonostante la situazione alquanto patetica, scoppio in una fragorosa ed esagerata risata.

«Perché ridi, deficiente?» trilla Gemma sbattendomi un cuscino dritto sul naso.
Lascio perdere questo piccolo inconveniente, in quanto non voglia ucciderla, poiché ciò implicherebbe pulire il suo sangue dal mio bel pavimento. Dio, sono sadica.
«Perché da come hai strillato sembravi il mio vecchio coach Henderson. Anche lui mi chiamava per cognome, Dio!» inizio di nuovo a ridere, questa volta crepapelle perché, davvero, mi è sembrata quel vecchio disgraziato che, oramai, sarà in pensione se non addirittura sotto terra.
«Cogliona!» fa una miriade di smorfie, tra cui la linguaccia; scoppio in un risolino isterico e la ringrazio mentalmente perché, per qualche minuto, dimentico la faccenda che oso chiamare vita.

E, per un momento, le lacrime affiorano nei miei fragili occhi; così calde e scottanti che quasi voglio piangere solo perché tali goccioline d'acqua salata bruciano terribilmente. Dio, vorrei avere una di quelle vite perfette, dove i problemi sono rari e risolvibili in pochi minuti e con pochi gesti; una di quelle esistenze non tanto eclatanti, ma abbastanza da renderti felice e soddisfatto del costante respiro. Certo, non vorrei mai il "e vissero per sempre felici e contenti", ma semplicemente un "vissero"; perché, onestamente, questa per me non è vita. Stare, in un qualche strano modo, lontana da una persona che amo, io non la posso definire vita; assolutamente no. Sarebbe come prendermi in giro da sola e, sinceramente, ne ho abbastanza di tutte queste illusioni che mi circondano.

Decido di andare a dormire perché, Santo Cielo, devo riposare per poter avere la capacità di non addormentarmi in classe, domani.

~

Quando mi sveglio, il sole è offuscato dalle nuvole nettamente grigie che oscurano il vasto cielo. Per l'amore di Dio, amo la stagione invernale in tutto e per tutto, ma odio quando l'azzurro è scuro a causa delle nubi. Mi gratto la nuca e sbadiglio ampiamente, scocciata da questa maledetta routine che non fa che ripetersi all'infinito facendomi uscire fuori di testa.

Dò un bacio sulle labbra ad Harry che ancora dorme come un ghiro in letargo (strano esempio, ma tanto per rendere l'idea) e vado in bagno per preparami; sicuramente la campanella, che segna l'inizio dell'inferno, non aspetterà me! Mi lavo con l'acqua fredda: nonostante sia inverno pieno e Londra sia una delle città più fredde che io conosca, preferisco il fresco per iniziare la giornata. Ovviamente, nulla che possa migliorare una di esse, insomma: c'è scuola ed io ed Harry siamo fratellastri (tra poco anche dal punto di vista ufficiale), quindi...

Quando arrivo a scuola, non faccio altro che andare in bagno e guardarmi allo specchio; sinceramente non so il motivo per cui lo faccio, ma è così. Mi metto davanti il mio riflesso, con le mani piantate così fortemente al marmo della piattaforma del lavandino che le nocche diventano banche, e osservo i miei grandi occhi verdi. Non c'è un motivo, non c'è una logica; è semplicemente così e la cosa non mi infastidisce quanto dovrebbe.

Le lezioni passano lentamente, così lentamente che quasi mi viene voglia di buttarmi dalla finestra da cui sto guardando due uccellini volare; beati loro e la loro dannata libertà. Mi guardo intorno, perché, onestamente, non ho voglia di ascoltare questa lezione, seppur io ami filosofia e tutte le materie affini ad essa. Comunque sia, aspetto che l'ora finisca, per poter recarmi a casa, mangiare e buttarmi sul letto insieme a Stan per non fare nulla tutto il giorno. Più o meno quello che faccio da circa due settimane.

Sto praticamente contando i giorni - quante giornate mancano alla fine di questo maledetto inferno e, quindi, all'inizio del collage. Ho deciso che andrò all'università perché, onestamente, voglio progettare un bel futuro; non che me lo meriti, non dico assolutamente questo. Ma, mal che vada, avrò una casa, un'abbondante cultura e un'indipendenza che, sicuramente, non sentirò mia che, però di fatto, lo sarà.

Stan mi lecca interamente la mano ed io ridacchio per il solletico che la sua lingua provoca al mio palmo.
«Sai, magari un giorno vivremo solamente noi due insieme; magari in una casa enorme dove il frigo è pieno di cibo.» dico al mio cucciolo, accarezzandogli la parte che congiunge la testa al busto.

Abbaia, il che mi fa nascere qualche serio dubbio su di lui e sulla razza canina in generale; che essi ci capiscano veramente? Dio, proprio non saprei; ma di una cosa sono certa: mi sto ponendo tutte queste domande inutili solo per distrarmi dai miei veri pensieri, quelli che fanno male. La realtà mi investe pienamente e, oserei dire, pesantemente ai limiti della potenza.

O troviamo un modo per scappare e stare insieme od io ed Harry ci dobbiamo lasciare.

Angolo autrice

Io non so veramente come dovrei scusarmi. So che sono in ritardo da praticamente mesi, ma proprio non riuscivo a scrivere. Penso che abbia il "blocco dello scrittore" - anche se non mi ritengo così brava da essere definita tale. Semplicemente: non posso forzare le mie dita a far qualcosa che, per l'amor di Dio, deve per forza venire naturalmente.
Ma, ciononostante, giuro che proverò a pubblicare il nuovo capitolo tra pochi giorni. Comunque, tra un po' finisce la scuola e, poiché andrò in America in completa solitudine, avrò tempo per scrivere e, appena avrò imparato a parlare bene l'inglese, tradurrò la mia stessa storia.
Detto questo, spero continuerete a intasarmi di notifiche; sappiate che siete stati la mia salvezza.

La vostra Tori.

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