TWICE - Like a storm

By KellyCherish

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Victoria Wilson, newyorkese di nascita vive la vita che tutte le ragazze della sua età vorrebbero. Figlia del... More

Cast
PROLOGO
MY HANDS ARE TIED - Scarlett
THERE ARE CLOUDS ON THE HORIZON ...
YOU CAN'T JUDHE A BOOK BY ITS COVER
WHEN IT RAINS IT POURS
THERE'S NO SUCH THING AS A FREE LUNCH
CLOSE YOUR EYES AND MAKE A WISH
PULL YOURSELF TOGETHER
NO PAIN, NO GAIN
ACTIONS SPEAK LOUDER THAN WORDS
WRAP YOUR HEAD AROUND SOMETHING
A PENNY FOR YOUR THOUGHTS
BARKING UP THE WRONG TREE
THAT SHIP HAS SAILED
LOVE IS A FRIENDSHIP SET ON FIRE
A LITTLE MAN
THAT'S THE LAST STRAW
NO GOING BACK
Hang in there
IT'S UP TO YOU
ADD INSULT TO INJURY
HEARTWARMING
YOUR GUESS IS AS GOOD AS MINE
THE BREAKPOINT
HE'S OFF HIS ROCKER
LOVE WILL FIND A WAY

START FROM SCRATCH

37 7 14
By KellyCherish

  

 Gli arrivederci che profumano d'addio, 

sono quelli i più difficili da pronunciare. 



VICTORIA'S POV


<< Mamma, anche tu hai una bambina nella pancia ? >>

<< sei bastata tu a rovinare il mio corpo >> lo sguardo disgustato di chi vuole ferirti, quando dovrebbe solo amarti.

Non erano parole sporadiche le sue, quella era la mia quotidianità. A soli sei anni avevo capito che se avessi avuto bisogno di un sorriso, non l'avrei trovato sul volto dei miei genitori. Loro si divertivano, anche tanto. Sorridevano moltissimo, ma non lo facevano mai per me. A soli dieci anni avevo scoperto di essere un peso, un fardello, il loro imprevisto. 

<< Ma perché il signore non ci ha dato un figlio maschio?  >> era stata quella conversazione a provocare il mio primo attacco di panino. Avevo solo dodici anni ed era il giorno del mio compleanno. Da allora avevo smesso di festeggiarlo anche perché, a dire il vero, non si erano mai preoccupati di farlo loro. 

A quindici anni la mia insegnante di lettere aveva richiesto un incontro con lo psicologo della scuola. 

<< scrivi divinamente Victoria. Tale padre, tale figlia >> era stato imbarazzante giustificare la mia reazione eccessiva. Avevo stracciato in mille mezzi la mia poesia in prosa uscendo selvaggiamente dall'aula. Non avevo mai avuto comportamenti violenti prima di allora, ma quel paragone mi aveva offesa. Essere una " Wilson ", come mi definivano in molti, non era un privilegio o un onore. Essere una Wilson era per me una condanna, una dolorosa condanna. 

Non volevo essere accomunata a mio padre.  Avevo pregato di essere l'eccezione. Di essere quella mela caduta lontana dall'albero. Speravo che un'improvvisa folata di vento durante la mia caduta, mi avesse fatta ruzzolare a mille miglia di distanza da quel tronco putrido che erano i miei genitori. 


<< Allora, sei sicura di non voler venire con noi? >> Scarlett aveva appena terminato di prepararsi per la sua festa di compleanno.

<< Tranquilla Scar, Harry sarà qui alle otto >> gli avevo chiesto di accompagnarmi, di non lasciarmi sola ad affrontare quella situazione imbarazzante.

Scarlett, la mia amica, era bellissima. L'abito in seta le scivolava sui fianchi accarezzandoli appena. E l'ombretto dorato le illuminava il viso mettendone in risalto la carnagione olivastra. 

<< Viky >> si era fermata a metà tra la porta della mia stanza ed il corridoio della nostra casa << dalle una possibilità >>

Ricordo di aver avuto un attimo di titubanza. Di essermi chiesta a chi si stesse riferendo. 

Dalle una possibilità

Dalle. 

Dai a lei.

A lei chi? 

<< Pinar, dalle una possibilità? >> lo smarrimento sul mio volto l'aveva costretta a fornirmi quella delucidazione.

<< Da quando siete così intime? >> il tono conciso ed indagatore di chi ha appena compreso di aver smarrito un pezzo fondamentale del puzzle. 

" Ti sorprenderesti di scoprire quanto le cose siano cambiate negli ultimi mesi " La freddezza e convinzione con cui aveva pronunciato quelle parole erano stati un pugno in pieno petto. Avevo passato il tempo a domandarmi cosa volesse dirmi, a cosa volesse prepararmi. 

<< Non essere sciocca, Victoria. Sai con quanta facilità stringo legami, ma non è di questo che stiamo discutendo adesso. Voglio solo dirti che non è male come sembra, anche lei ha avuto una vita difficile >> la mia risata glaciale a fendere l'aria e a provocarle un cipiglio sul volto.

<< hai la sindrome della crocerossina, Scarlett ?  ti leghi solo ad amiche problematiche, dal passato difficile?  >> non lo pensavo, non era mia intenzione ferirla o mettere in dubbio la sua amicizia. Soprattutto quella che la legava a me.

<< Sai che c'è Viky? >> ferma, immobile dinanzi a me a cercare il modo migliore per mandarmi a quel paese << vaffanculo >> ecco, appunto. 

Me l'ero meritato, non avevo fatto niente per risparmiarmi quell'imprecazione. Era uscita di scena avanzando spedita verso la porta d'ingresso che era finita a vibrare rumorosamente contro lo stipite, a causa dell'energia con cui se l'era chiusa alle spalle. Non mi ero sforzata di correrle dietro solo perché avrei trovato il modo di farmi perdonare, come sempre.

Per fortuna Charlotte non era ancora rientrata dal corso di nuoto, altrimenti avrei dovuto sorbirmi anche il suo broncio per aver fatto arrabbiare sua zia. Più passava il tempo, più le assomigliava ed io adoravo che fosse così. Scarlett era gioia incontenibile e sorrisi sinceri. Era abbracci improvvisi e baci appiccicosi. Scarlett era istinto nella sua forma più pura ed io desideravo che mia figlia fosse come lei. Che vivesse una vita ricca di colori e che la sua anima conoscesse solo la gioia e l'amore. Volevo il meglio per Charlotte, per questo avrei dovuto tenerla lontana dalla mia famiglia. 

Ad ogni costo.

Dovevo tenere mia figlia al sicuro. 

Dovevo tenere lui al sicuro.


<< Sei sicura di voler fare un salto alla festa, Viky?  >> avevo riferito ad Harry della discussione avuta, poco prima, con Scarlett e lui aveva insistito per portarmi altrove. 

<< è il suo compleanno Harry e lei è stata l'unica a festeggiare i miei. Scarlett è una delle poche persone che mi hanno amata davvero. Come potrei farle questo?  >> lui sapeva quanto fosse importante per me. Avevo trascorso gli ultimi mesi a fargli capire chi fossero le persone davvero importanti nella mia vita. 

<< ma tu devi dirglielo Viky. Almeno lei deve saperlo. Io non posso sopportare di essere l'unico a portare questo fardello sulle spalle. E se ti succedesse qualcosa io ... >> lo bloccai, non volevo sentire cosa avesse da dirmi. Non potevo tirarmi indietro, ormai avevo deciso. 

Non era stata una scelta improvvisa, ma ben pensata e ponderata. Irremovibile.

<< Harry, ti prego. E' l'unico modo >> avevo chiuso il discorso perché non ero pronta ad illudermi che ci fossero soluzioni diverse, alternative migliori. 

<< Va bene, faremo come vuoi tu >> un leggero sbuffo e poi l'ultima manovra prima di spengere il motore dell'auto. Eravamo nel parcheggio privato del locale quando posai la mia mano tremante sulla sua. Un tacito ringraziamento che volevo gli arrivasse dritto al cuore. Harry era stato la mia ancora di salvezza. Se non avessi avuto lui sarei caduta, affondata nel più profondo degli oceani. 

A te la scelta Victoria. 

Ricordati chi sei, sei una Wilson.

Non accetto che il mio cognome venga affiancato ad un musulmano. 

Ci tieni alla sua vita, figlia mia? 

Non avevo dormito per giorni, non ricordavo più quale fosse l'ultima volta in cui i miei occhi avessero raggiunto l'oscurità se non spinti dal peso della stanchezza. Benjamin Wilson, l'ombra nera della mia anima. L'onta peggiore della mia vita. L'uomo dalle mille facce, tutte immorali, oscene e repellenti. Definirlo uomo o addirittura padre era la peggiore delle offese per chi quei ruoli li svolgesse con onore e lealtà. 

Era un razzista schifoso e  la sua xenofobia era la conferma della sua vacuità.

La sua ossessiva mania del controllo. 

I suoi giochi di potere. 

Per qualche ragione voleva me. Per qualche scherzo del destino, l'unica figlia che era riuscito a concepire era importante. 

" quando sarà pronta prenderà il mio posto. E' scritto il mio cazzo di cognome su quella sedia del cazzo e lei dimostrerà di esserne all'altezza " qualche notte dopo il mio rientro da New York avevo ricordato quel rimprovero agghiacciante con cui aveva intimorito e mortificato il  nostro avvocato. Avevo provato a mettere insieme i pezzi del puzzle. Le ricerche in rete non mi avevano condotta a niente. Il suo nome veniva ricondotto, sempre e solo, alla sua fottuta casa editrice. Ed i complimenti che gli venivano elargiti, mi contorcevano lo stomaco dal disgusto.

Qual è il tuo scheletro nell'armadio Benjamin Wilson?

Se solo l'avessi scovato avrei avuto qualcosa per ricattarlo.

Ma non avevo chance, perché il tempo era scaduto.


<< Hai deciso quando lo farai? >> avevamo deciso di non parlarne, che l'avrei fatto e basta. Erano quelli gli accordi. Ma quel pensiero sembrava torturarlo e preoccuparlo come il più pressante dei problemi.

<< Avevi promesso che non ne avremmo parlato, Harry. Ho solo bisogno di sistemare le ultime cose in ufficio ed aspettare che il mio ex marito riparta da Istanbul, una settimana, al massimo due >> una confessione che provocò il suo palese irrigidimento. Era proprio davanti a me quando lo fece, si voltò e mi fissò come se avesse appena udito  la più blasfema delle imprecazioni.

<< Non puoi dire sul serio, Viky. Hai pensato a tua figlia, alla scuola, alla sua vita qui >> eccolo lì, l'Harry a cui mi ero affezionata. Il ragazzo dolce e premuroso che si era occupato di me come se fossi il più prezioso dei diamanti. Lui era così, ti lasciava libera di scegliere , libera di sbagliare, ma quando arrivava il momento di vederti mettere in pratica quelle decisioni , temeva di aver fatto la cazzata del secolo a non esprimere il proprio parere. E provava a farti cambiare idea.

<< Ho pensato soprattutto a lei >> ed era vero. Avevo pensato a lei, a Charlotte e a ciò che fosse meglio per lei.

<< Ed a lui >>  soprattutto a lui.  All'unico raggio di sole filtrato oltre i muri antiproiettile che avevo innalzato per una vita intera. 

<< Harry >> come una supplica, pronunciai il suo nome procedendo verso l'ingresso del locale. Varcammo l'insegna al neon e sopraggiungemmo alla biglietteria elettronica. Subito dopo, un ragazzino gentile e dagli occhi vispi, ci fornì cappelli, guanti, un parka da eschimese e degli stivali che indossammo velocemente sulle panchine colorate adiacenti all'ingresso. 

<< Andiamo, siamo in ritardo >> feci per aprire la porta antincendio che ci separava dalla festa, ma Harry mi afferrò per un polso impedendomelo.

<< Lo fai per lui, non è vero? >> il suo sguardo sulle mie labbra, così a lungo da farmi dubitare dei suoi sentimenti per me. Eravamo amici, nient'altro. 

<< Harry >> presi un lungo respiro ed il suo sguardo incrociò il mio << ti ho mai detto cosa rappresenta Vulkan per me? >> forse non ero mai stata in grado neanche di confidarlo a me stessa. Lui scosse il capo, lasciò il mio polso e lasciò lo spazio necessario tra i nostri corpi.

<< ho capito, spero solo che lui ne valga la pena >> come avrei potuto spiegargli che la sua vita era tutto ciò che contasse per me? che comunque fossero andate le cose io non avrei mai potuto dimenticare il nostro legame. 

Io non avrei mai dimenticato l'unico amore della mia vita.

<< lui possiede metà della mia anima, Harry. Sono disposta a perderlo, pur di non perdermi >>

<< Sei disposta a saperlo con un'altra? questa è follia Viky. Non ha senso, ciò che stai dicendo >> sembrava affranto, costernato. 

Come glielo spieghi l'amore a chi non è mai morto e rinato per esso?

<< sarò forte abbastanza >> e forse fu quella convinzione ad uccidermi un attimo dopo. 

Oltre la porta blindata, oltre il bar centrale fatto esclusivamente di ghiaccio, lo vidi. Un sorriso sbarazzino sul suo volto perfetto e le ginocchia a reggere un corpo non mio. Gli vidi tirare indietro i capelli come faceva quando era rilassato. Lo vidi ridere alle sue battute e giocherellare con le ciocche bionde dei suoi capelli. Riconobbi la dolcezza dei suoi gesti e la genuinità dei suoi sguardi. 

<< Viki >> una mano calda sulla mia spalla 

<< Cazzo Harry, non respiro. Lasciami respirare >> ferma a pochi passi da loro, ma lontana anni luce dalle loro menti.

Ancora un respiro profondo. 

<< Viky >> sentii urlare il mio nome da quella che riconobbi come la voce rassicurante della mia amica. Non era arrabbiata, ci era passata sopra, come sempre. Avanzai oltre le sculture di ghiaccio e le finte tendine artiche che separavano i piccoli privè, ognuno dei quali presentava la stessa struttura. Tavolini quadrati al centro di divanetti circolari sui quali erano appoggiati cuscini rossi e blu a righe. 

<< Pensavo non venissi più >> il suo abbraccio fu caldo e confortante. Rivolsi un saluto veloce ai nostri amici della palestra, poi abbracciai Alp che mi tenne stretta a sé come se volesse farmi sentire la sua vicinanza, la sua comprensione.

<< Ciao Viky >> ancora quel tono apatico, come poteva usarlo con me? Soffocai il dolore e mi voltai. 

<< Ciao Vulkan >> mi avvicinai al suo volto per baciargli le guance. Erano tre i baci che si davano gli amici in Turchia, giusto? Ne contai uno e mi scostai da quel contatto, da quel profumo, da quel volto. Tutto di lui mi faceva sentire forte e fragile allo stesso tempo. Mi allontanai dal suo corpo quando provai la medesima sensazione che mi spingeva a chiudermi nell'armadio quando ero solo una bambina.  Sentirsi di troppo, essere un peso o un fardello per chi avrebbe solo dovuto amarmi. Mi scostai da lui perché non era solo, perché le sue mani erano arpionate sui fianchi snelli di un'altra donna. Una donna che mi aveva appena salutata ricordandomi di esistere. 

Pınar Deniz. 

" Dalle una possibilità " me l'aveva chiesto Scarlett ed io non l'avrei delusa, non il giorno del suo compleanno.

La salutai e lei mi porse una guancia. Non me lo aspettavo, per cui restai impalata ad attendere che fosse lei a fare la prima mossa, a baciare la mia guancia. 

Dove le metti quelle labbra Pinar? 

Chi le bacia quelle labbra Pinar?

E' felice con te?

Deglutii a fatica e forzai un sorriso. Indietreggiai fino a quando le mie spalle non furono a contatto con il petto di Harry.

<< prendete qualcosa da bere >> Alp mi passò una tazza fumante. Era cioccolata calda ed il pensiero che Scarlett avesse osato rinunciare ad una festa all'insegna dell'alcol mi provocò un sorriso a mezza bocca. Scarlett mi fece spazio accanto a lei e mi accarezzò amorevolmente il viso 

<< temevo che non venissi. Stai bene? >> annuii sforzandomi di apparire sincera.

No, non stavo affatto bene. Ma come avrei potuto dirle che quello sarebbe stato il nostro ultimo compleanno insieme? 

<< Ti voglio bene, Viky >> le mani sul mio volto e gli occhi dentro i miei.

<< per sempre? >> 

<< per sempre >> quella era una promessa, la nostra. Erano anni che non lo facevamo più quel giochetto che ci aveva tanto divertite quando eravamo solo due adolescenti dal cuore leggero.

<< Ragazzi scusate ma ci avete interrotti sul più bello >> una delle ragazze con cui affrontavo le sessioni di allenamento in palestra si sedette sul tavolo e si rivolse a me ed Harry, seduto alla mia destra << quando siete arrivati, Pinar aveva appena iniziato a parlarci del matrimonio >> 

<< Matrimonio? >> chiesi stringendo le nocche sulla giacca metallizzata. 

<< La location è meravigliosa e ci saranno i miei fiori preferiti, le camelie australiane. Alcuni amici di mio padre sono riusciti a procurarcele >> pregai di aver frainteso. 

Non immagini quante cose siano cambiate negli ultimi mesi

Le parole di Scarlett divennero un groviglio di pensieri nefasti, spada di Damocle per la mia stabilità emotiva.

<< Eravamo indecisi se celebrarlo a Bursa o su un'isola greca, ma per questioni pratiche abbiamo optato per la prima opzione >> un sorriso radioso ad illuminare il volto. Era bella, più bella di come la ricordassi.

Un giorno ci sposeremo su un'isola greca, i piedi nudi sulla sabbia bollente, lo sciabordio delle onde a farci da melodia. E poi passeremo la vita a far l'amore.

Quel ricordo mi strinse il petto in una morsa dolorosa. 

Deglutii e respirai a fatica.

<< e poi sono in cantiere dei figli, tanti piccoli Kurt >> e tutto quel ghiaccio si trasformò in stalattiti irti e pungenti che mi trafissero il cuore. 

Un giorno avremo tanti piccoli Kurt a gironzolare per casa.

E fu allora che l'avvertii quella sensazione di vuoto incolmabile, quella voragine gigantesca nel petto. Posso giurare di aver sentito il cuore scheggiarsi, spezzarsi e poi frantumarsi in mille pezzi. Mi si mozzò il fiato per pochi istanti. Poi, ripresi a respirare, ma ormai ero morta. Morta dentro.

Mi alzai, spintonai prima Harry e poi qualcun altro accanto a lui e fuori di lì, lontana da tutti.

Respira Victoria. Fa dieci lunghi respiri. 

Il fiato corto, i polmoni in carenza di ossigeno. Mi mancava l'aria come quella volta a Parigi. Quella notte che aveva parlato con possesso e gelosia delle mie lune ed io mi ero rintanata in un'ascensore senza una meta ben precisa. La vista appannata, l'udito ovattato, il cuore galoppante come quella volta che mi aveva tirata fuori dall'oscurità con un semplice " Vieni qui, Americana ". Io non potevo sopravvivere a tutto ciò senza morire.

<< Viky, torna qui >> la sua voce non era più rassicurante come quando mi aveva accolta qualche attimo prima. Scarlett non era più la mia amica d'infanzia in quel momento, lei era il nemico. La mia mente la classificava come tale. 

<< Perché non me l'hai detto? perché hai voluto che lo sapessi da loro? come hai potuto farmi questo? tu sei come tutti, sei come mia madre che mi odia per avermi messa al mondo. Come mio padre che, a stento, ricorda i miei lineamenti, visto che gli fa schifo anche guardarmi in faccia quando si rivolge a me.Sei come lui, come Vulkan che mi giura amore eterno e dopo due mesi si sposa con un'altra, che per altro era >> ero un fiume in piena, una freccia velenosa scagliata contro chiunque fosse venuto al mondo per farmi male. Se solo avessi saputo cosa aspettarmi, quell'annuncio non mi avrebbe colta impreparata.

<< ma ti ascolti quando parli, Victoria? >> l'espressione irritata.

<< Io? cosa pensi stia provando ? dimmelo. Lo capisci quanto tutto questo sia >> non riuscivo a parlare e lottavo affinché le lacrime non mi rigassero il volto. 

<< Lo capisci quanto deve aver sofferto lui quando tu sei scomparsa >> non potevo credere al fatto che si stesse preoccupando per Vulkan piuttosto che per me. 

Leggimi nel pensiero Scarlett, leggimi dentro come solo tu sai fare. Perché pensi che abbia rinunciato a lui? 

<< Ti preoccupi per lui adesso? ed io Scar? e cosa ho vissuto io quando ho scoperto cosa avesse fatto mio padre? come l'avesse ricattato. Ti sei preoccupata per me? >> strillavo e me ne infischiavo degli sguardi sprezzanti dei passanti che si fermavano a curiosare.

<< Ti sei mai chiesta come si è sentito quando è uscito da quella stanza di ospedale e non ha trovato le uniche mani che desiderava strette alle sue? ti sei mai chiesta come si è sentito quando, dopo aver perso sua sorella, ha dovuto scoprire di aver perso anche te? Vulkan non ha perso cianfrusaglie e cose di poco conto. Vulkan ha perso sua sorella, sua sorella cazzo. E tu cosa hai fatto? sei spartita e sei volata in villeggiatura con un altro uomo? >> non dirlo Scarlett, non osare insinuare che io abbia potuto toccare un altro uomo.

<< Tu non lo hai visto, era distrutto, devastato, spezzato >> la mano sul petto e gli occhi lucidi a causa di quel ricordo doloroso. 

E se io fossi rimasta al suo fianco sarebbe anche morto.

<< Ti dirò una cosa Viky e spero che non mi odierai per questo. Ma sono tua amica ed è giusto che sia sincera con te, come ho sempre fatto. Io non so perché l'hai fatto, non so perché hai deciso di comportarti come se ti avessero strappato il cuore dal petto, come se non fossi più in grado di provare sentimenti >> non lo ero. Avevo un cuore ed era pronto ad esplodere, non avrebbe retto a lungo quella sofferenza.

<< Ti conosco da tutta la vita e non ti ho mai vista prendere una decisione per te stessa. Hai passato l'adolescenza a tentare di soddisfare le aspettative dei tuoi genitori, chiusa in camera a studiare per emergere, per essere la prima della classe, a primeggiare in tutto. Volevano che studiassi pianoforte e dopo un anno sei diventata la più brava del tuo corso. Poi, sono passati al violino ed anche in quello hai eccelso. A dodici anni, ti hanno imposto di studiare lingue antiche. Tu detestavi farlo. Ma anche in quello non hai peccato.  Non facevi altro che dirmi di odiare il tuo cognome, di odiare la tua vita e di detestare i tuoi genitori, ma non hai mai smesso di trovare un modo per farti amare e quando hai trovato qualcuno che volesse farlo davvero, con tutto il cuore, con tutto se stesso, senza chiederti nulla in cambio tu hai mollato. Alla prima difficoltà tu ti sei arresa, Viky >>  non era un ammonimento severo, ma una constatazione. Quelle erano parole taglienti come lame affilate, dolorose come ferite a contatto con il sale, pungenti come spilli e corrosive come acido muriatico. 

Avevo vissuto così, provando a compiacere i miei genitori. 

<< Ho passato gli ultimi mesi a domandarmi come si sarebbe comportato lui al tuo posto. Avrebbe preso quell'aereo o avrebbe lottato per te? >> mi ero posta la medesima domanda per tutti quegli anni,  ma non mi ero concessa di giungere ad una risposta. 

<< Adesso lo so, Viky. Lui avrebbe lottato. Al tuo posto lui sarebbe rimasto, perché non ho mai visto amare qualcuno come lui ha amato te. E non accetto che tu dia la responsabilità dei tuoi comportamenti al tuo passato, al modo malato in cui sei stata cresciuta. Non accetto che tu non ti assuma la responsabilità delle tue scelte, perché venendo qui, accettando questo lavoro, hai dimostrato di saper decidere per te stessa. Quindi se è lui che vuoi, se è lui che ti fa stare bene, combatti e riprenditelo >> 

Ha amato te. Ero ferma lì.

<< Victoria mi stai ascoltando, dannazione >> 

<< Non farti dominare dall'ansia, dalle preoccupazioni e dalle paranoie. Tutto ciò che hai fatto, tutte le decisioni che hai preso ti hanno portata  qui, fino a lui. Non sfidare il destino, lotta per questo amore che ti fa brillare gli occhi >>

<< Io non posso >> avevo indietreggiato scuotendo la testa per il turbinio di emozioni che quelle parole avevano scatenato dentro me.

<< La storia del matrimonio è >> non le permisi di scusarsi per quello.

<< Me ne andrò >> non era previsto che glielo comunicassi in quel modo, avevo deciso di lasciarle una lettera. Lei sarebbe stata l'unica a conoscere le motivazioni dietro quella decisione improvvisa.

<< Cosa? >> Scarlett accorciò le distanze tra noi.

<< La prossima settimana me ne andrò, Scarlett >> le prime lacrime a rigarmi il volto. 

<< Torni a New York? questo è un deja-vu >> la risata sardonica ad esprimere la sua disapprovazione.

<< New York è l'ultimo posto in cui metterò di nuovo piede in questa vita >> l'avevo giurato a me stessa durante il volo di ritorno dagli Stati Uniti. 

<< Adesso sono un pò confusa >> il turbamento nel tono e sul volto.

<< Porterò Charlotte lontana dalla mia famiglia e da suo padre >>

<< Ti accuseranno di rapimento di minore. Nessun luogo al mondo sarà sicuro con le conoscenze che hanno i Wilson ed i Thompson. Finirai in galera, Viky. Perderai per sempre l'affidamento di tua figlia. Questa è una follia >> le mani strette tra i capelli e la disperazione mista ad incredulità nelle impercettibili rughe di espressione. 

<< Ho una persona che mi darà una mano >> 

<< Harry, il dolce e romantico Harry? >> anche, ma non solo. Avevo affidato la vita mia e quella di mia figlia ad una persona abbastanza scaltra e potente. Non mi sarei mai pentita per quel compromesso

<< Non ti metterò in pericolo e se ti raccontassi i dettagli lo farei. Voglio solo che tu sappia che starò bene e che un giorno, quando tutto questo sarà finito, tornerò >>

<< Viki >> la voce strozzata dal pianto << c'è sempre un'alternativa. Devi solo trovare in te la forza di cercare la tua via d'uscita. Non la mia, dei tuoi genitori o di Vulkan, ma la tua >> 

Le occhiaie spaventose, i pantaloni larghi ed il volto smunto erano la dimostrazione dell'impegno urgente con cui avevo affrontato l'intera questione. Non vi erano soluzioni, alcuna alternativa a quella di lasciare il Paese, falsificare i documenti e diventare invisibile.

<< quanto tempo ho per farti cambiare idea? si parla di fine anno giusto? di quando termina il tuo contratto qui ad Istanbul? >>

<< Esatto, abbiamo tempo >> non lo avevamo. Archie sarebbe arrivato ad Istanbul il giorno dopo ed avrebbe visto sua figlia per l'ultima volta. Ancora una settimana e poi avrei dovuto dirle addio.  






Una settimana dopo il compleanno di Scarlett ero in preda all'agitazione. Archie sarebbe ripartito nel primo pomeriggio per tornare a New York ed io sarei scomparsa oltremare con nostra figlia. Non sarebbe stato così difficile andare via, lasciarmi tutto alle spalle, se il capo del mio capo mi avesse risparmiato la riunione con i manager di Amsterdam e Vienna per l'apertura di altri hotel in Europa. Non sarebbe stato così doloroso se non avessi saputo di dover incrociare i suoi occhi per l'ultima volta. 

Indossai un tailler bianco e truccai leggermente il mio viso, ma solo per nascondere il pallore e gli occhi blucerchiati. Prova di notti insonni e sogni spezzati. E proprio mentre mi avviavo per andare al lavoro decisi di farlo, di indossare un ultima volta quel cappellino che era stato il suo primo regalo.

Wilson non c'è niente di male a dirmi che mi vuoi.

Lo volevo, moltissimo. 

Ma non ero brava con le parole, non riuscivo mai a dirgli quanto forte fosse il mio sentimento per lui. 

Allora troverai il modo di farmelo sapere. Facciamo che ogni volta che indosserai il mio cappello, io saprò che hai bisogno di me, che mi vuoi.

Ed io ci andavo anche a dormire con quel cappello. E quando facevamo l'amore mi voleva vestita solo di quello. Era un gioco stupido, adolescenziale, ma era il nostro modo di parlare all'altro senza che fossero le parole a farlo per noi.

Entrai nella sala riunioni e mi accomodai al mio posto. Ero in ritardo e loro erano già li, tutti. Lui era già lì. Non avrei mai dimenticato l'incredulità e la consapevolezza che gli dipinsero il volto quando colse il mio segnale. Quel cappello lo era. Era il mio "ti sto pensando", il mio " vorrei fare l'amore con te", ma era anche il mio " devo dirti addio".

Distribuii pile di documenti a tutti i presenti e quando arrivai a lui, feci in modo che il mio mignolo sfiorasse il suo polso, mi intrufolai al di sotto del polsino della camicia e toccai il suo sole. Vulkan restò impassibile, ligio al suo dovere di capo. Sguardo fisso sul tavolo e braccia immobili per evitare di ricambiare quel contatto. Ed io fui sopraffatta dall'amarezza. 

Non era più mio, l'avevo perso.

Attesi la fine della riunione per salutare tutti e lasciare la stanza << Ci vediamo a casa, Scar >> le misi una mano sulla spalla e puntai il mio sguardo sul volto di Vulkan.

Socchiusi gli occhi implorandoli di mantenere vivo il ricordo di lui ed andai via.



Spazio Autrice 

La parte più difficile non è dire addio, ma convincerci con quell'addio. Convivere con il vuoto che quell'addio ci lascia.

Certe volte non ti manca un abbraccio, ti manca L'ABBRACCIO, proprio quello.

Vi aspetto al prossimo capitolo.

Con affetto, 

Kelly.

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