Urbana

By uncannish

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Sono degli outsider da manuale, i Neftali's Heart. Nati durante le prime settimane estive del '91 in un'isola... More

𝑻𝑯𝑬 𝑹𝑰𝑺𝑬 𝑨𝑵𝑫 𝑭𝑨𝑳𝑳 𝑶𝑭...
Prologo
Un nuovo mezzo artistico
Il popolo del sottosuolo
La teoria degli alieni
Scena madre
Neftali's Heart
Lester + John
Chitarra, basso e batteria
Il giorno libero di Simon Becker
Outsider tra gli outsider
Le ragazze
Terreno fertile per la distruzione
Appuntamento fisso
Il fantasma amichevole
Un posto sicuro
Ricominciare

Incroci

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By uncannish

Anni prima, quando Greta gli aveva chiesto di scappare per sempre da Urbana, John non ci aveva pensato due volte e aveva rubato l'auto di suo padre.

Quell'idiota lasciava sempre le chiavi in giro, si sbronzava e il mattino dopo passava ore a cercarle, così quella sera era rientrato in casa, aveva preso le chiavi della Chevy Nova malandata di Doug Chapman ed era scappato via.

Era l'85, e sembrava che tutta la musica più bella di sempre fosse già uscita l'anno prima, lasciando i punk senza una vera direzione da prendere se non seguire le tracce lasciate dai loro predecessori. Nonostante ciò, John reputava l'85 un anno fortunato.

Quella sera lui e Greta avevano girato per i campi desolati del Midwest per tutta la notte, lei con una sigaretta tra le labbra e la testa fuori dal finestrino, i capelli blu cortissimi smossi dal vento. John si girava a guardarla e sentiva il cuore piombargli nello stomaco ogni volta. Così avevano passato tutto il tempo del viaggio a cantare a squarciagola nella notte le canzoni da un mixtape fatto da John, un mix di canzoni di D.I., Black Flag e Subhumans, imitando l'accento britannico di questi ultimi e cercando di non ridere, dimenandosi durante le strumentali e le parti più assordanti. Alla fine si erano fermati accanto a un campo di grano, avevano accostato e si erano stesi sul cofano dell'auto a guardare il cielo notturno. La puzza di concime dei campi non rendeva il tutto così romantico.

«Perché vuoi scappare da Urbana?» aveva chiesto all'improvviso John. L'altra aveva alzato le spalle.

«Ho la sensazione che starei meglio ovunque tranne che qui.»

John si era spostato i capelli dalla faccia, che in quel periodo lasciava crescere finché non diventavano un cespuglio ingestibile, che puntualmente gli guadagnava schiaffi e ramanzine dai suoi, e aveva guardato Greta per un po'. I suoi, di capelli, gli erano sembrati dello stesso colore del cielo in autunno, un blu opaco e scuro capace di risucchiare tutta la luce attorno a lei.

«È colpa mia?» aveva domandato poi. «Se non ti piaccio più dillo e basta.»

«Quello che provo per te non c'entra niente. Altrimenti non ti avrei chiesto di scappare con me

Silenzio.

«Devo restituire l'auto a mio padre. Chi lo sente sennò.»

«Bella scusa,» aveva sputato Greta. «Tu lo odi, tuo padre.»

«È vero,» si era limitato a constatare John. «Però non me la sento di andarmene per sempre da qui. Per le band, e tutto il resto. I miei amici. Insomma, cose del genere. Sono sicuro che anche tu la pensi allo stesso modo, ma non vuoi ammetterlo.»

«Tu non sai niente di quello che penso io.»

Avevano passato un sacco di tempo in silenzio e alla fine Greta gli aveva preso la mano.

«Io ci provo, a capirti,» John aveva risposto solo in quel momento. «Ma è... cazzo, è difficile.»

Greta aveva guardato il cielo per un po', senza lasciargli la mano. A un certo punto nella sua vita, ne era sicura, qualcosa dentro di sé era andato storto, ma non capiva cosa.

«Quello che provo, John...» aveva iniziato Greta, con cautela. Girando attorno all'argomento come sempre, perché sé stessa era qualcosa che non avrebbe mai capito a pieno. «Non lo so, mi sembra sempre che sia troppo rispetto agli altri. Ho troppa felicità, troppa rabbia, troppo odio dentro di me. Di solito spingo tutto a fondo, ignoro la cosa, e dopo un po' riesco a distrarmi. Tutto finisce seppellito dentro di me. Ma a quel punto è ancora peggio, mi sembra come se tutto perdesse di valore, tutto intorno a me diventa grigio e bruttissimo. Tutto ciò che ho intorno non fa altro che provocarmi apatia, così le emozioni si accumulano in silenzio fin quando non riesco più a trattenerle e tutto esplode. E poi il ciclo ricomincia da capo.»

John non aveva la minima idea di come risponderle, cosa dire per farla sentire compresa, ma Greta l'aveva preceduto, aveva sorriso e aveva terminato il discorso guardandolo negli occhi, con una luce che non le aveva mai visto prima.

«Ma con te è diverso. Se ci sei tu è tutto diverso. Perché riesci sempre a migliorare quello che hai intorno, e anche io mi sento migliore con te.»

*

John riapre gli occhi e la prima cosa che fa è chiedersi se quella conversazione sia successa davvero, quella notte di tanti anni fa.

Gli viene quasi naturale mettere a confronto quel ricordo con la litigata dell'altro giorno. Quella sera è stato un vero disastro: dopo il concerto, John era su di giri e voleva farlo sapere a tutti i suoi amici. Tutti, nessuno escluso. Dopo aver parlato con Dex e gli altri degli Energy Drinks, giunti al Beryl per vederli, era uscito fuori di soppiatto, con l'intenzione di chiamare Lester da una cabina telefonica. Greta l'aveva visto, l'aveva seguito per la strada e aveva capito tutto; da lì la situazione era precipitata. L'astio della ragazza per il suo mentore era sempre stato evidente, ma quella sera la cosa era degenerata, il tutto amplificato dalla gelosia, dall'alcol e dall'adrenalina post-concerto. John, innervosito dal suo eccesso di controllo, le aveva risposto male e il resto era venuto da sé, si erano rinfacciati a vicenda qualsiasi cosa potessero rinfacciarsi sin da quando erano ragazzini, avevano iniziato a urlare dando spettacolo davanti al Beryl, e per l'ennesima volta si erano separati. Non si erano ufficialmente lasciati, in realtà, eppure la situazione era mille volte peggio dell'ultima volta, almeno per lui.

Non appena si muove, un'improvvisa emicrania lo assale, e come colpito da una scossa si rannicchia su sé stesso, portandosi le mani alla testa. Alza lo sguardo, sente gli occhi secchi, di sicuro iniettati di sangue. Quando si volta verso il comodino lo trova pieno di fazzoletti, e tra loro spicca una bottiglia di whisky di cui è rimasto poco più che un sorso.

Guarda la sveglia: è pomeriggio inoltrato. Non ricorda quando si è messo a letto, né per quanto abbia dormito. Il suo pensiero va subito a Jason e Val, poi ricorda che erano stati loro stessi ad annullare le prove in quei giorni per permettergli di riprendersi. Aveva passato le ultime notti saltando da un bar all'altro, in compagnia di Dex che dall'ultimo concerto sta cercando di tirargli su il morale.

Mentre si rimette seduto, cercando di trattenere la nausea che dalla bocca dello stomaco si propaga fino a coinvolgere tutto il corpo in una sensazione terribile, John ricorda come in una flash il concerto della sera prima.

Si trattava di un gruppo hardcore di terz'ordine, la brutta copia di un gruppo di imitatori dei Germs. Venivano da uno Stato vicino, forse l'Indiana o qualcosa del genere, e Dex, prima del concerto, si era offerto di ospitarli alla casa occupata. Poi, durante il concerto, il cantante aveva preso a far roteare il microfono, tenendolo dal filo, come fosse un lazo. Come prevedibile, il microfono gli era sfuggito di mano e aveva preso Dex dritto in un occhio. Inutile dire che la sua offerta era stata ritirata e avevano quasi finito col fare a pugni col gruppo, lasciando la scena all'ultimo e scaricando l'onere di fare i doveri di casa ai punk più giovani.

Perciò, anche quella notte l'avevano passata in un bar, con l'occhio di Dex che si gonfiava e iniziava a lacrimare, e John che piangeva come un disperato per Greta. Di solito non la farebbe così drammatica, ma questa volta la situazione è diversa. Più seria. Più grave, forse, perché non riguarda qualcosa successo sul momento ma tutti gli sbagli che hanno fatto nel corso degli anni.

Ed è questo ciò che pensa ancora adesso, mentre si tira su e si passa una mano tra i capelli, si fa un caffè, una breve sosta in bagno ed è come nuovo. O almeno, gli piace pensare che sia così. Poi prende la bottiglia dal comodino e la finisce con un'ultima sorsata, ed è pronto a ricominciare.

Di solito, in situazioni del genere, il Beryl sarebbe la sua ovvia destinazione; l'unico locale nei pressi di Urbana dove bere come un matto e allo stesso tempo ascoltare la musica che gli piace. Ma il posto è appena stato chiuso per dei fantomatici lavori di ristrutturazione, quindi non gli resta che andare in giro.

Dopo aver vagato in auto per un po', lungo le strade calde e desolate di Urbana, John si ritrova ad entrare nel primo posto aperto che non sembri un covo di camionisti. All'interno riconosce un paio degli amici di suo padre, cosa che lo fa rabbrividire, ma per il resto il bar sembra popolato da persone più o meno sopportabili.

Va al banco, tranquillo, si siede e ordina subito una birra. Solo dopo averla dimezzata, si concede di guardarsi intorno. La radio è sintonizzata su qualche schifosissima stazione di rock anni '70 che gli fa venire il voltastomaco più delle ultime serate passate con Dex.

È proprio in quel momento, quando sta per tornare con lo sguardo dentro alla bottiglia, che gli sembra di avvistare una figura familiare. La ragazza in questione è identica a come la ricorda alla festa di Simon: maglietta attillata, gonna in plaid e una miriade di piccoli tatuaggi fai-da-te sulle gambe. Si sistema i capelli con aria impaziente e si guarda intorno, spostando il peso da un piede all'altro, con le braccia incrociate al petto. È lei: quella tipa strana che aveva trovato sotto al tavolo, e che poi si era sentita male e gli aveva vomitato addosso.

Forse sentendosi osservata, incrocia lo sguardo con John; anche lei non ci mette molto a riconoscerlo e prima lo saluta con la mano, esitante. Poi, dopo aver dato un'ultima occhiata in giro, gli si avvicina.

«Chi si rivede,» esclama John per primo, che coglie l'occasione per distrarsi e pensare ad altro. «Ma sì... Marcy,» esclama, sfoggiando il suo sorriso migliore.

«Macy,» lo corregge lei con un filo di voce.

«Sì, certo,» annuisce John, cercando di darsi un contegno. «Come faccio a dimenticarmi di quella che mi ha vomitato addosso il giorno del primo concerto della mia band.»

L'altra accenna una risata poco convinta, senza sapere bene che fare.

«Beh? Come va?» domanda John, chiedendosi come mai quella ragazza sembri sempre giù di morale, per un motivo o per un altro. «Che ci fai qua?»

«Oh, sì, io...» Macy agita una mano davanti a sé con noncuranza, poi sposta lo sguardo all'entrata. «Aspettavo una persona. Doveva essere qui circa un'ora fa. Ma credo proprio che mi abbia dato buca,» conclude, con un sorriso imbarazzato.

«Aspetti da un'ora?» ripete John incredulo. «Allora siamo tutti e due col cuore spezzato.»

«Anche tu aspettavi qualcuno?»

John scuote la testa. È così che si ritrova a raccontare a Macy della sua situazione, di Greta e di tutto ciò che è successo negli ultimi tempi. I due si spostano sui divanetti in stile diner anni '50 del locale, continuando a bere e chiacchierare, il che vuol dire che John continua a parlare della sua vita e dei suoi sbagli in un flusso di coscienza infinito e Macy annuisce e commenta ogni tanto, sorseggiando un drink trasparente da una cannuccia nera.

Dopo l'ennesima birra, John porta una mano su quella di Macy. Nessuno dei due si rende conto di quanto si siano avvicinati involontariamente.

«Senti, non è proprio giusto vedere una come te con questo musone. E più continui a bere più diventi triste! È terribile,» sbotta John all'improvviso, gesticolando. «Quello stronzo che ti ha dato buca non ti merita, questo è sicuro. Saltare gli appuntamenti è il primo campanello d'allarme. Non ti devi mai fidare di quelli così.»

A quelle parole Macy storce le labbra in un'espressione stranita, ma non dice nulla. Si limita ad abbassare gli occhi, poi si passa una mano dietro al collo.

«Sì, certo,» borbotta.

John sta bevendo molto più di lei, non ha smesso da quando è entrato; è brillo e non si rende conto di quanto quella sua uscita l'abbia messa a disagio. Macy, nel frattempo, cerca di pensare il prima possibile a qualcosa da dire per cambiare argomento.

«Come va con i Neftali's Heart?» esclama allora, tutto d'un fiato.

L'altro non risponde subito. Le sopracciglia, prima aggrottate tra loro, si distendono subito in uno sguardo dolce.

«Ti sei ricordata il nome,» esclama.

«Non stavo così male, quella volta,» cerca di giustificarsi lei. «E poi ultimamente vi siete dati da fare, si sente parlare di voi in giro. Avete aperto anche per... per i Mistress, giusto?»

John annuisce, senza prestare attenzione al modo sbrigativo in cui Macy ha pronunciato il nome dell'altra band. Invece si chiede perché, se Macy conosce le band del posto e quindi frequenta la scena, non l'abbia mai vista in giro.

«Le cose vanno bene, ma stiamo cercando di mettere insieme un po' di soldi per registrare un EP,» il batterista continua col suo discorso, tra un sorso di birra e l'altro. «Siamo tutti indaffarati con quello, le prove... e il resto, insomma.»

«Davvero?» Macy sorride, sollevata di far parlare di nuovo John al posto suo. «E tu che lavoro hai trovato?»

John perde di nuovo il sorriso, in un attimo. «Faccio... consegne.»

«Di che tipo?»

John sospira, rassegnato alle domande della ragazza.

«Hai presente quei programmi che preparano i pasti e poi li consegnano? Ecco, cercavano un fattorino. Sì, faccio il fattorino in un'azienda che prepara pasti ai vecchi,» esclama, subito dopo si corregge: «Agli anziani. Non posso chiamarli vecchi, altrimenti mi licenziano».

Macy non riesce a trattenersi e gli scoppia a ridere in faccia. Almeno non tiene più il muso, pensa John con un po' di soddisfazione.

«È proprio nel tuo personaggio,» esclama. «John Chapman, batterista punk e fattorino per anziani,» annuncia come se fosse una giornalista in TV.

«Simpatica,» sbuffa lui.

«Hai un'uniforme?» domanda l'altra, sempre più interessata alla situazione. «Dovete vestirvi in qualche modo specifico?»

«Fortunatamente mi hanno dato solo il cappello e la camicia,» John sbuffa, seccando la bottiglia di birra che tiene tra le mani in un sorso. «Ma ormai ci sono abituato, ho partecipato a un programma di riciclaggio tempo fa, e anche lì ci facevano vestire come dei coglioni.»

«E hai partecipato volontariamente?»

John fa per alzarsi, e scuote la testa facendole l'occhiolino. «Certo che no,» detto ciò, senza aspettare risposta, si allontana per andare a ordinare qualcos'altro al bar.

Macy s'impegna in altre chiacchiere di circostanza col batterista, di ogni tipo, mentre quasi senza accorgersene finisce con la testa appoggiata alla sua spalla. Il braccio di John le circonda la vita, e dopo quasi due ore passate a bere le bottiglie vuote davanti a loro le appaiono ondeggianti e appena sfocate ai lati. Macy socchiude gli occhi, ripensa a quando l'ha incontrato alla festa. C'è qualcosa, in John, qualcosa che la fa stare bene. Qualcosa che le infonde sicurezza, protezione. È un gesto improvviso e quasi istintivo, quello di Macy, che gira il volto e preme le labbra sul collo di John.

«Stavo pensando, John... visto che ci troviamo nella stessa situazione,» inizia Macy, piano, portando una mano ad accarezzargli il braccio, «perché non cerchiamo di... trarre qualcosa di positivo da questa serata?»

«Positivo?» ripete John, che assottiglia gli occhi per mettere a fuoco la ragazza; una volta incontrato il suo sguardo non c'è più bisogno di parlare. I suoi occhi dicono tutto.

Piano, inizia a intrecciare le dita con quelle piccole e sottili della ragazza. Il suo volto gli sembra ora il più bello che abbia mai visto. Macy si fa più vicina sul divanetto, fino a che le loro ginocchia non si sfiorano, e porta una mano sulla gamba di John, la accarezza piano, quasi gli fa il solletico.

«Andiamo a casa tua?» domanda lei.

Tutto quello che accade dopo è come un flash. Dalla proposta della ragazza, John si ritrova già in auto a guidare, è quasi ubriaco e se li beccano è finita. Un altro dettaglio che gli impedisce di concentrarsi bene sulla strada, oltre all'alcol che gli circola in corpo, è la mano di Macy, appoggiata sulla sua coscia che fa avanti e indietro, e ogni tanto sale più su. Ad ogni movimento deciso John abbassa lo sguardo per un secondo, per poi riportarlo subito sulla strada.

«Mi stai testando o cosa?» domanda a un certo punto, ma non riceve risposta. Macy lo osserva con espressione indecifrabile, intrigata, come se lo stesse studiando in ogni minimo movimento. E il batterista sente addosso quello sguardo per tutto il resto del tragitto, le sue sensazioni sono amplificate e mentre parcheggia e apre frenetico la portiera, mentre il desiderio inizia a farsi sentire sempre più urgente anche per via dell'attesa, ha ancora in testa i suoi occhioni che lo osservano.

John stringe la mano di Macy, piccola e scarna, come lei, e la guida su per le scale del palazzo silenzioso, la mano quasi gli trema mentre mette la chiave nella serratura e di nuovo è come un flash, stavolta si ritrova sopra di lei, dentro di lei – Macy gli avvinghia le gambe attorno alla vita, lo tiene stretto a sé per tutto il tempo, come se avesse paura che l'altro potesse scappare da un momento all'altro, e lo stringe così forte al punto che John fa quasi fatica a muoversi. Lui le scosta i capelli dal volto, le lascia baci sulle guance e sulle labbra, ma tutto ciò che vede è il volto di Greta che gli sorride, come mille altre volte in cui hanno condiviso quel letto del suo appartamento.

Il resto della notte scivola così, e quando Macy si distende accanto a lui John si rende conto della luce mattutina che filtra dalle persiane. Lei esita un po', poi si accoccola sul suo petto e prende una sigaretta dal pacchetto che spunta dalla borsa, abbandonata semiaperta sul comodino. «Vuoi?» domanda, e John ne prende una a sua volta. Si tira un po' su e la osserva mentre fumano in silenzio.

«Non mi hai detto il nome della tua ragazza,» osserva all'improvviso Macy, correggendosi subito dopo: «Ex ragazza».

«Si chiama Greta,» espira John. Macy alza subito lo sguardo verso di lui, John invece lo abbassa e incontra un paio di occhi da gatto che lo fissano.

«Greta?» ripete lei. «Quella coi capelli rossi e il rossetto nero?»

«Già,» John non riesce a trattenere un sorrisetto a quelli che sono diventati i tratti distintivi della ragazza.

«Oh. Credo di conoscerla.»

«Tempo fa era sempre in mezzo alle band a fare casini,» ridacchia lui, mentre il filo di fumo sale in alto nella stanza. «Disegnava volantini per i concerti, soprattutto. Poi ha abbandonato la cosa col tempo.»

Macy nasconde il volto nell'incavo del suo collo.

«Ha mollato perché la scena non le piaceva più, la musica era cambiata e...» John s'interrompe, passandosi una mano sul volto. «Scusa, finisco sempre a parlare di lei.»

«Non mi dà fastidio,» Macy sorride. «Puoi continuare, se ti va.»

«Non ti conviene, se non vuoi vedermi frignare come un coglione.»

«Non mi dispiacerebbe,» ridacchia lei.

L'effetto dell'alcol sembra ormai svanito, e preso dalla più classica delle chiarezze mentali post-sesso, John si ripromette di fare un po' di pulizia e buttare tutte le bottiglie vuote di liquore che ha in casa. E preferibilmente anche di evitare di diventare un alcolizzato.

*

«Ci teniamo in contatto?»

Macy sussulta alle parole di John e si volta di scatto verso di lui, le mani immobilizzate nel gesto di lisciarsi la gonna ancora sgualcita dalla sera prima.

I due si fissano per un po' con gli occhi spalancati, poi John scuote con forza la testa.

«Che hai capito,» esclama, «intendevo come amici.»

«Oh,» Macy tira un sospiro di sollievo. «Certo,» sorride, mentre i due scendono allo stesso tempo dall'auto, parcheggiata nei pressi della fermata dell'autobus. L'unico che collega Urbana alle cittadine vicine, e con una miriade di fermate nel nulla più totale: Macy gli ha raccontato che vive fuori città, e che i suoi hanno una fattoria. Per questo non la si vede molto in giro, e quando c'è vuol dire che è scappata per qualche giorno di casa.

«Grazie per avermi accompagnato,» sorride lei, e John alza le spalle. «Cercherò di venire al prossimo concerto della band.»

Accostati alla cartello della fermata in attesa del bus, John ripensa alla sera prima ed è colto da una strana sensazione. Non si sente in imbarazzo, quello mai, forse è solo una sorta di pentimento.

John borbotta qualcosa a bassa voce e Macy si volta verso di lui.

«Come?» chiede.

E John la osserva, i capelli neri smossi dal vento mentre il bus si avvicina alla fermata. La maglietta bianca, la gonna tartan rossa che le fascia la vita alla perfezione e le sfiora le cosce: sembra quasi la sua uniforme.

La sente ancora quella sensazione, ma si rende anche conto che non si tratta di pentimento. È qualcosa di più strano, più profondo, che lo prende all'altezza dello stomaco, un malessere che gli fa venir voglia di girare i tacchi e allontanarsi il più possibile da quella fermata. Ma non fa niente del genere. Si limita ad alzare le spalle e sorridere.

«Spero di incrociarti di nuovo da queste parti.»

La ragazza annuisce, e con un cenno del capo lo saluta, si volta e sale sul bus. John si rende conto di star trattenendo il respiro e si appoggia al cartello della fermata, osservando il bus che si allontana sempre di più per le strade di Urbana.

Cosa c'è che non va? si domanda. Cose del genere sono successe una marea di volte. Lui e Greta hanno già frequentato altre persone, sono andati a letto con altri nei periodi in cui si erano lasciati, e nessuno dei due si è mai sentito in colpa. Le cose sono sempre andate così e basta. E allora qual è il problema, adesso?

Beh, il problema potrebbe essere proprio la ragazzina. Questa Macy ha qualcosa di strano, se n'era accorto già alla festa di Simon e dopo la nottata trascorsa con lei ne ha avuto la conferma. C'è qualcosa di fuori posto, in lei, come se nascondesse qualcosa di importante. Per le persone come John, libri aperti che lasciano correre le proprie emozioni senza nemmeno pensarci, quel tipo di personalità è sempre un mistero, qualcosa da indagare e cercare di scoprire il più a fondo possibile. Ma non può essere nemmeno quello a farlo sentire così strano.

Non si sente più nemmeno sé stesso, per quanto sta facendo lavorare il cervello. Così indietreggia e si siede sulla panchina lì accanto. Abbassa lo sguardo sull'asfalto e rivede il volto di Macy. Poi quello di Greta. Poi entrambi iniziano a fondersi e a diventare un'unica ragazza, che semplicemente si diverte da matti a farlo soffrire.

Sospira, senza sapere cosa fare. Tornare a casa è l'ultima cosa che vorrebbe, quindi pensa di andare alla punkhouse di Dex, vedere chi è in giro, poi una bella sbronza a ora di pranzo e dritto alle prove della band. Allora scatta in piedi, deciso a rimettersi subito in auto, ma proprio in quel momento si accorge, ancora una volta, di avere davanti un volto conosciuto, un tizio alto più o meno come lui, che si sistema gli occhiali da vista sul naso mentre è intento a leggere gli orari del bus sul cartellone.

«Tony?» esclama John, che subito gli si avvicina mentre un sorriso inizia a farsi strada sulle sue labbra.

L'altro, come colpito da una scossa elettrica, sussulta e si volta nella sua direzione. Ha un'espressione confusa in volto, che una volta riconosciuto il suo interlocutore diventa indecifrabile, a metà tra lo stupore e la paura.

«Oh, merda,» dice a denti stretti, riscuotendosi dall'iniziale sorpresa, per poi sorridergli e avvicinarsi per un abbraccio veloce, al quale John risponde quasi buttandoglisi addosso. È comprensibile, secondo lui, non si vedono da un sacco di anni, nonostante non si siano lasciati nel migliore dei modi.

«Che bello vederti, John,» dice Tony, passandosi una mano tra i capelli neri. Esita un po', poi continua: «A dirla tutta pensavo fossi ancora dentro».

L'altro sorride, si sistema gli occhiali da sole sul naso in un gesto che rispecchia quello del suo amico.

«Sono fuori da un sacco di tempo,» replica, spostando il peso da un piede all'altro, su di giri per aver incontrato un suo vecchio amico. Gli ultimi anni dell'adolescenza passati con Tony sono tra i suoi ricordi più belli, tra i club underground che frequentavano ogni giorno, la band dei Seize formata insieme, e lui che provava a insegnargli ad andare sullo skate come si deve. Nonostante fossero sempre stati estremamente diversi, e nonostante tutti i diverbi e le litigate nate da quando avevano iniziato a suonare insieme, ne ha ancora un ottimo ricordo.

«Ehi, Tony,» esclama John, con un sorriso che va da un orecchio all'altro. Gli punta un dito sul petto e dice: «Riunione dei Seize?»

Tony lo guarda con un'espressione di puro terrore in volto, allora John scoppia a ridere e gli tira una spinta.

«Che cazzo, scherzavo!» esclama. «Dovresti guardarti in faccia, adesso.»

Tony borbotta qualcosa, aggiustandosi gli occhiali che per la spinta gli sono scivolati giù lungo il dorso del naso.

«Devo dire che fa strano vederti senza metallo in faccia,» cambia discorso John, alludendo ai numerosi piercing che l'altro portava anni prima. «Vivi a Chicago ora, o sbaglio?»

L'altro annuisce. «Sono passato qui a salutare mio padre, ho la macchina rotta, quindi...» indica con un gesto della mano il cartello della fermata. «E tu che combini? Sei ancora contrario al trovare un lavoro?» accenna con una risata. John però pare prendere la cosa sul serio.

«Beh, ho ricominciato a suonare: sono in una nuova band, ora, qualcosa di totalmente diverso.»

«Sì, immagino,» Tony sorride e alza gli occhi al cielo, sarcastico. «Cover band dei Ramones, stavolta?»

«Ti sembra così strano?»

«Mi sembra strano che tu possa suonare qualcosa di nuovo,» accenna Tony, al quale i discorsi riguardanti la musica fanno ancora innervosire parecchio. «Per suonare cose innovative bisogna scendere a compromessi. Ma che dico, per suonare in una band in generale bisogna scendere a compromessi. Ricordi com'è andata a finire con la nostra, di band?»

«Quella è un'altra storia,» borbotta John. «Non era un bel periodo, tutto qui.»

Non era un bel periodo e non era neppure una bella band, secondo John: il sound non gli era mai andato a genio, e aveva sempre imputato la cosa al non avere un bassista. Inizialmente suonare senza un terzo membro era una necessità dovuta dalla carestia di bassisti all'epoca, ma poi era diventata la loro caratteristica, una cosa che rendeva orgoglioso Tony perché erano subito riconoscibili e quindi automaticamente una novità agli occhi di tutti. John non gli aveva mai detto niente al riguardo, quindi la questione di non saper scendere a compromessi, secondo lui, non è altro che una gran stronzata.

«Come ti pare,» sbuffa Tony, che di certo non vuole tornare a litigare col batterista come aveva già fatto tutti i giorni di quattro anni prima.

A questo punto, John si chiede se il bellissimo ricordo che aveva di Tony fosse semplicemente dovuto alla nostalgia. Tra i due nasce un silenzio imbarazzante che si protrae per qualche minuto; l'entusiasmo iniziale di aver incontrato un vecchio amico è svanito in fretta, sostituito da ricordi su quanto il suddetto amico sia un coglione totale.

A dirla tutta, Tony da un certo punto di vista lo invidia, perché lui a distanza di anni non sembra affatto cambiato, sembra essere rimasto fedele al sé stesso adolescente, quello che tutti loro avevano giurato anni prima. Ma per restare adolescenti a vita c'è sempre un prezzo molto alto da pagare.

«A prescindere da tutto, spero che la nuova band vada bene, amico, ricordati solo di non torturare troppo i tuoi compagni,» esclama Tony, cercando di concludere l'incontro e congedarsi. John risponde con una risatina poco accennata, e gli dà la mano, scherzoso.

«Mi togli tutto il divertimento, così.»

Con un ultimo saluto di circostanza, John si allontana finalmente da Tony, che invece rimane lì ad aspettare il bus per Chicago.

Il suo amico, dopotutto, è sempre stato così: rigido, contorto e con una morale tutta sua da imporre agli altri. Avrebbe funzionato bene come autore di una fanzine, e invece in adolescenza si era messo in testa di fare il chitarrista. La scena e il suo compagno di band lo avevano deluso, a detta sua, e così alla prima difficoltà aveva mollato tutto. Ma forse, John pensa che è meglio che le cose siano andate così, con Tony. Vivere davvero la scena, i concerti, i tour e tutto il resto, lo avrebbe ucciso. Morte accidentale o intenzionale, su questo non è sicuro, ma di certo sarebbe stata una morte violenta.

Sovrappensiero, John chiude la portiera dell'auto e mette in moto. Prende una cassetta qualsiasi dal portabagagli e la inserisce nel lettore, imbocca la strada mentre la prima canzone che parte è These Important Years, degli Hüsker Dü. Deve essere un segno, pensa, mentre fischietta a tempo con la canzone e il testo lo fa sorridere, gli ricorda quello che sta vivendo in questo preciso momento.

Tutto a un tratto non ha più tanta voglia di andare da Dex a bere. Vuole solo suonare, suonare per dimenticare tutte le persone che si divertono a saltellare avanti e indietro nella sua vita come fantasmi, senza mai lasciarlo in pace del tutto. All'ultimo, quindi, svolta verso il proprio quartiere e parcheggia l'auto poco più avanti di casa Pratt. Avvista il garage ancora chiuso, dove custodisce da mesi la sua batteria, e mentre scende deciso dall'auto e sfodera il suo sorriso più persuasivo, dentro di sé la decisione è già confermata: oggi le prove iniziano prima.



______
• Chevrolet Nova: modello di auto anni '70.
• La prima parte del capitolo è stata ispirata dalla canzone "Carry On" dei Common Rider.

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