TWICE - Like a storm

By KellyCherish

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Victoria Wilson, newyorkese di nascita vive la vita che tutte le ragazze della sua età vorrebbero. Figlia del... More

Cast
PROLOGO
MY HANDS ARE TIED - Scarlett
THERE ARE CLOUDS ON THE HORIZON ...
YOU CAN'T JUDHE A BOOK BY ITS COVER
WHEN IT RAINS IT POURS
THERE'S NO SUCH THING AS A FREE LUNCH
CLOSE YOUR EYES AND MAKE A WISH
PULL YOURSELF TOGETHER
NO PAIN, NO GAIN
ACTIONS SPEAK LOUDER THAN WORDS
WRAP YOUR HEAD AROUND SOMETHING
A PENNY FOR YOUR THOUGHTS
BARKING UP THE WRONG TREE
THAT SHIP HAS SAILED
LOVE IS A FRIENDSHIP SET ON FIRE
A LITTLE MAN
THAT'S THE LAST STRAW
Hang in there
IT'S UP TO YOU
ADD INSULT TO INJURY
HEARTWARMING
START FROM SCRATCH
YOUR GUESS IS AS GOOD AS MINE
THE BREAKPOINT
HE'S OFF HIS ROCKER
LOVE WILL FIND A WAY

NO GOING BACK

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By KellyCherish

Un uomo sulla luna non sarà mai interessante quanto una donna sotto il sole.
Leopold Fechtner








VICTORIA'S POV

<< Oh mio Dio, Victoria. Sei madida di sudore >> mi ci volle un pò per mettere a fuoco la figura distesa al mio fianco. Colorito olivastro, occhioni a mandorla, ciglia folte e lunghissime, labbra rosee ed una fitta chioma ricciuta.

L'avrei riconosciuta anche ad occhi chiusi la mia Scarlett.

Invece, mi servii sbattere più volte le palpebre per riuscire ad individuare dove fossi. Lunghe tende damascate, grande armadio a muro in mogano scuro , scrivania particolarmente spoglia ed una Central park innevata nella tela appesa al muro alla mia destra.

Ero al sicuro nella mia camera da letto di Istanbul.

<< Come stai ? >> non era una domanda di circostanza, una di quelle che si pongono senza essere realmente interessati alla risposta.

Ma cosa avrei potuto rispondere ad un quesito come quello a poche ore da ciò che mi era capitato.

Pensai che alcune domande piuttosto banali, a volte possono pesare come macigni.

Non stavo bene, mi sentivo sporca e violata.

<< Bene >> mentii. Non le avrei inferto le mie personali frustrazioni.

<< Hai dormito un giorno intero >> mi informò accarezzandomi il volto.

Vedere Scarlett così fiacca ed apatica era più raro di una nevicata ad Agosto e mi rattristava sapere di esserne la responsabile.

<< Un giorno intero? >> chiesi strabuzzando gli occhi. Non avevo mai dormito così a lungo, neanche quando ero piccola. Nonna Emma doveva leggermi due o tre libri di fiabe prima che mi addormentassi ed il più delle volte ero io a rimboccare le sue coperte.

<< Ti ricordi cosa è successo ieri? >> e quella domanda retorica le costò una mia occhiataccia.


Ricordavo benissimo cosa fosse accaduto la sera precedente. Riuscivo a percepire ancora quelle manacce sudicie sul mio corpo inerme. Il suo fiato corto sul mio collo sporgente, la sua lingua bollente ad imbrattare il mio volto.

Avrei potuto riprodurre in loop quella scena terrificante.

Ogni dannato dettaglio era impresso nella mia mente, esattamente come quell'incubo che avevo appena fatto e che mi aveva provocato un risveglio turbolento.

Mani diverse, ma stessa sensazione rivoltante.

Erano mesi che il mio sonno era disturbato dalla visione di Archie che abusava di me sulla tovaglia, ancora imbandita, della sera precedente.

Erano mesi che lo detestavo per aver distrutto la mia vita e quella di nostra figlia. Erano mesi che lo odiavo per aver traumatizzato Charlotte provocandole quelle strane crisi epilettiche.

" Crisi idiopatiche secondarie " era stata la diagnosi dopo il primo episodio, a pochi giorni da quella aggressione alla quale aveva dovuto assistere.

<< Ti prego Archie, sei ubriaco. Potrebbe arrivare Charlotte. Non toccarmi, non voglio >> le mie suppliche non avevano sortito alcun effetto su di lui.

<< Charlotte deve sapere che sua madre si diverte a fare la puttana con tutti tranne che con suo padre >> la risata sadica a riempire la stanza, risuonava ancora nella mia mente scossa.

<< Sei troppo ubriaco Archie, non sai ciò che fai >> io che scalciavo come un cavallo imbizzarrito e lui che si divertiva a schivare i miei colpi e a deridermi per quel vano tentativo di sfuggirgli, di liberarmi di lui.

<< Sono abbastanza lucido da ricordare quanto ti sia piaciuto aprire le gambe per me, gemere sopra di me. Purtroppo per te, sono abbastanza sobrio da ricordare quanto ti sia piaciuto prendere il mio uccello tra quelle labbra invitanti >> insulti più dolorosi di un ceffone in pieno volto.

<< Sei disgustoso. Oggi non verrei con te neanche se fossi l'unico uomo sulla terra >> gli avevo sputato addosso tutta la mia repulsione. Ma le mie parole l'avevano reso iracondo, al punto da fargli perdere totalmente il lume della ragione.

Con un gesto fulmineo era riuscito a lacerare la seta della mia camicia da notte violandomi nella nostra cucina di New York, davanti agli occhi increduli di nostra figlia.

Lui l'aveva sentita arrivare e l'aveva costretta ad assistere a quello spettacolo orripilante.

Non mi era stato concesso denunciarlo. Quando ne avevo parlato con l'avvocato Cooper mi aveva letteralmente riso in faccia. Gli uomini potenti come Archie Thompson sono gli intoccabili della nostra società. I farabutti che trovano sempre un modo per minacciarti o per fartela pagare. Lo conoscevo abbastanza bene da credere che avrebbe usato Charlotte per persuadermi a ritirare un'ipotetica denuncia. Ed io l'avrei fatto, non l'avrei mai messa in pericolo.

<< Dovresti contattare la dottoressa Brown, ti farebbe bene parlare con lei >> non era stato difficile per Scarlett intuire il flusso dei miei pensieri. E forse sentire la mia vecchia amica psicologa mi avrebbe fatto davvero bene, così mi ripromisi di contattarla quella stessa sera.

<< Lo farò >> la rassicurai prima di chiederle che fine avesse fatto Baris.

<< Se ne sta occupando Alp >> ammise porgendomi una mano per aiutarmi a rimettermi in piedi.

Non ero più convinta che, in quel caso, una denuncia fosse la giusta soluzione. Baris non era come Archie, lui aveva un serio disturbo della personalità e dubitavo che una denuncia sarebbe stata utile. Aveva bisogno di cure psicologiche che di un castigo, una pena.

<< Mi sento confusa >> confessai stropicciandomi gli occhi.

Mi sentivo tremendamente stanca e spossata.

Scarlett mi spiegò che fosse l'effetto del sonnifero che mi avevano somministrato per lasciarmi dormire più a lungo di quanto riuscissi a fare naturalmente.

<< Dove è Charlotte? >> chiesi barcollando nel corridoio in direzione del bagno patronale. Dovetti reggermi più volte alla parete per evitare di cadere.

Percepii una strana titubanza nell'informarmi che fosse uscita a mangiare un gelato. Ed immaginai che quella fosse solo una scusa per mandarla a fare due passi con Diamond. C'erano zero gradi fuori e lei non era una fan dei gelati fuori stagione. Era freddolosa come me e le si formavano i geloni sulle mani durante i mesi più rigidi.

Entrai in bagno ed iniziai a togliere un pigiama che non ricordavo neanche di aver indossato. In realtà, tutti i ricordi successivi all'apertura dell'ascensore nella quale quel folle mi aveva rinchiusa erano un vago ricordo. Ogni tanto qualche flash faceva capolino dinanzi ai miei occhi, ma nessuna immagine nitida in grado di confermare se quei ricordi fossero reali, o il frutto della mia fervida immaginazione.

" ti troverò sempre americana " ero convinta di averlo sognato.

Scarlett mi seguì in bagno ed attese che dicessi qualcosa. Glielo leggevo negli occhi che si aspettava che lo facessi. Fece leva su entrambe le braccia e si mise a sedere sul lavabo più vicino alla finestra.

<< Ti va di parlarne Viky? >> chiese concentrandosi sul mio riflesso nello specchio.

Mi disfai della maglia scozzese che mi copriva il torace. Si trattava di un vecchio pigiama che non ricordavo neanche di aver portato con me ad Istanbul e specchiandomi, notai un segno violaceo su un lato del collo.

Senza preavviso, un altro ricordo riaffiorò infiammando la bocca del mio stomaco già in subbuglio.

Strofinai con veemenza quel punto della pelle con l'illusione di poterlo depennare dal mio corpo e socchiusi gli occhi per costringermi a non piangere.

<< Devo farmi una doccia e togliermi il suo sapore di dosso >> imprecai più a me stessa che a Scarlett che continuava ad osservarmi come se fossi una psicopatica.

<< Ma davvero non ricordi niente di ieri notte? >> sghignazzò.

Non capivo cosa ci trovasse di divertente. Ero appena scampata ad una violenza sessuale e lei sembrava divertita nel ricordarmelo. Pensai di essere ancora imprigionata nel mio incubo perché tutta quella faccenda iniziò ad apparirmi surreale.

Non le diedi ascolto. Tolsi il pantalone del pigiama in pendant con la parte superiore, feci scorrere il tanga lungo le cosce e quando raggiunse le caviglie sollevai entrambi i piedi per liberarmene.

<< Sei già abbondantemente ripulita del suo sapore, te lo assicuro Viky >> strizzò l'occhio in modo talmente seducente da ricordarmi un volto familiare.

Sforzai le meningi per recuperare i ricordi della sera precedente.

Niente.

Non mi capacitavo di aver potuto fare una doccia nello stato in cui ero. E soprattutto di averlo totalmente rimosso.

Scarlett stava mentendo, non credevo possibili altre soluzioni a quel punto. Entrai comunque nella doccia e sfregai così energicamente la spugna sul mio corpo da irritarlo nei punti più sensibili.

<< Vado a prepararti un tè alla melissa, il tuo preferito >> ed uscendo dal bagno, mi abbandonò sola con i miei pensieri. Pregai che si acquietassero con lo scorrere dell'acqua bollente sul mio corpo arrossato.

Rinvigorita, corsi in camera mia ed indossai un legging blu ed una felpa corallo. D'altronde era quasi l'ora di cena ed io avevo solo voglia di mettere qualcosa nello stomaco e di buttarmi sul divano con Charlotte per accoccolarmi un pò a lei.

Non avevo ancora finito di asciugare i miei capelli quando suonarono al citofono, per cui chiedi a Scarlett di occuparsene.

<< Vado io >> udii dalla mia stanza. E quando mi voltai vidi correre nel nostro corridoio quella che mi sembrò essere la nostra tata.

Diamond.

Raggiunsi Scarlett in cucina e le vidi fare di nuovo quell' espressione ambigua, decisamente sospetta.

<< Se Diamond è qui, con chi è uscita Charlotte ? >> le chiesi incrociando le braccia al petto.

Lei sollevò le spalle scrollandosi di dosso la responsabilità di rispondere alla mia domanda. Si allontanò dal bancone in marmo dell'isola e mi porse la tazza di tè odorante di melissa.

<< Scarlett >> la richiami affinché dicesse qualcosa.

Abbandonai la tazza fumante dirigendomi verso la porta d'ingresso e quello che vidi mi sciolse il cuore. Charlotte varcò la porta con la luminosità di un raggio di sole. Le sue piccole braccia si avvinghiarono alle mie gambe ed io mi accovacciai sulle ginocchia per stringerla a me. Poi mi allontanai un istante per allentarle la calda sciarpa in lana e le liberai la folta chioma dal cappellino che le copriva gli occhi.

<< Dove sei stata ? >> le chiesi prendendola in braccio.

Lei indicò qualcuno alle sue spalle costringendomi a terminare quella farsa.

La sua presenza riuscivo sempre a percepirla, ovunque fossimo.

Era bastato il suo profumo autunnale ad inebriarmi.

<< Bentornata tra noi Wilson >> disse inarcando le labbra in uno dei sorrisi più dolci che gli avessi mai visto fare. Forse avrebbe smesso di provocarmi.

Charlotte scivolò tra le mie braccia per togliersi il cappottino e lo invitò a restare.

Dannazione, aveva conosciuto Charlotte abbattendo l'ultima barriera che avevo eretto tra me e lui. Mi ero ripromessa di tenerlo lontana da lei ed era bastato uno stupido svenimento a distruggere tutti i miei piani.

" Sei un'attira guai " mi diceva sempre mia madre ed io iniziai a credere che ci fosse un fondo di verità in quell'insinuazione.

<< Kurt che ci fai con mia figlia ? >> chiesi a denti stretti inscenando un sorriso di circostanza.

<< Tua figlia è molto più simpatica di te >> disse raggiungendoci al centro del soggiorno.

Charlotte ci raggiunse in soggiorno raggiante come non la vedevo da molto tempo e quello mi bastò per capire che lui avesse già conquistato il cuore. Scossi il capo a quell'intuizione e sorseggiai un pò della bevanda ambrata che avevo lasciato a raffreddare. Fu a quel punto che Diamond mi chiese la sera libera ed io non esitai a dargliela. Avevo veramente bisogno di trascorrere un pò tempo con mia figlia.

Lasciò casa nostra promettendo a Charlotte che sarebbe tornata la mattina successiva con un tortino al cioccolato del suo nuovo bar preferito. Dovevo ammettere che mia figlia si fosse ambientata meglio di quanto potessi sperare. Aveva già la sua pasticceria, il suo cinema, il suo cibo, il suo parco preferiti ed un'amica del cuore che mi aveva presentato qualche giorno prima.

Mi avvicinai ai fornelli e chiesi a Charlotte cosa volesse per cena.

<< Stasera cucino io >> sollevai il volto certa di aver sentito male. Ero stata talmente distratta dal suo carisma, da non accorgermi che le sue mani stringessero delle buste verdognole del minimarket sotto casa.

<< Ok, io devo andare >> disse Scarlett. La mia testa roteò in sua direzione, con la stessa celerità di quella di un gufo. Era uno scherzo, doveva esserlo.

Mi sconvolse capire che non stesse mentendo. Indossava già il cappotto blu cobalto e delle scarpe dal tacco vertiginoso che non le avevo notato prima. Sarebbe andata via lasciandomi sola, in quella situazione imbarazzante. Vulkan e mia figlia nella stessa casa non erano la soluzione ai miei problemi.

La fulminai con lo sguardo nella speranza che afferrasse la minaccia, poco velata, che le stavo rivolgendo.

La stronza colse perfettamente il terrore nei miei occhi, ma non vi diede affatto peso. Recuperò la borsa dal divano, sorrise e si chiuse la porta alle spalle.

Vulkan si avvicinò alla cucina e prese a curiosare nella dispensa e poi nel frigo.

<< Tu va' a riposarti >> mi ordinò indicandomi il divano. Ma ad uccidermi fu quel sorriso, quello che faceva sempre quando voleva annientarmi. Sapeva l'effetto che avesse su di me quella fossetta che gli incavava il volto ed ero convinta che si esercitasse d'avanti allo specchio per renderla sempre più irresistibile.

Non obiettai, effettivamente mi sentivo veramente molto spossata. Forse non avevo ancora smaltito il sonnifero che mi avevano somministrato. Scarlett aveva detto che fosse stato necessario perché avevo iniziato a delirare dopo che mi avevano portata via da quel locale. Raggiunsi il divano e mi lasciai cadere a peso morto. Accesi la tv facendo zapping tra i canali, ma niente catturò la mia attenzione più della scena che si stava svolgendo proprio davanti ai miei occhi.

Vulkan mi si avvicinò per recuperare una coperta spiegazzata ai piedi del divano e con essa coprì una piccola porzione del top della cucina. Poi, prese in braccio Charlotte e la fece sedere esattamente in quel punto per evitare che prendesse freddo alle gambe. Quando gli vidi acconciarle i capelli in una treccia mi ricordai di tutte le volte che lo avesse fatto a me ed avvampai. Sparpagliò qualche pugnetto di farina sul marmo gelido e spiegò a Charlotte come impastare una pide. Le fece indossare un buffo cappello da Chef e le infarinò il nasino.

Sollevò la sua camicia bianca lungo le braccia lasciando scoperti gli avambracci muscolosi e Charlotte iniziò a tempestarlo di domande circa i suoi tatuaggi. Prima gli chiese perché avesse disegnato un'ancora, poi che significato avesse il grosso cerchio nero che gli circondava il braccio sinistro ed il mio cuore fece un balzo quando le confidò che il suo preferito fosse il sole nascosto dall'orologio.

<< Anche la mia mamma ha un tatuaggio sai? Delle lune bellissime >> disse con quel tono fanciullesco che amavo terribilmente.

<< Belle quanto te piccola Charlotte? >> disse fermandosi a guardarla giocare la farina.

Lei gli sorrise e ricambiò il dispetto, infarinandogli entrambi gli zigomi. Scoppiammo a ridere prima che la situazione tornasse tesa.

<< Dopo la mamma me le farà vedere, le lune >> a quella affermazione l'ultimo goccio di tisana mi finì di traverso e dovetti tossire per quasi cinque minuti per recuperare il fiato.

<< Sco - te -o >> non riuscii neanche a pronunciare chiaramente quella risposta.

<< Non adesso Wilson, dopo >> lo odiai. Ancora quel sorriso, ancora quella fossetta. E pensai che sarebbe stato meglio prendere un altro pò di sonnifero, per sfuggire a quella voglia irrefrenabile che avevo di lui.

Quando terminarono, apparecchiarono insieme il piccolo tavolino in marmo nero che separava il divano dalla tv e posizionarono dei cuscini sul tappeto sul quale il tavolo era piazzato. Gli aiutai a portare a tavola tutte quelle pietanze che avevano preparato insieme e presi una bottiglia di vino rosso dalla piccola cantinetta che arricchiva il soggiorno. Vulkan me la tolse dalle mani carezzandomi delicatamente le dita e fece in modo che i miei occhi incrociassero i suoi.

Oh, gliele potevo leggere tutte le promesse che stava facendo in quel momento. E solo dopo aver riempito di acqua il bicchiere di Charlotte, versò il denso liquido bordeaux nei nostri calici.

<< Dove siete stati oggi pomeriggio amore? >> chiesi a Charlotte, ormai avvinghiata a Vulkan. Aveva insistito per sedersi al suo fianco rinunciando al posto che le avevo lasciato accanto a me.

<< Vulkan mi ha portato a mangiare un dolce buonissimo, fatto con latte, zucchero e vaniglia. E' diventato il mio preferito >> ammise sbrodolandosi un pò con la pizza. Vulkan le pulì il mento con il suo tovagliolo e poi continuò a fissarla dolcemente.

<< Allora lo ricompreremo tutte le volte che ne avrai voglia Charlotte >>

<< Io intendevo Vulkan >> disse indicandolo.

Vulkan era diventato il suo preferito.

Lui le sorrise e le scompigliò giocosamente i capelli scuotendole il capo.

Divenne lampante.

Il dardo dell'amore di cupido ci aveva colpite entrambe, ma speravo che non annientasse anche lei.

Mi raccontarono di aver preso il tram fino a Sultanahmet e di aver dato un' occhiata fugace al cortile della moschea blu, ma di aver già programmato di tornarci per ammirarne anche gli interni. Di essersi fermati a gustare una quantità indicibile di schifezze gommose al bazar Egizio e di aver raggiunto il quartiere di Kadikoy in battello da Eminonu. Charlotte era euforica per aver potuto giocare tra i gabbiani sulla sponda del Bosforo a per aver dato loro delle briciole di pane. Vulkan mi raccontò di averla portata da Savoy, una delle mie pasticcerie preferite della città e di aver condiviso con lei un Kazandibi.

<< Tu hai mangiato il kazandibi? >> lo presi in giro. Solo io potevo sapere quanto gli fosse costato mangiare quel dolce pieno di zucchero, farina di riso, burro e vaniglia. Proprio lui che non saltava una seduta di allenamento in palestra e che ci teneva a mangiare cibi salutari. E quel dolce era quanto di più lontano da quell'idea. Era una prelibatezza caramellata di almeno mille calorie.

Fu in quel momento che mi depersonalizzai per osservarci dall'esterno. Pensai a quanto mi sarebbe piaciuto trasformare quella giornata spensierata nella nostra quotidianità.

Bastò la loro presenza a scacciare via i cattivi pensieri, a scolorire i segni violacei del mio corpo. Mi bastò pensare a quanto sarebbe stato incantevole vederlo rientrare con le buste della spesa dopo una giornata di lavoro e sapere che avrebbe cucinato qualcosa per noi, nonostante la stanchezza. Lo immaginai a rincorrerci nella nostra cucina con un sacchetto di farina per il semplice gusto di imbiancarci il volto per poi ridere di noi, con noi.

Lo immaginai circondato di bambole ed orsacchiotti colorati, sdraiato su un tappeto a rotolarsi con lei, la mia bambina. Le avrebbe letto la sua favola preferita, le avrebbe rimboccato le coperte, le avrebbe baciato la fronte come faceva con me quando finivamo di fare l'amore, ed avrebbe atteso che si addormentasse.

Sapevo che sarebbe stato per Charlotte tutto ciò che non era riuscito ad essere Archie, che l'avrebbe amata come una figlia. Ed io desideravo nient'altro che quello per lei, un padre completamente diverso da quello che aveva cresciuto me.

Ma la mia vita non era fatta per le illusioni. Avevo smesso di sognare ad occhi aperti, per risparmiarmi il dolore di vederli infranti. Mi bastò ricordare di aver stretto un patto ridicolo con il suo vero padre per lasciarmi travolgere dalla malinconia.

Saremmo tornate a New York e Vulkan sarebbe rimasto solo il più dolce dei ricordi.

<< Mamma sono stanca >> stropicciò gli occhi e strinse le dita di Vulkan per spronarlo ad alzarsi con lei. La guardai incerta per poi capire che volesse che fosse lui ad accompagnarla in camera.

<< Vulkan deve andare via Char, te la racconterò io la favola della buonanotte >> la confortai raggiungendoli in piedi.

<< Ma io vi voglio entrambi >> ed i suoi occhi oceano si spalancarono in attesa della sua risposta.

<< Non so chi delle due sia più pericolosa Wilson >> sussurrò passandomi accanto. La seguì nella sua camera e si mise a curiosare sulla sua scrivania. Giocherellò con qualche peluche riposto sulle mensole ed osservò alcune delle foto appese alla parete. Ne prese una che ci ritraeva insieme in un diner di New York. Char mi aiutava a soffiare sulla piccola candelina al centro di un cupcake al cioccolato mentre io fingevo di essere felice.

Un'immagine semplice che lui osservò attentamente, prima di riporla sul comodino.

<< Chi ha scattato la foto? >> chiese laconico.

<< Non ho capito >> dissi scostando il copriletto puntellato di arcobaleni ed unicorni.

<< Chi ha scattato la foto? >> ripetè. Fu allora che capii cosa volesse sapere con quella domanda secca. Si stava chiedendo perché non ci fosse una foto di famiglia tra il legno di quella cornice.

Se solo avesse saputo di essere stato in ognuno di quei desideri mormorati a fior di labbra, di esserci stato sempre e dappertutto, avrebbe smesso di desistere e mi avrebbe stretta a sè.

<< Scar >> confessai e lui annuii come se avessi solo confermato la sua teoria.

Si avvicinò a Charlotte e la ringraziò per avergli fatto trascorrere una giornata così bella. Mia figlia gli accarezzò il volto e gli sorrise, prima di crollare tra le mie braccia.

Charlotte si addormentò prima che finissi di leggerle la fiaba che aveva scelto per quella sera, così spensi la luce e raggiunsi Vulkan accanto alla porta. Mi lasciò scivolare al suo fianco e se la chiuse alle spalle. Raggiungemmo la cucina e mi sorprese vederlo dirigersi verso la porta d'ingresso. Recuperò il suo maglione in cachemire dal poggiatesta del divano indossandolo con un eleganza naturale.

<< Vai via? >> chiesi titubante.

Non volevo rimanere sola, non quella notte, non dopo quella serata.

<< Vuoi che resti? >> abbandonò la giacca all'ingresso e fece qualche passo verso me.

<< Pensavo volessi ammirare la luna >> lo provocai con sguardo civettuolo, vibrando all'idea delle sue mani sul mio corpo.

<< Quando sei diventata così impudente santarellina >> la sua suonò come una constatazione.

<< Non sono più una santarellina >> replicai decisa cercando di nascondere una leggera esitazione.

Sciolsi i capelli lasciandoli ondeggiare sulla mia schiena coperta, gli diedi le spalle ed imboccai il corridoio verso la mia camera da letto. Iniziò a seguirmi e non fu il peso della sua andatura a confermarmelo, ma le sue dite strette a pugno tra la mia capigliatura. Afferrò i miei capelli con impazienza sbattendo il mio fondoschiena contro la sua erezione.

<< C'è Charlotte e tu non sei proprio silenziosa >> sussurrò tra le poche ciocche ramate sfuggite alla sua presa. Il pensiero che si fosse preoccupato per lei, me lo fece desiderare oltre ogni limite possibile.

<< Potrei fare un'eccezione pur di averti stanotte >> dissi divincolandomi dalla sua presa e correndo verso la mia stanza.

Ghignò lasciandomi volutamente un pò di vantaggio. Quando mi raggiunse in camera da letto, davo già le spalle alla mia scrivania. Volevo guardarlo e non perdermi neanche un singolo dettaglio di quella bellezza divina.

Si chiuse la porta alle spalle facendo scattare la serratura e mi fece un sorrisetto sghembo che mandò all'aria tutti i miei piani. Non avrei amai avuto il comando con lui, non a letto.

Potevo dominarlo con la mia insolenza, torturarlo con il mio corpo armonioso ed intortarlo con la mia abile parlantina, ma tra le lenzuola era lui il direttore d'orchestra. Lui sceglieva il tempo, le dinamiche e l'andamento del componimento musicale, era lui a conoscere l'opera per intero, lui a gestire l'intera esibizione. Mi portava al limite per poi sorprendermi dimostrando di averlo sfiorato appena.

Osai. Con conturbante lentezza, lasciai scivolare il tessuto del pantalone esponendo le mie gambe lunghe e snelle. Poi, le accavallai coprendo con le mani l'intimo in pizzo. Fu un gesto ingannevolmente pudico.

<< Vuoi giocare Victoria? >> bastò quella voce baritonale a farmi pulsare, proprio lì, nel mio punto nevralgico.

<< In una camera da letto, come i veri romantici >> lo beffeggiai.

<< Stai diventando un tenerone >> inumidii le labbra trattenendole in un morso ambiguo.

Una risata chiassosa e cinica mi fece intuire la direzione dei suoi desideri carnali. Non avrebbe perso tempo a controbattere, mi avrebbe dimostrato con i fatti quanto poco tenero fosse con me nuda sotto il suo corpo. Lo conoscevo abbastanza bene da sapere che stesse immaginando gli infiniti modi in cui avrebbe voluto farmi sua.

Avanzò lentamente verso di me e con sguardo famelico mi inchiodò di spalle alla scrivania.

Tolse il maglione e lo lanciò sulla poltroncina accanto alla finestra.

<< Siamo diventati monotematici >> dissi indicandogli l'asse in rovere sotto il mio gluteo.

<< Ti ho sognata sul bancone di quella cucina per tutta la sera, ma con te anche una scrivania smette di essere un cliché >> era un abile oratore. Padroneggiava le parole con un'attitudine disarmante ed io mi lasciavo incantare.

<< Vulkan >> parlai in tono sommesso.

Mi sollevò sulla scrivania incastrandosi tra le mie gambe, sollevai le braccia per lasciarmi togliere la maglietta attillata che mi copriva i seni turgidi e sporgenti. Abbassò la testa su di essi e strinse un capezzolo per poi alleviare il dolore succhiandolo tra le labbra morbide e cocenti. Baciò ogni punto del mio petto, del mio addome e del mio collo. Si soffermò un attimo di troppo sulla porzione di collo violacea e digrignò i denti prima che lo riportassi con me, in quella stanza.

<< Spazza via tutto il dolore >> lo supplicai.

C'eravamo solo lui ed io in quel momento, non desideravo altro.

<< Ti voglio in tutti i modi in cui si possa desiderare qualcuno >> e mi baciò. Con prepotenza si precipitò sulle mie labbra schiudendomele con la lingua. Lasciai che l'avidità lo guidasse fino a togliermi il fiato. Morse le mie labbra più e più volte. Afferrò la mia nuca per rendere quel bacio molto più di uno contatto superficiale. Era talmente ingordo da non riuscire a stargli dietro. Baciò, leccò, morse, succhiò tutto ciò che avevo da dargli. Si prese tutto anche ciò che non pensavo di possedere.

Quello non fu un semplice bacio, quella fu una rivendicazione. Voleva ogni cosa e voleva che io lo sapessi. Fece scendere una delle sue mani sul fianco avvicinandosi all'elastico del mio intimo che fece compattare un paio di volte contro la mia pelle accalorata. Gli sbottonai la camicia e poi mi dedicai ai suoi pantaloni dei quali si liberò con uno strattone.

Quando presi a sfiorare il tessuto delle sue mutande percepii la durezza della sua lunghezza e gemetti all'idea di averla nel mio punto più sensibile. Si lasciò cullare dalla delicatezza del mio tocco, ma d'improvviso si scostò. Mi sollevò con un solo bracco e le mie cosce abbracciarono i suoi fianchi.

<< Il letto non è decisamente un clichè per due come noi >> mi distese sul piumone e si sollevò sul mio corpo reggendosi su un fianco, stracciò il pizzo del mio perizoma facendomi trasalire per l'eccitazione che gli leggevo negli occhi smeraldini. Raccolse la mia lingua in un bacio strappacuore e sfregò la sua erezione ancora coperta del tessuto sulla mia apertura.

Si scostò dal mio corpo per denudarsi completamente lasciandomi distesa ad agognare il suo calore. Si chinò sul mio bacino e tratteggiò i contorni del mio tatuaggio con slittetate bollenti di lingua e prima che potessi accorgermene infilò due dita tra le mie labbra strappandomi un gemito.

<< Avevi detto che non avresti gridato Victoria >> quando pronunciava il mio nome in quel modo mi tendevo come una corda di violino.

Aumentò la pressione della sua lingua sul mio centro pulsante accelerando il movimento delle dita nella mia intimità. Sarei morta urlando il suo nome se non avessi morso il palmo della mia mano per smorzare la potenza di quell'orgasmo, che proruppe come un fulmine inaspettato, in un cielo costellato di stelle.

<< Sei madida ed io non ce la faccio più >> divaricò con prepotenza le mie gambe e sferzò un colpo di bacino dentro di me. Si mosse sul mio corpo come se fosse la cosa più naturale del mondo. Continuò a torturarmi le labbra ed il seno con le mani e con la lingua.

<< riconoscerei la perfezione di questo corpo anche nel buio della notte >> confessò condannandomi ad un'altra stoccata di bacino. Era talmente turgido e pulsante che dovette rallentare per farmi abituare alle sue dimensioni.

<< Alzati >> ordinò. Afferrai la sua mano e mi sollevai sul materasso. Mi caricò sulle spalle e tirò il lenzuolo dal mio letto coprendomi dalla vita in giù. Riaprii la porta della mia stanza e mi intimò di tacere. Nel silenzio attonito percorremmo il corridoio fino alla camera di Charlotte. Abbassò gradualmente la maniglia, sporse il capo all'interno e si assicurò che stesse dormendo. La richiuse, virò verso la cucina, si disfò del lenzuolo che schermava la nudità del mio corpo e mi curvò sul top gelido dell'isola.

<< Siamo qui per ammirare la luna? >> chiesi indicandogliela al di là dell'immenso finestrone dinanzi a noi. Sfilò l'elastico dal mio polso e raccolse i miei capelli in una coda alta. Quel gesto mi elettrizzò come la prima volta.

<< E' quello che sto facendo da tutta la sera >> confessò prima di penetrarmi più a fondo che potesse. Cadenzava i movimenti del bacino con una precisione straordinaria, alternando spinte impetuose a movimenti lenti e circolari.

<< Potrei stare qui dentro tutta la vita >> Le sue parole addolcivano le stilettate profonde che mi infliggeva. Gli bastò avvicinare il pollice al clitoride per portarmi oltre il piacere. Gemetti tra le sue braccia possenti, stretta fra il marmo gelido ed il suo corpo rovente.

Ormai ero al limite e lo era anche lui.

Ci spostammo sul divano e volli condurre la fine del gioco. Lo spinsi sul velluto soffice e mi misi a cavalcioni sulla sua erezione. Facilitata dalle mie pareti scivolose, lo accolsi tutto provocandogli un gemito implorante.

<< Viky >> bisbigliò trafelato.


Divorò le mie labbra amaranto arrendendosi a quella tempesta che era l'unione dei nostri corpi.



<< Ne voglio ancora >> disse qualche minuto dopo la doccia.

<< Scordatelo >> replicai scappando dal bagno.

Era incontenibile, lo era sempre stato, ma io ero uno straccio ed avevo una voglia spasmodica di addormentarmi tra le sue braccia.

<< her nefesimde sen varsın >> mi baciò la fronte e poi mi attirò a sé.

Non persi tempo a chiedergli che cosa significassero quelle parole, non me lo avrebbe detto.

Ma io sperai non fosse un'altra vana promessa.


<< Ti prego papà, lascia andare la mamma. Ti prego papà >> l'urlo spaventato di Charlotte mi fece sobbalzare. Corsi nella sua stanza e la trovai accovacciata ai piedi del letto a farsi scudo con le sue stesse ginocchia al petto. Tremava come una foglia scossa da tremiti involontari.

<< Sono qui amore, va tutto bene >> tentai di prenderla in braccio per rimetterla a letto.

<< Non farlo >> mi intimò Vulkan bloccandomi ad un palmo da lei.

<< Non è del tutto sveglia, il risveglio deve essere graduale >> le accarezzò la fronte canticchiandole una nenia in turco. Charlotte chiuse gli occhi ed il suo respiro tornò regolare. Si era riaddormentata. Vulkan la sollevò lentamente e la rimise nel suo letto. Restò ancora qualche minuto ad osservarla dormire e poi lasciò la stanza con un espressione contrita.

<< Dove stai andando? >>

Si stava rivestendo.

<< Vuoi rispondermi? mi confondi. Vai, vieni, mi baci, poi sparisci, poi fai l'amore con me e adesso te ne vai >> parlai a raffica.

<< Io devo saperlo >> disse prendendomi il volto tra le mani.

<< Cosa dovresti sapere? >> ero talmente confusa da non riuscire più a distinguere la finzione dalla realtà.

<< Charlotte è mia figlia? >>

E quel mulinello di emozioni mi privò del dono della parola.

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