MIND OF GLASS: OPERATION Y [I...

By DarkRafflesia

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Dave Morrison, Capitano del Navy SEAL, è un uomo determinato, autorevole, ma sconsiderato e fiscale. Noah Fin... More

⭐RICONOSCIMENTI
Presentazione
Cast
Dedica
Prologo - ✓
PARTE PRIMA
Capitolo 1: Bravo (Parte 1) - ✓
Capitolo 1: Bravo (Parte 2) - ✓
Capitolo 2: Coinquilini - ✓
Capitolo 3: Demoni del passato - ✓
Capitolo 4: Una semplice giornata di lavoro - ✓
Capitolo 5: Insieme - ✓
Capitolo 6: Prima Tappa - ✓
Capitolo 7: Presenza - ✓
Capitolo 8: Sconosciuto - ✓
Capitolo 9: Ricordi bruciati - ✓
Capitolo 10: Il prossimo - ✓
Capitolo 11: Vacanza (Parte 1) - ✓
Capitolo 11: Vacanza (Parte 2) - ✓
Capitolo 12: Dolore lontano - ✓
Capitolo 13: Turbolenze - ✓
Capitolo 14: Scontro - ✓
Capitolo 15: Notizia - ✓
Capitolo 16: Lettere reali - ✓
Capitolo 17: Firmato... - ✓
Capitolo 18: Sui tetti - ✓
Capitolo 19: In mezzo alla folla... - ✓
Capitolo 20: Rientro - ✓
PARTE SECONDA
Capitolo 21: Adunata - ✓
Capitolo 22: Sorpresa? - ✓
Capitolo 23: Toc-Toc - ✓
Capitolo 24: Legami scomodi - ✓
Capitolo 25: Nuovi ospiti - ✓
Capitolo 26: La spia - ✓
Capitolo 27: Tocca a me - ✓
Capitolo 28: Il mondo continua a girare - ✓
Capitolo 29: Prurito ed ematomi - ✓
Capitolo 30: Fede - ✓
Capitolo 31: Rimorsi - ✓
Capitolo 32: Torna a letto - ✓
Capitolo 33: Fiamme - ✓
Capitolo 34: Scuse e incertezze - ✓
Capitolo 35: Analista per caso - ✓
Capitolo 36: Non puoi dimenticare - ✓
Capitolo 37: Bersagli - ✓
Capitolo 38: Ostacoli - ✓
Capitolo 39: Ho trovato Jake e... - ✓
Capitolo 40: La bomba - ✓
Capitolo 41: Shakalaka - ✓
PARTE TERZA
Capitolo 42: Scampagnata - ✓
Capitolo 43: Pausa? - ✓
Capitolo 44: Nuove conoscenze - ✓
Capitolo 45: Mercato finanziario - ✓
Capitolo 46: Linea - ✓
Capitolo 47: Safe International Hawk - ✓
Capitolo 48: Fregati - ✓
Capitolo 49: In trappola - ✓
Capitolo 50: Dimitri Malokov - ✓
Capitolo 51: Rancore - ✓
Capitolo 52: Portare via tutto - ✓
Capitolo 53: Insofferenza - ✓
Capitolo 54: Colpe - ✓
Capitolo 55: Operazione Y - ✓
Capitolo 56: Amicizia - ✓
Capitolo 57: Risposta inaspettata - ✓
Capitolo 58: Rivelazione - ✓
Capitolo 59: Con onore - ✓
Capitolo 60: Rottura - ✓
Capitolo 61: Solitudine - ✓
PARTE QUARTA
Dimitri Malokov & Iari Staniv
Capitolo 62: Egoismo
Capitolo 64: Il prezzo da pagare
Capitolo 65: Anonimato
Capitolo 66: Saluto
Capitolo 67: Benvenuto nella squadra
Capitolo 68: Giuramento
Capitolo 69: Decisione
Capitolo 70: L'impegno che non serve
Capitolo 71: Lontanamente vicini
Capitolo 72: Vecchie amicizie
Capitolo 73: Vigilia
Capitolo 74: L'inizio
Capitolo 75: Le squadre
Capitolo 76: Patente?
Capitolo 77: La tana del lupo
Capitolo 78: Boom...
Capitolo 79: Maledetta emotività
Capitolo 80: Svantaggio?
Capitolo 81: Iari Staniv
Capitolo 82: Luccichio
Capitolo 83: La pace
Capitolo 84: Caduti
Capitolo 85: Respirare
Capitolo 86: Un'ultima cosa da fare
Epilogo
💜Ringraziamenti & Playlist💜

Capitolo 63: Apnea

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By DarkRafflesia


Gregory Reed aveva appena lasciato la moglie Claire all'ospedale, prima di dirigersi alla base del Navy SEAL. Quando il lavoro per fortuna prendeva una pausa, e non doveva andare né alla CIA né sul campo di battaglia, insieme a tutto il resto del team decidevano di fare tappa fissa alla palestra del Navy per allenarsi tutti in insieme. Non bisognava mai fermarsi dal fare attività fisica, e stare in compagnia a sollevare qualche peso non faceva male alla loro dose giornaliera di socievolezza. Tuttavia il suo animo non era per niente tranquillo, benché meno felice; non perché non volesse stare in compagnia dei suoi amici, ma perché era conscio dell'aria che si sarebbe respirata non appena sarebbe entrato alla base. Purtroppo in quei giorni chiunque avesse un distintivo stava affrontando un duro lutto, in più loro dovevano condirlo con una dose in più. Il fatto che l'ex Generale Jude Collins fosse una spia nordcoreana era stato uno schiaffo che avrebbe potuto far cadere la nomina del Navy SEAL con un semplice soffio, di quanto avesse tramutato la loro figura ed efficienza in polvere. Solo loro del Team Bravo e l'Ammiraglio erano a conoscenza di ciò che si celava in quello che avevano architettato Dimitri e Iari, essendo parte dell'intelligence americana. Tutti i soldati che avrebbe incontrato lungo il corridoio vivevano con l'idea che il Generale era morto per colpa di due disertori russi: fine della storia.

Quando a Gregory era giunta la notizia da parte dei piani alti, non era stato tanto tranquillo. Non solo era stato costretto a dover spiegare la situazione a Claire quando lo aveva visto impallidire di colpo, mentre stava cucinando, tanto che il cellulare gli era caduto a terra dallo shock, ma aveva provato a chiamare Dave per avere sue notizie, capire se stava bene, se lui e Noah fossero stati coinvolti in qualche modo in quell'esplosione. Ma non aveva ricevuto riscontri. Nessuna notizia, nessuna risposta, nessun messaggio. Solo il fatto che l'amico gli avesse staccato le chiamate per non permettere al cellulare di squillare, gli era bastato per capire che in qualche modo, seppur anomalo, fosse integro fisicamente.

Ma sapeva che mentalmente Dave era da tutt'altra parte.

Alla CIA, le voci sulla perdita del caso, passato all'FBI, avevano fatto il giro dell'edificio in pochissimi minuti, tanto che già tutti avevano iniziato a tremare dalla paura se solo avessero visto Dave o Noah camminare per i corridoi di Langley. Eppure nessuno dei due si era fatto vivo in quelle giornate. L'aria che aveva respirato Gregory negli uffici era stata irrequieta per tutto il tempo. Non aveva fatto altro che passare alcune ricerche delle indagini all'FBI, essendo della Direzione di Supporto, dopodiché aveva girovagato nella Direzione delle Operazioni con la speranza di intravedere Dave. Tuttavia era letteralmente sparito. Per questo quel giorno era più animato dei precedenti. Perché era sicuro quanto quella giornata di pioggia che avrebbe incontrato l'amico alla base del Navy SEAL.
Mostrò il distintivo per passare, parcheggiò e si diresse alla palestra che sicuramente i soldati avevano lasciato libera per loro. Quando vedevano anche un solo membro del Team Bravo dirigersi in palestra, era meglio sloggiare, altrimenti la loro autostima sarebbe calata di parecchio.
Non appena varcò le porte, subito si incontrò con i suoi compagni di squadra.

«Sei in ritardo, Greg!» esordì Sully, intento a correre sul tapis roulant e togliendo una sola cuffia per poter interloquire con lui. «Ci siamo già scaldati tutti.» scherzò senza un sorriso.

Vestito con un pantaloncino grigio ed una canotta nera per mostrare in tutto il suo splendore il tatuaggio tribale che decorava l'intero braccio destro fino alla spalla, i suoi capelli erano sempre maniacalmente ordinati, legati in quello chignon perfetto dalla quale non usciva neanche un ciuffo, nonostante fosse lievemente sudato sulla fronte.
Dall'altro lato si imbatté in Jake; stava facendo delle trazioni sulla sbarra, i capelli ramati erano sempre scompigliati, più del normale a causa dell'intensa attività fisica. La t-shirt bianca gli stava esageratamente attillata, tanto che dovette privarsene per rimanere a petto nudo, cosicché i muscoli allenati del trapezio potessero sagomargli la pelle.
Più in là vi era Gavin, intento ad allenare il braccio destro per recuperare il tono perso a causa del proiettile che lo aveva lasciato fuori gioco per qualche settimana; tutto piccoletto, ma aveva anche lui i suoi bei bicipiti da mettere in mostra, di quanto non smettesse mai di dare del suo meglio. Liam stava facendo i quadricipiti sulla leg press, ancorato sul sedile e il respiro coordinato ad ogni movimento. Si era fatto la barba; la sua mascella non era mai stata così liscia in tutti gli anni in cui si conoscevano. Infine vi era quella bestia di Kyle; sulla panca stava facendo sollevamento pesi per ingrossare più di quanto non lo fossero già le sue braccia, tanto che il viso era diventato leggermente roseo.

«Scusate il ritardo, ragazzi. Ma quando piove è impossibile fare un passo.» disse Gregory, posando il borsone accanto a quello dei suoi compagni e levando la felpa per rivelare anche lui una canotta bianca che mostrasse una parte di petto non più ammaccata dal proiettile che aveva preso la placca ad Appleton.

Anche lui sarebbe dovuto ritornare in carreggiata con gli esercizi, visto che la respirazione era diventata faticosa a causa di quel dolore lancinante che aveva provato ogni qual volta aveva tentato a fare ciò cui involontariamente era dotato il suo corpo, come l'atto in sé della respirazione. Tuttavia i suoi occhi non smisero di vagare all'interno della sala colma e stracolma di attrezzatura; c'era pure un piccolo sottofondo musicale, ma oltre al suono metallico dei pesi e ai passi concitati della corsa di Sully, non c'era nient'altro se non i loro respiri sotto sforzo.

«N-Non preoccuparti. Quinn è qui dalle sei del mattino. Ha fatto cardio e poi non si è schiodato da quella panca.» osservò Jake, dopo aver finito una serie ed iniziarne un'altra senza prendere una pausa.

Gregory forzò un sorriso per niente sorpreso, anche perché dalla risposta grugnita di Kyle, poteva già immaginare quanto fosse nervoso per le notizie che aveva dovuto sopportare. Non sbagliò nell'anticipare che l'aria che si respirava là dentro era stranamente fredda e tesa. Quando avevano saputo del fatto, Sully e Kyle erano stati coloro che avevano mostrato più rabbia per aver perso il caso e non poter più intervenire per fermare i due russi; mentre Gavin e Liam avevano abbassato le spalle con rammarico e rassegnazione, lui e Jake avevano provato a trovare una giustificazione, qualsiasi cosa potesse dare ragione alla scelta del Direttore Simmons, ma fondamentalmente non c'era nulla da giustificare. Erano sicuri che anche Dave l'avesse pensato: solo loro potevano competere con le due personalità instabili e pazzoidi di Dimitri e Iari. Li avevano affrontati una volta; potevano affrontarli di nuovo. Se con la CIA, con Dave e Noah, i russi avevano vinto, contro l'inefficienza dell'FBI lo avrebbero fatto ad occhi chiusi. E loro avrebbero dovuto stare lì ad allenarsi per evitare di prendere a pugni qualcuno.
Se stava fermo Dave, dovevano stare fermi anche loro.
Non c'era molto da scherzare, non c'era molto da dire e non c'era nulla di cui parlare, quando l'unico pensiero fisso del Team Bravo fosse legato alla perdita e a chi non era presente lì con loro.

«Avete visto Dave?» arrivò la sua fatidica domanda.

Jake lasciò andare la sbarra, sedendosi malamente sulla panca per riprendere fiato. Si passò la maglietta sul viso per asciugare i residui di sudore e curvò la schiena, cercando la borraccia. «La sua macchina è qui, ma nessuno l'ha visto. Dicono che sia arrivato circa mezz'ora fa.»

«Probabilmente è in piscina. – Gavin passò il manubrio dalla mano destra alla sinistra. – Ho visto alcune reclute abbandonare la sala interna, perché si sono sentite folgorate dalla sua presenza.»

«Starà sicuramente nuotando da solo.» aggiunse Sully, fermando il tapis roulant per scendere ed afferrare al volo la seconda borraccia che Jake aveva preso dalla sua sacca.

Gregory si strinse nelle spalle, volgendo uno sguardo alla porta alle sue spalle con aria combattuta, finché non gli arrivò una pacca che lo riportò sulla realtà. Il cecchino lo stava guardando serioso, il fiato ansante.

«Sai meglio di me che non è il caso di disturbarlo.»

**

Quando i suoni esterni gli davano fastidio e niente poteva tentare di placare la tempesta che albergava dentro di lui, Dave preferiva immergersi in acqua ed entrare in apnea.
Incominciava con una nuotata, un modo per allenare i polmoni ed abituare il respiro all'ambiente acquatico, passava da un estremo a un altro della vasca, dopodiché decideva di aumentare la difficoltà con qualche peso, immaginando di non essere in costume da bagno, con quell'unico pantaloncino nero, ma con un'intera divisa addosso, armi e attrezzatura. Continuava a nuotare, a nuotare, fino a quando non sentiva le braccia bruciargli dallo sforzo enorme e le gambe chiedere un momento di pausa. Ma allo stesso tempo, doveva ricaricare, fermarsi e pensare.

Quando nella sua mente non vi era pace e serenità, era una prassi.

Allora si era messo al centro della piscina, tenendosi alle corde della suddivisione in settori, per prendere respiri profondi e rallentare la frequenza cardiaca. Ci aveva messo qualche minuto, indossando la cintura di pesi alla vita per fare in modo che il corpo sprofondasse fino al fondo, dopodiché aveva preso un ultimo respiro profondo, chiudendo gli occhi, e si era lasciato andare. Giunto a cinque metri di profondità, si era seduto con le gambe incrociate ed avviò il timer dell'orologio al polso per tenere conto di quanto tempo trascorreva sott'acqua. Senza attrezzatura né occhialini, voleva solamente annullarsi, allontanarsi dal mondo per meditare e non sentire nulla.

Nessuna voce. Nessun brusio. Nessun rimprovero. Nessun richiamo. Nessun urlo. Nessuna esplosione. Nessuno sparo. Nessuno schiaffo.
Niente di niente. Era solo lui. Solo lui e il suo battito cardiaco, lento e regolare.

Appoggiò le mani sulle ginocchia, gli occhi chiusi e il volto contratto in un cipiglio tormentato e turbato. Quando il suo moto si spegneva e non c'era nulla che potesse fare per gli altri, per le persone che lo circondavano, si sentiva vuoto. Le piastrine al collo pendevano pesanti, adagiate sul suo torace pronunciato, con quella fede che brillava anche sott'acqua.
Quel fallimento non aveva fatto altro che riportare a galla i suoi ricordi, i difetti che lo avvolgevano come una vipera assetata che non avrebbe fatto altro che stringere e stringere e stringere fino a soffocarlo. E lui provava a liberarsi, a voler fare del suo meglio per dimostrare a quell'animale che avrebbe potuto vincere, che avrebbe potuto domarla per utilizzarla a suo favore.
Era nato con quelle capacità, con la pasta di un soldato.
Al tempo stesso si era impegnato a vivere diversamente, a scindere lavoro e vita privata.
Aveva provato a spiegarlo alla sua ex-moglie tante di quelle volte che aveva perso il conto degli schiaffi che aveva ricevuto in risposta, i pianti e la delusione di chi aveva sposato un uomo incapace di amare.
Quante volte si era ritrovato a parlare per spiegare la situazione e nessuno lo aveva preso in considerazione? Quanti salti mortali aveva fatto per il prossimo da non essere comunque apprezzato? Era sempre stata così, la sua vita; non importava quanto si sacrificasse per il prossimo, quanto sudasse e si sforzasse, gli stolti avevano sempre qualcosa da dire, sottolineando le sue lacune.
E tutte quelle ferite venivano solo ignorate, perché lui le assorbiva in silenzio.

Sebbene il suo udito fosse ovattato dalla presenza di acqua, sentì che qualcuno si era tuffato in piscina. Non si mosse, tuttavia, rimanendo in quella posizione come se non gli importasse respirare, come se lo avesse dimenticato, e la sua mente fosse finalmente in un limbo di apparente pace, dove le vicende che si erano susseguite in un battito di ciglio lo avevano spinto verso ad un traguardo che faceva parte di una gara a cui lui non aveva preso parte. Percepì delle mani prenderlo per le spalle; riaprì gli occhi, sollevando il capo rivolto verso il basso, per incontrarsi con una sagoma appannata dall'acqua. A giudicare dai capelli neri e dal fisico, però, dedusse bene che quello fosse il suo migliore amico. Lo vide indicare verso l'alto, perciò si rialzò per puntellare i piedi sulle piastrelle della piscina e darsi una spinta per ritornare in superficie. Quando riemerse, notò Gregory togliersi gli occhialini e riprendere fiato, portandosi i capelli indietro per liberare la fronte.

«Mi dispiace. – iniziò, aggrappandosi alla corda con galleggianti. – Ma quando ti ho visto lì sotto non ho potuto fare a meno di tuffarmi. Sono pure senza costume.» l'altro ci fece caso solo in quel momento, aggiustando la vista fuori dall'acqua per notare che era ancora in tuta, ma senza maglietta. «Non dovresti fare apnea senza un compagno che ti tanga d'occhio. È pericoloso.» proseguì, seriamente preoccupato.

Dave non ricambiò lo sguardo, limitandosi a slacciare il velcro della cintura alla vita per tenerla sulle spalle e avere la libertà di nuotare.

«Hai ragione. Non era calcolato.» rispose, monocorde e sovrappensiero.

I due nuotarono per uscire dalla piscina. Il primo fu Gregory, il quale gli tese una mano per avere i pesi; Dave glieli consegnò, cosicché potesse essere più leggero per piantare le mani sui bordi e tirarsi su con uno sforzo netto che gli tese i muscoli. Si sedette lì, lasciando le gambe a mollo, e si passò entrambe le mani davanti al viso per eleminare i residui di acqua, mentre riprendeva il fiato che si era negato per quel periodo.

«Quanto hai fatto?» domandò Gregory, appoggiando un asciugamano sulle spalle del suo superiore.

Dave lo tirò per portarsi i capelli biondi indietro, successivamente volse uno sguardo sull'orologio al polso, schiacciando il pulsante per bloccare il timer che stava continuando a scorrere.

«Ho perso il conto all'ottavo minuto. Ma suppergiù sono stati dieci.» ammise.

Il più giovane era meravigliato. Non per questo il suo migliore amico era il leader del Team Bravo. Fisicamente e strategicamente era davanti a tutti, che gli piacesse oppure no, che lo volesse o meno. Era parte della sua natura, non c'era nulla di sbagliato in tutto ciò.
Avrebbe voluto, però, che anche Dave lo capisse.
Sospirò dalle narici. Ormai la sua tuta era andata perduta, strafatta di cloro, perciò si sedette accanto a lui – fregandosene di avere anche i dannati boxer bagnati – soprattutto quando lo vide rimanere con lo sguardo fisso sulla superficie dell'acqua, come se questa volesse tentarlo a immergersi ed allontanarsi da chiunque ancora una volta. Gregory era sinceramente preoccupato da quell'atteggiamento; era contento che finalmente era riuscito ad incontrarsi con Dave. In fin dei conti quest'ultimo avrebbe potuto prevederlo che lui sarebbe stato l'unico ad avvicinarsi dopo momenti di silenzio. Infatti sembrava che la sua presenza non fosse così sgradita, altrimenti non ci avrebbe pensato due volte a dirgli di lasciarlo in pace. Come lui, decise di guardare la superficie dell'acqua, di lasciare che fosse l'echeggiare delle onde, lo scrosciare tenue e leggiadro, ad aiutarli a comunicare.

«Io ci ho provato.» scappò dalle labbra di Dave.

Gregory inclinò il capo per scoccare un'occhiata di sbieco verso di lui. Stava ancora fissando l'acqua, stringendo intensamente l'asciugamano sulle cosce.

«Ci ho provato a salvare quei poliziotti.» proseguì.

«Dave...»

«L'ho fatto.» lo anticipò, ricambiando lo sguardo. Gli occhi scuri di Dave erano tinti dalla rabbia. «Ho ripetuto a me stesso che non è colpa mia, ma in fin dei conti lo è. Lo ha detto pure Simmons.» lanciò via l'asciugamano con impeto. «Dopotutto con me nel caso sono morte solo persone.» disse con sarcasmo, mettendosi in piedi per raggiungere il suo borsone sulla panchina.

Gregory lo seguì a ruota libera, determinato quanto amareggiato. «Dimitri lo ha fatto per provocarti, per colpirti. Crede che in questo modo possa farti provare quello che ha provato lui.» Dave si tolse l'orologio, gettandolo con malagrazia dentro il borsone, senza rispondergli. «Per favore, Dave. Tu e Noah non avete colpe per quello che è successo. Anche noi del team sappiamo che la scelta di dare il caso all'FBI è stata un'emerita cazzata.»

«Non cambia.» Dave si assicurò che il torace fosse asciutto per prendere la canotta ed indossarla. «Non cambia il fatto che sono comunque morti. E con loro anche il Ge... – ringhiò – Jude.»

L'amico lo fermò dall'indossare l'indumento per essere guardato in faccia. «Capisco la tua rabbia. La capisco perfettamente, Dave. Eravate da soli, in una stanza chiusa da degli stupidi trucchetti. Noi del team siamo rimasti qua a non fare niente, quando invece avremmo potuto distruggere il vetro e-»

«Sono solo supposizioni che non riavvolgeranno il tempo. Pensare a soluzioni, arrampicarsi sugli specchi per dare la colpa a quei pezzi di merda, non riporterà in vita nessuno. Nessuno!» lasciò andare la maglietta dal nervosismo, allontanandosi per smuoversi irato sul posto.

Gregory abbassò le spalle, tendendo una mano che non lo raggiunse. Avrebbe voluto fare di più. Ma cosa poteva fare per risollevargli il morale? Non c'era nulla da fare. I piani alti avevano parlato, e loro erano stati messi a tacere. Avrebbe voluto fargli capire che al posto suo e di Noah nessuno avrebbe potuto fare un lavoro migliore. Per essere stati per la prima volta insieme in un caso, si erano giostrati così bene che quello di Dimitri e Iari era stato l'unico modo per metterli alle strette. Quei tranelli non avevano fatto altro che porre una tensione che non avrebbe cambiato le sorti di quello sporco giochetto da codardi. Quello era vincere facile con slealtà. Ma Dave non usciva da quell'idea, dalla possibilità che la soluzione era presente. E anche Gregory lo pensava.

«Non dipende comunque da te quello che è successo. – disse, serioso quanto deluso. – Non avrebbe cambiato idea. Jude non lo avrebbe fatto.»

Dave serrò le mani in dei pugni, dandogli le spalle. Strinse le labbra in una linea sottile, scrollando la testa. «Allora con quale faccia si è permesso di scappare dalle sue responsabilità e di lasciare tutto a me?» si voltò, passandosi le mani sui capelli. «Di punto in bianco si è messo a fare il Generale, pronunciando quelle cazzate a cui tutti hanno creduto. Non lo trovi fottutamente senza un cazzo di senso?»

«Ma non sei solo in questo, Dave.» Gregory avanzò, afferrandogli il braccio per essere guardato. «Mi sono fatto avanti per condividere questo peso con te. Ho preso il tuo posto, riuscendo a fare in modo che vi siano due cariche alte in uno stesso Team. Abbiamo deciso di scalare la montagna insieme da quando abbiamo indossato questa divisa. – si toccò le piastrine. – Continueremo a farlo, qualunque cosa accada.»

Ed era vero. Gregory Reed era diventato il nuovo Capitano, prendendo il suo posto in quella nomina inaspettata alla quale entrambi non avevano mai ambito. L'amico gli sarebbe sempre stato vicino.
E Dave non poteva che essergli riconoscente per tutto il bene che gli aveva fatto da quando le cose erano calate a picco con il suo rovinoso matrimonio.
Espirò dalle narici, sgonfiando il petto per darsi una calmata. Gregory gli sorrise con affetto, invitandolo a sedersi per riprendersi da tutti quei pensieri. Dave seguì il suo consiglio e si accomodò sulla panchina, andando indietro con la schiena per adagiare il retro della nuca sulla parete e sollevare gli occhi al soffitto. Accettò la maglietta che l'amico gli passò, tenendola fra le mani senza indossarla; la sua mente era talmente sovrastata da tutto quello che era successo, che non riusciva a fare nulla se non perdersi nel vuoto.

«Come ha reagito il ragazzo in tutto ciò? Come sta?» Gregory si mise accanto a lui, scrutandolo con apprensione.

Dave si irrigidì.
Precedentemente aggrottate dalla rabbia, le sue sopracciglia assunsero una forma completamente diversa che l'altro registrò appieno; si erano modellate in un'espressione turbata e impreparata, gli occhi spalancati, accompagnati da un mutismo che non giovò per nulla all'animo già altalenante che si respirava.

«Dave... È successo qualcosa al ragazzo?» chiese Gregory con un brutto presentimento.

Dave socchiuse gli occhi, curvando la schiena per chinare la testa e nascondere lo sguardo. «Non lo so.»

L'amico sussultò, incredulo. «C-Cosa? Che vuoi dire?»

«Non ho notizie di Noah da quattro giorni.» confessò, umettandosi le labbra secche, un nodo alla gola che fece uscire la voce in un sussurro sommesso. Sbuffò esasperato guardando la piscina. «Abbiamo avuto una... lite dopo che Simmons ci ha sollevati dal caso. Penso che sia andato via di casa. Provo a chiamarlo ogni giorno, ma non risponde.»

Gregory provò ad aprire la bocca, ma Dave lo troncò sul nascere.

«Non ho minimamente considerato quello che deve aver provato davanti a quell'esplosione... Nella mia testa non ho visto più nulla e...» si coprì le nocche della mano ancora un po' ammaccate con l'indumento, serrando i pugni. «Non so dove sia. Dove stia passando la notte. Niente. Ha preso la moto ed è sparito. Forse non tornerà mai più.»

«Perché pensi questo?» intervenne l'altro, avvilito.

Dave indossò finalmente la canotta. «Perché alla fine sono stato io ad obbligarlo a lavorare. Non ho mai lasciato che fosse libero di scegliere. Per quanto abbia fatto di testa sua, c'è sempre stato il mio giudizio a influenzarlo.»

Le sopracciglia di Gregory si sollevarono dallo stupore. Era... Dave quello che stava parlando?

«Se fra qualche giorno verrà a riprendere tutte le sue cose, lo accetterò. Alla fine non c'è nessun contratto che lo lega a me e a quella casa, può fare quello che vuole.» si alzò, impossibilitato a stare fermo. «Siamo solo sconosciuti, nient'altro.»

Parole che pensava davvero. Non aveva smesso di chiamare Noah da quando se n'era andato. La stessa sera, con quel brutto temporale, aveva creduto che dopo un po' il ragazzo sarebbe tornato, ma non era successo. Era rimasto sveglio tutta la notte, in soggiorno, in attesa che sentisse quel motorino scadente parcheggiare al vialetto; ogni chiamata non veniva presa, ogni messaggio non veniva letto. Aveva perso il conto, tanto che si era arreso e aveva lasciato perdere, pur di non essere opprimente. Aveva compreso bene che quel mutismo era sinonimo di odio, di delusione.
Perché Dave si era abbassato agli stessi livelli di quelle persone che lo avevano picchiato a causa della sua lingua appuntita.
Il motivo per il quale Noah allontanasse chiunque avesse voluto conoscerlo era ormai evidente; come poteva fidarsi di qualcuno che, una volta affrontato con la verità, lo avrebbe picchiato a mandato a quel paese? Lui gli aveva solo dato modo di chiudersi ulteriormente in quello strano guscio di marmo che circondava il suo corpo da qualunque fosse stato l'approccio nei suoi confronti.

«Dave.» lo chiamò Gregory, in piedi con un sorriso profondo in volto. «Io credo che tornerà.»

Dave abbassò le spalle. «Non-»

«Dave! Dave!»

Una voce lo interruppe. I due amici si voltarono verso la fonte del suono, di quella voce allarmata e agitata che echeggiò nell'intera sala da creare un trambusto che sovrastò lo scorrere dell'acqua.
Era Jake, il quale si fermò appena dopo la soglia della porta, sinonimo di non voler allontanarsi troppo dal posto dove era venuto; era curvo con la schiena per il troppo fiatone, causato anche dall'allenamento previo sprovvisto di pause.

«Cos'è successo, Jake?» domandò il diretto interessato, facendo un passo verso di lui.

Jake si asciugò il sudore in eccesso. «La palestra...! Gavin e Kyle...Non riusciamo a fermarli!»

Dave e Gregory si scambiarono un'occhiata incerta, ma non ci pensarono due volte a correre in quella direzione, lasciando che l'artificiere facesse loro da guida. Sentivano delle urla troppo adirate e furiose provenire dal luogo citato; una calca di soldati di altri team, reclute e istruttori, si stava radunando in un unico punto, impedendo a chiunque di passare o di poter guardare meglio la scena che aveva annullato l'intera quiete e autorità della base. Nessuno aveva mai sentito quelle voci provenire dal Team Bravo; erano così disciplinati e ordinati, che non avrebbero mai immaginato che un giorno si sarebbero messi ad interrompere il decoro delle forze speciali migliori degli Stati Uniti. Eppure, non appena Jake faticò a ritornare dentro la palestra, ringhiando anche dalla frustrazione, i soldati si voltarono per capire il motivo per il quale il suddetto volesse passare così insistentemente, come se non avessero un superiore davanti a loro; impietriti, sbiancarono alla vista di Dave e Gregory, fino a quando non si diedero delle pacche veloci sulle spalle per richiamarsi fra di loro e mostrare chi stava arrivando. Bastò solo un semplice sguardo, seppur Dave avesse il costume e fosse a piedi nudi, idem per Gregory in un aspetto un po' pietoso per camminare in quel modo per i corridoi, che la calca si aprì come le acque del Mar Rosso per farli passare.
Quando entrò in palestra, Morrison rallentò la corsa fino a camminare, non celando una punta di sconcerto.
Sully stava tenendo Kyle, mentre Liam stava trattenendo Gavin. I due soldati in questione si stavano scambiando parole che in un primo momento non fu in grado di captare, di quanto fossero sovrapposte.

«Cosa diavolo sta succedendo?» chiese Gregory a Jake.

«Hanno iniziato a scambiarsi opinioni riguardo Malokov e Staniv, ma sono andati oltre fino ad urlare, quasi ad iniziare una rissa.»

Liam era riuscito a mantenere fermo Gavin dopo averlo fatto indietreggiare di un po' per fare in modo che Sully lo facesse con Kyle; a differenza del più piccolo, però, quest'ultimo non aveva intenzione di rimanere al suo posto, come se volesse essergli quanto più vicino possibile per parlargli faccia a faccia. Eppure lo sguardo di Gavin era così ferito e agitato, che ciò che risaltò agli occhi di Dave fu proprio quel riflesso vitreo che decorò le iridi arrossate.

«Perché hai frainteso le mie parole?! Non si può avere un punto di vista diverso dal tuo che sei pronto a sminuire il prossimo!» disse, facendo qualche passo in avanti che Liam estinse quando lo afferrò con delicatezza per il braccio.

Kyle tentò di spingere via Sully, invano. «Non hai la più pallida idea della divisa che indossi, di essere uno dei soldati migliori che, in teoria¸ dovrebbe disporre il Team Bravo. Ma forse sarebbe stato meglio che tu rimanessi una cazzo di cintura!»

Gavin spalancò gli occhi, allibito.

«Chi ti credi di essere nel dirmi queste cose? Dave? Tu non puoi capire tutti gli sforzi che faccio ogni giorno per essere adatto a stare in mezzo a voi! Non lo capisci!» provò a dimenarsi dalla presa di Liam, ma sapeva, in cuor suo, che non sarebbe stato giusto, perciò in un primo momento si lasciò tenere, non avendo neanche le forze di muovere le gambe per il dolore che stava patendo.

Che ne voleva sapere, Quinn, di tutte le insicurezze che si portava dentro? Non vedeva quanta ansia e quanto dolore si portava sulle spalle, quanta precisione cercava di porre in ogni cosa che faceva? Si allenava ogni giorno, studiava ogni giorno le tattiche che potevano essere utilizzate sul campo per difendere e proteggere i propri compagni; cercava sempre di essere una spalla, invece lui lo trattava sempre come se fosse una dannata femminuccia incompetente. Se era stato scelto da Dave doveva esserci un motivo, giusto? Non poteva il leader del Team Bravo aver commesso un errore, non poteva. Altrimenti per quale motivo era lì? Non si stava cullando sugli allori, non stava ostentando la sua bravura a chi gli era inferiore; voleva solo essere all'altezza di tutti loro, voleva dare il suo punto di vista per calmare le acque. Invece si era guadagnato solo l'appellativo di cintura perenne. La ferita fresca che portava sul braccio, la cicatrice che gli sarebbe rimasta a vita, come tutte quelle che decoravano i corpi dei suoi compagni di squadra, per quale motivo se l'era fatta? Perché era davvero così debole da essere ferito con semplicità?
Le dita ebbero uno spasmo inconsulto non appena una strana sensazione si insinuò sul suo braccio.

«Get off me! – Kyle spinse via Sully, facendo qualche passo avanti che portò Jake a mettersi in mezzo. – Quindi dovrei fare come te, giusto? In un angolino, tutto a tremare e ad aspettare, senza neanche fare un passo.» ondeggiò le mani per rendere l'idea della fighetta impaurita e maldestra. «Te l'ho spiegato mille volte, ma non riesci ed entrare nell'ottica: non sei adatto a fare il soldato.» pronunciò con ribrezzo, con quella spacconeria arrogante che gli indurì il tono di voce sempre scivoloso.

Gavin non ce la fece più. Scattò nuovamente, prendendo in contropiede Liam che non ebbe il modo di fermarlo. Spinse via Jake e si gettò su Kyle, scaricandogli un pugno che lo mancò nel momento in cui Sully e, addirittura, Gregory intervennero per allontanarli immediatamente, soprattutto quando il più muscoloso afferrò il più giovane per il colletto, pronto a ricambiare.

«Non sai neanche incassare un cazzo di pugno! Avanti, colpiscimi!» urlò.

«Non voglio farti del male! Perché non riesci a capirlo!» replicò Gavin.

«Lo capisco eccome! Non hai le palle di fare nulla!»

Gavin si fece prendere per le spalle, in attesa del colpo. Dopotutto era una nullità, giusto? Un ragazzino che era stato scelto nel Team Bravo, ma non aveva il coraggio di affrontare i propri nemici quando le situazioni lo richiedevano. Si sentiva in colpa per chi uccideva, si buttava giù per un colpo ricevuto. Stava già facendo una figuraccia davanti a tutta la base per come Kyle lo stava etichettando. In effetti non sarebbe mai potuto arrivare ai suoi livelli. Per quanto senza cervello e con quella spacconeria nell'avere il titolo di soldato del Team Bravo, Kyle sapeva quello che voleva; guardava in faccia chiunque, si giostrava con quel mitragliatore come se fosse piuma, adocchiava i suoi nemici e li uccideva senza un minimo di esitazione. Lui, al contrario, non aveva quei pregi.
Ma un minimo di ragionevolezza, almeno, la disponeva.
Le grida dei suoi compagni gli stonarono i timpani, mentre davanti a lui Kyle caricò un pugno. Strinse gli occhi, in attesa che il colpo lo prendesse in pieno, incapace a muoversi, a difendersi.

«ADESSO BASTA!»

Un tuono che sovrastò ogni cosa.
L'aria si paralizzò, immobile.
I soldati lì presenti e spettatori di quella scena, non si resero conto di esser indietreggiati colti alla sprovvista, travolti da un'onda d'urto invisibile e intangibile che li aveva costretti a prendere le difese. Il Team Bravo si era zittito di colpo, rimanendo immobile, pietrificato sul posto, sebbene i membri fossero in posizioni improponibili. Gavin riaprì di poco gli occhi con esitazione, osservando una scena che gli mozzò il fiato; Kyle aveva bloccato il pugno a pochi centimetri dal suo viso, guardandolo con un'espressione che non aveva nulla a che vedere con la rabbia e la baldanza di poter avere il potere di metterlo in riga. Jake, in mezzo a loro, si era bloccato, mentre Sully e Gregory lasciarono andare Kyle, intorpiditi da quel vocione che giunse fino alle loro menti. La presa di Liam alle sue spalle si fece così impercettibile, che poté muoversi da solo e dimenarsi dalle mani dell'energumeno come se le loro forze fossero state prosciugate da un'entità misteriosa che, in realtà, era rimasta lì a osservare con delusione il loro comportamento da ragazzini, i quali si credevano emancipati e con la libertà di poter fare quello che cazzo volevano senza capire cosa fosse il rispetto e il dare il buon esempio. Perché quando si voltarono tutti nella stessa direzione, erano stati rasi al suolo dallo sguardo più freddo e autoritario che avessero mai visto.
Dave Morrison aveva alzato la voce e, quando accadeva, non era per niente un buon segno.
Con la postura dritta, i pugni chiusi e gli zigomi intirizziti, mosse il capo per osservare anche i soldati alle sue spalle rimanere sul posto senza muovere un muscolo, col fiato trattenuto.

«Cosa cazzo era, eh?» esordì, iniziando a camminare con passo flemmatico e pesante. «Credete di essere al circo per caso? Avete scambiato questo posto per un pub?!»

Silenzio. I soldati del Team Bravo si allontanarono tra di loro per rimanere comunque sull'attenti. Dave corrugò la fronte, spazientito.

«Avete scambiato questo posto per un pub?!» aumentò il tono di voce, rivolgendosi a chiunque fosse presente.

«No, signore!» urlarono tutti all'unisono.

«Allora finitela con queste liti da reclute insignificanti! Siete dei cazzo di soldati del Team Bravo! Non esiste un migliore! Dovete essere tutti migliori!» continuò a camminare per la stanza, guardando indipendentemente tutti allo stesso modo. Passò agli altri. «Lo stesso vale per voi. Se c'è una rissa, dovete stare ai vostri cazzo di posti! Questa base non è un teatro o un campo da pugilato! Tornate a lavorare!»

Tutti si misero sull'attenti, sguardo in avanti, braccia lungo i fianchi e piedi uniti.

«Agli ordini, Generale!» risposero.

Dave sentì quell'appellativo percorrergli la schiena, un brivido che gli inibì quell'autorità da fargli spalancare per un attimo gli occhi. Tutti i soldati e le reclute che avevano invaso la palestra si dileguarono nel giro di secondi, mentre il Team Bravo rimase fermo sul posto dopo essersi rilassato, sguardo rivolto verso il basso e la mortificazione divorarlo dall'interno per quella figuraccia che aveva appena fatto.
Sully e Jake si scambiarono un'occhiata demoralizzata, Liam si sedette su una panca con abbattimento, mentre Kyle scoccò un'occhiata fugace a Gavin con la coda dell'occhio; arricciò il naso, socchiudendo le palpebre, quando sui suoi occhi verdi si riflesse il movimento repentino, eppure contenuto, che le dita del giovane stavano compiendo con foga sul braccio, tanto che già le linee delle unghie stavano lasciando delle impronte rossastre sulla pelle. Gregory si passò una mano sui capelli per portare i ciuffi lievemente mossi, ancora umidi, indietro, sospirando dalla tensione. Inclinò il capo verso Dave, registrando quel millesimo di secondo in cui il suo viso si era contorto in quella strana espressione. Si avvicinò a lui, poggiando subito una mano sulla sua spalla.

«Dave-»

Un movimento brusco, e quella mano scivolò via.
Dave si voltò ed uscì dalla palestra senza proferire verbo, lasciando che quella tensione colmasse il vuoto della sua presenza.
Questa volta, Gregory non lo seguì.
Era certo che adesso era meglio lasciare il suo superiore da solo.  

________________________________________________________________________________

Angolo autrice:

Questo capitolo è molto delicato, perché mostra quanto la tensione abbia divorato completamente l'animo del Team Bravo. Sono tutti profondamente legati a Dave; quando manca la sua autorevolezza e il suo buonumore, crollano anche loro, come se si sentissero persi senza la mancanza della sua guida. 

Ho sempre mostrato Gregory come un personaggio spalla per Dave e tutt'ora lo è, cerca sempre di esserlo perché lo conosce più di tutti noi, andando al di là delle stesse righe che digito per mostrare il legame che li unisci, eppure c'è sempre quello scalino che lo separa da ciò che frulla nella testa del nostro ormai nuovo Generale. Travolto da un brutto peso sulle spalle. 

Eppure c'è sempre un angolino in cui Dave pensa a Noah, al fatto che ormai sono passati quattro giorni da quel brutto litigio; ha ragionato, ha compreso di aver sbagliato. È conscio dell'impulsività mostrata con il pugno, ma la sua assenza lo ha fatto ragionare in toto sul caso, su come si è comportato con lui durante tutti questi capitoli. 

Diciamo che Dave e Noah sono partiti entrambi con il piede sbagliato.
E questo li ha indotti ad esplodere e a separarsi.
Adesso abbiamo avuto un'idea di quello che pensa Dave, ma Noah che fine ha fatto? 
Vorreste saperlo, eh? Ma ahimè dovrete aspettare il prossimo venerdì, perché martedì ci immergeremo nella psiche di Dimitri e Iari con il Capitolo 64: Il prezzo da pagare!

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