𝑹𝑬𝑪𝑲𝑳𝑬𝑺𝑺.

By michellehtoms

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Cosa succede quando due anime spaccate per metà si incontrano nel bel mezzo della loro vita? Continueranno a... More

AVVERTENZE.
Dedica.
Welcome to Greenhaven.
Cast & Info.
Cast ²
𝓣𝓱𝓮 𝓜𝔂𝓽𝓱 𝓸𝓯 𝓟𝓮𝓻𝓼𝓮́𝓹𝓱𝓸𝓷𝓮.
1. How can you die carelessly?
3. The wild hunt & Caramel apple spice.

2. Criminologie et yeux.

244 35 49
By michellehtoms

ATTENZIONE:
La storia ha subito dei cambiamenti e per tale motivo sto ripubblicando i capitoli dal primo fino al tredicesimo con nuove impostazioni.


PERSEFONE POV.

‧͙⁺˚*・༓☾ ⚜️ ☽༓・*˚⁺‧͙

Cos'è una cosa buona che fa male?

Alcuni risponderebbero l'amore, perché con esso ci si può ferire, come quando sfiori per sbaglio le spine di una rosa troppo bella e finisci per sanguinare.

Altri risponderebbero il sesso, perché per quanto sia bello e appagante, alcune volte potrebbe portare a conseguenze poco gradite.

Io in quel momento avrei risposto che la cosa buona che mi faceva male era quella sostanza che mi stavo rigirando fra le mani, che bruciava lentamente e che il vento ne portava via le ceneri. Ormai il mio cervello non capiva più se stessi fumano una sigaretta ben rinforzata o una canna fatta fin troppo bene.

Cora sapeva il fatto suo in quelle cose, riusciva a procurarsi roba illegale grazie al suo giro di spacciatori fedeli e io non capivo come ci fosse riuscita, o come dei ragazzi molto più grandi di lei le permettessero di comprare quella merda e rovinarsi la vita per sempre.

Ma poi, per il secondo quesito esistenziale, mi ricordavo che alla gente non frega un cazzo di cosa fumi o di cosa ti spari nelle vene, basta che li paghi. Perché l'umanità ormai era diventata troppo egoista anche per stare al mondo.

E a tutti, a quanto pare, andava bene così.

Se mi avessero posto la domanda in un futuro poco vicino a quel momento, avrei risposto sicuramente l'attrazione, il proibito, la perversione, il piacere inspiegabile, l'impensabile. Di lì a poco, sarebbero state quelle le cose buone che mi avrebbero fatto male. Ma in quel momento, non ne ero a conoscenza e non potevo nemmeno immaginarlo.

«Pers, a cosa pensi?» La voce di Cora era graffiata e percepii le sue parole a rallentatore.

Ero io che le sentivo così o era lei ad averle dette in quel modo, perché incapace di connettere bene le parole all'interno di una frase?

«Penso che questa cosa un giorno ci ucciderà.» Indicai la canna tra le mie mani prima di farne un altro tiro e passargliela.

«Ogni cosa al mondo ci uccide. Credo che non siamo nemmeno più fatti per essere vivi e abitare sul pianeta Terra.»

«Io credo che tu abbia fumato ancor prima di venire qui da me.»

Ridacchiò alla mia affermazione e annuì.
Appena era giunta a casa mia quella sera, dopo il pranzo svolto con degli amici di vecchia data dei miei genitori, avevo notato le sue pupille dilatate e i suoi occhi leggermente rossi a contornare le iridi azzurre che di tanto in tanto tendevano al grigio tanto che erano chiari e trasparenti.

Non era la prima volta che lo facevamo: sgattaiolare in quella che una volta era camera di mio fratello e metterci sul suo balcone a fumare un paio di sigarette o una canna era diventato il nostro piccolo segreto preferito.

Segreto. Perché nessuno sapeva che lo facevamo, ed era meglio che rimanesse tale.

Potevo già immaginare la faccia dei miei genitori se ci avessero scoperte, mi avrebbero riportato in terapia ed era l'ultima cosa che volevo.

Guardai il viso rilassato di Cora e sorrisi.
Quanta contraddizione in una sola persona.
Il suo aspetto leggermente dark cozzava con la sua personalità e il suo carattere. Dietro quei chili di ombretto scuro e vestiti neri, si celava una persona con un cuore enorme, una di quelle che ti rimaneva accanto anche quando tutto intorno a te si frantumava in mille pezzi di vetro taglienti, a cui potevi confidare tutto perché non aveva pregiudizi e nemmeno un briciolo di cattiveria, era quella persona a cui potevi mandare un messaggio alle due di notte dopo un incubo, e lei rispondeva subito dopo dicendo che arrivava in soccorso, era una di quelle che se avevi bisogno di distrazioni, te ne trovava mille.

Ed era quella del mio gruppo di amici che consideravo più stretta.
Eravamo io, Aiden, Selena, Fleur e Cora.
Gli unici che mi rimasti accanto quando ho attraversato il mio periodo buio, quando il dolore aveva iniziato a lacerarmi ogni parte del corpo con le sue lame appuntite pronte a dissezionarmi viva.

Nacque così il mio disturbo, troppo complesso da spiegare, troppo confusionario da capire, un intreccio di disregolazioni che comportavano delle conseguenze non indifferenti. Che avevano condizionato il mio modo di relazionarmi con le persone, che mi portavano a farmi del male, che mi portavano a risposte dissociative quando ero sotto stress, ad essere paranoica, ad avere la paura di essere abbandonata di nuovo da qualcuno, ad essere impulsiva e poco razionale, che mi portavano ad avere dei sentimenti confusionari, a volte di completo vuoto.

Era quello l'effetto collaterale del disturbo di personalità che avevo, di cui a volte dimenticavo anche il nome. Bordeline, lo chiamavano gli studiosi, io lo chiamavo semplicemente pezzo di merda.

Mi sentivo un completo disastro e l'unico modo di riscattarmi era quello di mettere in gioco me stessa attraverso l'università, andando contro la volontà dei miei genitori, troppo preoccupati per la mia salute mentale. All'inizio mi ripetevano che non fosse necessario che continuassi gli studi, che potevo anche entrare nell'azienda senza difficoltà, che non dovevo mettere il mio cervello sotto lo stress universitario. Ma io non volevo apparire come una persona fragile, da avere sotto controllo, quella con cui dovevano dosare le parole per non ferirmi. Non volevo essere vista come uno dei vasi preziosi che mia madre teneva con molta cura e che le cameriere spolveravano con riguardo perché avevano paura che si rompessero.

Volevo essere come una delle mie coetanee.
E mi sarei battuta per diventarlo.

E pochi istanti prima di vedere Cora, per assurdo, avevo un colpo di scintilla nel petto, che avrei dovuto afferrare per darmi coraggio e mettermi di nuovo sui libri in uno studio forsennato, ma avevo deciso di spegnerlo, proprio come la canna che giaceva nella ceneriera che avevo rubato in uno degli armadietti del salone.

«Credi che siamo pronte per iniziare un nuovo capitolo della nostra vita?»
Sapevo a cosa si riferisse.

«Sì, Cora, lo siamo.» mi portai le dita sottili tra i capelli mossi, «dobbiamo esserlo.»




La True Constance era colossale, tanto da far sentire minuscolo chiunque con le sue due torri altissime e l'immenso prato presente all'interno dell'edificio che ospitava diverse tipologie di fiori, cespugli e alberi, lo stesso prato si riprendeva ulteriormente all'esterno e si estendeva fino al fitto bosco.

Dietro le mura delle case vecchie decenni si nascondevano i veri ricchi, i veri potenti che governavano cose più grandi anche di loro stessi, e io non l'avrei mai saputo e nemmeno potevo immaginarlo.

Greenhaven era un posto dimenticato da Dio, quasi ai confini con la Scozia, talmente piccolo che sembrava di soffocare tra la distesa di alberi che costeggiava il paesino. A dargli fama era senza dubbio la sua mastodontica università, conosciuta non tanto per i corsi che offre, ma per l'atmosfera magica e tetra che possedeva. C'erano corridoi tappezzati di fiori di vario tipo e mura imbrattate di colori scuri, che al tramonto parevano quasi inghiottirti. I suoi alberi secolari pieni di colori diversi — che andavano dal viola del glicine al rosso dell'acero fino alle betulle dalle foglie arancioni — e il giardino immenso offrivano una vista da mozzafiato, facendoti sentire all'interno di un romanzo classico. Eppure, sembrava un castello regnato secoli prima da esseri fatati maledetti, non troppo disuguali dalle forme umane, a causa delle leggende che si celavano dietro di essa.

La più famosa era quella dove si narrava che la True Constance fosse in realtà un portale che collegava il nostro mondo a uno soprannaturale. Erano quelle le favole della buonanotte che ci venivano raccontate.

Secondo tali leggende noi abitanti eravamo soltanto delle pedine di una forza più grande e più potente di noi che decideva chi fosse in grado di calpestare l'asfalto scuro di questo piccolo posto e chi no. Come a decretare chi era degno e chi indegno. Un padrone senza volto e senza nome che comandava le nostre vite.

Ma io purtroppo non ci credevo e vedevo il paese e l'università solo per quello che era in realtà, nella mia realtà e nel mio mondo terreno: Un'università enorme che si mescola bene con le stradine del paese in cui è stata costruita. Un posto quasi sconosciuto dove le leggi sono portate avanti solo dai potenti.

Eppure, agli altri non importava se ci credessi o meno, avrebbero continuato a ripeterti che una volta nato a Greenhaven saresti stato segnato per la vita dalla superstizione, che tu lo voglia o meno.

L'estate sembrava dissipata del tutto e l'ebrezza quasi autunnale si faceva strada nell'aria, colpendomi leggermente in faccia e facendo oscillare i capelli, di cui avevo legato le prime due ciocche frontali all'indietro che erano strette in un fiocco nero.

Non seppi spiegare le emozioni che ebbi nel trovarmi lì per la prima volta. So solo che ebbi delle fitte alla pancia per l'ansia e lo stress, che pensai bene di scaricare percorrendo i viali alberati insieme a Cora, ammirando gli studenti più veterani seduti sulle panchine in legno a chiacchierare, non essendo più delle matricole erano ormai abituati a frequentare quel posto. Decisi di avviarmi alla caffetteria dell'università appena i miei occhi la intravidero e mi trascinai dietro Cora con la forza poiché non aveva voglia di fare colazione per la seconda volta.

Entrammo, e un odore di pasta sfoglia mista a caffè ci inebriò i sensi e sentii subito il mio stomaco gorgogliare.

Per fortuna non c'era fila e ordinai subito un pain su chocolat con un caffellatte. Decisi che per quella volta potevo farlo. Avevo mangiato poco e niente il giorno prima, sia durante il pranzo con gli amici dei miei genitori, sia la sera stessa dopo che Cora se n'era andata via. Potevo permettermelo. Lo avrei bruciato una volta giunta a casa.

Lanciai uno sguardo fulminante a Cora che, dopo aver sbuffato, ordinò un semplice toast al prosciutto e una spremuta d'arancia.

«Se mi viene un mal di pancia, giuro che ti faccio correre come non hai mai corso in vita tua.»

Risi a quella frase, perché sapevo che non poteva mai accadere.

Nella caffetteria non c'era un tavolo libero e con un po' di rammarico iniziale prendemmo i nostri ordini d'asporto e ci incamminammo per prendere posto su uno dei muretti in pietra che separavano le decine di colonne.

Gli altri nostri amici ci avrebbero raggiunto di lì a poco, ritardatari com'erano avevano perso tempo a dormire tutti e tre. Selena invece avrebbe avuto la prima lezione verso mezzogiorno e sarebbe venuta solo un'ora prima per prendersi tutto il tempo per farsi una sana skincare che lei tanto osannava.

La mia prima lezione sarebbe stata, per uno scherzo del destino, criminologia.
Solo al pensiero mi tremavano le gambe e avrei voluto posizionare le lancette dell'orario in avanti di dieci minuti, perché fremevo dalla voglia di iniziare un nuovo capitolo della mia vita.

Il sole alto nel cielo illuminava il viso della mia amica, mettendo in risalto il trucco pesante sul suo viso, che quella volta era privo di rossetto scuro sulle labbra.
L'aspetto esteriore di Cora era un chiaro segnale di starle alla larga, indirizzato soprattutto per il genere maschile, ma non aveva messo in conto che ai figli di papà, con la carta di credito illimitata tanto quanto lo erano i loro scheletri nell'armadio, attirava molto di più una ragazza che cercava di nascondersi attraverso strati di ombretto rispetto a una che aveva a malapena un lucido sulla bocca. Perché a loro piaceva ciò che era misterioso, tirare via il velo che copre gli altri per il solo gusto di vedere cosa c'è sotto, come un bambino che scava nella sabbia curioso di scoprire la verità sotto quel mucchio di granelli, alla ricerca di qualcosa di prezioso.

«Eccoci.»

«Ciao! Finalmente, non è tanto difficile svegliarsi puntuali, lo sapete vero? Almeno il primo giorno di università potevate farlo.» Cora amava prenderli in giro per il loro ritardo agli appuntamenti.

«Il mio sonno di bellezza richiede tempo.» Rispose Fleur con il suo accento francese troppo marcato.

Si era trasferita a Greenhaven prima di iniziare le superiori a causa del lavoro del padre come giornalista, eppure ancora non aveva imparato del tutto a sbarazzarsi della sua cadenza melodiosa.

A me non dispiaceva affatto sentirla mentre parlava, anzi, mi rendeva felice quando si decideva a tirar fuori qualche frase anche se non lo diceva con un inglese perfetto.

Fu lei a convincermi a frequentare le lezioni di francese alle superiori e a insegnarmi le parolacce nella sua lingua madre.

Non eravamo così tanto diverse, ma lei era troppo chiusa in sé stessa, troppo timida da esporsi e a vivere fin da piccola dietro l'ombra di sua sorella maggiore che si sentiva in difficoltà quando qualcuno le rivolgeva la parola.

«Non avete ordinato anche per noi? Ho una fame.»
Aiden si sedette accanto a noi con la faccia da cane bastonato, offeso per il nostro gesto.

«La prossima volta ti svegli prima e vieni con noi alla caffetteria.»

Ricevetti una smorfia in risposta che mi fece ridere.

Era l'unico maschio nel nostro gruppo e con il tempo aveva iniziato a prendere le nostre stesse sembianze che a un certo punto ci siamo ritrovate tutte a chiedergli se fosse gay. Mi faceva ancora ridere il ricordo della sua faccia rossa e degli occhi che sembravano poter schizzare fuori da un momento all'altro.

E no, non era gay. Era solo circondato da troppe ragazze nella sua vita che aveva assorbito le lamentele e i comportamenti di chi aveva intorno. Condannato com'era ad essere anche l'unico figlio maschio della sua famiglia. Avere tre sorelle e tre amiche di certo non gli giovava la mascolinità.

Sapeva molto più lui in fatto di make-up che io.

La scusa che ci rifilava era che non gli pesava non avere amici maschi, ma la verità era che Aiden aveva perso la fiducia nel genere maschile un po' come tutte noi del gruppo. Bullizzato alle medie per essere in carne e per non aver mai baciato una ragazza.

Di sicuro, se Cora e Selena lo avessero conosciuto durante quel periodo avrebbero preso a pugni quei bambini dal carattere e dal cervello povero.

«Bella addormentata, svegliati. Sono scattate le dieci, dobbiamo separarci tutti e andare a seguire le nostre primissime lezioni universitarie.» Cora accartocciò la busta di carta che poco prima conteneva il suo toast e lo buttò nel cestino accanto a noi.

«Sarebbe stato più facile se tu avessi deciso di frequentare i miei stessi corsi.» Mi lamentai sottovoce per non farmi sentire dagli altri che erano intenti a chiacchierare.

«Purtroppo a me non piace la letteratura e nemmeno criminologia.»

«Se è per questo, nemmeno l'idea di diventare un avvocato ti piace.»

«Lo so, ma il ramo di giurisprudenza è l'unico che ha delle materie in cui me la cavo.»

Roteai gli occhi alla sua affermazione, trovai inconcepibile il suo ragionamento, ma non professai parola in contrario.

«Poi magari ti ritrovi in qualche guaio serio quando sarai grande e potrò difenderti io nell'aula del tribunale e non qualche scalmanato a caso.»

«Lo sai vero che tutti i figli delle famiglie più importanti di questo posto frequenteranno giurisprudenza? Ti mangeranno viva, Cora.»

«E credi che io non sia in grado di risponde all'attacco di un branco di cannibali?»

La guardai per un attimo, dalla testa ai piedi, e sorrisi.
«In effetti hai ragione.»

«Io ho sempre ragione, Pers.» mi fece l'occhiolino e se ne andò via, salutando gli altri e facendo svolazzare i capelli bruni, si mescolò pian piano con la massa di studenti che si dirigeva al secondo piano per poi sparire totalmente dalla mia vista.

«Andiamo Pers?» Mi chiese Aiden.

Era l'unico che avrebbe seguito criminologia insieme a me. Gli era sempre piaciuto il lavoro di suo zio che alla fine aveva scelto il ramo di criminologia e psicologia, uno dei pochi corsi che non divideva gli studenti in due partizionamenti in base ai loro cognomi.

Io mi diedi coraggio e con passo abbastanza svelto ci indirizzammo verso il primo piano, varcando la quarta porta, su cui era stata fissata una targhetta con su scritto "Aula di Criminologia 1" e il nome del professore. Henry Wright.

Per mia fortuna non era ancora arrivato e molti studenti avevano preso già posto nelle file dietro; quindi, i pochi posti rimasti erano nei primi banchi.

Ci accomodammo e non m'immaginai di essere così vicina alla cattedra. Faceva molta più paura vista da così vicino.

L'aula era una di quelle curve, in cui gli ultimi posti si trovavano più in alto e gli studenti per poter sentire o vedere dovevano ascoltare tramite le casse e fissare gli schermi appesi al soffitto.

«Dio, è immensa.»
Concordai con il mio amico sentendo il cuore nel petto danzare a un ritmo di pianoforte incontrollabile.

Iniziai ad estrarre dalla mia borsa il mio iPad e una bottiglietta d'acqua naturale e li posizionai sulla superficie in legno chiaro che riusciva quasi a limitare i miei movimenti.

«Immensa ma con banchi troppi piccoli.» Farfugliai.

«Qui Selena non sarebbe riuscita a metterci nemmeno la penna.» Scherzò lui facendo un lieve sorriso divertito.

Una delle tante cose che mi piacevano di Aiden erano gli occhi nocciola innocenti e il sorriso dolce.

Se fosse stato inserito sul vocabolario la denominazione "Golden Retriever Boy", avrebbero messo il suo nome tra gli esempi.

Di lì a poco entrò il professore e il chiacchiericcio di sottofondo si zittì all'istante. Con un rumore sordo mise la sua cartella in ecopelle sulla cattedra. Non ci degnò di uno sguardo. Nemmeno un saluto.

Sentii un peso sul corpo e una strana sensazione espandersi dentro di me. La riconobbi solo qualche istante dopo: paura.

Ma non paura di fallire, paura di quello che avrebbe potuto dire da un momento all'altro.

Mi riposizionai sul posto, con il volto concentrato sul professore che dalla sua sedia, in una posizione eretta e impeccabile, abbassò gli occhiali appoggiati sul naso e ci diede una rapida occhiata.

«Ogni anno che passa, vedo sempre volti vecchi e volti nuovi. E tutti esprimono una sola espressione: Paura.»

Si alzò dal suo posto e si appoggiò alla cattedra, posizionandosi davanti ad essa, in un gesto veloce e mascolino. Non si poteva negare il fascino di Wright, un uomo di mezza età con un filo di barba, i capelli neri perfettamente in ordine tirati all'indietro, la faccia ben proporzionata, con una mandibola poco evidente, gli occhi inespressivi di un colore verde foresta troppo intenso. Non si poteva dire che fosse una persona trascurata, lo si poteva vedere dagli abiti costosi e dal corpo massiccio, segno che si allenava almeno tre volte a settimana.

«E ogni anno vedo sempre che in quest'aula gli studenti aumentano e i posti a sedere disponibili scarseggiano. Se questo corso non fa per voi, siete ancora in tempo di cambiare il vostro piano di studi. Lo dico per l'ottantasei percento della classe.»

Qualcuno in sottofondo borbottò una lamentela che da dove ero seduta io non arrivò chiara.

«Se pensate che questo corso faccia per voi, ma non avete un parere vostro nemmeno per decidere cosa mangiare, cambiate lo stesso. Questo vale per il restante dodici percento.»

Un mormorio di sottofondo si stava alzando a ogni parola che diceva.
Stava massacrando tutti nell'aula, senza fare nomi e cognomi, soltanto avendoci visto per mezzo secondo in faccia.

«Questo ve lo dico perché dovete essere sicuri di voler essere qui, di essere fatti per questo corso, non di pensare di esserlo. E quindi...Ora mi riferisco a quel due percento rimasto: Se rientrate nel gruppo di quelli sicuri, allora dovete dimostrarmelo.»

Serrai le labbra. Mi sentivo parte di quel due percento e non avevo intenzione di farmi sbarrare la strada da qualche sporco viziato.

«Criminologia non è fatto per i piagnucoloni, quelli con poco cervello e nemmeno per i deboli di cuore. Se siete intenzionati a intraprendere questo percorso universitario con me, allora dovete essere l'opposto di quello che ho appena elencato. Non voglio nella mia classe delle persone non adatte a svolgere un ruolo come futuro detective. Perché poi, un giorno, la morte di qualcuno o il mistero di una persona scomparsa ricadrà sulle vostre spalle e dovrete avere le palle di andare fino in fondo e smascherare il colpevole, chiunque esso sia.»

Iniziò a camminare avanti e indietro seguendo un percorso immaginario, notai che mentre faceva dietro front metteva i piedi nello stesso punto in cui lo aveva messo precedentemente. Trovai quell'uomo alquanto affascinante ma al tempo stesso mi incuteva timore.

«E se siete qui solo perché vi appassiona l'ambito della criminologia ma non è il vostro obiettivo diventare un criminologo, beh, almeno avrete uno stimolo in più durante le vostre giornate.» Puntò gli occhi su alcuni studenti che evidentemente aveva riconosciuto.

«Fatte queste premesse, vi do il benvenuto al corso di Criminologia uno.»





«Cristo, mi stavo per cagare sotto dalla paura.»

Io e Aiden avevamo appena concluso la lezione durata due ore e ne uscimmo stremati da lì. Henry Wright aveva il potere di risucchiare tutte le energie e di ridartele indietro in un solo colpo come se ti schiaffeggiasse con le parole.

«Hai ragione, mi ha messo timore.»

Stavamo camminando per i corridoi della True Constance per ricongiungerci con le altre, a volte dovevamo passare in mezzo a dei gruppi di studenti che si fermavano proprio nel mezzo dei corridoi non curandosi degli altri.

«Non connetto nemmeno più per la prossima lezione. Tu che hai?» Mi chiese controllando sul suo telefono il suo calendario universitario.

«Letteratura francese con Fleur.»

Anche se ero uscita scossa da criminologia, l'entusiasmo non mi abbandonò del tutto.
Poteva essere la mia dose rilassante dopo criminologia.

Arrivati nuovamente in cortile, adocchiai subito Cora che decisamente si contraddistingueva per il suo aspetto. Inevitabilmente sembravano tutti fatti con lo stampino, tutti vestiti uguali e il massimo di trasgressione che conoscevano era osare con un ombretto di una tonalità più scura o con delle scarpe sportive. Ero a conoscenza che molti degli studenti della True Constance erano soliti a vestirsi con abiti più seri rispetto a quelli che usavano quando uscivano con gli amici perché l'importante era apparire e non l'essere totalmente se stessi.

A Cora non fregava un bel cazzo di apparire, le importava molto di più distinguersi dalla massa per far capire agli altri che della loro opinione e dei loro vestiti firmati non ci faceva niente se non "pulirsi il culo", a detta sua.

In quanto a me...
Beh, in quanto a me, io ero fatta con lo stampino proprio come tutti gli altri.

Ma da una famiglia con un titolo nobiliare, che aveva perso ormai valore già quando mio padre aveva compito vent'anni, non potevo di certo farmi vedere vestita con una felpa e un jeans. Anche perché, nel mio armadio non vi era nemmeno traccia di tali capi.

«Voi non potete capire quanto è psicopatico il professore che abbiamo.» Aiden non frenò i pensieri e tirò subito fuori tutto ciò che pensava.

«Lo sappiamo già, eri l'unico che non lo sapeva.» Rispose Selena che era arrivata una mezz'ora prima della sua lezione proprio come aveva annunciato la sera prima tramite un messaggio vocale. Quella giornata aveva deciso di lasciare sciolti i capelli scuri, lunghi e ondulati, evento che accadeva raramente poiché era solita a tirarsi indietro le ciocche davanti o a raccogliersi la parte alta in una mezza coda perché non sopportava avere così tanti capelli, tra l'altro ribelli, che le ostruivano la vista.

Selena aveva origini egiziane e come tale rispecchiava perfettamente la figura della donna egiziana con la sua pelle olivastra, gli occhi affilati, ammalianti e scuri come i chicchi di caffè arabo, le sopracciglia folte ma sempre in ordine, le labbra piene dipinte ogni giorno con una tonalità di rossetti diversi, le ciglia molto lunghe al naturale e il volto sottile.

A me piaceva paragonarla alla Dea Iside dell'antico Egitto non solo per l'aspetto fisico ma anche per la forza, la dolcezza e il coraggio che aveva.

Si narra che Iside fosse una dea coraggiosa che seppur aveva vissuto molte difficoltà non le mancava la dolcezza. Inoltre, per alcuni studiosi, Iside sia anche più forte degli altri dèi egiziani grazie alla sua conoscenza della magia.

Inoltre, quale altra dea poteva calzare a pennello su Selena, la quale adorava i bambini, se non Iside che era la madre della fertilità?

Il suo esatto contrario era Fleur, con i suoi occhi nocciola grandi ma sempre nascosti da uno sguardo imbarazzato, la frangia bionda a coprire la fronte come segno di protezione, la voce sempre pacata e flebile che si faceva sentire poco, il corpo minuto con poche forme e la timidezza che si portava dietro come conseguenza di una vita passata come ballerina di danza classica in una scuola d'élite francese.

«Potrebbe essere vero, ma questo non conta. Dovreste vederlo, ha anche l'aria di uno pieno zeppo di soldi.»

«È una cosa scontata, Aiden. Non viene di certo a lavoro in tuta.»

Una cosa che amavano fare Selena e Cora era stuzzicare Aiden solo per vederlo andare su tutte le furie.

Ma non sentendo la sua risposta arrivare, lo guardammo tutte con un'aria interrogativa.

Stava fissando un punto preciso davanti a lui, oltre la spalla di Fleur che in imbarazzo e rossa in viso chiese cosa avesse che non andasse, pensando di essere lei il soggetto del suo sguardo perso.

«Spero di sbagliarmi. Spero di sbagliarmi e di star avendo le allucinazioni.»

Guardammo nella stessa direzione indicata dai suoi occhi nocciola e capimmo che stava osservando un gruppo di studenti seduti su un muretto a chiacchierare e ridere amabilmente.

«Cosa c'è?» Chiesi io, confusa come tutte davanti alla sua espressione sconvolta.

«È lui, Kai. Kai Mackenzie.»

«Quel Kai?»

«Cosa?» Chiese Fleur con una voce più acuta del normale, forse più sconvolta di Aiden.

«È quel figlio di putt-»
«Cora!» La richiamammo io e Selena, ma lei roteò gli occhi con fare scocciato.

«Si è lui.» Si passò una mano nei capelli con fare nervoso.

«Io giuro che ora gli faccio rimpiangere le medie.»

Tutti noi fermammo Cora nell'andare a pestare uno dei coglioni che prendevano in giro Aiden alle medie.

Mi si strinse il cuore nel vedere negli occhi del mio amico rabbuiarsi quando i ricordi delle risate e degli scherzi che subiva giornalmente riaffiorarono nella sua mente.

Guardai meglio il gruppetto che stavamo puntando e mi soffermai su Kai Mackenzie, uno che aveva tutta l'aria da schiaffi con un sorriso da scherno sulle labbra, gli occhi sottili e leggermente chiari, i capelli biondi corti con delle sfumature più scure che all'ombra sembravano quasi marroni e teneva il ciuffo leggermente alzato tenuto in quella posizione forse da un gel o dalla lacca. Un filo di barba a contornargli le labbra e la linea mandibolare. I vestiti sicuramente non accaparrati da un negozietto del paese, tutt'altro.

Decisamente da prendere a schiaffi e non biasimai Cora nel volergli piantare un bel cinque con le dita sul suo viso.

Era affiancato da un ragazzo dai capelli scuri e il viso sempre contratto in un'espressione troppo seria per la sua età, al suo fianco c'era una ragazza dai capelli scuri e viola che riprendevano i colori del suo abbigliamento composto da un top lilla che le copriva solo il seno e che lasciava intravedere un secondo indumento sotto a rete utilizzato più come un accessorio e una gonna di pelle nera, gli occhi verdi che venivano illuminati dai raggi del sole che di tanto in tanto socchiudeva per il fastidio della luce puntata diritta sulla sua faccia.

Quella sconosciuta mi sembrò Cora alle superiori, quando ancora aveva i capelli lunghi.

C'erano anche altri quattro studenti intorno a loro che bene o male si stavano divertendo, tranne un ragazzo con i capelli biondi platino tinti che aveva sul viso un'espressione alquanto annoiata.

Ma a colpirmi furono due figure estremamente simili.
Il mio sguardo si pose su uno, poi sull'altro e pensai di avere le allucinazioni, di vederci doppio.

Come può essere possibile? Pensai.

Dire che fossero gemelli omozigoti risultava quasi offensivo.

Due copie identiche, stessa statura, stessa postura, stessa altezza, stesso viso. Le mandibole erano state scolpite nel marmo più antico della Grecia, taglienti come due lame affilate, i nasi perfettamente diritti, le labbra sottili ma con un arco di cupido abbastanza definito, i muscoli delle braccia ben definiti, le spalle larghe e le gambe toniche. Le uniche cose a cambiare erano i capelli: uno li portava corti con un taglio che si fermava verso le orecchie con il ciuffo ondulato, l'altro li portava lunghi e gli arrivavano alle spalle, in una cascata di boccoli castani. Probabilmente da piccoli avranno avuto entrambi i capelli lisci che con il tempo avranno perso volume.

I loro vestiti sembravano quasi una seconda pelle: Capelli Corti, come lo denominai quella volta, aveva un pantalone nero e una camicia del medesimo colore con i primi due bottoni slacciati, che gli fasciava bene i muscoli. Era decisamente l'outfit più semplice del mondo, ma che mi mandò in pappa il cervello.
Capelli Lunghi, di cui ancora non conoscevo il nome, aveva scelto lo stesso look, con la sola differenza del colore della camicia, sempre con i primi bottoni slacciati e i polsini ben stretti.

Mi chiesi se fossero stati sputati direttamente dall'Inferno o fossero Angeli caduti dal Paradiso.

A un certo punto, come se si sentisse il peso di uno sguardo curioso addosso, il gemello dai capelli corti si guardò intorno e poi posò i suoi occhi verdi su di me, o almeno pensai che fossero di quel colore perché era troppo distante da me e si trovava leggermente più all'ombra degli altri.

Occhi negli occhi.

Mi sentii spogliata dei miei stessi incubi notturni, pareva volermi scavare dentro con una sola occhiata, nuotando nell'abisso profondo della mia anima scheggiata per cercare pezzi di me che nemmeno io avevo più.

Vivevo troppo nella mia testa per dar pace a un'anima che pareva non appartenermi più. Limpida e fredda, come la luna.

Assottigliò lo sguardo, come un predatore che fissa la preda, il lupo affamato che fissa l'agnellino, inconsapevole che quest'ultimo sia già privo di vita.

Il mio cuore perse un battito, o forse due, o forse mille fino a non sentirlo più.

Ma tutto durò una manciata di secondi perché fui costretta a rompere quello scambio silenzioso.

Un po' perché non ressi quella sfida che mi lanciava a debita distanza, un po' perché fui trascinata via da Aiden.

«Smettila di fissare Scorpius Wolfstonecraft

Mi resi conto, per una frazione di secondo che il gruppetto aveva smesso di chiacchierare amabilmente e avevano iniziato a guardarci andare via.

Kai Mackenzie aveva riconosciuto Aiden e sul viso aveva un'espressione di rabbia mista a divertimento. Finì la sigaretta che stava fumando, la buttò a terra senza curarsi del cestino apposito proprio a pochi metri da lui e calpestò il filtro consumato sotto i suoi piedi.

Con solo un gesto lui decretò l'inizio di tutto.

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Bene bene. Siamo al secondo capitolo e ci sono già tanti personaggi🫠 vi consiglio di stampare nella mente tutti i nomi dei primi capitoli d'introduzione perché sono tanti.

Mi scuso per eventuali refusi, in tal caso fatemeli notare sempre con gentilezza.🫶🏻

⭐️Lasciate una stellina e un commento, mi fa sempre piacere sapere le vostre opinioni!⭐️

🖤Al prossimo capitolo🖤

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«Mi serve un favore» dice all'improvviso e io inarco un sopracciglio «Mi hai detto che se avessi avuto bisogno di qualcosa avrei potuto chiedertelo» ...
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«Mi sono innamorato». Il cuore inizia a battermi impazzito quando riconosco la voce del mio migliore amico. Oh, mio Dio. E se lui capisse che sono io...
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[COMPLETA] Quando Dario Gori ti dice che vuole fare la pace tu ovviamente gli dici di sì, ma avresti dovuto dirgli di no. Perché te ne pentirai, perc...