𝑹𝑬𝑪𝑲𝑳𝑬𝑺𝑺.

By michellehtoms

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Cosa succede quando due anime spaccate per metà si incontrano nel bel mezzo della loro vita? Continueranno a... More

AVVERTENZE.
Dedica.
Welcome to Greenhaven.
Cast & Info.
Cast ²
𝓣𝓱𝓮 𝓜𝔂𝓽𝓱 𝓸𝓯 𝓟𝓮𝓻𝓼𝓮́𝓹𝓱𝓸𝓷𝓮.
2. Criminologie et yeux.
3. The wild hunt & Caramel apple spice.

1. How can you die carelessly?

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By michellehtoms

ATTENZIONE:
La storia ha subito dei cambiamenti e per tale motivo sto ripubblicando i capitoli dal primo fino al tredicesimo con nuove impostazioni.


PERSEFONE POV.

͙⁺˚*・☾ ⚜️ ・*˚⁺‧͙

Era un giorno particolarmente freddoloso, anche con gli innumerevoli strati addosso sentivo la temperatura pungermi leggermente il corpo. I brividi lungo la colonna vertebrale mi scuotevano un po', le mani erano gelide già appena sveglia e mi sono dovuta armare della borsa d'acqua calda per riscaldarle. Faceva così freddo anche dentro casa perché la mattina le domestiche, sotto l'ordine di mia madre, pulivano con le finestre aperte. Ma ormai avevo imparato sulla mia pelle che gli spifferi del maniero si situavano in ogni angolo di esso; quindi, era difficile non avvertire il vento che ti colpisce dalla base dei piedi o ti pugnala il ventre.

Casa mia era quasi secolare, con gli interni modernizzati ma con la struttura lasciata così com'era un tempo. Con qualche aggiusto di qua e di là, si reggeva ancora in piedi.

Mio padre non voleva smuoversi dal ristrutturarla completamente perché era un'eredità di famiglia e lui ci teneva così tanto a lasciarla come l'aveva vissuta da bambino. È soltanto sotto l'influenza di mia madre, con il suo fare incantatorio, che ha acconsentito almeno a cambiare gli arredamenti, scegliendo comunque un mobilio adatto allo stile classico dell'esterno. Così da non far cozzare troppo il gusto moderno di mia madre con quello classico di mio padre.

All'interno vi sono camere inesplorate e passaggi sotterranei segreti collegate anche con la città soprastante. Ci sono luoghi inesplorati, che conducono chissà dove e per suggestione nessuno aveva mai più fatto uso di quei sotterranei. Si diceva che sotto Greenhaven, proprio passando attraverso quegli spazi sporchi, stretti e bui come la pece, vi risiedesse il portale che collegava la terra direttamente all'Inferno e vi si potevano udire le urla dei dannati colpiti a colpi di frusta, costretti ad annegare nel ghiaccio spinoso o nel fuoco ardente, a scontare pene decretati da una figura senza corpo, che si auto dichiarò il giudice assoluto delle cause perse.

Era la diretta connessione con il mondo dei morti, il filo che legasse la realtà con quello che io consideravo un'esaltazione di un luogo spirituale.  Troppo scettica per credere che esistesse un luogo così spaventoso e la possibilità di redimersi dopo un migliaio di anni, sempre se il peccatore dava segni di pentimento.

Troppo scettica anche per credere che esistesse un luogo come il Paradiso, o il Purgatorio.

Io non credevo a nessuna parola letta della Divina Commedia, scritta da un uomo con possibili problemi mentali che aveva fatto dipendere la sua vita da una donna, quasi come un voto a un santo. Chiamatemi pure Blasfema per utilizzare il nome di una persona che ha decretato la storia della lingua italiana e che ha influenzato molti autori anche nel resto del mondo, ma andando oltre la sua bravura stilistica e la sua genialità, lui aveva probabilmente qualche bisogno di farsi una scopata. Qualsiasi cosa significhi quest'ultima parola.

Per l'amor di Dio, non che io non sappia cosa sia, ma non l'ho mai davvero sperimentato sulla mia pelle: qualche toccata, qualche tipo da stuzzicare e da cui essere stuzzicata, qualche palpeggiamento, ma niente di che. Solo una volta provai ad andare oltre, ma il dolore era così lancinante quando sentii la presenza di un maschio dentro di me che non ebbi il coraggio di proseguire. Non sanguinai nemmeno.

Il maniero mi aveva vista crescere, sotto la vista degli occhi di mio padre, dei suoi colleghi quando venivano a trovarlo per qualche partita, sotto lo sguardo attento delle domestiche, e di mia madre e delle sue amiche che ogni giorno mi dicevano che assomigliassi in tutto e per tutto a lei, con i miei capelli biondi ondulati in natura e gli occhi enormi in cui vi si risiedevano due gemme di apatite che cambiavano il colore in base al mio umore e al tempo, matiallomenes, ecco come li chiamano un paio di occhi così. Un giorno sono blu intenso, l'altro tendono al ceruleo.

Il maniero mi ha vista essere neonata e bambina. E poi quella bambina è diventata adolescente e quell'adolescente stava per compiere vent'anni. Ha visto le mie forme prendere vita, ma non troppo.

Due gambe snelle che avevano determinato la mia altezza, l'uno e sessanta scarso che raggiungevo era normale per le ragazze della mia età, ma a differenza loro io non sarei cresciuta più di così. Costretta a vedere una vita dal basso e mai dall'alto.

Che fosse una lezione morale?
Come una specie di metafora volta a farmi capire di essere condannata a vedere gli altri raggiungere il successo e io ad accontentarmi delle briciole?

Poi c'erano i fianchi, troppo sporgenti per il mio gusto e che nascondevo con delle maglie lunghe prese da un armadio che conoscevo fin troppo bene, che avevano un odore che mi mancava da tanto tempo.

Mi avevano insegnato a nascondere i fianchi e i glutei, erano quelle le due caratteristiche che il mio corpo valorizzava. Avevo il corpo di una prostituta che anche con poche tette riesce a farti girare la testa, o almeno così avevano detto i miei vecchi compagni di scuola.

Sì, avevo le tette un po' piccole, ma questo almeno non mi dispiaceva, potevo indossare qualsiasi vestito senza sembrare indecente, e non l'avrei sopportato, perché con il mio viso da bambina potevo davvero sembrare una sgualdrina bella e fatta, portarmi dei soldi a casa dopo aver finito un amplesso o uno spogliarello.

Altra cosa che mi piaceva di me stessa erano le lentiggini sulle mie guance e sul mio naso, alcune meno visibili di altre. Creavano una costellazione immaginaria, che qualcuno, che aveva fatto parte della mia vita fino a poco tempo prima, collegava con una penna nera, per disegnare delle vere costellazioni.
Collegava i puntini tra di loro e ad opera finita mi spiegava le costellazioni che aveva appena disegnato.
Questa è l'Orsa Maggiore, questa qui è Cassiopea.
Questa è Perseo, quest'altra è Andromeda.
Oggi ti ho fatto la costellazione del Cancro e del Capricorno, i nostri segni zodiacali.
Cambiava costellazione da scegliere ogni volta che lo faceva.

Ed è grazie a lui che imparai a memoria le forme che prendevano le stelle nella notte, non dai libri e nemmeno guardando in alto verso il cielo. Me le disegnava in faccia. Anche quando non era in vena di farlo, perché magari aveva avuto una giornataccia, ma appena mi vedeva con gli occhi supplichevoli di una ragazzina che aveva fatto un brutto incubo o che era stata appena invasa da quei maledetti mostri che le regnavano in testa e che avevano dato il via a un attacco di panico.

Dio, se solo sapesse chi sono diventata dopo la sua mancanza, se solo sapesse che sono dovuta andare in terapia perché quei piccoli grandi bastardi che vivevano nella mia mente avevano preso la meglio dopo ciò che avevo dovuto subire. 
Le pillole che ho dovuto ingerire, le amicizie che ho stretto, le stesse da cui mi avrebbe raccomandato di stare alla larga perché vanno a troppe feste e bevono troppo alcool, le notti insonni che ho dovuto passare, in cui a macchiare di nero il mio viso c'ero ormai solo io.

Se solo avesse saputo che ho imparato a guidare solo perché la velocità, quando ero io a tenerla sotto controllo, non mi faceva più dannatamente paura. Anzi guidare e sfrecciare per il terreno battuto del bosco che circondava casa mia era diventata la mia valvola di sfogo. Non c'erano più bende sanguinanti e nemmeno fasciature sulle gambe. C'era solo la mia piccola macchina che mi permetteva di andare via quando i ricordi scottavano sulla pelle più di quando ti bruci con il fuoco. C'era la velocità e la possibilità di scegliere a quanti chilometri orari andare, di schiantarmi contro un albero se volessi davvero farmi del male.

Ma non l'avrei mai fatto, perché perdere un figlio era stato già straziante per i nostri genitori, figuriamocene due. Non avrei potuto causare altro dolore all'unica famiglia che mi era rimasta, che a differenza mia avevano avuto la forza di andare avanti.

Ma non prendertela fratellone mio, non l'hanno fatto perché volevano mancarti di rispetto o perché non ti volevano bene, per l'amor di Dio, eri il successore al potere degli Altaville. Come potevano farlo? Il prediletto e il cocco di mamma. Il beneficiario dell'azienda di famiglia e un posto nel governo di questa città. Io avrei avuto, in compenso, l'accesso a una quantità di denaro più grande della tua e un ruolo meno importante nell'azienda. Perché come ci era stato inculcato fin da piccoli: Una donna non può guidare una città come questa.

E ormai ci credevo anche io.

Pur di tener fede alla sua parola, mio padre decise di donare il suo posto a mio cugino, Archibald, di una decina di anni più grande di me.

Che poi l'ho capito da poco perché mio fratello non lo considerava davvero un cugino: È un comune cugino di secondo grado.

O forse di terzo? Non ricordo.

Ma resta di fatto che mio padre aveva riposto tutte le fiducie in un uomo che io conoscevo poco e che di lui ricordavo solo la figura di un ragazzino che mi affibbiava nomignoli dovuti alla mia statura.

Nanetta.

Era questo che utilizzava di più. Rigorosamente in italiano. Perché c'era del sangue italiano che scorreva nella nostra famiglia, portatoci dalla stirpe nobile di mio padre, il mio trisavolo aveva poco più la mia età quando decise di immigrare in Inghilterra per intraprendere il suo sogno di diventare qualcuno nell'ambito editoriale. E alla fine è riuscito ad assicurarsi un posto nel governo di Greenhaven, dopo aver intrapreso un percorso di studi per diventare avvocato.

E da lui il potere è passato di figlio in figlio, come una tradizione da rispettare. Tradizione che è stata spezzata dalla morte di mio fratello, come quando si spezza un incantesimo e si deve affrontare in faccia la vita reale.

Come ho già detto: A mio fratello Nathaniel, che per me era solo Nate, sarebbe toccato il ruolo da proprietario dell'azienda e avrebbe preso il posto di mio padre. A me sarebbe toccato il ruolo di editrice. E non mi dispiaceva affatto, ero sempre stata ammaliata dal mondo editoriale, fatto di libri, dell'odore della carta, di inchiostro nero che riempiva pagine candide per raccontare nuove storie, nuovi mondi, nuove vite.

Mio fratello avrebbe intrapreso gli studi legali poco dopo la sua laurea in letteratura, ma ci ha lasciati poco prima di riuscire a conseguire anche solo quella.

Una vita strappata dal mondo nel modo più brutale di tutti, per colpa di un'altra persona poco intelligente e poco attenta nel percorrere le strade di Greenhaven.

E nei momenti in cui il freddo gelido che proveniva dagli spifferi del maniero e dalle finestre aperte si faceva più tagliente avrei voluto soltanto affondare il mio corpo in quello di mio fratello maggiore.

E quel giorno era uno di quelli.

Mi scossi da quel pensiero di malinconia fatto di mancanze impossibili da colmare.

Avevo bisogno di una bevanda calda per scaldarmi e per questo mi ritrovai nella cucina, mentre una delle nostre domestiche stava preparando il pranzo.

«Signorina Persefone, come sta oggi?» Ad accogliermi fu Esmeralda con la sua voce tranquilla. Non la notai subito, mi condusse l'udito nella sua direzione.

«Bene, grazie. Sai vero che puoi anche darmi del tu?»
«Sì, lo so, ma è questione d'abitudine.»

Esmeralda era una signora paffutella di settant'anni, con tante rughe e i capelli grigi sempre raccolti in uno chignon morbido. La consideravo quasi una nonna acquisita: la conoscevo praticamente da quando avevo memoria e di lei mi piacevano gli occhi dolci e chiari e la voce sempre calma. Mi trasmetteva un senso di sicurezza e di protezione. Sapeva essere molto saggia a volte e mi dava consigli più utili della mia migliore amica.

Quel giorno era alle prese con una torta ripiena di fragole e di nutella, la mia preferita in assoluto.

Non ricordai in quel momento l'ultima volta che la mangiai.

In realtà non ricordai nemmeno se il giorno prima avessi pranzato o quantomeno cenato.

Come passava il tempo quando stavo rinchiusa a studiare forsennatamente per assicurarmi di non fare brutta figura il primo giorno d'università. Non che ne avrei fatta alcuna, ero stata preparata fin da piccola per quel fatidico giorno, il mio punto forte era la mia passione per le lingue: sapevo parlare il francese, l'italiano, lo spagnolo, un po' di tedesco e di nascosto avevo imparato anche qualche parola in un dialetto arabo, con l'aiuto di una delle studentesse della mia vecchia scuola. Ero sempre stata la prima in classe in tutte le materie, anche se la mia discalculia aveva compromesso un po' il mio eccellere nelle materie scientifiche, e da un lato ne ero grata, le odiavo a morte.

Mentre ero alle prese per prepararmi un tè caldo a dir poco bollente un'altra voce, più autoritaria, fece capolinea nella cucina.

«Oggi non può saltare il pranzo, signorina. Ci sono ospiti.» Mi rimbeccò la governante.

Ah, ecco perché tutto questo cibo.

«Non ne sapevo nulla.» Immersi la bustina nell'acqua fumante.
«Non lo sa perché non si è fatta viva tutta la giornata di ieri e i suoi genitori non hanno voluto disturbarla.» Quella donna a volte con i suoi modi mi faceva venire l'orticaria.

«Manderà nei guai tutti noi con la sua abitudine di saltare i pasti.»

E aveva ragione, da un lato. Ma erano pur sempre cazzi miei.

Le lanciai uno sguardo torvo che ovviamente non fu apprezzato e aspettai di essere sola con Esmeralda per dirle quanto quella donna mi desse fastidio.

«In realtà... Ha ragione, signorina Persefone. Deve mangiare.»
«Lo so, lo so.»

Sapevo di doverlo fare, sapevo che se mi sentivo troppo debole era perché non ingurgitavo abbastanza cibo, ma la mia testa mi diceva che non lo meritassi, come se il cibo fosse il premio in palio per il raggiungimento di un obiettivo e io oltre allo studio fallivo in tutto, persino a essere una figlia decente. Quindi no, non lo meritavo. Era anche una questione di peso, meno mangiavo e meno ingrassavo. Frullava tutto nel mio cervello pieno zeppo di nozioni scolastiche ma completamente difettato per quanto riguardava i rapporti umani, le dimostrazioni d'affetto e la questione del cibo.

Tutto in me era sbagliato e fino a qualche mese prima ero così tanto convinta di non meritare nemmeno il dolore che mi procuravo da sola. Non che in quel momento lo pensassi di meno, ma era ormai diventato il mio ultimo pensiero. Il dolore non lo incidevo più sulla mia pelle, ma lo sfogavo in altro.

Nemmeno le sedute dalla psicologa erano funzionate, a volte nemmeno le pillole. A un certo punto, decisi di fingere di star meglio, perché faceva star bene le persone attorno a me. Ma la vita non è mai stata una montagna russa solo in salita, ci sono troppe curve e troppe discese. E io, sulla mia giostra terrificante, ero quella seduta in prima fila, con le cinghie strappate.

🌌❤️‍🩹


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Non ho resistito! Ho voluto pubblicare già il primo capitolo della storia, per farvi avere più o meno l'idea di quello che girerà attorno alla protagonista.
Non ho ancora deciso che giorni prefissarmi per aggiornare, o se ce ne saranno, perché sono impegnata con l'università che mi richiede parecchio tempo.
Se ci sono errori di qualsiasi tipo, vi chiedo di farmelo notare, sempre con gentilezza!
Ci vediamo a breve!🖤

⭐️Lasciate una stellina e un commento, mi fa sempre piacere sapere le vostre opinioni!⭐️

🖤🦋Al prossimo capitolo, farfalline🦋

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