Lo spazioporto

CactusdiFuoco द्वारा

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Questa è la storia di Paula, una giovane donna come tante che lavora per il DRICE (Dipartimento per la Regola... अधिक

Intro + copertina
Prologo: Vorrei qualcosa di sorprendente
⊕ VISITA LA TERRA! ⊕
1. Routine
2. Io normale, lui speciale
3. Questa lettera è stata scritta da una stella o da un fungo
♦ ALLERTA PORTALI! ♦
4. Prescrizione medica
◊ Sali a bordo della Titanika™ ◊
5. Un dolcissimo chiodo fisso
6. Tanto vado in vacanza
◊ SCOPRI IRAM DALLE MILLE COLONNE! ◊
7. La città della luce (e dei leoni)
8. Lasciarsi la Terra alle spalle
- Etica e conformità -
9. Godersi un filmetto durante il viaggio
◊ FILM IN EVIDENZA ◊
10. Sola sulla Titanika
Garfield, la grande opera terrestre (spiegata da Paula Datsyuk)
11. Al ristorante con il mantide
Dal Re in Giallo
12. Quello che vedi guardando nel cosmo

13. Bestie a piede libero

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CactusdiFuoco द्वारा

Cercai di continuare a parlare con lui, di raccontargli di più riguardo al mio pianeta, ma sentivo più i miei passi che la mia voce.

Mi accorsi che avevano chiuso la visuale di tutti gli oblò, su tutto il ponte che stavamo attraversando l'illuminazione era artificiale. Ed era orribile, grigiastra, confondeva tutte le cose.

Sentivo il ticchettio di un orologio, flebile, ma non riuscivo a capire se fosse una suggestione o se da qualche parte ci fossero davvero un paio di lancette che giravano. Che senso aveva un orologio analogico su un'astronave del futuro?

Seguendo un terzetto di grigi vestiti in modo a dir poco stravagante, entrammo nello zoo.

Il cartello principale, che in realtà era uno schermo LCD, recitava:

"ANIMALI DALLA TERRA

Uccelli

Mammiferi

Rettili

Anfibi

Condritti

Attinopterigi

Aracnidi

Tetraconati"

Mancavano un bel po' di animali dalla Terra, ma non me ne sarei lamentata. Inoltre non sapevo che cosa fossero questi "tetraconati" perciò ero piuttosto curiosa.

All'interno, lo zoo era assolutamente incantevole: alcune grandissime teche di vetro, già all'entrata, erano allestite con quelli che sembravano veri e propri pezzi degli habitat naturali degli insetti che popolavano l'esposizione. Splendidi falacrognati (sono degli scarabei verdi iridescenti, fra i più belli che abbia mai visto) camminavano lentamente su pezzi di legno o mangiavano in minuscole ciotole della gelatina di banana.

Uno schermo spiegava che questi terrari si auto-pulivano grazie alla presenza di una grande quantità di isopodi e collemboli, che tutte le piante erano vere, e che tutti gli animali presenti erano innocui per i visitatori e preventivamente separati da essi grazie a vetri robustissimi.

«Sono animali bellissimi» Si entusiasmò T-torpk, sfiorando appena con una delle zampe raptatorie la teca «E sono anche minuscoli»

«Voi non avete insetti sul vostro pianeta?».

Mi venne da ridere subito dopo averlo chiesto, capitemi, perché lui somigliava ad una mantide gigante.

«Non ne abbiamo di così belli, no» I grandi occhi del mantide erano attentissimi

«Gli insetti sono il più esteso raggruppamento di animali credo, sul nostro pianeta. Ne abbiamo migliaia e migliaia di specie diverse».

Lo zoo faceva un buon lavoro nell'illustrare la bellezza degli insetti: farfalle cobra, con i loro trenta centimetri di apertura alare, si rilassavano su rami posti verticalmente o, di quando in quando, svolazzavano pigramente come minuscoli aquiloni da un lato all'altro del loro terrario grande come una stanza, arancio vellutate e bianche; grappoli di cimici striate rosse e nere, come se indossassero la maglia milanista, si nutrivano su fiori di carota e di primula odorosa; minuscole formiche panda marciavano come piccoli soldati diligenti e battaglieri dietro una grande lente di ingrandimento che permetteva di osservare i loro corpi ricoperti di una peluria fittissima; cavallette arcobaleno si pulivano le zampe e il corpo rimanendo aggrappate a piccoli cactus.

Quando T-torpk vide le mantidi orchidea, barcollò per la sorpresa. Rimase lì, come accecato, guardando attraverso una parte del vetro che fungeva da lente di ingrandimento, i corpi rosa, bianchi e gialli di queste minuscole creature terrestri che in qualche modo somigliavano così tanto a lui. Le mantidi sono cannibali, perciò ognuna di loro era in un piccolo terrario separato, ognuna con una pianta di orchidea diversa.

Immaginate, è un po' come se voi andaste a visitare uno zoo marziano e trovaste dei minuscoli omini verdi con dei piedi leggermente strani, magari con gli occhi in proporzione più grandi dei vostri, con alcune caratteristiche adattate per il differente stile di vita degli umani, ma così inconfondibilmente simili a voi, così... umani...

«Cos'è?» Domandò il mantide, le antenne che si muovevano avanti e indietro, scoordinate

«Noi le chiamiamo con il vostro stesso nome: mantidi. Queste, in particolare, sono mantidi orchidea, si chiamano così perché somigliano ai fiori che vedi»

«Sono così strane!»
«Sono belle, vero?»

«Sono strane. Voglio dire, questa» e indicò con la punta della zampa il terzo mini-terrario «Somiglia in un modo spudorato ad un tipo che conosco, un rifornitore. Guarda, ha proprio i suoi occhi! Ma sono piccolissime. Sono come dei piccoli noi. Parlano?»

«Non credo che siano abbastanza intelligenti»

«Eppure sembrano noi!»

«Sono insetti. La vostra è solo convergenza evolutiva: entrambi avete sviluppato un corpo simile, fatto per predare, ma non provenite dallo stesso filone... insomma, dalle stesse creature...»

«Sono così strane».

Non riuscivo a capire se per lui le mini-mantidi terrestri fossero belle (per me lo erano) o se semplicemente non riuscisse a concepire come potessero essere tanto simili a lui e questo, in qualche modo, lo allarmasse. Di certo ne era incuriosito.

Scoprii leggendo un cartello che questi fantomatici "tetraconati" in realtà erano proprio gli insetti. Ma anche i crostacei. Insomma, in questa visione delle cose, adottata dallo staff della Titanika, crostacei e insetti facevano parte tutti dello stesso clado (clado significa, più o meno, "ramo") chiamato pancrustacea, oppure tetraconati. Imparai anche che non era una visione aliena, ma puramente terrestre, solo che era una ri-classificazione così recente che ancora non era arrivata sui libri di scuola.

Ah, come cambiano le cose! Ed era interessante che avessi imparato questa cosa nello spazio e non sulla Terra.

Lo zoo era davvero enorme, con spazi in cui perdersi. Per qualche motivo avevo immaginato che sarebbe stato una specie di mini-zoo, come quelli in cui lasci i tuoi nipoti rompiballe per fargli accarezzare le capre e i coniglietti, e invece era una struttura davvero enorme. Forse la mia mente non era ancora riuscita a concepire quanto fosse grande la Titanika... perché se qualcuno vi dicesse che c'è uno zoo sopra ad una nave da crociera, io sono quasi certa che non vi immaginereste uno spazio di oltre duecento ettari.

Per fortuna c'erano delle macchinette automatiche che distribuivano bevande, ogni tanto, così almeno sapevo che mi sarei potuta mantenere idratata se mi fossi persa.

Voi però li conoscete gli animali terrestri, no? Non sarà descrivendovi un leone che provocherò in voi qualche reazione, qualche sentimento, e di leoni ne avrete avuto abbastanza ormai.

T-torpk era estasiato: non aveva mai visto niente del genere. Ma voi sì, quindi a voi darò quello che non avete chiesto, ma che meritate: una descrizione dei formati di pasta che venivano venduti sulla Titanika, quelli che trovai (e non so perché) in un negozietto di souvenir dentro allo zoo e che io, personalmente, non avevo mai visto prima.

Preparatevi.

Torri di Pisa: questo tipo di pasta, che nonostante il nome non somigliava minimamente alla Torre di Pisa, sembrava vagamente un mollettone per capelli aperto da un lato. O una di quelle conchiglie carnivore dei videogiochi. Dava l'impressione di essere fatta per intrappolare i fagioli. Aveva un pacco marrone stampato male, con sopra scritto "PaStA" come marchio. Probabilmente trafilata con l'amianto, non con il bronzo.

Giangiorgini: palline irregolari di ben tre dimensioni differenti, tutte nello stesso pacco, grandi, piccole e medie. Le grandi avevano il diametro di monete da due euro, le piccole come un terzo di nocciolina. Tempo di cottura (per noi terrestri) dodici minuti. Ero sicura che comunque sarebbero rimasti scotti all'interno. Confezione gialla, rossa, arancio e viola in fantasia tie-dye, molto psichedelica.

Gomiti rigati: sembravano i ditaloni rigati, sono che erano lunghi e piegati a gomito, ricordando un po' i raccordi dei tubi (o la parte finale di quelli di scolo). Il tempo di cottura indicato era fra i sei e i quattordici minuti, a seconda delle caratteristiche fisiche del pianeta su cui la si cuoce. Tranne sulla Terra, dove i minuti indicati erano cinque.

Serpentini: pasta terrestre, a quanto pare, fatta al 100% di farro austriaco. Somigliavano a dei tortiglioni, ma piegati a gomito pure loro e ulteriormente ripiegati su sé stessi alle estremità. Per qualche motivo alla gente sulla Titanika piaceva la pasta piegata e ripiegata, le cose dritte non andavano bene.

Dannazione, dentro il negozio di souvenir non c'era nessuno, avevano lasciato l'oblò senza copertura, la frattura spaziale, dell'uovo o di qualunque cosa fosse, sembrava peggiorata.

Cornetti rigati: uguali ai serpentini, ma più stretti.

Ringoli: pezzi di pasta che sembravano unghie tagliate, non ho toccato nemmeno il pacco. Perché quasi tutti i formati avevano dei nomi italiani? Che problemi avevano con la cultura italiana questi? E soprattutto, è "ringoli" una parola italiana di qualche tipo, oppure semplicemente suona come tale?

Maccheroni triangolari: erano maccheroni, ma triangolari invece che rotondi. Conosco alieni il cui apparato boccale è effettivamente triangolare, probabilmente questa è la loro pasta preferita. Il pacco era marrone e vecchissimo, sembrava qualcosa la cui produzione è stata dismessa il secolo scorso. D'accordo, era un tempo la pasta preferita dei tizi con la bocca triangolare.

Il cielo era percorso da quelle che sembravano venature di albume liquido, solo che erano grandi come fiumi, traslucenti e cangianti. Alcune navette si stavano avvicinando a quelle enormi strisce di liquido, per controllare. Sarebbe andato tutto bene. Tutto bene. Abbassai la testa e continuai a guardare la pasta.

Cannocchini: simili a piccoli cannocchiali, ma per qualche motivo si chiamavano "cannocchini". La confezione, che odorava di rose, era fatta interamente di metallo. Tempo di cottura indicato: dodici minuti. Secondo me erano troppi, ma bisognava anche capire qual'era il pianeta di riferimento.

Membrelli: estremamente simili a genitali maschili umani, questi graziosi "membrelli" sembravano piuttosto inadatti a raccogliere il sugo e a cuocersi in maniera anche solo vagamente uniforme. La confezione di cartone, rosa carne con splash di color oro e il disegno di alcuni ciuffi d'erba di fronte, poteva considerarsi la prova che spesso gli alieni non sanno fare dei packaging accattivanti.

Un'astronave venne risucchiata nell'oscurità della fessura, come se un sifone gigantesco l'avesse aspirata. L'altra navetta fece una rapida inversione e volò via: qualunque cosa ci fosse dentro quell'apertura, non era sicuro andarci vicini.

Non è sicuro.

Non è sicuro.

Pasta: questo formato di pasta si chiamava, molto semplicemente, pasta. Evviva la semplicità! Non avrei saputo dire però se fosse un nome adatto o meno, perché al contrario delle altre confezioni, questa non aveva né la classica finestrella trasparente che permette di vedere la pasta, né un disegno approssimativo della sua forma. I colori del packaging, blu e rosso, mi ricordarono immediatamente quelli di un marchio ben più serio, ma fui certa che quella Pasta non fosse pasta commestibile: non c'era un elenco degli ingredienti.

E basta, non c'era altra pasta con cui distrarsi. T-torpk voleva comprarsi uno zainetto con sopra disegnati dei bruttissimi, bruttissimi leoni, ma non c'era nessuno alla cassa.

«Rubalo» Dissi, stringendomi nelle spalle «Che te ne importa? Questi hanno soldi a palate»

«Non è una cosa buona, rubare» rispose il mantide, facendomi dondolare davanti al naso lo zainetto con i suoi brutti, bruttissimi leoni

«Lo so, amico. Ma non c'è nessuno a prendere i tuoi soldi qui. E dubito che qualcuno possa biasimarti. Vedi quella telecamera?» indicai con il pollice una cosina di plastica, con la sua lucetta che sembrava voler dire "sto registrando" «Quella è finta. Lo so perché ne ho viste una quantità enorme, di telecamere come questa. Anche se hanno un budget enorme, montare vere telecamere in tutti gli spazi della Titanika costerebbe quasi quanto costruire un'altra nave spaziale, per non parlare dello spazio di archiviazione necessario, perciò moltissime telecamere sono finte, servono solo per dissuadere i ladri, facendogli credere di essere osservati. Quella è finta»

«Oh».

Per un attimo, T-torpk guardò lo zainetto con cupidigia, come se fosse tentato di rubarlo, poi lo rimise accuratamente al suo posto, nella stessa identica posizione in cui l'aveva trovato. Ero certa che un coso così brutto non valesse molto e che nessuno si sarebbe lamentato se l'avessimo rubato, ma T-torpk era una persona onesta e in fondo andava bene così.

«Comunque i leoni sono bellissimi!» Mi disse, allargando le zampe.

In quel momento, il pavimento sotto i nostri piedi tremò con violenza inaudita. Cascate di souvenir di plasticaccia invasero il pavimento e mi colpirono le caviglie, con una serie di tlang e clung mentre si ammucchiavano gli uno sugli altri.

Rimasi in piedi, allungando un braccio per aggrapparmi ad uno degli espositori che erano inchiodati a parete.

«T-torpk! Spostati!» Gridai.

Un'ondeggiante ammasso di cartoline, che nascondeva una struttura di acciaio, stava per franargli addosso. Non potevo permettere che il mio amico morisse come un insetto schiacciato.

«Pkot!» Gridò lui, scivolando sul pavimento, con una zampa bloccata sotto una grossa coppa finta.

L'espositore delle cartoline si piegò verso di lui e io mi lanciai con tutta la forza che avevo, con tutto lo slancio che riuscii a trovare, contro il mantide. La slavina di cartoline atterrò alle nostre spalle, il rumore del metallo che invadeva lo spazio del negozietto.

Fuori, tutti gli animali urlavano, pazzi di terrore. Le scimmie battevano contro le sbarre, i felini ruggivano, gli uccelli stridevano e si agitavano. Il terreno continuava a muoversi.

Afferrai la sezione mediana del corpo di T-torpk e lo trascinai fuori. Lui era spaventato, ma per fortuna lucido abbastanza da muovere le zampe per aiutarmi.

«Cosa succede? Pkot! PKOT!» Mi gridò in un orecchio.

Non si era accorto dell'oblò non oscurato all'interno del negozio, non potevo spaventarlo ulteriormente e dirgli che c'era qualcosa lì fuori che rischiava di... di fare cosa? Di danneggiare l'astronave? Di ucciderci tutti?

Mi resi conto che, inequivocabilmente, la Titanika era in pericolo. Io non potevo farci niente, se le cose fossero andate male, se chi di dovere non fosse riuscito ad allontanarci da quell'anomalia, saremmo morti, dimenticati nello spazio aperto.

Mi si rizzarono i peli sulla schiena, una sensazione, notai, che io potevo provare e T-torpk invece no.

«A volte ci sono dei problemi con i motori» Mentii, fredda, calmissima «Quando succede con navi così grandi, durante il momento di partenza, spesso accadono questi piccoli terremoti...».

Piccoli terremoti. La nave tremava come un giocattolo in mano ad un bambino spaventato, altro che piccolo terremoto: non accennava a fermarsi. Vidi con la coda dell'occhio un masso che rotolava, spaccava il vetro di uno dei terrari e si fermava solo dopo averne rotto un altro ed essersi infranto contro un ammasso di pietre.

«Dobbiamo uscire dallo zoo» Dissi «Alcuni di questi animali potrebbero ucciderci».

Proprio i leoni? Proprio i leoni dovevano essere liberi, adesso? Per fortuna per noi, tutto stava continuando a tremare e i bei gattoni rimanevano spaventati e acquattati, lamentandosi indignitosamente.

E all'improvviso tutto si fermò.

«Avevi ragione, Pkot, erano i motori» Disse il mantide, scrollando le zampe per far cadere la polvere e i frammenti di oggettini che vi si erano appiccicati.

Una leonessa ci guardava, a qualche metro di distanza da noi, proprio attraverso l'enorme buco causato dal masso.

Potreste pensare che un'astrocrociera di lusso utilizzasse campi di forza o altre diavolerie tecnologiche per contenere gli animali, e invece no: lastroni di vetro. Spessi, per carità, ma niente che non si possa rompere.

«Leoni» Borbottai «Andiamo, adesso...».

Iniziai ad indietreggiare. Sapevo che i grossi felini (come molti predatori) aggrediscono istintivamente chi da loro le spalle, quindi non potevo voltarmi finché non fossi uscita dal campo visivo di quei graziosi gattini.

T-torpk, però, non lo sapeva e si voltò senza tanti complimenti, iniziando a zampettare tutto allegro in direzione dell'habitat dei tassi del miele.

La leonessa che ci stava guardando uscì dal buco.

«T-torpk!» Esclamai «Alle spalle!».

Lui voltò solo la testa, facendo cliccare interrogativamente le mandibole. Capitanate dalla leonessa che era uscita, altre due di loro si misero a correre verso di noi. Chi l'avrebbe mai detto che sarei finita su un'astronave da crociera di lusso e che lassù mi avrebbero attaccata dei leoni?

Con un ringhio di eccitazione, la prima leonessa raggiunse T-torpk, i denti snudati, gli artigli protesi verso di lui... e il mantide la afferrò a mezz'aria, come se fosse un giocattolo, e la spezzò in due.

Crack. Un kitkat. Un duplo. Un... un...

«Uno snack» Disse, allegro, poi girò di nuovo la testa, dando le spalle alle altre leonesse, e iniziò a mangiare.

Gli animali erano perplessi quanto me, avevano smesso di correre e se ne stavano lì, con le espressioni più stupide che mai potreste immaginare per dei leoni, le bocche aperte, i petti che si muovevano nel respiro, le code con le punte che si muovevano appena, interrogativamente.

No, nessuno di noi si sarebbe aspettato di vedere T-torpk che si mangiava una leonessa. Avevo sentito parlare del fatto che le mantidi fossero forti, ma così tanto? Era uno spettacolo terribile e incantevole, vederlo dal vivo. Non è molta la gente che possa comprendere quanto sia potente un grosso felino: immaginate la persona più forte che conoscete, prendetene sei tutte insieme, e in una partita di tiro alla fune non riusciranno comunque a smuovere un leone di un singolo, patetico millimetro. Quei cosi sono macchine da combattimento... oppure snack, se siete dei mantidi.

«Bu!» Esclamai, in direzione delle leonesse, allargando le braccia.

Loro tornarono indietro come canetti bastonati. Mi sentii potente anche se non avevo fatto assolutamente niente: mi bastava andare in giro con quel mostro mangiatutto di T-torpk.

«Volevano mangiarti, lo sai?» Domandai ad alta voce

«Oh sì» lui affondò la faccia nel sangue «Certo che lo so. Volevano mangiare anche te, Pkot. Ma siamo un po' grossi come prede, per loro».

Non lo contraddissi: se voleva pensare che anch'io possedessi la forza per immobilizzare e spezzare in due un leone, che lo pensasse pure. Mi infilai le mani in tasca.

Passando fra i lemuri, ci ritrovammo di fronte a un gruppo di grigi letteralmente tremanti, che si tenevano per mano fra loro. Le mani sono una delle cose più interessanti dell'universo: quasi tutte le specie senzienti le hanno sviluppate, e il modo di usarle cambiava radicalmente da specie a specie. Per alcuni alieni, tenersi per mano era una cosa estremamente intima e personale, per altri qualcosa di mondano e normale, per altri ancora era offensivo, come se prendendovi la mano vi stessi dicendo "sei una mia proprietà, una che disprezzo per la cronaca".

I grigi erano una delle specie più contraddittorie e complesse, quando si parlava dell'uso delle mani. Quelli che avevamo davanti erano una famiglia, un gruppo di amanti, dei turisti che si erano incontrati solo in quel momento? Difficile a dirsi, anche perché si somigliavano fra loro in modo impressionante. Come tutti i membri della loro specie, del resto: è quello che succede quando il principale mezzo di riproduzione di una civiltà è la clonazione, immagino.

«Ehi!» Salutai, alzando una mano «Avete bisogno di aiuto? C'è qualcosa che vi insegue?».

I grigi sono deboli: magari metà di loro erano già stati fatti fuori da un tasso arrabbiato.

Loro mi guardarono, tutti tremolini come foglie di acero in una giornata fredda.

«Signora umana» Disse uno di loro, che indossava una maglia palesemente proveniente dalla terra, di una qualche squadra di football (o di baseball? Non le conoscevo poi così bene) verde e gialla «Le bestie ci seguono»

«Che bestie?» incalzai

«Non ho letto bene il cartellino...» con i grandi occhi scuri cercò i suoi compagni, sperando che gli suggerissero il nome della bestia

«Com'era fatta?»

«Era... grande... credo fosse velenoso»
«Grande e velenoso? Un varano di komodo?»

«No, no, non era quello, credo».

Bene, perché non era carino che ci fossero varani di komodo a piede libero in uno zoo spaziale. Lo sapevate che il varano di komodo è l'animale velenoso più grande della Terra? Certo, è minuscolo se paragonato al gravevermo carcosiano, però è comunque un gran bel bestione da cui essere inseguiti.

«Quanto grande?».

I grigi guardarono tutti alle mie spalle, con una tale paura nello sguardo che sobbalzai, girandomi. Comunque era solo T-torpk, non c'era nessun varano.

«No, tranquilli» Dissi «Lui ci aiuterà. Venite con noi?»

«Ma l'animale...»

«Vi proteggeremo noi dall'animale, d'accordo?»

«Sì, sì».

Il piccolo gruppo, vociando, si avvicinò a me. Un po' meno a T-torpk, ma forse un po' li capivo.


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