Infinite Darkness | Mattheo R...

By ViolaWyse

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A volte il silenzio, l'indifferenza e la solitudine diventano parte della tua vita, diventano quotidianità e... More

Dedica
Playlist
CAST💫
Prologo
1. Again
2. Secrets, lies and fake pieces
3. Eavesdrop and Discover
4. Controlled Mind
5. Compulsory education
6. Punishment and hate (1)
7. Punishment and hate confused (2)
8. I know you try to fool me but maybe you don't for a few seconds
9. I don't see the common thread even though I know it exists
10. Instinct
11. We can't speak
12. No it does not
13. Things change because i want
14. Tackling even just a small piece is already a lot
16. The pieces came together without thinking about it
17. You are so obnoxiously you
18. You're an imbecile asshole

15. Strange moments, astral if you can call them that

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By ViolaWyse

«Con un po' di disprezzo
ci risparmiamo di odiare molto.»
Jaques Deval

Mattheo

La mia era stata una mossa azzardata, stupida e anche molto incoerente.
Forse la più controproducente che fosse mai stata fatta.

Insomma mandare un ragazzo in infermeria solo per essere l'unico a farle da ripetizione era....egoista. Da fuori potrà sembrare gelosia ma non lo è stata per nulla, non c'entra niente con il perché l'ho fatto.

In realtà non è per un piacere personale ma servirà per il mio compito, questo era il motivo e quello sarà.

Io non vorrei passare del tempo con lei, certo sapere alcune cosa mi interessa proprio, ad dire il vero le devo sapere per forza quindi perché non saperle in questo modo.

Non è stata una cosa che ho pianificato, eravamo all'allenamento e stavamo provando un piano nuovo, andava bene fino a quel momento.

Essendo il capitano controllavo e dirigevo tutti, soprattutto perché alcuni dei nostri si sono indeboliti durante l'estate.

Dispongo di rammolliti lo so bene.

Comunque avevo scoperto circa dieci minuti prima dell'inizio dell'allenamento che il professore di incantesimi era in cerca di un tutor, non sapevo per chi però ero lo stesso ancora disponibile.
Io avevo già declamato che ero disposto quindi non dovevo fare niente ma avevo scoperto esattamente cinque minuti prima di entrare in campo che anche quel Torres si era appunto offerto.

La cosa non mi disturbava affatto, fare delle ripetizioni a qualcuno non mi ha mai entusiasmato. È quando il rappresentante dei Tutor mi disse che era per una ragazza di nome Sheila che qualcosa nel mio cervello andò in fuso.

Non so cosa sia scattato nella mia testa ma dovevo essere solo io quello libero, probabilmente era stata una stronzata quella pensata, togliamo il probabilmente ma così era successo.

Dovevo essere io perché scoprire informazioni era più semplice così e potevo sapere più cose della sua vita, non era mio interesse anzi, ero comunque obbligato a conoscerle.

Dopo tutte quelle cose feci appena in tempo ad entrare in campo e iniziare il nostro allenamento. Quel giorno c'erano tutti, anche quei coglioni dei miei amici, l'intera squadra.

E io avevo subito addochiato Torres, sapevo che farlo cadere per sbaglio era impossibile. Quello ha la capacità di rimanere incollato alla scopa anche se venisse giù un uragano.

Tuttavia non era nemmeno programmato quello che successe, era stato lì a portata di mano e io l'avevo semplicemente fatto.

Lui stava attaccando per tirare e fare punti e io con un incantesimo confundus ho lasciato che un bolide lo colpisse in pieno, quella palla era un po' fuori controllo in quel momento.

Lui è stato colpito molto forte alla spalla, penso che alla fine se l'è slogata o comunque spostata, ed è caduto a circa centocinquanta metri di altezza, almeno si è spiaccicato sulla sabbia. Non ha riportato danni per quella caduta, per lo meno non così visibili.

E quindi accidentalmente ho fatto finire quel ragazzo in infermeria per settimane.
Non è stato un mio pensiero reale, l'ho fatto perché in quel istante io avevo un opportunità e dovevo fare in modo che non mi sfuggisse.

Ma non mi frega assolutamente niente di quella ragazzina. Lei non mi importa affatto, devo solo estrarre qualche informazione sul suo conto, nient'altro.

Forse devo solo ricordarlo agli altri idioti perché sembra che non lo capiscano, sono qui in stanza da mezz'ora sentendomi dire che non c'è motivo per cui avrei dovuto farlo. Ma c'è invece, non quello che pensano loro però.

Ed è da metà ora che sono incazzato contro tutti loro.

«-on ha senso, lo sai bene.» ritorno a sentire le minchiate che sparano sti qui.

Sti qui è riferito a Draco, Theodore, Blaise e si è aggiunta Pansy perché era venuta per dirci delle cose.

«Appunto, le informazioni le possiamo prendere anche in altri modi, non per forza così.» dice Nott dando corda a Draco.

Io non credo che riuscirò a stare zitto ancora molto. Mi stanno facendo imbestialire, loro e le loro stronzate da dirmi.

«Poi comunque lei manco ti può vedere come credi che farà a stare in una stanza con te per delle ripetizioni?»

«Lo farà perché vuole studiare davvero.» rispondo a Draco in modo sicuro e menefreghista.

«Come fai a esserne sicuro?»

Ora sospiro per l'irritazione che si fa strada per esplodere in meno di cinque secondi, la tengo calma perché non posso scoppiare proprio con loro. Se lo faccio è solo con quella ragazzina, lì sì che è bello liberare la bomba.

«Non la vedete in classe, è sempre lì a seguire, prende ogni volta voti alti e sa sempre tutto su ogni ad argomento. Una saputella e perfettina.» gli faccio notare mentre spengo la sigaretta nel posa cenere.

Un silenzio di comprensione generale si libera nella stanza per poi essere rotto da un'altra osservazione.

«Facendo così però sembra che sei in qualche modo interessato a lei, in qualsiasi circostanza, che sia odio o piacere.» la voce appartiene a Blaise che se ne sta sul suo letto a scrivere appunti per dei compiti.

Io sbuffo alzando gli occhi al cielo, stanco di queste stupidaggini che escono dalle loro bocche.

Degli imbecilli per davvero.

Serro la mascella per non sbottare, per non perdere il controllo della pazienza. Perché qui non c'è nessuno che si salva dalla deficienza purtroppo.

«Il termine giusto è ossessione, non interesse.»

Ci giriamo tutti in contemporanea nel punto in cui Parkinson è seduta, con quello sguardo gelido ma divertito.

Io continuo a non capire che ci faccia ancora qui ma non la posso mandare via a calci, cioè sì solo che dopo dovrei sentirmela con Zabini e non ho voglia ora di discutere con lui.

La corvina ci rivolge un espressione di chi sa perfettamente di cosa sta parlando ma che non ha intenzione di dirlo.
O parla o gli spacco la faccia.

«Cosa vorresti dire Pansy?» chiede Blaise più calmo di quello che è solitamente.

Oh Dio altri due no vi prego.

Lei prima di rispondere si prende la sua borsa e rimette dentro tutto il suo contenuto, dopodiché risponde alla domanda.
«Voglio dire che questo comportamento è più da ossessione che da interesse. Sabotare l'altro candidato solo per essere l'unico è possessivo, tossica come cosa.»

«Da me ce lo sia aspetta, Parkinson.»

«Ovviamente Riddle, ma è ossessione quella non 'lo devo fare solo per altri conti'. È essenzialmente voler essere solo l'unico ad avere qualche dato in più su di lei.» spiega con superiorità, e con tale mi viene voglia di farle capire che non è assolutamente nessuno in confronto a me.

«Stai dicendo solo stronzate, puttana che non sei altro.» le riferisco stronzo e con il tono duro, aggressivo.

Blaise mi stava per ammunire, lei però lo ferma prima che lo faccia.
«Vacci piano bastardo, non sono una da insultare così facilmente.»

«Ah be' allora è cambiato tutto.» ribatto con del sarcasmo.

Lei si alza dalla sedia della scrivania di Draco e percorre il tragitto fino alla porta, e poco prima di uscire sgancia la sua di bomba.

«Poteva farlo chiunque di noi, però hai scelto di fare tutto tu. Perché tu hai una ossessione bella grossa per quella ragazza ma non te ne accorgerai mai.»

Non mi permette di controbattere con la verità che spalanca la porta e se ne va con un acidità allucinante.

E io rimango in quella stanza a borbottare insulti contro di lei, a smentire le cose che ha detto e ad andarmene da lì per svuotare il mio corpo di rabbia.

Cazzo tutto quello che è uscito dalla sua bocca sono enormi cazzate.

Io ho ossessionato da quella ragazzina irritante? Ma per piacere preferirei trasformarmi in un babbano nulla facente che essere fissato con lei.

Loro non sanno un bel niente, un cazzo sanno. Però si permettono lo stesso di fare conclusioni su qualcosa a loro sconosciuta.

Cazzo io quella ragazza la uccido se me la ritrovo davanti d'ora in poi, ci deve solo provare a dire un'altra cosa simile e può dire addio alla sua vita da serpe perfettina.

Salazar quei coglioni gli hanno dato pure corda, sono proprio maschi idioti e ragionano solo con il cazzo.

Tutti loro dovrebbero capire che a me non frega un emerito cazzo di lei, non mi importa da anni e non mi interessa cosa le capita, cosa le succede o scoprire per interesse personale cosa su di le.

Io le devo sapere perché è un mio compito.
Io le devo scoprire perché mi è stato imposto.
La devo seguire perché mi è stato ordinato.
Devo essere informato di tutto perché ho il dovere di esserlo.

Lei è solo un compito come tutti gli altri, non è nessuno per me.

Sai quanto me ne può fregare della sua vita noiosa e inutile. La devo sapere solo per ordini superiori non per mio interesse.

Eppure quelli non lo capiscono.

Non mi accorgo che ho camminato inconsciamente a passo spedito verso la torre di Astronomia, ormai mi ritrovo sempre qua.

Non so perché ma è il posto più rilassante e isolato che conosco. Non ci sono casino, gente a romperti le palle e si può stare senza rotture di coglioni.

Certo se non conti che la ragazzina si trovi sempre qua.

La mia stessa coscienza è contro di me.

So benissimo che lei è sempre qui, non so nemmeno perché sta sempre e dico sempre in questo posto ma io non sono qui per lei. Non lo sono mai.

Dipende ovviamente, sono casi comunque particolari.

Mi accendo la quarta sigaretta della giornata e come al mio solito mi appoggio al muro poco prima della ringhiera. Lascio che la nicotina si faccia strada nel mio sangue, nella mia aria, nel mio cervello e in tutto il mio corpo.

Cazzo se è rilassante.

Peccato che il momento venga rotto da quella stessa ragazzina di cui parlavo poco fa.

È salita per quelle scale con lo sguardo basso e ha continuato così fino al gradino in cui si siede sempre, poi ha alzato lo sguardo e mi ha visto.

E io l'ho guardata per tutto il tempo aspettando di vederla trasalire e innervosirsi per il fatto che mi trovi qui.

«Cosa cazzo ci fai qui?»

Direi che è partita bella irritata tutto in un colpo, mi piace.

«Buonasera anche a te, ragazzina.» le dico con sarcasmo.

«Buonasera un paio di palle, te ne devi andare immediatamente.»

Ridacchio alla sua affermazione, è sempre così scorbutica.

Le nostre posizioni non cambiano, lei è seduta io in piedi appoggiato al muro, come ogni volta che ci troviamo qui. Mi viene in mente un deja-vù ma non ci faccio caso.

«Vedo che non ti stanchi mai di ripetere le stesse cose e nemmeno io. Non me andrò e lo sai.»

Alza quegli occhi color cioccolato che mi fanno avere dei ricordi e poi mi sorprende.

«Bene. Allora resteremo qui entrambi.»

Resto scioccato, lei non lo avrebbe mai detto. Davvero ero certo che mi avrebbe obbligato ad andarmene, invece eccola qui a dire che non devo e che neanche lei deve.

«Che c'è non te lo aspettavi, Pecorella?» mi sfotte mentre apre il suo libro.

È sempre in giro con uno di quei libri, vorrei tanto sapere perché le piace leggere, solo per capire meglio la sua persona ovviamente.

«No affatto, solo che mi aspettavo che mi insultassi o che mi cacciassi via a calci.»

Sulle sue labbra si forma un ghigno astuto e poi emmette una risatina di scherno. Strano sentirla da lei solitamente sono io quello che la prende in giro in questo modo.

È strano però è nuovo. Non saprei come definirla questa situazione.

«Oh ma lo posso fare lo stesso, anche subito» ribatte lei. «Però non ho voglia di litigare come due imbecilli adesso, soprattutto perché è domenica, non ho avuto lezioni e voglio provare a non esser alterata per domani dato che abbiamo le ripetizioni.»

Cazzo domani. Non mi sono nemmeno accorto che quindi io devo fare da professore tra meno di quindici ore. Quanto ho fumato e bevuto per dimenticarmelo? Molto a quanto pare.

«Hai pensato di stare qui entrambi così?»

«Bé se non apriamo la bocca possiamo starci sì, se tu non mi guardi anche.»

«Pensi che ti guardo sempre?» il mio tono è di sfottimento e divertimento.

Alza ancora lo sguardo dal libro, mi fissa fredda e poi con un altro ghigno risponde.

«No non lo penso, io lo so ed è la verità.»

Decido di spostarmi dal muro e andarle incontro, tanto per darle fastidio.

«Questo però lo credi solo tu, ragazzina.»

Questa conversazione mi rimanda alle altre che abbiamo avuto in passato, erano più litigate quelle.

Tutte hanno una cosa in comune. Uno dei due dice sempre qualcosa che l'altro reputa una cazzata e glielo fa notare, e così va avanti fino a che non ci stanchiamo di controbattere.

Funziona in questo modo ormai. È il nostro modo di comunicare, dicendo cose che pensiamo sul serio ma facendolo passare come orribili per non dare loro nessun valore.

Forse è solo tutto sbagliato, forse non è niente ma sembra di avere qualcosa che durerà per sempre.

Questo è quello che siamo. Noi siamo fatti di parole dette in modo frivolo per non far capire nulla, illusioni per creare falsità all'altro, insulti per vestirci solo di quelli, conversazione senza senso solo per dare il senso di odio che ci appartiene, ghigni per coprire la verità sul nostro volto, occhi glaciali per opprimere realmente i nostri sguardi, sorrisi falsi per dare un aria di normalità, astio per distruggere qualsiasi altro sentimento mai esisto e nomignoli per tenere vivi i ricordi del passato che oramai se n'è andato sgretolandosi.

Tutto è la rappresentazione di ciò che siamo diventati, di ciò che ci ha cambiati e di ciò che siamo ora.

Solo questo. Siamo niente al mondo, siamo niente per noi stessi, siamo il nulla per gli altri, siamo niente per tutti quelli che ci vedono. Ma siamo questo e nessuno sa cosa sia, persino noi siamo allo oscuro di cosa sia, sappiamo solo che esiste.

Non credo che lei sappia che c'è questa cosa, credo che faccia solo finta che non c'è per davvero.

Un rumore sordo mi rimanda ad aprire le orecchie ai suoni e ad ascoltare di nuovo la sua voce.

«Paralizzato, Riddle?»

Sistema il libro in borsa e capisco che ha usato quello per farsi ascoltare, lo ha chiuso fortemente per fare un suono abbastanza potente da farmelo sentire.

«Stavo solo contemplando quello davanti a me.»

«Cioè me? Oh sono lusingata ma mi fa anche schifo essere contemplata da te.» dice con il suo tono da ragazzina stronza.

«Non te, piccolina. Ma la tua stupidità ragazzina.»

Lei si alza e mi fa accorgere che ci distanziano solo poco più di un metro, forse anche meno. E senza che io possa farci qualcosa il mio corpo bastardo si avvicina al suo, magari solo per irritarla ancora di più o magari per il semplice e puro fatto di farlo e basta.

E con un passo ho già tolto trenta centimetri di lontananza, lei non reagisce bene a questo accorciamento.

Inizia a indietreggiare ma purtroppo dietro di sé ha lo scalino in cui era seduta e quindi inciampa cadendo all'indietro.

Lei sgrana gli occhi mentre sta scivolando verso una caduta davvero forte, perché potrebbe rompersi qualcosa con quei quattro gradini.

Il tempo sembra essersi messo a rallentatore, i miei occhi la vedono cadere lentamente e pregano che non succeda niente, il mio corpo è fermo ad aspettare un qualsiasi segno che non stia accadendo davvero, la mia mente sta elaborando troppi scenari di come finirà e la mia conoscenza è pronta a fare una cosa senza che io l'abbia deciso.

Involontariamente butto una mano in avanti e faccio un passo avanti per cercarla di afferrarla, con tutto me stesso le cerco di dire che se non alza quel braccio e non prende il mio si farà male, non mi dà comunque ascolto.

La ragazzina impertinente è davvero testarda, neanche da un caduta così non si vuole far aiutare. Ecco perché la odio.

Non la lascerò comunque farsi male solo perché è un incosciente.

Con uno sforzo in più riesco ad acchiappare la sua mano e con forza la tirò su, trovando l'equilibrio per entrambi.

Il mio respiro è affannato, il cuore mi batte velocemente e il corpo sta sudando per la paura cresciuta leggermente in me.

Però il panico si fa strada nella mia testa quando capisco che non sento il suo respiro, il suo cuore batte così piano che non si riesce nemmeno a percepire e il suo corpo sta tremando come se delle scosse elettriche gli si fossero scagliare addosso.

Non comprendo il motivo di ciò, stava cadendo ma non è caduta perché l'ho salvata, sta bene non si è fatta nulla. Non ha neppure un graffio per questo, nessun livido, nessun'altra lesione dovuta ad oggi.

E allora perché sembra che sia spaventata e terrorizzata? Perché è buia come una stanza dimenticata dal mondo? Per quale motivo sembra impaurita da qualcosa che però non è qui? Perché sembra che sia caduta davvero?

Allora perché ha le sembianze di qualcuno che ha vissuto la morte ma non l'ha nemmeno mai vista?



💫



Sheila

La sensazione è sempre la stessa, non cambia mai. Quasi come se fosse eterna, non ha evoluzioni o trasformazione, rimane la stessa di come è nata e resterà così per sempre.

Forse mi illudevo come sempre che potesse seriamente palesarsi in modo diverso, che potessi sentirla cambiata.

Un'ingenua e un'illusa sono. Lo sono sempre stata.

E anche adesso, che quella sensazione si sta prendendo il controllo del mio corpo io rimango l'illusa che pensava di scacciarla, di mandarla via in poco tempo.

Soprattutto perché non sono da sola come ogni volta che si impossessa di me, non come tutte le volte che accade.

Davanti a me che mi tiene ancora tra sé c'è Riddle, lo vedo a malapena però.

Il mio cervello ha sfuocata la vista più di un minuto fa e ora io sono nel mio solito stato per colpa di quella maledetta sensazione.

Pensavo di poterla controllare essendo che non posso mostrarmi per la seconda volta davanti a lui così, ma non ci riesco.
Non riesco a fermare la mia mente dal ricordo e non riesco a fermare il mio corpo dai tremiti formati a discapito della mente che ricorda.

È una reazione a catena.

Prima il cervello va in tilt, la confusione e quella sensazione prendono il sopravvento e fanno in modo di annebbiare i miei occhi, bloccano il respiro e lasciano la mia testa per spargersi in tutto il resto del mio corpo.

Da lì in poi creano spazi in cui depositano i loro sporchi ricordi e insieme a quelli fanno tremare tutti i miei arti o muscoli, facendomi diventare una foglia in inverno.

Poi dopo aver creato il delirio su di me lo creano all'interno.
Loro tornano nella mia mente e lasciano liberi i ricordi che vogliono, li lasciano scorrazzare nel mio cervello facendolo bollire di emozioni, lasciano che io torni nel passato di quei ricordi e che ne prenda il possesso per il tempo che loro hanno deciso.

È questo quello che mi fanno quelle due maledette. La confusione e quella sensazione creano un'opera orribile che però nessuno si prende la briga di distruggere.

E sapete perché? Perché nessuno le vede, nessuno può capire cosa sono e nessuno sa che esistono. O semplicemente a nessuno interessa.

Col tempo però ho dovuto imparare a conoscerle, per questo so i loro passaggi, per questo non mi stupisco che arrivino.
Non so mandarle via, non so distruggerle, non so perché non se ne vanno ma le conosco abbastanza da sapere che vogliono il mio dolore, vogliono il mio passato e lo vogliono ancora sveglio.

Loro vogliono tenerlo attivo per non farmi dimenticare, per non cadere nella menzogna della vita, per non essere un illusione del presente.
Non sono maligne, sono solo compagne che cercano di non farmi del male da sola andando in contro a esperienze che non posso avere, loro cercano di non farmi cadere nella trappola della stupidità.

Quindi per questo non le giudico però le odio.
Le odio perché non mi lasciano neanche una volta, le odio perché non se ne vanno finché non mi devastano, le odio perché mi fanno sembrare debole e forse lo sono anche, le odio perché non mi lasciano mai via di fuga, le odio perché non ci sarà mai una fine per loro e le odio perché ormai sono diventati la mia routine.

Sono sempre qui, non se ne sono mai andate in undici anni e non se ne andranno mai. Quindi potrei dire che sono delle altre catene, sono la catena sul piede destro e non c'è motivo ma io le colloco lì.

E ora quelle due mi stanno facendo vedere un ricordo che avevo perso negli altri. Lo avevo tenuto come gli altri, ovvero nascosto da loro ma lo hanno trovato e mi stanno dando la visione intera di esso.

Ennesimo che mi sta lacerando, che sta aprendo ancora di più la ferita che rimane sempre aperta.

Che mai si richiuderà.
Maggiormente con questo di ricordo.

•••

Nine years earlier

La sua mano afferrò il mio polso e mi strattonò verso di lui, non che avessi bisogno di vederlo in viso, era disgustosamente maligno quel volto.

Mi fece alzare dopo avermi avvicinata e si accostò a me per enfatizzare le sue parole crudi, che ormai non sortivano più nessun effetto su di me.

«Hai deciso tu di farti punire, è tua la colpa.» mi disse con fare normale.

Perché lui preferiva far passare la colpa a me piuttosto che ammettere che era lui il malato con la colpa di tutto.

Non potevo comunque ribattere, la colpa era lo stesso mia per aver disubbidito a un'altra regola detta da lui.

Sapevo fin da subito che non avrei dovuto infrangerla ma non era riuscita a fermarmi, non ero riuscita a controllare la mia curiosità da bambina.

Perché io avevo solo otto anni quando presi l'ingenua decisione di uscire di casa da sola, non andando nel giardino come sempre, e camminare fino al centro paese per vedere uno spettacolo di magia.
La mattina di quel giorno, in giro con mamma per tornare a casa, avevo visto per le strade del paese un volantino in cui veniva spiegato e illustrato uno splendido spettacolo di magia, dove c'erano incantesimi di ogni tipo e i bambini potevano interagire con esso

Non lo potei prendere o leggere per più di due secondi però mi rimase impresso l'orario e il luogo dove veniva svolto, così troppo emozionata e curiosa di vedere con i miei occhi andai a quello spettacolo.

E ci rimasi, lo vidi tutto ed era stato magnifico davvero. Li avevo incontrato altri bambini con cui non avevo parlato perché non sapevo come si facesse, però erano tutti sorridenti mentre guardavano il piccolo spazio per chi faceva gli incantesimi.

Avevo assistito e quasi ricreato un incantesimo che ti faceva ridere per minuti interi, avevano detto che potevamo usarlo su gli altri perché non faceva alcun male, quindi lo lanciai su un paio di persone e tutte risero come non mai.

Quelle persone erano adulte e pure ridevano e mi sorridevano come se fossi un ingenua creatura. Dopo che l'incantesimo cessava loro mi guardavano con un sorriso sincero e mi davano dei puffetti sulla testa, io ne rimanevo immobile, non sapevo cosa fare, non sapevo che cosa fossero e ne cosa volessero dire ma pensai che fossero buoni come reazione.

Comunque non era questo il punto.
Non ci sarebbe niente di male andare a uno spettacolo penserete, e avete ragione ma per lui no.

La sua regola mi impediva di uscire da sola e andare giro. Non so il motivo, non so cosa pensasse io facessi e non so che problemi avesse ma questa era la regola e io l'avevo infranta.

E grazie a questa mia decisione ora mi trovavo nel soppalco dell'entrata di casa con lui che mi sta punendo. Ci troviamo qui perché appena sono tornata quell'essere era fuori ad aspettarmi, lui aveva già pianificato il mio dolore di oggi.

Per questo mi punì con i metodi di sempre, un colpetto alle ginocchia per farle tremare, un forte schiaffo sul fianco, una stretta troppo forte sul gomito e un colpo con il bastone sulla natica destra.

Colpi che io sapevo attutire e sapevo aspettarmi tutti, erano soliti, li sapevo gestire e potevo non sentirli se mi sforzavo. Il mio corpo li risentiva perché era ancora troppo piccolo ma la mia testa non li sentiva affatto.

Oggi però aveva intrapreso un colpo che non aveva mai utilizzato e io non ero pronta alla cosa.

Perché mi fece alzare da terra, si mise davanti a me e con quel suo lurido bastone mi puntò, così mi costrinse ad indietreggiare e più andavo all'indietro più non mi rendevo conto che non avevo spazio infinito.

E fu così che non mi accorsi dei gradini che erano dietro di me, arrivata al limite mi diede una spinta con quel legno e io volai giù. Non misi il piede nello scalino perché pensavo che ci fosse ancora pavimento piano quindi presi il vuoto letteralmente.

Il mio piede non tocco nulla di solido e volai all'indietro, cadì come una stupida giù per le scale. Il problema era che non frenai la mia voce, non la controllai e così urlai.

Urlai disperata, impaurita e spaventata da ciò che mi aspettava alla fine della caduta che stavo facendo. Perché sapevo che mi sarei fatta uno di quei mali che non si scorda più, lo sapevo eppure non potevo cambiare le cose.

Quel bastardo se ne stava in piedi nel punto in cui mi aveva spinto, mi guardava e in volto aveva il suo ghigno di trionfo. Era quel ghigno che faceva quando capiva che aveva tutto in mano, che io ero ormai addolorata e che non avrei più potuto ribattere alle sue comande.

E io continuavo a cadere perché il tempo sembrava fermarsi a quel momento, perché io non ero per niente pronta al mio atterraggio, non volevo scoprire cosa mi sarebbe successo.

Ahimè dovetti assaporarlo lo stesso e quando arrivò il momento di schiantarmi sugli scalini provai a digrignare i denti e mantenere stretto i pugni, come per proteggermi. Era una tecnica che avevo imparato da qualcuno che ora non ricordavo, ma sperai fosse utile e funzionante.

E mentre i miei muscoli si tendevano per lo scontro tra spigoli e legno, le ossa che si sentivano gridare per lo sforzo di non rompersi, la pelle che prendeva le botte che poi sarebbero diventati lividi, in tutto questo io urlai perché il dolore si stava propagando dai punti di scontro a tutto il mio corpo.

Il colpo finale però avvene alla testa, perché essa sbatté fortemente contro l'ultimo gradino e io da lì non capì più nulla.

Vidi vagamente il cielo, vidi le nuvole che mi fissavano e io fissavo loro non sapendo più niente, elle erano consapevoli di cosa mi stava accadendo ma io no e forse era meglio così.

Io le fisai per tempo indeterminato e mi fecero compagnia mentre lasciavo il mondo per entrare in un buio asettico, il buio che ho sempre visto in quei momenti.

I miei occhi registrano per ultima cosa una scena, che mi straziava e mi terrorizzava allo stesso tempo.

In quell'ultima scena c'era mamma che era accanto a me e con una mano toccava la mia testa dalla quale, mi accorsi grazie a quello stesso arto che finì davanti alle mie due pupille, usciva sangue.

Era rosso, quasi rosso vino, e il primo ricordo del mostro si fece spazio in me ma non aveva il tempo di espandersi come illustrazione perché venni catapultata nel vuoto della vita.

Con gli ultimi sprazzi di vista potei vedere la faccia disperata e rattristata di mamma in compagnia di quella soddisfatta e seria di mio padre che se ne stava ancora fermo nel punto in cui la mia caduta aveva avuto inizio.

Attraversai i suoi occhi prima di poggiare finalmente piede nell'abisso del buio e scoprì esserci una sola cosa.

Freddezza. Erano freddi, a lui non importava di nulla e forse non gli era mai importato, era solo il mostro che pensavo e lo sarebbe sempre stato.

Con quella nuova consapevolezza crollai e il vuoto mi prese tra le sue braccia, mi avvolse come se fossi una sua progenie da cui era stato separato tempo prima.

•••

Quella consapevolezza era vera alla fine, lui è il mostro che ho sempre pensato che fosse e non è cambiato in nove anni.

E cazzo quella caduta mi ha destabilizzato, non tanto per quante ferite o danni mi ero procurata sul corpo, più per le ripercussioni che ha avuto sulla mia mente.

Non dico ciò che mi è accaduto dopo, ciò che ha fatto quella dannata caduta e ne ciò che ha riscontrato con la mia vita, però i ricordi di quei danneggiamenti viaggiano per la mia testa come pesciolini in cerca di cibo.

E cavolo se li vorrei affogare, li vorrei vedere soffocare con la loro stessa aria. Purtroppo non si possono affogare, quei dannati sono degli stronzi.

A un tratto senza che io me ne accorga sento il battito di un cuore, di nuovo come le altre due volte che io lo sentì. Capisco in fretta che è lo stesso e lo ascolto come se fosse la corda sonora di qualcosa che nemmeno io so definire. Lo ascolto andare al ritmo che vuole, lo sento battere nel suo modo e mi fa tornare nel presente senza che io faccia realmente qualcosa.

E quando i miei occhi si spanano da quelle maledette sensazione vedo la persona a cui appartiene il cuore, la persona che è sempre stata la fonte del mio odio e del mio cambiamento.

Riddle è davanti a me e con una mano tiene la mia sul suo petto per sentire il suo cuore, con l'altra mi tiene da una spalla per farmi capire che non è altro che lui e che sono qui, non nel posto che io penso.

E io sono un tumulto di tremazioni da capo e piedi, non riesco a fermarlo perché non è stato sotto il mio controllo per quel tempo e non so quanto ci metterò per riprenderne il possesso. La mente però si è svuotata da tutto e da ascolto solo al cuore che sente battere.

La mia conoscenza però mi stridula contro soltanto una frase, che ammetto di pensare seriamente ma che in questo momento non riesco a concepire come vero.

"Sei un idiota, sai che ti devi allontanare subito da quello lì. Muoviti cazzo."

Mi strillava solo questo, me lo ripeteva dal tempo in cui ho sentito per la prima il suo cuore, solo che non riuscivo a staccarmi da lui. Non riuscivo a negarmi a quel suono così soave di un cuore che sapevo battere per farmi tornare qui, non riuscivo ad allontanarmi perché avevo paura.

E non lo volevo dire a me stessa, io non avevo il coraggio di ammettere che mi faceva paura ciò che mi dava quel battito. E non lo ammetterò mai perché non sono coraggiosa, sono una codarda e sono debole.

Quindi lascio tutto nello spazio della mia codardia e torno a fissarlo come se non fosse successo niente. Anche se è successo tutto quello che non doveva succedere, lo si può capire da delle lacrime bastarde che scivolano sulle mie guance rosse, dagli occhi spenti che portò sempre, in aggiunta però di un tocco di rottura che difronte agli altri nascondo con un cerotto di stronzaggine e sarcasmo.

«Lo hai sentito troppo bene vero?»

Ed è con questa frase che quel riccio si fa sentire. La più stupida che abbia mai sentito, la più idiota ma anche l'unica che non avrebbe distrutto tutto con la mia rabbia. Quindi la devo approvare come sua uscita dopo tutto.

«Abbastanza sì.» affermo in un tono frammentato ma che mantiene comunque uno stato di normalità.

Lui non risponde e io non parlo nemmeno, ci guardiamo mentre continuo ad avvertire i colpi del suo organo vitale, che non ha smesso di funzionare e ne di rallentare, anzi alcune volte lo sento andare più veloce o più forte.

Devo dire che è strano, troppo strano. Insomma stare qui a guardarci senza litigare o prenderci a insulti come se fosse una conversazione è...insolito, bizzarro, strambo o qualsiasi cosa per definirlo assurdo.

Precisamente non so quanto tempo passi che noi trascorriamo nella stessa posizione, semplicemente ascoltando il suo cuore e fissandoci come se ci fossimo mai visti, o forse come se ci conoscessimo ma ci stessimo rincontrando dopo anni.

Però so benissimo che la verità non è questa, io e lui ci conosciamo, anche troppo. So anche che non lo conosco come una persona, lo conosco come stronzo e sfascia vite. Perché è questo che è, ed è questo che rimarrà per me. Un bastardo che mi ha rovinato la vita in questa scuola.

Solo noi sappiamo che non è la storia dell'odio e poi amore, ci odiamo e per lo meno per me lo odierò per sempre. Magari ora non ci credete, magari ora sembro una pazza imbecile, magari sono solo una cogliona a pensarlo. In ogni caso è questo che io penso ora e non cambierò la mia opinione.

E vedere il suo volto in cui non compare nessuna smorfia odiosa, nessun ghigno beffardo, nessun sguardo glaciale e nessun sopracciglio alzato. Il suo volto era neutrale, era come quando guardi una persona che hai appena visto e che ancora non hai avuto un impressione su esse, era come quando vedi una persona dormire tranquilla ed era anche come quando guardi un punto indefinito senza pensare a nulla.

Qualcosa di anomalo, sopratutto da noi due, perché anche io avevo quello sguardo, lo vedevo dalle sue pupille.
Totalmente inaccettabile, io non potevo permettere che quel coglione potesse credere, anche solo per un secondo, che non lo odiassi.

Inizierebbe iniziato a dubitare e mi tormenterebbe per più del tempo in cui lo fa ora. Permetterlo non è una cosa che posso decidere di fare.

«Spostati ora.» pronuncio decisa, non aggiungo insulti di ogni tipo perché già dal tono si capisce che non deve ribattere.

Forse lui però non lo ha capito bene. Ecco questo è il momento in cui mi pento di non aver detto un insulto tattico nella mia affermazione.

«E perché dovrei?» chiede senza il suo sorrisetto bastardo ma con una nota di presa in giro, neanche tanto cattiva, pur sempre lì però.

«Perché te lo dico io, Pecorella.»

Lui mi fissa e basta, ancora sento il suo cuore e ancora sono vicino a lui. Non so se ho la forza di continuare a stare qui o di andarmene, è tutto un controsenso.

«Ed è un valido motivo secondo te, piccolina?» ribatte con un'altra domanda a cui io rispondo senza giri di parole.

«Sì quindi levati immediatamente.»

E lui mi lascia stupita, ma davvero.

Si stacca, allontanando il suo cuore dalla mia mano, lasciando andare la mia spalla e distanziandoci di qualche centimetro in più.

La sua espressione non cambia però ha fatto una transizione da presa per il culo a normale, qualcosa che non mi aspettavo.

Cioè non è da lui essere così dopo che lo tratto da stronza.

«Che c'è, credevi che non ti avrei lasciata andare?» mi chiede lui un po' divertito.

Non proprio.
Io sì che me lo aspettavo, perché lo avrei menato nel caso non mi avesse lasciato andare, ma sono ancora più scioccata del fatto che non ha parlato o fatto qualsiasi riferimento al mio blackout.

È così che li chiamo quei momenti.

Perché si spengono i miei occhi e le mie orecchie, come se fossero una lampadina con interruttore, e tutta l'elettricità della mia testa viene tolta.
Così che io rimanga incosciente delle cose che accadono al di fuori, ovvero intorno a me, ma cosciente solo di quelle che decidono di farmi vedere dentro di me.

Appunto come un blackout in una casa o città. Solo che avviene in me.

Comunque effettivamente sono più sbalordita che non abbia fatto nessun commento su ciò che mi è successo, anche se non dovrei esserlo più di tanto dato che la prima volta che mi ha visto averlo non ha detto assolutamente niente, a parte farmi incazzare con la storia del nome.

«Non esattamente.» lo affermo incrociando le braccia al petto per regolarizzare il petto che si alza e abbassa, manco fosse in uno stato di corsa veloce.

«E cosa ti aspettavi?»

Sinceramente? Non lo so, non so cosa volevo che facesse o come mi avrebbe nuovamente accolta dopo il mio momento.

«Non lo so.»

Affermo ed è la verità.

Non ho idea di cosa la mia testa si aspettasse, so solo che non mi aspettavo quello che ha fatto.

Prima di rispondergli mi accorgo che il cielo è vuoto, non ci sono punti di luce, non esiste una sfumatura splendente in esso e non ci sono le mie compagne preferite per la notte.

Le stelle sono completamente sparite, non si vedono più e il cielo è vuoto, piatto, monotono.

Probabilmente le nuvole le hanno coperte o sono troppo nascoste oggi per farsi vedere.
Cosa assurda perché quelle piccole palle lucenti amano farsi ammirare, quindi che sfortuna, le hanno nascoste e io odio chiunque abbia deciso di farlo.

Tornando a fissare Riddle dopo essermi resa conta che oggi il cielo serale non è quello che vedo sempre, mi rendo anche conto che lui come me stava fissando la vastità blu e ombrata.

Non so perché ma mi viene la voglia di parlare con lui di come sarà il cielo di stanotte, nemmeno il mio cervello lo elabora però glielo chiedo lo stesso.

Il motivo non lo so bene, credo solo che sia l'unica persona con cui posso farlo, non conosco persone a cui piacerebbe parlare di ciò a caso e non ho amici, tranne Chloe ma lei ama di più gli animali che l'astronomia.

«Pensi che stanotte le stelle possano farsi vedere?»

Il fatto che sposta lo sguardo a me leggermente sovrappensiero e un po' stupito di ciò che gli ho chiesto, mi fa accorgere che forse potremmo parlare normalmente di esso.

Forse è il nostro punto di incontro, non saprei ma non ho intenzione di riflettere molto.

Voglio che l'istinto mi trascini con sé, anche se so che è sbagliato e anche se me ne pentirò.

«Banalmente ti direi che non lo so perché non ne sono sicuro, ma credo che oggi vogliano soltanto riposare all'oscuro dei riflettori.» risponde lui in modo abbastanza critico.

Insomma chi capirebbe una risposta tanto complessa quando la domanda era semplice? Nessuno tranne me, perché a quanto pare sono tanto complicata quanto lui sulle risposte.

«Ma loro non sono mai stanche dei riflettori, amano stare al centro dell'attenzione.»

«Dipende» afferma e io lo guardo curiosa del motivo, per fortuna riprende a parlare non appena vede la mia faccia confusa.
«La luna è la bellezza popolare che tutti osservano, sempre sotto all'attenzione di tutti. Mentre le stelle sono come ombre brillanti per la luna, certo sono sotto ai riflettori anche loro, solo che certe volte sono solo stufe di esserlo essendo che il corpo celeste chiamato Luna le usa come accessori.»

Non avevo mai pensato a questo, io avevo sempre guardato le stelle e poche volte la Luna.

Mi perdevo un quei puntini e magari mi immergevo nell'immaginarmi una di loro.
Io che ballavo e splendevo in mezzo alle mie compagne, che venivo ammirata da tutti per essere una stella bellissima.

Il punto è che erano solo sogni, speranze di un'illusa.

«Devi comunque tenere in conto che le stelle portano sogni, desideri e speranza. Non tutti le osservano ma la maggior parte le ammira per ciò che sono.» gli spiego il mio punto di vista e non credo di essermi mai espressa tanto tranquillamente con lui.

Mi appoggio alla ringhiera come faccio sempre quando fisso il cielo da sola, ora non sono sola però. C'è Riddle e io sono calma per adessso.

«Può darsi. Vengono lo stesso coperte per dargli lo spazio e il tempo di riprendersi, non hanno energie infinite, nessuno le ha.»

Vero però loro sono corpi che vivono nello spazio, nel posto in cui noi non possiamo vivere senza astronavi o tute apposite.

Sono più potente a livello fisico ed è per questo che le apprezzo molto.

«E allora la Luna? Lei si mostra ogni notte senza scomparire mai, tranne da qualche nuvola ogni tanto.» ribatto senza irritarmi.

«Giusto. Ricorda solo che anche lei si prende un po' di riposo, d'estate si palesa più tardi e durante l'eclissi sparisce perché viene oscurata dal sole.»

Nella mia testa ha senso e lo so che lo ha ma non voglio che pensi che abbia ragione, lo odio ed è pur sempre il bastardo che per una volta mi ha zittita così.

So che per molti questa conversazione può non aver senso, per noi lo ha avuto perché siamo noi e questo forse è il nostro unico modo di parlare.

Lo abbiamo fatto poche settimane fa in cui lui mi ha detto cose che ancora ricordo bene e lo stiamo facendo anche ora.

«E se in quei momenti lei è sempre visibile ma siamo noi a non volerla vedere?»

«Allora in quel caso siamo delle brave persone perché le permettiamo di avere i suoi spazi.»

Se le cose stanno così, un pensiero mi vaga nella testa in un nano secondo.

E allora io quando avrò il mio momento di spazio? Quando potrò restare veramente nascosta?

Mai è la risposta, la sapevo benissimo. Solo non riuscivo ad accettarla, non potevo perché non era giusto.

Ma infondo la vita è fatta principalmente da ingiustizie.

«A questo punto forse anche noi dovremmo lasciargli i loro spazi, forse dovremmo tornare a vedere la terra non il cielo.» nemmeno io so cosa sto dicendo ma è meglio che ci separiamo, sono successe già troppe cose e altre ne sono state dette.

«Forse per te è diventato un dobbiamo?»

«Dal momento che quel forse è stato messo lì apposta direi di sì.»

E così lo guardo per un'ultima volta, sapendo che è stato tutto surreale e che questa è stata la prima e l'ultima volta che ci siamo parlati come essere enigmatici ma normali.

Magari potremmo parlare ancora, magari.

Anche se non vorrei, non dopo quello che so e non quando lo odio a morte.

I sentimenti non sono mai cambiati, lo sappiamo entrambi.

Non puoi spegnere e accendere i sentimenti come vuoi tu, loro decidono, loro hanno le redini, tu li puoi solo capire.

E io capisco solo che l'odio è il maggior occupante che si riserva verso di lui, l'unico che c'è insieme alla furia che provo.

Distolgo lo sguardo e mi dirigo verso le scale a chiocciola, non mi volto perché non voglio sapere se mi sta seguendo per andarsene o se mi sta fissando come suo solito.

Faccio solo finta di non sentire i suoi occhi che mi seguono manco cagnolini.

Ed è meglio così, questa serata lasciamola finire così, sospesa tra l'astronomia che ci circonda e tra l'odio che abbiamo messo da parte per un solo secondo.

Arrivo in stanza in men che non si dica e essendo già sera tardi le mie compagne di stanza sono già qui, le sento chiacchierare tra loro non so cosa ma io ho solo bisogno di dormire.

Anche questa cosa è strana, io il sonno non lo percepisco mai così tanto, questa sera però si fa sentire e gli devo dare ascolto, non voglio perdere altre lezioni perché resto a letto. E poi mi toccherebbe recuperarla con quello là e non ci penso neanche.

Così mi corico a letto dopo essermi fatta una doccia, calda e rilassante per farmi sciogliere i nervi che si attorcigliano durante il giorno.

Ma quando mi metto sotto le coperte non riesco a cadere nel sonno che mi chiama, chiudo gli occhi ma non mi addormento come spero.

La mia mente continua a pensare e non posso fermarla, la vorrei schiacciare in questi momenti, farla diventare una zanzara sotto alla mia mano.

Il fatto è che continuo a rimuginare su ciò che è successo, dalla prima cosa stamattina all'ultima questa sera.

E sono molte anche se non direbbe, il rimprovero del professor Flitwic per non essere stata attenta a lezione, che in verità lo ero stata ma per un secondo mi sono distratta per il pensiero del giorno dopo. Poi al mio incontro con Riddle, cosa che speravo non accadesse, per non parlare del mio blackout davanti a lui, cosa che non doveva proprio accadere. Continuando abbiamo quelle "chiacchierate" con lui, non so nemmeno come chiamarle, e comunque ci ho capito poco di quello che era successo.

Queste sono solo quelle più importanti, accadono molte cose nelle mie giornate, sfighe per la maggior parte.

Ma tra tutto il cervello è impostato su un unico pensiero.

Perché in ogni cosa che accade c'è di mezzo Riddle?

Che cazzo è sempre in mezzo, in ogni posto che vado lui è lì, in ogni lezione è seduto o vicino a me o nel punto in cui mi siedo di solito, in ogni momento che ho del tempo libero è lì per rompermi le palle. È sempre in agguato in qualsiasi giorno. Non si stanca mai di girarmi attorno per innervosirmi, è una sua fottuta ossessione.

Non come pensate però, non è ossessionato da me, macché, lui è ossessionato dal farmi incazzare, dal tormentarmi, da ricordarmi quanto lo odi, dal lanciarmi insulti, dal lasciarmi in balia delle prese in giro dei suoi amici. Lui è divertito dalla mia debolezza anche quando sa che non mi appartiene, forse lo crede per davvero ma nel sue cervello ha un punto in cui è consapevole che è una falsità.

È un fottuto tormento che comunque non mi terrorizza, mi fa solo infuriare.

Lui lo sa, lo sa cazzo. E ne è fiero, ne sono consapevole e mi fa incazzare ancora di più.

E con questo pensiero mi addormento, lasciando che le braccia del sonno mi avvolgano per quelle che saranno le ore che deciderà.

Quelle ore vorrei che fossero infinite perché al mio risveglio dovrò affrontare la prima lezione di ripetizione con Riddle, cosa a cui non sono pronta psicologicamente e quindi non voglio che arrivi.

Ma so che arriverà e dovrò prepararmi a essere normale, magari pensando che non sia lui, forse pensando che sia il ragazzo con cui ho parlato in questa serata e non il ragazzo che odio a morte.

Magari potrò veramente farlo, magari riuscirò a non insultarlo e ad imparare senza problemi con lui.

Pur sempre con un magari davanti.

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