𝘴𝘦𝘳𝘦𝘯𝘥𝘪𝘱𝘪𝘵𝘺 ⦂ 𝘺𝘰...

By luh0pe

982 189 265

⎯⎯⎯ ֎⎯⎯⎯   ─𝙮𝙤𝙤𝙣𝙢𝙞𝙣    ⭗ angst; ┇Min Yoongi non capì di essere eterosessuale o omosessuale innamorand... More

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𝒊 𝒏 𝒕 𝒓 𝒐 𝒅 𝒖 𝒄 𝒕 𝒊 𝒐 𝒏
𝟏.   𝒂 𝒔 𝒕 𝒓 𝒖 𝒔 𝒐
𝟑.  𝒔 𝒑 𝒓 𝒐 𝒍 𝒐 𝒒 𝒖 𝒊 𝒐
𝟒.  𝒗 𝒂 𝒕 𝒕 𝒆 𝒍 𝒂 𝒑 𝒆 𝒔 𝒄 𝒂
𝟓.  𝒐 𝒃 𝒏 𝒖 𝒃 𝒊 𝒍 𝒂 𝒕 𝒐
𝟔.   𝒓 𝒆 𝒃 𝒐 𝒂 𝒏 𝒕 𝒆
𝟕.   𝒊 𝒍 𝒍 𝒂 𝒏 𝒈 𝒖 𝒊 𝒅 𝒊 𝒓 𝒆
𝟖.   𝒓 𝒆 𝒎 𝒊 𝒏 𝒊 𝒔 𝒄 𝒆 𝒏 𝒛 𝒂
𝟗.  𝒑 𝒊 𝒂 𝒈 𝒏 𝒊 𝒔 𝒕 𝒆 𝒊
𝟏𝟎.  𝒕 𝒓 𝒂 𝒔 𝒆 𝒄 𝒐 𝒍 𝒂 𝒕 𝒐
𝟏𝟏.  𝒑 𝒓 𝒐 𝒅 𝒓 𝒐 𝒎 𝒐
𝟏𝟐.  𝒇 𝒂 𝒄 𝒐 𝒏 𝒅 𝒊 𝒂
𝟏𝟑.  𝒂 𝒍 𝒕 𝒆 𝒓 𝒄 𝒐
𝟏𝟒.ㅤㅤㅤ𝒎 𝒆 𝒍 𝒍 𝒊 𝒇 𝒍 𝒖 𝒐

𝟐.  𝒔 𝒐 𝒍 𝒊 𝒑 𝒔 𝒊 𝒔 𝒕 𝒂

56 14 13
By luh0pe

𓆨

"Ehi bambolina, non è ancora il momento della pausa."

La lavastoviglie all'opera attirava Jiminie a sé grazie all'affabile tepore che emanava. Jimin divenne succube di quei baci di vapore che lo inondavano con l'apertura dello sportello, come di quelle sottili emanazioni che sfuggivano dai spifferi durante il lavaggio. Abbracciava quella vecchia scatola di latta per neutralizzare quanto più di quei dannati brividi di freddo che lo scuotevano fino a fargli battere i denti. Le braccia incorniciate al suo viso, adagiate sulla superficie della lavastoviglie, ovattavano i suoni provenienti dalla cucina, nel caos del mezzo del servizio, e ci riuscivano così bene che Jimin aveva, per un breve momento, dimenticato dove si trovasse. Aveva solo sbattuto le palpebre più lentamente, in attesa della fine del risciacquo, distraendosi con pensieri poi vuoti e così, quando una voce lo aveva richiamato, si rese conto di aver tenuto gli occhi chiusi per qualche minuto di troppo. Non che si fosse addormentato in piedi, facendo della lavastoviglie il suo letto, ma qualcosa di molto simile.

Un collega, con in mano dei piatti sporchi, era stato poco carino nel risvegliarlo dal suo debole stato di relax. Jimin aveva sollevato la nuca di peso, gli occhi gonfi che chiedevano pietà e che nessuno si fermava ad ascoltare. Il tempo sembrava scorrere a rilento. L'orologio appeso al muro aveva solo la faccia tosta di ticchettare quando mai le lancette importanti, come quelle dei minuti e delle ore, osavano avanzare.

"Da quando... in questo lavoro esiste la possibilità di prendere una pausa?", riuscì a domandare. Persino parlare era un'impresa ardua, come stare semplicemente in piedi.

"Da quando tu hai iniziato a prenderle. A lavoro, forza."

Jimin neppure si sforzò di guardare dove il suo collega lasciò i piatti sporchi prima di tornare in sala, sicuramente per prenderne altri. Il suoi occhi finirono direttamente su quelli già accatastati dentro il lavandino, assieme a pentolame incrostato di cibo. Solo guardare quella catasta gli faceva salire il conato in gola. La fine di quella giornata era ancora parecchio lontana e Jimin iniziava a dubitare di sé.

I movimenti erano lenti e pigri, la spugna che stringeva nel pugno non faceva che scivolare, così come i piatti che tentava di trattenere senza però impegnare nella stretta la forza necessaria, il capo chinato come se non riuscisse a tenerlo dritto e gli occhi socchiusi, quasi completamente assente.

Lavorava presso un diner di bassi fondi dentro cui la gestione della sicurezza era vista come qualcosa di irrilevante. Capitava piuttosto frequentemente che i suoi pasti venissero serviti su piatti scheggiati, nientemeno che innocue imperfezioni ridotte in vere e proprie crepe con il passare del tempo, di cui nessuno si curava. Di certo non era compito di Jimin interessarsi ad un così futile dettaglio. Cosa poteva importagliene se quei piatti potessero cedere con tutto il pasto proprio tra le mani di un cliente, rischiando una denuncia. Al diavolo! Si diceva, raccolto nei suoi pensieri così profondi da scostarsi dalla realtà e, di conseguenza, bloccarsi su un unico livello di quello che poteva dirsi un gioco. Jimin non pensava di sprecare del tempo prezioso mentre, con una spugna insaponata, passava e ricalcava inutilmente su un percorso che aveva ricreato su un fragile piatto, almeno finché non ci rimise un dito. Sobbalzò quando percepì chiaramente la propria pelle venir lacerata da una crepatura trascurata e, in men che si potesse dire, il piatto era a terra in mille pezzi. Quel giorno era solo il quarto che rompeva e aveva promesso di non farlo più.

I suoi occhi studiarono la ferita aperta e sanguinante sull'incavo del pollice, riuscendo ad avere solo quella dentro il suo campo visivo, mentre tutto intorno aveva già preso a girare come su una giostra per bambini. Jimin non si accorse dei suoi capogiri se non quando distolse lo sguardo dalla sua ferita e dal sangue che aveva già raggiunto il polso, origliando sui passi furibondi del suo capo raggiungerlo da dietro. Erano così inconfondibili dal loro strusciare svogliatamente con tutta la suola a terra, forse troppo pesante era per sollevare adeguatamente le sue ginocchia, forse troppo pigro a giudicare da come se ne stava sul computer tutto il giorno a gustare frullati e ciambelle mentre loro gli lavoravano sotto il naso. Sempre pronto a mettere becco, sempre con le orecchie tese, sempre con gli occhi addosso, che alla fine, Jimin, quasi si sentì sollevato di vedere tutto nero prima ancora che questi cominciasse ad urlargli contro quanto fosse inutile alla società.

Alla fine era successo: era stato cacciato e nel mezzo del servizio, ciò significava senza paga. Quando aveva ripreso conoscenza, il direttore del diner era stato terribilmente insensibile nei suoi confronti che a Jimin era salito l'istinto di vomitargli addosso il senso di nausea che da subito lo aveva assalito al risveglio, ma si era contenuto. Qualche sillaba sconnessa era stata la sua risposta, dopodiché aveva lasciato l'edificio con un malsano desiderio di buttarsi in strada per farsi investire. Fuori ancora si scatenava l'inferno ma Jimin inalò quell'aria come se non respirasse da un secolo, pregando al senso di nausea di andare via. Non aveva più le forze neppure di tornare a casa che alla fine si era visto costretto a contattare l'unico numero che aveva salvato in rubrica, anche l'unico numero che avrebbe voluto non contattare mai.

𓆨


Jimin strofinava ripetutamente i palmi sulle braccia. Ricordava che così facendo, quando era piccolo e solo, riusciva a darsi un minimo di conforto. Non erano solo i brividi di freddo che tentava di quietare ma il senso di abbandono che sentiva addosso. Probabilmente la stessa sensazione che sentiva da quando aveva lasciato la sua città natale per cercare il suo posto, quella sensazione che nell'adolescenza aveva contribuito molto per ricreare la persona che era cresciuta, perché quel posto, Jimin, non l'aveva mai trovato. Una parte di lui credeva di averlo fatto, e l'illusione provocata dall'ossitocina non aveva che reso un enorme enigma la consapevolezza di aver nuovamente sbagliato e che era forse arrivata l'ora di rinunciare. Il passo gli era costato molto e aveva distrutto Jimin come la prima volta, non aveva senso continuare a credere che prima o poi avrebbe trovato il suo posto nel mondo. Jimin se n'era fatto una ragione e oramai la sua vita non girava che intorno alla sua adorata bambina. Il suo cuore esaltava quando nei pensieri di Jimin riaffiorava il sorriso radioso di sua figlia, ma neppure il suo organo era del tutto sincero con Jimin. Che fosse, in verità, il volto di una bambina che aveva così tanto di simile all'unico amore mai provato in vita sua, a tenerlo in vita.

A giudicare dai sintomi che sentiva non doveva avere niente di troppo grave di un po' di febbre innocente, ma non era per i brividi di freddo che Jimin sfregava sulle sue braccia mentre osservava fuori dalla finestra di una caffetteria che, barcollante, era riuscito a raggiungere come punto d'incontro con Yoongi. Si sentiva alquanto umiliato per aver chiesto aiuto proprio a lui.

La verità che voleva lasciare celata era che Yoongi era ancora quanto di più vicino ad una persona che Jimin poteva dire di avere accanto; non un amico, non un fidanzato, solo una persona nella sua vita. Ma c'era una cosa ancor più urtante del pensiero che fosse ancora nelle mani di Yoongi, ed era la realizzazione che fosse quest'ultimo nelle proprie mani. Aveva paura, Jimin, che Yoongi gli fosse in verità più vicino di quanto poteva sembrare.

Con l'avvinghiarsi di tale sgomento, così stranamente tiepido all'altezza del cuore, Jimin venne catturato inconsciamente in direzione dell'ingresso della caffetteria, dove incontrò immediatamente il suo atteso ospite. Non sapeva cosa l'avesse condotto proprio a guardare in quella direzione, credeva di essere stato chiaro con sé stesso e poter fingere l'indifferenza, eppure ecco che il suo sguardo giaceva imbambolato sugli occhi di Yoongi. Aveva già passato tanti anni a perdersi dentro quegli occhi, altro tempo a imporsi di stare loro distante, e il risultato non era altro che una folata di vento e polvere nell'aria.

Yoongi tratteneva Jiyoon lontano da terra con un solo braccio e lei, così piccola, si aggrappava al colletto della felpa del suo papà mentre cercava Jimin con lo sguardo. Quando lo trovò, grazie all'aiuto del corvino che parve sussurrarle qualcosa all'orecchio e poi puntare discretamente il dito in direzione di Jimin, mentre avanzava verso il suo tavolo, Jiyoon cominciò a dimenarsi, impaziente di raggiungere il suo secondo papà. Il ciuccetto nascondeva parte del sorriso che allargava le sue labbra, e quando finalmente Yoongi si fermò di fronte al tavolo di Jimin, la piccola allungò le braccia in direzione di quest'ultimo, lamentandosi quando si accorse che nessuno dei suoi papà sembrava accontentarla. Jimin guardava Yoongi dal basso, in silenzio, con le sue scuse sulla punta della lingua; Yoongi guardava Jimin dall'alto, o meglio ciò che rimaneva del suo splendore a causa del suo stato che testimoniava il suo malessere attraverso il volto pallido e gli occhi lucidi.

"Come ti senti?"

Fragile.

Avrebbe voluto rispondere con un "bene" se solo in lui non avesse prevalso in malsano desiderio di scoppiare in lacrime. Jimin annuì con il capo solo per sottrarsi da quelle attenzione, per allontanare anche quel fastidioso senso di soffocamento, nel mentre si sollevava per raggiungere Jiyoon e rubarla a Yoongi, bisognoso di un po' del suo affetto e stroncare sul nascere quel pianto soffocante.

"Bua, papi?", aveva domandato Jiyoon storpiando le parole, provocando una leggera risata a Jimin che strofinò la punta del proprio naso contro quella di sua figlia.

"Papino sta benissimo adesso, piccola mia."

Yoongi occupò il posto libero sul tavolo, che poi era di fronte a Jimin, senza staccare gli occhi dall'abbraccio delle due persone che amava di più al mondo.

Quando Jimin si sollevò appena dall'abbraccio con sua figlia, fu solo per trasferirla sulle sue gambe e poter tornare ad avere Yoongi difronte a lui. In altre circostanze non l'avrebbe fatto. Se non l'avesse chiamato, mettendo da parte il suo orgoglio, Jimin non avrebbe mai deciso di affrontare Yoongi di sua spontanea volontà, perché incrociare quei suoi occhi significava ogni volta rivedere giorni di sole ormai lontani. E quando Jimin rivedeva quei giorni non riusciva a non chiedersi perché fossero finiti.

"Grazie."

C'era voluto stringere Jiyoon contro il petto per riuscire a dirlo.

"È okay."

Sembrava esserci un coltello sulla gola di Yoongi a regolare il suo tono. L'espressione piatta e la voce un sussurro.

"Stai sanguinando.", gli fece notare presto il maggiore. I suoi occhi erano stati svelti a farsi catturati dall'umile fazzoletto incastrato sulla base del pollice del biondo. Quando Jimin seguì la direzione di quello sguardo incupito, ma, in risposta, parve più preoccupato a nascondere la sua ferita ormai stabilizzata sotto la presa di un pezzo di carta.

"Niente che il tempo non possa guarire.", rispose solo, con scarso interesse verso quella lesione. Se Yoongi avesse visto le condizioni del suo cuore, dopo che s'erano lasciati, non si agiterebbe alla svista di un taglietto. Yoongi riconobbe il distacco, al quale rispose con la stessa moneta, dunque annuendo poco convinto. Portò i gomiti sul tavolo e intrecciò le dita dove appoggiò il mento, senza distogliere lo sguardo dalla figura consumata di Jimin.

"Ti devo delle scuse in anticipo, Jimin.", annunciò all'improvviso Yoongi. Jimin non sembra interessato alle sue parole, non nascondeva la sua attenzione ora rivolta su sua figlia e scarsa verso il padre. Le sue dita carezzavano le guance paffute di Jiyoon mentre ricambiava lo sguardo dei suoi occhi così piccoli ma, in confronto alla grandezza del suo viso, così grandi.

"Non hai niente di che scusarti."

"Invece sì.", Jimin sollevò il mento per rimandare lo sguardo del compagno. Lo vide desolato e dunque reagì di conseguenza, affievolendo di grado il suo labile sorriso, quello che era andato a richiamare grazie alla vicinanza di sua figlia, e forse anche un po' alla presenza di Yoongi, in un momento così critico.

"Di che stai parlando?"

"Ti accompagnerò a casa ma devi aspettare un po'."

"Aspettare cosa?"

"Dovevo vedermi con una persona... dunque ho dovuto spostare qui il mio impegno."

Jimin parve scottarsi a quelle parole. Gli occhi sgranati e le labbra assottigliate. Se pensava che solo due secondi prima aveva osato sorridere al pensiero di avere il maggiore accanto, adesso poteva solo darsi dello sciocco illuso. Non sapeva molto, ma quel poco di sapienza gli parve tutto.

"Ti vedi con qualcuno mentre hai nostra figlia?"

"Ah, adesso è nostra?"

"Lo è sempre stata, Yoongi."

"Sembra lo sia solo quando conviene a te."

La febbre parve sparire e il suo corpo ora gelava. Non esisteva che Yoongi e le fitte al cuore che questi gli provocava con poco.

"Allora lasciami lei."

Jimin strinse di più la presa su Jiyoon, che tra le sue braccia giocherellava con un ciondolo che penzolava su un filo ad avvolgere il collo di Jimin. Era una stupida collana che aveva messo intorno al collo in passato e che non aveva più tolto, e sua figlia sembrava affezionata a quell'oggettino più di quanto lo fosse lui. La nascondeva sotto i vestiti per tenerla all'oscuro da sé stesso e la portava sempre con sé per non dimenticare mai.

"No. Avevamo deciso che la tieni durante la settimana e dal venerdì a lunedì la tengo io."

"Vuoi lasciarmi da solo?"

"Così potrai prenderti un po' cura di te."

"E vuoi lasciare mia figlia in camera sua mentre, in quella accanto, chissà che diavolo combini tu, con Dio solo sa chi."

"Ora è tornata ad essere solo tua figlia."

"Smettila Yoongi."

"Smettila tu, Jimin!"

Il tono alterato di Yoongi sembrava imporre l'immediato silenzio, il quale si presentò come richiamato, composto naturalmente di sguardi nervosi. Continuarono a guardarsi finché Jimin pensò di esporre una questione che per troppo tempo si era tenuta per sé.

"Un lui o una lei?"

"Come?", Yoongi corrugò le sopracciglia, confuso.

"Sei etero o gay?"

Sembrava la domanda da un milione di dollari, la domanda che Yoongi non fu sicuro di aver sentito bene. Una bile di delusione risaltava nei suoi occhi neri, le labbra dischiuse come se stesse per dare una risposta che però non arrivò. Jimin rimase a guardare l'altro negli occhi, in stallo, finché il suo dubbio parve schiarirsi nel silenzio, alla semplice vista di una giovane donna che si presentò al loro tavolo. Quando Yoongi la notò, incontrò il suo sguardo con titubanza, come se quella presenza fosse la cosa più sbagliata del mondo in quel momento, come se avesse avuto bisogno di più tempo prima che lei si mostrasse.

Jimin si lasciò scivolare contro lo schienale del divanetto su cui era accomodato, quasi liberato della tensione retta fino a quel momento. La resa nei suoi lineamenti frastagliati e un sorriso artefatto sulle labbra pallide.

Dunque era quella la sua tanto attesa risposta.

"Oppa, sono arrivata. Scusami per il ritardo."

Lei si inchinò appena e Jimin non si degnò neppure di scorgere dettagliatamente quale stregoneria avesse addosso. Ad occhio gli era parso che la ragazza fosse appena uscita da scuola e dunque indossasse la sua uniforme; o quella o semplicemente quella povera ragazza non aveva idea di come presentarsi ad un appuntamento con un uomo e sua figlia. Gli occhi critici di Jimin l'avevano mollata solo dopo il primo sguardo marcio, e forse la nuova arrivata aveva avuto modo di sentire la sua puzza a giudicare da come si era stretta in sé, imbarazzata. I capelli ricadevano sulle sue spalle come spaghetti scotti, ma forse era la gelosia a mostrare a Jimin un immagine del tutto sbagliata.

Yoongi l'accolse col peggiore dei sorrisi, invitandola a sedersi. Una breve presentazione a cui Jimin non prestò neppure attenzione, troppo impegnato a litigare con Jiyoon per farle mollare quel dannato ciondolo che in quel momento voleva solo nascondere dagli occhi di chi glie l'aveva donato. Tentativo inutile dal momento in cui Yoongi lo aveva già visto, e anche prima di quel giorno. Yoongi sapeva che Jimin non l'aveva mai tolto, come sapeva che Jiyoon amava giocarci. E con questo aveva preso due piccioni con una fava, che ora se la litigavano per quello che poteva impersonare Yoongi stesso.

Da quel momento in poi Jimin sembrava in perfetta forma per giocare con sua figlia, forse solo per evitare Yoongi e la nuova arrivata, entrambi impegnati a discutere di qualcosa che tentava di evitare, finché lei estrasse delle carte da una borsa da scuola, o da lavoro?

Jimin la osservò di sottecchi, mentre si prendeva il naso di Jiyoon, comandando la sua risata a riecheggiare non solo tra le pareti del piccolo edificio ma anche in quelle della sua testa, o quanto meno tentare di impegnarsi.

Yoongi firmò qualche carta e, poco dopo, la ragazza si sollevò dalla sua postazione, rivolgendo ai presenti un profondo inchino. Jimin era forse riuscito a farla sentire tanto di troppo da farla reagire in tal modo? A lui non dispiacque, ma a giudicare dagli occhi di Yoongi, sulla sua figura, quando lei si era ormai congedata, capì di aver invece creato disagio proprio a lui. Non si sarebbe scusato per questo. A prescindere da chi lei fosse, da cosa avesse preteso da Yoongi, Jimin non si sarebbe scusato per essere stato gravemente scortese nei confronti di una sconosciuta, forse anche innocente.

"Vestiti. Ce ne andiamo."

Jimin sembrò prendere quel momento in asso, passando dal sorriso radioso che viveva per sua figlia, allo sguardo incupito che esisteva per tutto il resto. Sì, Yoongi compreso.

"Quindi è solo con me che fai lo stronzo."

"Ti tratto di conseguenza. Ora andiamo."

"Lei chi è? La tua nuova ragazza?", domandò con un certo tono. Yoongi si lasciò sfuggire una risatina strozzata, incredulo.

"È questo che pensi di me?"

"Lo è o no?"

"Sei troppo comodo, Jimin."

"Perché non puoi semplicemente darmi una cazzo di risposta?", Jimin finalmente si lasciò esplodere, improvvisamente bisognoso di sapere cosa accadesse intorno a lui, quasi fosse cieco e non riuscisse a vedere come il mondo lo lasciava dietro, potendo solo percepire la sensazione di essere abbandonato.

Il corvino si abbassò su di lui quasi immediatamente dopo, oltrepassò il suo spazio vitale e sfiorò la punta del suo naso con la propria, guardando il minore duramente negli occhi.

"Pensi che io sia capace di amare qualcuno da capo? Dopo tutta la fatica? No, Jimin. Non ho interesse verso nessuno in questo momento. Sei contento ora?"

Jimin non si sprecò in ulteriori sguardi dannosi. Una serie di sbagli continuavano ad avvinghiarsi sulle sue spalle, come per l'ennesimo: lui che si mostrava in tutta la sua debolezza. Quanto poteva essere ridicolo? Stava certamente delirando a causa della febbre.

Munendosi di una forza misera, Jimin spintonò Yoongi lontano da sé. Si sentiva terribilmente esposto quando lui gli era così vicino.

"Fanculo, non mi importa niente. Portami solo a casa!"

Fece accomodare Jiyoon sul tavolo solo per riuscire a sollevare sé stesso prima di tutto, ricordando bene lo sforzo associato allo stare semplicemente in piedi, ma era ancora troppo distratto dal pensiero di voler scappare da Yoongi che il movimento per issarsi fu avventato e, subito dopo, un giramento di testa gli suggerì che se non si sarebbe sorretto a qualcosa, le gambe avrebbero ceduto e per lui non ci sarebbe stato che il pavimento.

Prima ancora che lui potesse cercare appiglio, o prima ancora che inciampò da fermo, due braccia forti lo sostennero, stringendolo saldamente dai fianchi. Yoongi si era avvicinato quasi d'istinto, trovandosi nuovamente ad un palmo dal viso del più piccolo ora entrambi messi a nudo, senza alcuna simulazione. Yoongi era visibilmente preoccupato e Jimin disperatamente bisognoso. Il viso pallido e gli occhi lucidi, poco razionato tra l'esserci e il non esserci, quando i bordi della sua visuale erano sfumati ormai di nero. Ma incontrando gli occhi di Yoongi, quell'esplosione oscura parve stringersi gradualmente, sino a scomparire e lasciare spazio solo al nero delle irridi del maggiore.

"Sto... bene."

"Va bene.", gli resse il gioco con superficiale assenso, il maggiore.

"Ma Jiyoon la prendo io.", continuò Yoongi, lasciando lentamente andare Jimin dalla presa delle sue braccia toniche. Solo quando ebbe la certezza che l'altro fosse in grado di mantenersi in piedi gli diede le spalle per occuparsi di Jiyoon e rivestirla del cappotto. Jimin seguì Yoongi con lo sguardo, da quando gli era ad un passo sciagurato a quando lo spazio si era esteso ad un metro scarso, facendo sentire il suo spazio vitale così vuoto e insignificante. Erano solo sensazioni, niente di diverso da polvere nell'aria.

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