Apollo Anni 20

By xopheliac

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[Young adult, romance, azione] L'amore per la vita e la speranza di un mondo migliore, li ha uniti tutti. L'a... More

Nota dell'Autore
Il Pantheon | Cast e Archetipi
Il Pantheon 2 | Cast e Archetipi
Grantaire; le mécréant
2.1 Grantaire; le mécréant
3.1 Grantaire; le mécréant
Jehan; le romantique
2.2 Jehan; le romantique
Courfeyrac; le centre
2.3 Courfeyrac; le centre
Grantaire; le bagarreur
2.4 Grantaire; le bagarreur
Enjolras; le formidable
2.5 Enjolras; le formidable
Éponine; la carte maîtresse
Grantaire; l'alliée
Gradus Ad Parnassum
2.7 Grantaire; l'alliée
Enjolras; l'incompréhensible
2.8 Enjolras; l'incompréhensible
Jehan; l'indécis
2.9 Jehan; l'indécis

2.6 Éponine; la carte maîtresse

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By xopheliac

   'Ponine non volle allontanarsi da Grantaire per il resto della notte; si sistemò per terra, accucciata tra il letto e il mobiletto dove lui aveva lasciato il suo cellulare.
Per tutte quelle ore lo schermo non si era mai illuminato. Né un messaggio, una notifica, niente di niente.
   Tutte le persone che lui aveva erano lì in quella casa, e pensando questo, 'Ponine provò un moto di profonda tristezza.

   Infilò il dito nella mano di 'Taire che sporgeva mollemente dal bordo del letto e vi si appese.
Per un po' dabbasso continuarono a giungerle le voci degli altri, poi una a una si spensero, e prima che se ne accorgesse tutta la casa era piombata in un silenzio quasi imbarazzante. Come se nessuno dei suoi abitanti avesse più il coraggio di uscire dalla propria stanza per primo.

   Stava per chiudere gli occhi quando dalla fessura sotto la porta intravide un flash che tremolava sul pianerottolo, un minuto dopo Jehan si fece avanti, illuminandosi con la torcia del telefono per rendersi riconoscibile. 'Ponine gli sorrise senza dirgli nulla mentre lui lentamente si fece avanti a passi incerti, come quelli di un insetto sull'acqua.
Si mise a sedere leggerissimo sul bordo del letto e si sporse sopra Grantaire per raggiungere la sua fronte con le labbra. Una volta dato il primo bacio a occhi stretti, Jehan non si trattenne dal ricoprirne il viso dell'amico in ogni angolo, ogni spigolo, anche quelli che normalmente gli sarebbero sembrati irraggiungibili. Era così felice di sentire sulle guance il suo respiro, anche se lento.

   Capita assai di rado di toccare qualcuno e sentirne l'anima, calda, a pochi centimetri sotto la pelle. 'Ponine giurò che in quel momento, con il dito ancora appeso alla mano di 'Taire, aveva davvero colto il palpito della sua anima irraggiungibile.

Sentì, e ne era davvero convinta, di aver capito cosa provasse. Proprio in quel momento.
Proprio con quello stupido tocco, collegandolo al telefono che non suonava mai.
Grantaire era solo.
   Non che non lo sapesse, ovviamente, ma forse per la prima volta pensò che Grantaire ne soffrisse.
E tutte le sue miserabili scopate, le esagerate bevute e la necessità della drøga, erano soltanto un palliativo per quel dolore che non riusciva a recuperare, a colmare.
Certo, aveva lei, ma non gli bastava e di questo non si sentiva offesa, ma standogli vicino lei l'aveva vista la mole di amore che Grantaire aveva bisogno di riversare su qualcuno.
   Una persona non poteva assolutamente bastare.

   E adesso se pensava a lui lo ricordava sorridente, allegro, sboccato come sempre. Ma dentro di lui vedeva anche quel bambino che, purtroppo, non aveva conosciuto in tempo per evitargli almeno qualche sofferenza. E lo vedeva rincorrere i suoi genitori per meritarsi il loro consenso, lo vedeva rincorrere gli amici che lo avevano abbandonato perché troppo eccentrico. Lo vedeva correre a perdifiato dietro quella società che lo scansava come un cane sporco, una società che lui odiava e insultava, ma di cui avrebbe tanto voluto sentire il calore.

   In quel momento, quell'anima, era alla mercé di chiunque, ma, con persone come quelle sotto lo stesso tetto, Grantaire non era così sfortunato.
Anche se il suo telefono non si illuminava mai.

   Doveva soltanto far sì che la luce di Enjolras riverberasse su di lui, per poi farlo diventare finalmente una torcia.

Jehan, con ancora il naso infilato tra i capelli di 'Taire, allungò il braccio alla ricerca di 'Ponine e quando la raggiunse la strinse in uno strano abbraccio tra indigenti, come se per tutto quel tempo tutti i suoi pensieri lui li avesse letti.

   «'Fanculo, non è ancora presto per le zanzare?»
'Ponine aprì faticosamente gli occhi, li sentiva annebbiati e pesanti come non fossero i suoi. Chissà quando si erano addormentati, certo era che nessuno dei due si era allontanato da 'Taire.
Davanti a lei Jehan aveva alzato la testa pesante e assonnata verso un Grantaire che cercava goffamente di liberarsi da una zanzara sbattendo le lenzuola a destra e a sinistra.
   Urtò il comodino e quasi lo fece ribaltare per lo scatto che ebbe nel vederlo stare bene.
Si arrampicò sul suo letto a fatica, ancora intontita dal poco sonno, e con quella difficoltà tipica dei lattanti che ancora non controllano gli arti e la loro forza.
Anche Jehan ebbe la stessa idea, e dopo qualche istante entrambi si rotolarono oltre il suo corpo per incastrarsi tra lui e il muro e abbracciarlo, finalmente ricambiati.
   «Dovrei rischiare l'overdose più spesso se poi ricevo questo trattamento.» Entrambi lo guardarono in cagnesco per quella sua uscita, ma prontamente 'Taire li rassicurò che stesse soltanto scherzando. O per meglio dire, li glissò roteando gli occhi al cielo e questo fu abbastanza.

   Jehan si propose di cucinare lui stesso la colazione per tutti; sentiva addirittura un po' di fame.
Quando il ragazzino sparì giù dalle scale, Grantaire si mise a sedere con la schiena poggiata al muro, 'Ponine invece era andata a sciacquarsi il viso.
   «Dov'è il biondo?», chiese 'Taire, stropicciandosi la faccia.
   «A lavoro», gli rispose lei, ovattata dall'asciugamani, «ma ti è stato dietro tutta la sera. Non so cos'ha fatto, ma se sei qui è perché è bravo.»
   «Mi è stato dietro tutta la sera?» il tono di quella domanda allarmò 'Ponine; era come se 'Taire fosse sorpreso che qualcuno potesse davvero occuparsi di lui anche in quello stato.
Lanciò l'asciugamani per terra e si mise a sedere accanto a lui, accarezzandogli il viso come si trattasse seriamente di un bambino: «Ma certo, 'Taire. Tutto il tempo.».
   «Credi che adesso mi permetterà di succhiarglielo?»
'Ponine sospirò profondamente tenendo gli occhi chiusi.

   Almeno era tornato del tutto in sé.

Improvvisamente Grantaire divenne serio. Lo sguardo si spostò sulla porta e approfittò di quel breve silenzio per verificare che nessuno si stesse avvicinando alla sua stanza. Quindi con una mano afferrò il polso di 'Ponine.
   «'Nine, ho sentito tutto quello che vi siete detti ieri.»
Non ne era sorpresa. Forse inconsciamente aveva sperato che venisse a conoscenza della verità da solo; era qualcosa di troppo difficile da spiegare.
   «Ed è proprio per questo che non ne farai parola», si liberò della presa di Grantaire parlando fra i denti, come per intimargli di chiudere la questione lì.
   Un attimo dopo, infatti, Jehan e Courfeyrac entrarono uno con un pacco di brioches e l'altro con teiera e bicchieri per tutti.

   «So benissimo di aver detto che avrei cucinato, ma sappiamo tutti quanto sono un menzognero bastardo», dichiarò Jehan mentre apparecchiava tutto sopra due sedie messe l'una di fianco all'altra. Courfeyrac nel frattempo si era prodigato in raccomandazioni e apprensioni, passando da controllare il battito sul polso di 'Taire al controllare la temperatura delle sue guance.
   Lui, però, non aveva distolto per un secondo lo sguardo da quello di 'Ponine, come un silente monito tra loro.

   Il momento giunse, alla fine, e lo fece ben prima del previsto.
Montparnasse le aveva scritto di uscire da "quella casa di sfigati" appena fosse stata pronta e che lui l'avrebbe aspettata in macchina.
   Dopo essersi data una veloce sciacquata, 'Ponine scese le scale di corsa, legandosi frettolosamente i capelli sulla sommità della testa come si stesse preparando a scendere in guerra.
Si chiuse la porta alle spalle e si diresse a passo spedito verso lo sportello anteriore dell'auto.
   «Oh putain! Lui viene con noi? Come stai?», 'Ponine aveva appena sfiorato il sedile quando sentì 'Parnasse imprecare, e proprio non capiva di cosa stesse parlando finché Grantaire non aprì lo sportello e si infilò in macchina accendendosi una sigaretta.
Montparnasse fece scivolare il pugno dietro la sua spalla e 'Taire lo batté con il proprio, sotto lo sguardo interdetto di 'Ponine.
   «Bene, mon frère. E da te...», Grantaire le puntò il dito che ancora profumava di brioches alla marmellata di albicocche sotto il naso, «...non voglio sentire neanche una parola.»
   Sarebbero andati a mettere i bastoni fra le ruote alla māfiā puzzando di marmellata alle albicocche.

   Le ruote lisce e constunte del vecchio bolide macinavano la strada a una velocità che non permetteva alla ragazza di riordinare i pensieri nel modo giusto. E mentre una lingua immaginaria le incespicava nella bocca nel tentativo di immaginarsi il discorso che avrebbe fatto al padre, la macchina si era già fermata davanti casa sua, anche se ormai la chiamava "casa" solo per la comodità di non dover spiegare.
Vide con la coda dell'occhio Montparnasse mandare un messaggio sommario, e ne dedusse che nessuno sarebbe apparso di lì in poi per far loro delle domande.

'Ponine tenne gli occhi bassi per tutto il tempo, non per rispetto o timidezza, ma perché si era disintossicata da tutto ciò che ormai era quel mondo per lei, e non voleva sporcarsi gli occhi cogliendo più dettagli del dovuto.
   Passò per le scale del solito mattone rosso nudo, calpestò a lungo il marmo bianco e nero a scacchiera del corridoio che portava al famigerato studio del padre. Come previsto, nessuno li aveva accompagnati e nessuno li stava aspettando davanti alla porta, perché i problemi erano tutti lì dietro.

   «Ecco qui i tre cavalieri dell'Apocalisse, il quarto aveva mal di pancia? Bevuto troppo latte a colazione?»
'Ponine ripensò alla marmellata di albicocche e con un'operazione mentale che le richiese pochi secondi, ne dedusse che suo padre potesse leggerle nella mente. Era lapalissiano.
Fortunatamente Didier Thénardier non si era neanche disturbato ad alzare lo sguardo su di loro, altrimenti si sarebbe accorto che la figlia si stava maciullando con i denti l'interno delle guance.
In un moto di protezione quasi fraterna, Montparnasse sembrò prendere la parola, dopo alcuni stupidi versi che fece schioccando le labbra.
   «Vede, Signore, è una situazione davvero molto particolare e...» quando gli occhi di quell'uomo finalmente si sollevarono, Montparnasse ebbe l'inconfutabile certezza di essere morto in quell'istante.
   «E sua figlia vorrebbe parlargliene», dichiarò infine, mettendo un punto a quella penosa scenetta.

E se perfino Montparnasse, il figlioccio preferito del Padrino, non aveva trovato le parole, 'Ponine perse speranza per le proprie.

   Circa un'ora dopo i tre ragazzi stavano ripercorrendo la strada a ritroso per tornare alla macchina.
Aleggiava un sospetto silenzio sopra di loro, un velo sottile, che impediva a ogni più piccola informazione del colloquio appena avuto di trapelare all'esterno. Come se fossero certi tutti e tre che la prima parola avrebbe alzato un soffio di vento, e che quella brezza avrebbe fatto crollare il castello di carte.

   'Ponine non ci credeva: suo padre l'aveva ascoltata senza battere ciglio.
Le aveva fatto qualche domanda, certo, ma come le farebbe anche a un suo pari. Nessun "dovresti pensare agli affari tuoi" e nessun "tienitene fuori, ragazzina".
Era strano, ma aveva senso.
Quella mattina i parigini si erano svegliati bombardati dal video di un ragazzo mascherato e con la voce modificata da un sintetizzatore, che denunciava, con prove video, l'animalesca violenza della polizia ai danni del figlio del senatore.
Gli universitari lo avevano spammato sui social e già erano apparsi alcuni articoli nelle pagine del web. Molto presto ne avrebbero parlato le più influenti testate giornalistiche.
Enjolras aveva picchiato duro sulle alte, invalicabili mura di Troia, dietro alle quali quell'intoccabile istituzione si era sempre nascosta, vittimizzandosi.

   Se suo padre non aveva fatto una piega, era soltanto perché un uomo furbo riesce a mettere da parte anche l'orgoglio personale, davanti a un pericolo incombente. Dopotutto, Enjolras li aveva veramente aiutati, offrendo loro un vantaggio.

   «E adesso?» domandò Montparnasse dopo un lungo silenzio. Tutti e tre si erano infilati mesti in macchina ed erano rimasti lì zitti a pensare per una buona manciata di minuti.
Éponine corrucciò improvvisamente la fronte in un'espressione sorprendentemente determinata: «E adesso niente. Continueremo a vivere la nostra vita come sempre fino alla reale chiamata alle armi.».
Tutti avevano annuito.

   Tornò in quella casa un'ultima volta, prima di tornare alla sua.
Dietro la porta d'ingresso il silenzio era allarmante e insolito, per quella che era l'abitazione di nove persone. Ad aprirle era stato Joly, l'unico a essere rimasto a casa poiché aveva passato la notte con gli occhi sgranati e non se l'era sentita di andare a lezione.
Faceva su e giù dalle scale con un enorme cesto di panni sporchi poggiato su un fianco. Non le aveva ancora rivolto la parola da quando era entrata, ma lei sapeva che era per il profondo stato di shock.
Joly era un ragazzo tranquillo, ipocondriaco e fifone, si era ritrovato in quel gruppo quasi trascinato, ma anche dopo esser stato messo al corrente dei progetti di Enjolras, non gli era mai saltato in mente di abbandonarli.
   Come a nessuno di loro a parte Marius, in effetti.

Pensava questo mentre sorseggiava un bicchiere d'acqua seduta sul bordo freddo del lavello, con i piedi poggiati su quello del tavolo di fronte a lei.
Inconsciamente dallo scolapiatti sopra la sua testa aveva preso il bicchiere sbeccato con la striscia blu che era solito usare Marius quando abitava lì.
   Non se ne era neanche accorta.
Richiuse le mani a coppa intorno alla base del bicchiere e pensò a lui. Ma ci pensò davvero forte. Come se sperasse di poterlo far apparire lì davanti per magia.
Invece apparve Joly, immobile davanti a lei.
   «Non lo faccio spesso, ma sai... hai una sigaretta?»

Cinque minuti dopo i due erano sul terrazzo. Éponine di nuovo seduta, ma stavolta sul parapetto, Joly invece era chino davanti all'oblò della lavatrice addossata a un angolo e coperta da una piccola tettoia di plastica che la manteneva in ombra tutto il giorno.
   Mentre aspirava avidamente dalla propria sigaretta vide, tra gli artigli serrati di Joly, una maglietta sporca di sanguē, che neanche un secondo dopo era sparita nel cestello.
Joly avviò il suo elettrodomestico preferito e la raggiunse, facendosi aiutare ad accendere la propria sigaretta.

   «Che ne pensi?» chiese lui, e non c'era bisogno di contestualizzare. Sapevano entrambi a cosa si stavano riferendo.
   «Penso che sia l'inizio.»
Joly la guardò in silenzio, con un'espressione illeggibile forse dovuta al sole bruciante del mezzodì che lo colpiva dritto in faccia, costringendolo a chiudere un occhio e stropicciare bocca e fronte.
   «Lo diciamo tutte le volte», aspirò appena dal proprio filtro e tossì subito dopo, si vedeva che non era abituato, «lo abbiamo detto la volta delle mølotøv e la volta prima, e invece niente.»
Non era del tutto vero, ma effettivamente avevano comunque vissuto tranquilli dopo quei due fattacci, potevano dire lo stesso adesso?
   «Allora erano dei ragazzi contro la polizia, anche se ha fatto parecchio rumore potremmo dire che si vede spesso», Éponine si concedeva delle piccole pause per pensare e Joly le lasciava il suo tempo, senza smettere di fissarla, «questa volta è la polizia contro dei ragazzi.»
Joly sbuffò una risata insieme a una nuvoletta di fumo e fece no con la testa, sconsolato.
   «Anche questo si vede fin troppo spesso», disse.
Certo. Era per quel motivo che bisognava ostacolarla.
   «Sì, ma questi ragazzi sono le nostre oche-dalle-uova-d'oro

La mente di Joly volò fuori dal suo controllo e lo riportò inesorabilmente al ricordo vivido della sera prima.
   In un moto incontrollato si staccò dal parapetto e andò con passo marziale verso la piccola fontanella cementata al muro proprio accanto alla lavatrice, e si lavò convulsamente le mani. Come se le vedesse ancora sporche di sanguē.
La sigaretta stretta tra i denti scoperti.
   «Quel poveraccio era davvero ridotto male» riprese, mentre tornava da lei asciugandosi le mani sul retro dei pantaloni.
   «Ora dov'è?»
   «Al pronto soccorso, lo abbiamo portato io e Boss stamattina presto.»
   «Tu credi sia giusto quello che sta facendo 'Ras?» la voce di 'Ponine le era uscita stranamente inclinata e titubante.
   «Ehi!» Joly alzò improvvisamente tono, 'Ponine non seppe dire se per rimproverarla o perché la centrifuga aveva cominciato a ruggire dietro di loro, sta di fatto che se lo aspettava. Joly era un soldatino, quando si parlava di 'Ras.
Aveva paura, certo, ma eseguiva sempre tutti gli "ordini" a testa bassa.
Anche quelli che non comprendeva.
   «Non cominciare a disseminare la discordia, okay? Già c'è quel tuo amico piantagrane che è una bella pratica.»

Era più forte di lei, quando qualcuno le toccava Grantaire diventava un animale. Una mamma orsa.
   'Ponine scese con un balzo dal parapetto e gesticolando ampiamente a mezz'aria con la sigaretta ancora in mano, si spinse a brutto muso a pochi centimetri dalla faccia sconcertata di Joly.
   «È un ragazzo normale di venticinque anni che fa cazzate che si fanno a quest'età, siete voi che siete strani e fate follie!», ecco che improvvisamente se ne era tirata fuori e adesso faceva parte della squadra di Grantaire, la squadra degli "esterni", «E finché non lo metterete al corrente di chi siete e cosa fate, come potete pretendere che quello capisca come comportarsi? È qui da pochi giorni!»

   Ci fu un lungo minuto di silenzio.
'Ponine scosse la testa e tornò dov'era prima, cercando di ricomporsi. Joly era rimasto immobile, la mano senza sigaretta aperta davanti a lui in direzione di 'Ponine, come si fa inconsciamente quando si ha davanti un cane che ringhia o un animale molto grande e agitato.
In fin dei conti la conoscevano bene tutti e sapevano che abbaiava tanto ma non mordeva. Come sapevano anche che, quando abbaiava, non era mai a vuoto.
Per questo Joly si prese il suo tempo per ragionarci.
   «Hai ragione», confessò infine, «e non pensare male, a me Grantaire sta davvero simpatico, e poi credo che potrebbe fare molto bene a 'Ras.»
Éponine storse la bocca, la furia di poco prima era già sparita dal suo volto, e quell'ultima frase le aveva dato da pensare.
   «Che vuoi dire?»
Il sorriso di Joly si fece strano, sembrava malcelare un cipiglio malizioso.
   «Non dirmi che non hai fatto caso a come si guardano di nascosto, pensando che nessuno se ne accorga, e poi con che apprensione si è preso cura di lui stanotte!», Joly scosse la testa schioccando la lingua più volte e facendo no con il dito davanti al viso della ragazza, «Eh no, tesoro mio! Non si può nascondere un gay drama a zia Joly. Zia Joly vede tutto!»

Dacché un attimo prima sembravano due gatti randagi che si fronteggiavano soffiando minacciosi, adesso erano diventate due consuocere che confabulavano.
Tuttavia, i sorrisi esagerati di 'Ponine, la sua curiosità e i suoi "ma non mi dire!", non erano davvero sentiti, per lo meno non a cuor leggero.
Lei ne voleva sapere di più perché era seriamente preoccupata della conseguente salute mentale del suo amico: se Joly diceva la verità, per Grantaire si prospettavano fiumi di lacrime.

   «Anche se con molta difficoltà, ce lo vedo Grantaire vicino a 'Ras. Sarebbe un romanticissimo "gli opposti si attraggono" no?» Joly spense la sigaretta schiacciandola nel posacenere tra loro e fece per rientrare in casa.
   «Do loro un mese, poi di sicuro scoperanno» sentenziò prima di sparire giù dalle scale.

   Un mese.
Se era tutto vero ci sarebbe voluto più di un mese, Enjolras era una tale figa-di-legno...
   Una parte di lei le sussurrava all'orecchio di fare qualsiasi cosa per impedirlo, ma un'altra vocina più sottile, invece, le diceva che la luce di 'Ras e il calore di 'Taire potevano creare quel fuoco di cui avevano bisogno.

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