Evermore - 𝑆𝑜𝑡𝑡𝑜 𝑖𝑙 𝐶...

By dyrneromance

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Dorothea ha ventiquattro anni e un sogno custodito nel cassetto della sua scrivania, tra bobine consumate dal... More

Disclaimer e Cast -
Intro -
𓆰𓆪
𝐑𝐄𝐂 𝟎𝟏
1 - Universi
2 - Portland, OR
3 - Sciarpe di Lino
4 - 15 years, 15 million tears
5 - Concime per le primule
6 - Tinta sbagliata
7 - Fort Aberdeen
8 - Solo una stupida ragazzina
9 - Abissale
10 - Arvo
11 - In picchiata
12 - Poker e Umiliazioni
13 - Nei corridoi del Monev
14 - Noodles
15 - Ginevra
16 - June Kennedy
17 - La nostra più grande delusione
19 - I giardini di Babilonia
20 - Ragno Lupo
21 - Spike
22 - Qui o in camera, scegli tu
𝐑𝐄𝐂 𝟒𝟓
23 - Jack&Rose
24 - Poligamia malfunzionante

18 - Buon anno, sorellina

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By dyrneromance

Toska - sostantivo russo che indica una sensazione di grande angoscia spirituale, a livelli meno morbosi è un sordo dolore dell'anima, un desiderio senza nulla da desiderare, struggimento malato, vaga inquietudine, tormento mentale, brama. In casi particolari può essere desiderio per qualcuno o qualcosa di specifico, nostalgia, mal d'amore. Al livello più basso si trasforma in noia.


Ramona non la smetteva di parlare.
Era un disco rotto, un continuo sillabare ininterrotto che sapeva non sarebbe riuscita a fermare. Parlava, sghignazzava, borbottava, la conversazione che stava avendo era con se stessa, Dorothea era solo il pubblico.

Faceva davvero caldo quel giorno, il termostato segnava settantotto gradi Fahrenheit e il suo corpo stava espellendo una quantità eccessiva di acqua.
Aveva già fatto due docce ma la terza non gliel'avrebbe negata nessuno, nemmeno la sua amica che in quel momento era appena spuntata fuori dal bagno mentre si allacciava con non poca difficoltà il reggiseno rosso che aveva comprato proprio per quell'occasione.

Era il trentuno dicembre, mancavano poche ore all'inizio del nuovo anno, e Dorothea si lasciava alle spalle il vecchio, assieme a tutti gli eventi di quelle ultime settimane trascorse in America. Eventi di cui Ramona conosceva solo una piccola percentuale. Non che non volesse raccontarle di quanto accaduto, semplicemente voleva dimenticarsene. 

La litigata con la sua famiglia era stata così sconvolgente che le due ore successive si era mossa come una furia pur di trovare il primo volo per il Victoria.
La sua rabbia era esplosa come un vulcano risvegliatosi dopo essere stato a riposo per secoli, e quello che le rimaneva dopo aver cacciato fuori tutto il veleno iniettatole, era qualcosa a cui si era preparata.

Quando passi la maggior parte della tua vita costantemente in allerta con la paura dell'imprevisto e dell'irreparabile, non c'è nulla di più confortevole nel vedere arrivare la tragedia che hai sempre temuto. Sei prosciugato dalle emozioni, lo stress psichico si riflette sul tuo corpo, ma in qualche modo trovi rassicurante il fatto che quel qualcosa ti stia facendo del male. Pensi per tutto il tempo che sia come togliere un dente, per giorni patirai molto e il dolore sembrerà non finire più. Poi, tutto finisce.

Negli anfratti della sua mente lampeggiavano i flash della sera del loro ritorno a Ranton Town. Ricordava ancora la gola in fiamme dopo aver urlato contro sua madre prima, e contro suo padre dopo. Di quando aveva sentito quelle parole scivolare decise dalla bocca di Evan, con la mano sinistra sulla schiena di Anja la quale teneva lo sguardo fisso in un punto non preciso dietro le spalle della figlia, quasi come se avesse paura di guardarla negli occhi.

Lei lo sapeva, era consapevole di cosa avrebbe dovuto affrontare a seguito di quella sua decisione. Della loro decisione. L'espressione di risentimento e disprezzo non gliel'avrebbe tolta nessuno, l'avrebbe indossata ogni qualvolta avesse dovuto ricordare il legame che le univa. Lei a loro, loro a lei. 

Loro che così come avevano diviso una famiglia unita più di dieci, più di quindici anni prima, così in quel momento avevano deciso di provare a far ri-andare di nuovo le cose. Solo Dorothea sembrava consapevole di tutto ciò che era accaduto a loro due, neanche Tyrone avrebbe mai potuto immaginarlo.

Quando qualche sera prima era arrivata in aeroporto, Ramona era corsa verso l'amica e le aveva gettato le braccia al collo senza nemmeno preoccuparsi di aver lasciato la sua moto nel bel mezzo della strada del parcheggio. Aveva insistito così tanto pur di farla restare da lei finché non si fosse decisa a tornare ad Altona Valles, e Dorothea non aveva avuto il coraggio di dirle di no. Sapeva che al suo malessere ci avrebbero pensato il cozonac di Ekatherina e le minacce con il riso sotto i baffi di Ionel, pur di vederle ballare le loro danze rumene tradizionali.

Mentre guardava la sua amica prepararsi davanti allo specchio appeso all'anta del suo armadio, le venne da pensare per l'ennesima volta in tutta la durata della loro amicizia, a quanto Ramona fosse fortunata ad avere due genitori uniti come Ekatherina e Ionel.

Ed in quel momento i suoi occhi si riempirono di lacrime e, nel guardare avvicinarsi la figura offuscata dell'amica, si costrinse di nuovo a ricordare quanto poco per loro avrebbe significato se avesse preso le poche cose che le appartenevano e se ne fosse andata via.

Tra un singhiozzo e l'altro, tra le braccia di Ramona che continuava a confidarle parole rassicuranti, desiderò essere chiunque tranne che Dorothea Adams. Aveva passato la maggior parte della sua vita cercando di fare da scudo a sua madre, l'aveva messa sempre al primo posto rinunciando in continuazione a tutte le opportunità che la vita le aveva offerto. 

Viveva come un essere inerme, un automa, travolta dall'ondata di eventi che avrebbe messo a dura prova chiunque, e nessuno ne sarebbe mai potuto uscire sano di mente. Era sempre stata al suo fianco, aveva passato giorni rinchiusa in casa le volte in cui suo padre veniva a trovarle perché non aveva il coraggio di stare zitta, di non dirgli la verità. 

Aveva taciuto perché sua madre temeva, ed era consapevole, che Evan avrebbe fatto di tutto pur di tirar fuori sua figlia da quella situazione. Aveva taciuto prendendo le sue parti, nonostante la travolgeva la consapevolezza di come Anja si fosse comportata egoisticamente nell'aver permesso che Corbin vivesse con loro, sotto lo stesso tetto.

Quando Dorothea decise di tornare a casa non pensava che lì avrebbe trovato il resto della famiglia ad aspettarla. Fu quando scese dalla moto di Ramona e l'abbracciò per ringraziarla, promettendole di vedersi in settimana, che dalla finestra vide sua madre muoversi sbrigativamente in casa passando in pochissimo tempo dal salotto all'entrata.

Tirava un vento caldo, quasi afoso, ma nonostante ciò Dorothea avvertì un brivido lungo la spina nel rivedere sua madre dopo quello che era successo. Anja la guardò con occhi pieni di dolcezza e rimpianto, dietro di lei Evan curiosava lo sguardo verso chiunque avesse attirato l'attenzione della sua compagna.

Ma non ci pensò su due volte. Invece di percorrere il tragitto che portava dal vialetto alla veranda d'entrata, sviò sul retro facendo il giro della casa. Stringeva tra i palmi il manico del suo bagaglio mentre i piedi si muovevano smaniosi sul prato colmo d'erba alta e fiori di margherita.

Si sarebbe chiusa nel capanno per un'intera settimana, prima che Tyrone riuscisse a parlarle di nuovo. Faceva troppo caldo per tenere anche la porta chiusa, e lei era sdraiata sul letto a sottolineare il manuale dell'esame che avrebbe dovuto sostenere pochi giorni dopo. Indossava un vestito giallo pastello, i piedi erano scalzi e le ciocche di capelli corti che le cadevano sul viso erano tirate indietro da una mollettina nera.

Si accorse subito di suo fratello e lui non si stupì quando, neanche a un piede dentro alla struttura, gli aveva chiesto: «Cosa vuoi?».

«Buon anno sorellina.» Lei si voltò a guardarlo e lo trovò a sorridere di un qualche divertimento che a lei proprio sfuggiva.

«Buon anno.» Gli augurò, tornò poi con la faccia tra le pagine del libro. Tyrone si sistemò sul bordo del letto non trovando impedimenti da parte di Dorothea.

D'altra parte, lei non si preoccupò di domandargli: «Quand'è che ve ne andate?», domanda a cui il fratello rispose, in modo del tutto sincero, con «Non credo che papà abbia voglia o intenzione di andarsene. Io non lo so, dipende da Annalize...tra qualche giorno ci raggiunge.»

Dorothea guardò le parole sfumare via delle pagine, non stava più leggendo da un pezzo. Rifletteva su cosa dire, su come sembrare, su cosa le avrebbe detto o fatto notare. Sapeva di doversi aspettare un qualche accenno al litigio con la loro madre, oppure a Corbin e a tutta la situazione che gli ronzava intorno. Eppure, Tyrone aprì bocca per parlare di tutt'altro, attirando se non di più l'interesse della ragazza.

«Venerdì potresti accompagnarmi a prenderli in aeroporto...ci sarà anche Oakley.» Tyrone sapeva già quale sarebbe stata la risposta e, quando la guardò annuire, sospirò e si mosse con spossatezza per andare via.

Cosa avrebbe dovuto dirle? Che gli dispiaceva che Anja avesse permesso tutto ciò? Non credeva neanche fosse colpa della madre, in situazioni simili è difficile uscirne, e da ciò che aveva sentito era totalmente plausibile che avesse scelto il silenzio. 

All'inizio, se avesse parlato, avrebbe messo ancora di più a rischio la loro incolumità perché ciò avrebbe significato lasciarlo quando erano a corto di soldi e senza possibilità di fittare mezza stanza di un qualsiasi motel. Con Evan dall'altra parte del mondo a prender parte di una guerra infinita, l'opzione di chiedere aiuto perlomeno al figlio le era sembrata del tutto fuori discussione.

Poi il tempo era passato, così come gli anni trascorsi nell'ansia e nel terrore.

Evan era addolorato, furioso, non aveva mai visto suo padre così rabbioso nei confronti di un uomo. Inizialmente Tyrone pensò che avrebbe lasciato stare con quella cosa del tornare insieme ad Anja e trasferirsi in Australia, pensò che la delusione scaturita dal loro nascondere tutta quella merda avrebbe portato ad una rottura definitiva tra i due.

Ciò che ne risultò fu l'esatto opposto, i sentimenti riemersi si rafforzarono e la rabbia si trasformò in apprensione e comprensione. Legalmente c'era poco, forse nulla da fare, ma ciò che gli importò fu l'aiuto emotivo che era stato negato per anni ad entrambe parti del resto della loro famiglia. 

Non avrebbe mai più permesso che cose del genere accadessero, non tollerava neanche che fosse la sua stessa ex moglie ad alzare un singolo dito sulla loro figlia e trovava inaccettabile quello schiaffo che continuava a riecheggiare nella mente di Dorothea anche a distanza di giorni.

Anja canalizzava la rabbia e la frustrazione di quegli eventi in comportamenti violenti attraverso cui cercava di ripristinare un controllo che aveva perso da tempo e che esercitava su Dorothea. Era consapevole di quanto fosse sbagliato ciò che le faceva, di quanto fosse ingiusto causarle lo stesso male che le avevano inflitto ma, quando la sua collera e l'indisponenza della figlia si univano, prendevano il sopravvento sulle sue emozioni.

Tyrone stette in silenzio contemplativo per lunghi minuti, un tempo così indefinito che spinse sua sorella a domandarsi cosa diavolo stesse facendo ancora lì. Alzò lo sguardo e lo incrociò con quei due occhi azzurri come acqua di una grotta al chiaro di luna, ammirandoli il giusto prima di chiedergli cosa stava aspettando ad andarsene.

Trascorse quei giorni tra le pagine dei libri, talvolta dimenticandosi persino di mangiare. Ci pensava Tyrone a portarle i pasti perché proprio non voleva saperne di mettere piede in casa quando la possibilità di incrociare la madre era più probabile del normale. E quando il giorno dell'esame arrivò, le parve di star vivendo in un sogno. 

Sembrava tutto così sfocato, percepiva tutto in modo così distante, quasi come se gli oggetti che toccava fossero irreali, mero frutto della sua fantasia. Persino la voce del docente di diritto penale suonava ovattata e le venne l'istinto di toccarsi le orecchie pensando di aver su gli auricolari. 

Quel giorno si era svegliata con i raggi solari proiettati dritti nelle pupille dato che la sera prima aveva dimenticato di tirar giù le veneziane, ed aveva fatto colazione con una barretta proteica ai frutti rossi racimolata dal fondo della sua borsa.

Tre ore dopo usciva dall'università senza ancora realizzare di averci messo piede dopo mesi di stasi passati a mettere in discussione la sua intera carriera accademica. Il resto della giornata lo trascorse a Melbourne con Ramona che, costretta a seguirla da Thea's Land perché Mateo proprio non riusciva a capire in che modo avesse catalogato la sezione dei thriller spagnoli, si era lamentata per tutto il tempo di quanto noioso trovasse quel lavoretto e aggiunse che avrebbe preferito di gran lunga che la sua migliore amica fosse stata una clochard.

L'idea di cambiare lavoro frullava nella testa di Dorothea già da un po'. Nonostante amasse circondarsi dell'odore della carta piena di inchiostro dei libri, la paga non le bastava. Non riusciva a mettere da parte neanche mezzo dollaro australiano, spendendo tutto in carburante per l'auto, manuali scolastici e il mensile all'O'brien. A quelle spese se ne aggiungeva un'altra: trovare un appartamento. 

Era seriamente convinta di voler andare via di casa, erano anni che si ripeteva che lo avrebbe fatto, non appena ne avesse avuto l'occasione e le circostante glielo avessero permesso. Sapere di poter contare sulla presenza di suo padre, al fianco della madre, fu il primo lato positivo che trovò nei riguardi di quella situazione. Era chiaro che ad infastidirla non fosse il fatto che i suoi genitori fossero tornati insieme, ma piuttosto tutto ciò che c'era dietro.

Ad ogni modo, aveva capito che avrebbe dovuto impegnarsi di più nel trovare qualcos'altro da affiancare al lavoro che già faceva e nell'attesa di concludere gli ultimi esami nelle settimane successive, che le avrebbero permesso di accedere ad un tirocinio retribuito, trascorse le sue giornate in negozi di attività di ogni genere, passando da ristoranti, a bar e a chioschi. Affisse un volantino anche sul grande pannello in sughero all'entrata della sua università, offrendo ripetizioni di diritto tributario e commerciale.

Quando quel venerdì accostò la macchina nel parcheggio dell'aeroporto di Melbourne, sentì lo stomaco contorcersi in cento e mille punti. Non era quel giorno del mese, e nemmeno il caffè senza lattosio preso al volo prima di partire.

Era agitata alla sola idea di rivederlo. Sarebbe entrato nel suo mondo quotidiano, quello in mezzo alle colline delle valli di Altona, quello dei lunghi Natali estivi e le brevi notti invernali di giugno. L'avrebbe vista sotto una luce diversa e ciò sarebbe potuto essere in suo favore se non fosse stato per il modo in cui si erano lasciati.

A peggiorare la situazione, ci si era messa la consapevolezza di aver sbagliato ad alzargli le mani per la seconda volta. Non si conoscevano affatto e, anche nel caso in cui il loro rapporto fosse stato diverso e più intimo, nulla avrebbe dovuto farla sentire in diritto di potergli tirare quello schiaffo.

Non era Alex, non era la stessa situazione insistente e non consenziente di quella notte al club.

Lui era Oakley, lui era l'uomo a cui pensava costantemente anche quando altri problemi emergevano nella sua vita. Pensava al modo in cui i morbidi ricci gli cadevano sulla fronte quando riusciva a farli crescere più del dovuto, sfuggendo alle dure regole militari che gli erano imposte. Pensava al modo in cui la punta del suo naso si inclinava verso il basso quando parlava con un tono di voce troppo alto rispetto al solito, le poche volte che capitava. 

Pensava sempre a come fosse cauto e deciso nei suoi gesti, al modo in cui le aveva afferrato il braccio per scappare via dal corridoio del Monev, al modo in cui l'aveva aiutata ad alzarsi dalla terra innevata quando le risate l'avevano travolta come una valanga, al modo in cui le si era avvicinato in quella serra a Ranton Town e lei gli aveva intimato di non farlo.

Gli aveva letteralmente chiesto di non scoprilo, di non capire cosa ci fosse tra loro che li rendeva così distanti, come ai lati opposti di un canyon, e poi così vicini come petali di uno stesso fiore.

E a lui infastidiva ciò che lei faceva o diceva perché tutto quello era esattamente ciò che lui avrebbe fatto se non fosse stato incatenato a qualcosa a lei ancora indecifrabile. Ne era convinta. Come era convinta che non sarebbe andato tutto liscio, durante la loro permanenza.

Quel disagio fisico era la premonizione di qualcosa che avrebbe sconvolto la vita di tutti loro.

Di Tyrone, che in quel momento stava raggiungendo la macchina di sua sorella con un braccio attorno alle spalle della sua ragazza, la quale gli sorrideva entusiasta di rivederlo.

Di Annalize, che lo guardava come mai nessuna prima e nascondeva, dietro quel sorriso, la promessa che nulla sarebbe cambiato e che qualunque cosa fosse accaduta, nella gioia e nel dolore, non avrebbe mai potuto allontanarla.

Di Ramona, che le stava mandando un'infinità di messaggi dopo essere stata informata su dove si trovava, che sembrava non vedere l'ora di incontrare Annalize, e dalle cui parole zeppe di domande e curiosità traspariva un entusiasmo sospetto e un interesse particolare per una donna decisamente impegnata.

Di Evan e Anja, che in America avevano discusso a lungo su cosa farne di tutti quei ricordi amari e, nonostante i tormenti, allora ridevano di vecchi ricordi seduti sul divano della loro casa ad Altona Valles.

Ed infine, di Oakley. Lui, sempre e solo unicamente lui, che avanzava nella sua direzione e da lontano la guardava persa tra i mille pensieri, con le braccia incrociate al finestrino della macchina e il volto rivolto al cielo luminoso.


Ciao stelline. 💫

Apro questo spazio per dirvi due cosette.
Prima di tutto, grazie mille per aver letto anche questo capitolo e per aver lasciato una stellina! Cosa? Hai dimenticato di metterla? Tranquillə, puoi farlo ancora adesso. 👀

A parte gli scherzi, vi annuncio ufficialmente che la prima parte di questa storia si è conclusa e che, per la gioia di molti, potete dire addio alla terza persona.

O forse momentaneamente, chi lo sa... 😶‍🌫️🤍

Detto ciò, ora torno nel mio universo alla ricerca di forza e motivazione per revisionare i prossimi capitoli.
Alla prossima.

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