MOÌRIAS-L'ombra della luce-

NediFo

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Da molto tempo ormai ad Aretem dominavano sofferenza e morte. Sotto il controllo della Strega era stato insta... Еще

Booktrailer
PROLOGO
NOTA DELL'AUTRICE
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
XI
XII
XIII
XIV
XV
XVI
XVII
XVIII
XIX
XX
XXI
XXII
XXIII
XXIV
XXV
XXVI
XXVII
XXVIII
XXIX
XXX
XXXI
XXXII
Epilogo
Brevi video sulle storie di Aaris e Nauìya
Ringraziamenti

X

75 7 195
NediFo

Aaris

Fissava quel volto che la osservava dallo specchio dove per tanto tempo aveva visto soltanto una maschera così perfetta da credere che fosse reale. Aveva smesso di piangere da qualche ora e si era rinchiusa in camera per non rischiare di essere vista dai genitori.

Non riusciva a smettere di guardare quel riflesso tanto simile, ma al tempo stesso tanto diverso da quello che era abituata a scorgere. Si toccava la pelle, aveva una consistenza così ruvida, piena di imperfezioni, dei piccoli puntini sporgenti e appuntiti. Aveva dei leggeri solchi sotto agli occhi su cui si posava pesante l'ombra causata dalla flebile luce proveniente dalla finestra e, sulla guancia, quattro piccoli punti marroncini che rompevano la simmetria del volto.

Le labbra avevano delle piccole scalfitture verticali che svanivano se allungava la bocca in un sorriso, operazione che al momento le sembrava quasi impossibile.

Non aveva mai avuto problemi a sorridere, era una cosa semplicissima, come battere le ciglia, quasi involontaria. Eppure non ci riusciva, muoveva gli angoli della bocca, ma quello che usciva fuori era qualcosa di strano che non aveva niente a che vedere con l'espressione che aveva sempre fatto con tanta facilità.

Il problema, si rese conto, erano gli occhi. Non li aveva mai visti tanto belli, il loro color noce scuro era profondo e vivo, le pupille brillavano di una luce splendida, ma non ne aveva il minimo controllo.

Apparivano scoperti e sinceri, mostravano quello che aveva dentro. Osservandoli le sembrò di entrare in un pozzo profondissimo e privo di luce, ma che custodiva il tesoro più prezioso che si potesse desiderare.

I suoi occhi le apparivano più belli e più profondi di come le si erano mostrati quelli di Wayll, forse perché dentro riusciva a scorgere la vera sé stessa, una persona che per troppo tempo era rimasta rinchiusa in una prigione di falsità.

Non capì perché, ma improvvisamente divennero più lucidi e dopo poco una lacrima le discese lentamente sul volto. Aveva vissuto per tutta la vita in una menzogna. Tutto ciò in cui aveva sempre creduto probabilmente non era reale.

Aveva pensato di essere una persona forte, migliore degli altri in ogni cosa, ma era stata debole come tutti loro. Si era fatta ingannare, aveva ceduto la sua anima in cambio di una vita vuota e priva di significato.

Ora poteva vedere tutto ciò che si era persa e, malgrado quelle emozioni tanto forti le avessero fatto male, malgrado avesse sentito di morire, era più viva che mai e si rendeva conto che in tutta la sua esistenza era stata un travestimento, era stata una maschera di falsità, era stata una schiava e aveva accettato senza fiatare le catene che le legavano l'anima.

Ma non avrebbe più accettato nulla del genere. Avrebbe combattuto perché tutti si rendessero conto di essere schiavi di una maschera, avevano sempre vissuto indirettamente, vedevano il mondo da degli occhi che non erano i loro, esistevano senza essere mai nati realmente, e morivano senza aver mai vissuto.

Lei si era sempre sentita diversa, qualche emozione riusciva a penetrare la corazza di cui era rivestita, forse per questo era riuscita a liberarsi, doveva aiutare gli altri a fare altrettanto, doveva risvegliarli dal loro sonno eterno.

Pensò a Ealèen, ad Ailìys, a Geyel e a tutti gli altri, ai loro comportamenti che non era mai riuscita a sopportare. Era in realtà il modo in cui si lasciavano controllare dal loro rivestimento di falsità a renderla intollerante alla loro presenza, quella che c'era tra loro, e che chiamavano "amicizia" era in realtà solo una convenzione.

Tutti i loro comportamenti, tutte le scelte, ogni cosa era dettata da un controllo spietato che li rendeva tutti uguali, che li rendeva tutti maschere.

Non li odiava, non li aveva mai odiati, ma le dispiaceva per loro, erano convinti di essere felici, erano convinti di essere vivi, ma non avevano neanche idea di cosa significasse, e non sarebbero mai stati in grado di scoprirlo, non da soli almeno.

Doveva riuscire a liberarli, a liberarli tutti, pure Kollh.

Kollh, era strano pensare a lui, sentiva il loro legame come mai prima di allora, un legame fortissimo e indissolubile, un legame che si era creato malgrado la prigione in cui erano intrappolati.

Non avevano mai amato parlare perché sentivano frapporsi tra loro quel rivestimento che li bloccava, ma le loro anime si scorgevano oltre le maschere, oltre le parole della falsità che li attorniava.

Ma anche Kollh aveva bisogno di aiuto, del suo aiuto, per essere veramente libero.

Doveva andare da lui e raccontargli ogni cosa.

Fece per alzarsi e uscire ma, scorgendosi ancora allo specchio, si rese conto di un problema, il suo aspetto.

Chiunque, vedendola avrebbe notato il cambiamento, anche chi non l'aveva mai conosciuta. Ad Aretem avevano tutti il volto perfetto a causa di quelle maschere che mostravano una falsa facciata, non poteva uscire in quel modo. Sarebbe stata notata dalla prima telecamera che era nel vialetto e i Tecnici avrebbero mandato subito qualcuno a ucciderla.

Si voltò verso il tessuto che aveva composto il suo volto per tanto tempo, non poteva metterlo di nuovo, non voleva più avere a che fare con quella cosa. Ma non le veniva in mente nient'altro.

Lo prese tra le dita, facendo attenzione a non toccarne i bordi che altrimenti si sarebbero connessi alla sua mano come era accaduto la sera prima. Erano i bordi il problema. Doveva fare in modo che non si riconnettessero al tessuto che le era rimasto sul resto del corpo, se c'era uno spiraglio in cui la connessione non avveniva, allora la maschera non avrebbe potuto bloccarle le emozioni.

La posò e iniziò a frugare in un cassetto. Dopo poco, ne tirò fuori una calzamaglia. Era l'unica cosa che le veniva in mente.

Iniziò a tagliare una striscia sottilissima, poi prendendo delle pinzette la immerse nella colla e, una volta tirata fuori, la posizionò piegandola lungo una parte di un lato del bordo del tessuto, sempre con le pinze per non rischiare di toccare l'estremità.

Attese che asciugasse e poi osservò il suo operato: la striscia di stoffa si vedeva ovviamente, malgrado fosse quasi trasparente, ma non le importava, ciò che contava era che funzionasse.

Prese un bel respiro e decise di tentare.

Allungò un dito verso il bordo di stoffa. Niente.

Andava bene dunque, non si connetteva al resto del tessuto.

Fece un altro tentativo, questa volta toccando un bordo libero. Questo venne assorbito nella sua mano, ma il pezzetto di stoffa rimase in fuori e lei riuscì quindi a tirarlo e staccare nuovamente il tutto.

Aaris aveva capito che c'era una sola cosa in grado di rompere quel tessuto indistruttibile: le emozioni. Per questo la sera prima era riuscita a strappare via la maschera, era stato a causa delle forti emozioni provocate dal suo spavento. Ma il compito di quel tessuto era proprio quello di rinchiudere ogni tipo di sentimento, sarebbe dunque risultato complesso toglierla una seconda volta.

Il pezzo di stoffa, però, permetteva di spezzare, in un piccolo punto, i legami tra le parti di tessuto lasciando che le emozioni ci passassero attraverso e rompessero a suo piacimento le connessioni.

Decise quindi di fare la prova definitiva: indossare la maschera.

Prese il tessuto e lo posò sul volto tenendo la stoffa sul lato della faccia, sarebbe dovuta restare poco sopra l'orecchio in modo che riuscisse a nasconderla con i capelli. Aderì immediatamente.

Si guardò allo specchio, era tornata come sempre, ma riusciva ancora a vedere la profondità dei suoi occhi e le emozioni le davano vigore, non la facevano stare male come le era invece sempre capitato.

Sorrise. Un sorriso vero, il primo probabilmente, ce l'aveva fatta.

Aprì la porta della camera e uscì, pronta e viva come non mai.

-

Suonò il campanello e attese. Dovette aspettare un po' perché la porta si aprisse e comparisse il volto familiare di Kollh.

«Aaris!» disse semplicemente, ma lei intuì che si stesse chiedendo che cosa ci facesse lì a quell'ora visto che normalmente si vedevano di sera per la danza.

La fece entrare, la casa era avvolta nella penombra della mattina, i genitori del ragazzo dovevano dormire ancora, e anche lui, si rese conto, a giudicare dai capelli neri spettinati e arruffati dal sonno.

«Scusa, ma che ora è? Credo di aver perso la cognizione del tempo» domandò quindi lei. Era strano, ma c'era qualcosa che la confondeva, era convinta che fossero almeno le dieci, però per le strade non aveva incontrato nessuno e non aveva neanche visto i genitori uscendo.

«Sono le sei, ma lo sai che di sabato dormiamo almeno fino alle otto», rispose lui assonnato.

Il suo aspetto era impeccabile come sempre, ma Aaris sapeva che era solo una facciata, probabilmente era davvero molto stanco e quel rivestimento che opprimeva le emozioni non aiutava di certo.

«Possiamo parlare?» gli chiese, doveva aiutarlo il prima possibile, ormai le era diventato intollerabile vederlo in quel modo, voleva che fosse libero, proprio come lei, proprio come tutti avrebbero dovuto essere.

Il suo volto si rabbuiò un poco, probabilmente gli era tornata a mente l'ultima volta che lei gli aveva detto quella frase.

«Vieni, andiamo di sopra» disse, iniziando a salire le scale per raggiungere la sua camera.

Lei lo seguì in silenzio per non rischiare di svegliare i suoi genitori.

Appena il ragazzo chiuse la porta dietro di loro, lei prese un bel respiro. Doveva trovare il modo migliore per dirglielo.

Si sedette sul letto sfatto di lui e lo guardò dritto negli occhi. Erano velati, ormai riusciva a vederlo. Prima le iridi di Wayll le apparivano tanto strane e belle per il semplice fatto che non erano coperte da nessun tipo di rivestimento. Era la maschera a creare quel velo, era la maschera a togliere la vita dalle persone.

Malgrado sia lei che Kollh per qualche ragione provassero qualcosa anche attraverso il rivestimento che ricopriva tutto il loro corpo, i loro occhi erano velati da quel rivestimento invisibile e incredibilmente potente proprio come quelli di tutti gli altri. Erano rinchiusi dietro una prigione di menzogne da cui lei era riuscita a liberarsi, ma non le bastava. Voleva vedere i veri occhi di Kollh, liberarli, voleva immergersi nel loro nero profondo e vedere il vero lui, non solo una lontana eco della sua essenza.

«Ho scoperto una cosa» iniziò.

«Non c'entrerà mica con quella faccenda?» la guardò ammonitore.

«Lo so che mi hai detto di fare finta che non sia mai accaduto, ma-»

«No. Ascoltami, ti sei resa conto che quelle persone portavano con sé delle pistole e le hanno alzate al minimo cenno di rumore? Quelli erano lì per uccidere!» la interruppe.

«Lo so, ma la cosa che ho scoperto...»

«No Aaris, lascia perdere, non importa, niente importa se non la tua vita, è qualcosa di più grande di noi, finirà male se ci immischiamo, non ci riguarda».

«Sì invece che ci riguarda! E più di quanto tu creda!» Qualcosa dentro di lei l'aveva portata ad alzare la voce e ad alzarsi dal letto; era rabbia, rabbia per come quel rivestimento stava imprigionando il suo migliore amico.

La facilità con cui era uscita allo scoperto l'aveva lasciata esterrefatta, fino a quel momento provare delle emozioni le era costato un'immensa fatica e un grande dolore. Senza maschera sembrava tutto più facile, sentiva quella parte di sé che aveva sempre cercato senza mai riuscire a raggiungere pienamente.

Lui la guardò stupito, nessuno si era mai comportato in quel modo, doveva apparirgli strano, per lei lo era sicuramente, si era sentita piena di energia, forte, avrebbe potuto fare qualunque cosa in quel breve momento d'ira.

Riprese a parlare, questa volta il tono calmo e pacato, le era bastato rendersene conto che subito ogni briciola di quell'energia distruttiva l'aveva abbandonata.

«Ascolta, è una cosa che riguarda tutti noi, e quegli uomini erano lì per impedire che qualcuno scoprisse la verità», disse, avvicinandoglisi e guardandolo di nuovo negli occhi.

Il ragazzo la osservava ancora stranito per la reazione che aveva avuto poco prima, chissà se era riuscita a risvegliare qualcosa dentro di lui, forse stava lottando proprio come aveva fatto lei fino a poco prima di togliersi quella maschera.

«Li vedi i miei occhi? Guardali attentamente, vedi che sono diversi?» gli domandò. Lui la osservò e si immerse nel suo sguardo. Appariva indifferente, impassibile, ma era certa che dentro di lui si stesse scatenando una tempesta non dissimile da quella che infuriava in lei quando aveva osservato gli occhi profondi di Wayll.

Lui annuì senza dire altro e continuando a fissarli.

Era triste vederlo così spento e pacato, ora che lei non era più così si rendeva conto di quanto inutile e vuota fosse quell'esistenza che imprigionava tutti gli abitanti di Aretem.

«Tutto quello che abbiamo sempre sentito, quella cosa che ci bloccava dall'esprimerci liberamente, la sensazione di essere diversi dagli altri, quello che hai provato quando tua nonna se n'è andata, tutto, è collegato a quell'albero», continuò.

«No, Aaris, non è così, lo so che cerchi delle risposte, le vorrei anche io, ma non è indagando su quell'albero che le avrai, noi siamo diversi dagli altri, siamo strani, siamo sbagliati, io sto cercando di accettarlo e di essere più normale possibile, tu invece stai solo peggiorando la situazione, stai mostrando i tuoi difetti, non finirà bene». Lei sapeva che Kollh aveva sempre tentato invano di essere più normale possibile o, per lo meno, più conforme possibile, ma non erano loro quelli sbagliati, era tutto il resto a essere sbagliato.

«Invece è proprio così, ho già indagato sull'albero e ho scoperto che c'entra effettivamente con quello che ci ha sempre fatto sentire tanto strani. L'albero aveva un rivestimento che lo faceva apparire perfetto quando in realtà dentro era completamente marcio, era solo una facciata, proprio come quella che vedi tutti i giorni sui volti delle persone, sul mio volto...» Dicendolo, mise la mano sopra il proprio orecchio e afferrò la striscia di stoffa tirandola via con tutta la sua maschera.

Il volto del ragazzo mutò leggermente, sembrava che un goccio di paura stesse penetrando oltre il suo rivestimento, facendogli perdere il controllo che fino a quel momento era riuscito ad avere sul proprio corpo.

Le sue mani iniziarono a tremare quasi impercettibilmente.

«Questo è quello che cela, il nostro vero volto, questa è la vera me!» Gli disse, indicando il viso che aveva ammirato davanti allo specchio per ore quella notte.

La sua mano tremante si allungò sul volto di lei e sfiorò quelle sporgenze che le privavano la pelle della sua liscezza lattea, ma gli conferivano una profondità che non aveva mai avuto in precedenza.

Scosse la testa, era visibilmente turbato, le emozioni che lottavano per uscire allo scoperto.

«No... no. Vai via ti prego» le disse arretrando di qualche passo.

Era consapevole della lotta che aveva dentro di sé, ma era necessario che combattesse per essere finalmente libero.

«Ascolta, questa cosa blocca la tua essenza, ti uccide dall'interno, devi toglierla. Toglila e sarai libero, toglila e sarai vero!» lo spronò.

«No, vai via! Non ti voglio più vedere! Vattene!» gridò.

Aaris non sapeva che cosa fare, se se ne fosse andata come le chiedeva lui non sarebbe mai stato libero, ma non poteva neanche obbligarlo a togliere il rivestimento contro la sua volontà.

«Ascoltami, ti prego!» era disperata, non sapeva come aiutarlo, temeva di fallire miseramente condannandolo a un'esistenza di falsità.

«Vattene!»

Sentì dei passi dietro la porta, i genitori del ragazzo dovevano essersi svegliati sentendo le grida del figlio. Si rimise la maschera giusto in tempo, la porta si aprì e i due comparvero, erano in pigiama e gli sguardi erano quelli confusi di chi era appena stato strappato dal sonno.

Aaris si morse il labbro inferiore e corse via passando tra di loro. Uscì dalla casa sbattendo la porta d'ingresso e si fiondò dentro alla motrice chiudendovisi dentro.

Le lacrime uscirono con facilità. In pochi istanti il suo volto era diventato zuppo dal pianto.

Aveva fallito, non era riuscita ad aiutarlo, e lui non la voleva più vedere.

Venne scossa dai singulti della sua disperazione, non voleva perderlo. Aveva bisogno di lui, del vero lui.

Doveva fare una cosa sola, liberarlo, e aveva fallito.

Era sola. Inutile. Sciocca.

Se non riusciva a liberare Kollh che già in parte provava emozioni, come avrebbe fatto con tutti gli altri?

Era stata una stupida, sapeva ancora troppo poco, non poteva basarsi solo sull'intuito se veramente voleva cambiare le cose.

Lentamente le lacrime si fermarono e lei sentì una nuova forza riempirle l'anima.

Un modo c'era sicuramente, doveva capire da dove proveniva quello strano rivestimento per riuscire a capire come toglierlo, e forse aveva già un'idea su dove avrebbe potuto trovare delle risposte.

Si voltò a osservare la finestra della camera di Kollh, sperò che non gli accadesse nulla per quella reazione decisamente innaturale per la normalità di Aretem, sperò che i genitori lasciassero correre, o che incolpassero lei piuttosto. Non voleva che Kollh rischiasse la vita per colpa sua.

"Tisalverò"pensò, dopodiché accese il motore e partì.

Beh, questo è stato un capitolo abbastanza leggero: Aaris ha finalmente conosciuto la vera sé e tutti i  "difetti" che la maschera copriva.

Certo, ha anche avuto una piccola discussione con Kollh che è troppo spaventato dalla situazione per prestarle ascolto, ma si spera che in qualche modo riusciranno a riappacificarsi.

Forse Aaris è stata un po' brusca nello spiegare la situazione semplicemente togliendosi la maschera e sconvolgendo il povero Kollh, ma probabilmente lui non le avrebbe creduto comunque.

Bene, adesso Aaris è determinata a liberare il ragazzo e a capire di più su questo misterioso rivestimento che riveste tutti; voi avete qualche idea?

Vi lascio con il dubbio e vi auguro un buon finesettimana! 

Ci vediamo lunedì con Nauìya!

NediFo

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