MOÌRIAS-L'ombra della luce-

By NediFo

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Da molto tempo ormai ad Aretem dominavano sofferenza e morte. Sotto il controllo della Strega era stato insta... More

Booktrailer
PROLOGO
NOTA DELL'AUTRICE
I
II
III
V
VI
VII
VIII
IX
X
XI
XII
XIII
XIV
XV
XVI
XVII
XVIII
XIX
XX
XXI
XXII
XXIII
XXIV
XXV
XXVI
XXVII
XXVIII
XXIX
XXX
XXXI
XXXII
Epilogo
Brevi video sulle storie di Aaris e Nauìya
Ringraziamenti

IV

77 8 314
By NediFo

Aaris

Affondò il volto nel bicchiere per non sprofondare dall'imbarazzo. Odiava quelle situazioni, ma erano stati i genitori a organizzare tutto e dunque non poteva farci niente.

Eall, la madre di Kollh, osservava ogni sua mossa e ogni gesto in cerca di una qualche imperfezione, e in lei ovviamente ce ne erano molte, anche se forse a un primo sguardo poteva non sembrare. Aaris non sapeva se i genitori di Kollh approvassero o meno il suo legame con il ragazzo, forse preferivano che si sposasse con una giovane della sua stessa specializzazione; dopotutto, in quel caso c'erano più agevolazioni.

I genitori di Kollh erano entrambi ricercatori del passato, una materia che a lei aveva sempre incuriosito, doveva essere bello studiare gli oggetti antichi per scoprire i misteri del tempo; lei, dopotutto, ne sapeva davvero poco. Ovviamente chiunque era a conoscenza della dittatura vigente prima che l'arcontessa Nauìya riportasse la bellezza e la pace nel mondo, ma prima ancora cosa c'era? Oltretutto, si sapeva che l'epoca era stata terribile, ma quanto esattamente? E poi perché quella fantomatica Strega di cui si parlava aveva deciso di portare l'oscurità e la sofferenza? Come poteva una persona, per quanto malvagia, volere quello?

Erano tutte domande che probabilmente non avrebbero avuto una risposta, visto che non riguardavano la sua specializzazione. Lei da piccola aveva scelto una materia che guardava al futuro, e in teoria quegli argomenti non avrebbero dovuto interessarla, ma, secondo lei, senza un passato non poteva esserci il futuro, poteva dunque fare qualcosa di realmente nuovo se non conosceva ciò che era stato?

«Desiderate il dolce?» chiese sua madre per rompere il silenzio che era calato come una cappa sulla tavola fin da quando si erano seduti. Normalmente non si poteva parlare con persone di una specializzazione e una danza diverse dalle proprie, l'unica eccezione erano le unioni familiari: i suoi genitori potevano parlare con quelli di Kollh perché probabilmente i ragazzi un giorno si sarebbero sposati e le due famiglie sarebbero state una sola.

Era comunque strano cercare di comunicare con delle persone con cui si aveva così poco in comune e Aaris sapeva che i suoi genitori organizzavano quel tipo di cene per lei, che però le odiava perché si sentiva sotto esame. Per Kollh era uguale, entrambi percepivano che quegli incontri fossero artificiosi e inutili, per di più non potevano essere realmente loro stessi.

Era da diverso tempo che cercavano di rimandare quella cena, lei e Kollh si erano messi d'accordo per avere una qualche scusa a volte alterne, in modo che non sembrasse che uno dei due non volesse vedere la famiglia dell'altro, ma che fossero semplicemente molto pieni di impegni. Questa volta, però, non erano riusciti a trovare una scusa realmente valida perché le lezioni erano finite e quindi stavano quasi tutto il tempo a casa a prepararsi per gli esami, lei aveva l'ultimo proprio il giorno dopo e aveva finito definitivamente di studiare quella stessa mattina, non c'era molto che potesse fare dunque per rimandare la cena.

Alzò lo sguardo verso Kollh che teneva gli occhi incollati sul piatto mentre spalmava la crema con il cucchiaino, disegnando un alberello bianco. Sorrise, sapeva che a lui la crema non era mai piaciuta, ma almeno trovava il modo per non sprecarla completamente. Kollh studiava per diventare ricercatore dell'espressività grafica, e lei doveva ammettere che aveva un grande talento, le aveva regalato molte delle sue fantastiche opere. La sua preferita era appesa proprio sopra il letto e rappresentava lei e Kollh che combattevano. Il ragazzo sapeva dare una grande espressività ai suoi soggetti tanto che talvolta sembravano reali, come in quel caso.

Lui dovette sentire il peso del suo sguardo perché sollevò gli occhi che immediatamente si incrociarono con quelli di Aaris. Entrambi sorrisero, in un certo senso era come se tutta l'ansia di prima fosse sparita, e loro si trovassero da soli al parco ad allenarsi a combattere.

Kollh fece un leggero cenno con il capo, indicando le scale che davano al piano di sopra dove c'erano le altre camere della casa. Lei annuì e si alzò in piedi. Avevano finito tutti di mangiare, non si sarebbero offesi troppo se se ne fossero andati.

«Io ehm... volevo far vedere a Kollh dove ho appeso la nuova opera che mi ha regalato, possiamo andare?» domandò raggiante. Non vedeva l'ora di andarsene da quella situazione deprimente.

«Ma certo cara!» rispose felice la madre. Dopotutto, quegli incontri erano principalmente pensati per fargli passare più tempo insieme – non che ce ne fosse bisogno, visto che già si vedevano tutti i giorni per danzare.

Aaris si congedò correndo verso gli scalini e salendoli due a due, come ormai faceva sempre senza neanche pensarci, facendosi seguire dall'amico.

Quando finalmente la ragazza chiuse la porta dietro di loro, fece un sospiro stanco e si sedette sul letto.

«Che stress queste riunioni di famiglia» brontolò.

Il ragazzo annuì concorde e guardò la raffigurazione di loro due che danzavano.

«Oggi a scuola durante l'esame di pratica del colore mi è venuto da pensare a questo quadro, strano vero?» chiese, spostando lo sguardo dall'opera a lei.

«Come tecnica pittorica?» chiese, anche se aveva capito che non era quello, altrimenti non ci sarebbe stato niente di strano. Lui scosse la testa.

«Tu credi che queste cose succedano solo a noi?» gli domandò. Entrambi sapevano che c'era qualcosa che non tornava in loro: l'intolleranza nei confronti dei compagni di classe, il trovarsi bene in mezzo alla natura, ma soprattutto le cose che provavano e pensavano talvolta. Kollh aveva dipinto quel quadro in un'occasione particolare, il giorno in cui sua nonna era morta, e lei era quasi sicura che l'immagine fosse tanto profonda proprio per quello: aveva dipinto provando qualcosa, e aveva rappresentato ciò che lo teneva più legato alla vita, ovvero il combattimento.

Eppure, lui non avrebbe dovuto pensare alla morte della nonna, nessuno lo faceva, perché questa era parte della vita: dopo che qualcuno moriva diventava passato, e non doveva influire sul presente. A lei era comunque sempre sembrato insensato il modo in cui tutti reagivano o, meglio, non reagivano di fronte al trapasso di una persona cara. Dicevano due parole in onore del defunto e poi ripetevano la frase di convenzione: "Ha vissuto una vita lunga e felice e ora ha concluso il suo corso". In seguito, si riprendeva quello che si era interrotto come se non fosse accaduto nulla, il corpo veniva preso dai Caronti che lo portavano fuori città per seppellirlo.

L'unica cerimonia un minimo più sentita era quella che era stata fatta alla morte dell'arconte Orm, avvenuta all'età di duecentonovantatré anni, quando lei ne aveva soltanto cinque. Era stata eretta una statua immensa nel quartiere della cultura, tutto il popolo vi si era riunito attorno e, in contemporanea, aveva recitato la frase convenzionale.

Anche in quell'occasione però poi tutti avevano ripreso, come se nulla fosse, le loro attività, e la grande statua era diventata solo parte dell'arredo urbano.

«Non lo so, ma rispetto a tutti quelli che conosco mi sento veramente un estraneo, non so se siamo noi a essere sbagliati o se, invece, è perché siamo in grado di vedere qualcosa di cui gli altri non si rendono neppure conto».

Per lei era esattamente lo stesso, solo che, mentre lui tentava di nasconderlo comportandosi il più possibile come tutti gli altri, Aaris si era resa conto di essere proprio intollerante a quello stile di vita.

La ragazza si buttò sul letto di traverso, rimanendo a testa in giù con i capelli a pulire il pavimento. Kollh si sedette a terra poggiando il capo sull'armadio, non avrebbe mai rischiato di ingrigire i suoi bellissimi capelli neri e lunghi come invece faceva lei.

Quando non potevano combattere passavano così il tempo: a non fare nulla. Era una cosa che i loro coetanei, ma in realtà chiunque, non avrebbero mai potuto capire, sembrava inconcepibile restare per tanto tempo immobili senza il proprio Cordiale a portata di mano. Loro, però, avevano bisogno di quella tranquillità e sentivano come una barriera a dividerli malgrado tutto. In quei momenti, Aaris tentava di pensare, di capire che cos'era che la rendeva tanto diversa dagli altri. Sentiva che c'era qualcosa in lei che continuava a sfuggirle, talvolta credeva di essere vicina a raggiungerlo, ma poi questo sfuggiva di nuovo, lasciandola sola nella sua vita spenta e vuota.

Dopo circa un'ora, sentirono dei passi salire su per le scale e si alzarono velocemente dalle loro postazioni fingendo di ridere per qualcosa. Lo facevano sempre, se fossero rimasti in silenzio sarebbe sembrato sospetto.

Sapeva che non aveva senso, per restarsene soli in silenzio potevano anche non vedersi, se erano insieme era meglio parlare, dopotutto avevano sicuramente qualcosa da dirsi. Eppure, non era così, non avrebbe saputo spiegarlo, ma quando Kollh era con lei riusciva per qualche ragione a comunicare meglio con il suo io interiore.

«Ragazzi? Scusate se disturbo, ma i genitori di Kollh dicono che è ora di tornare a casa e mi hanno chiesto di chiamarvi!» disse suo padre, dopo aver bussato cautamente alla porta. In realtà era più probabile che fosse stato lui a proporsi di andare a chiamarli, Baerol Faarondur era un Servente e, come tale, cercava sempre di aiutare gli altri anche quando non era a lavoro, quindi se poteva risparmiare ai genitori di Kollh di fare le scale era più che contento di farlo.

«Sì, arriviamo papà!» gli rispose lei di rimando. Quando lo sentirono allontanarsi, si guardarono con sguardo eloquente. Era il loro linguaggio più comune: non avevano bisogno di dirsi che avevano passato bene la serata, che gli dispiaceva di doversi salutare, o che avrebbero atteso di rivedersi il giorno successivo.

Scesero di sotto. Aaris salutò Kollh e i genitori, poi li guardò allontanarsi nel vialetto. Non sapeva se avrebbe mai scoperto che cos'era che non andava in lei, ma fin quando ci fosse stato Kollh a condividere le sue stesse sensazioni, non si sarebbe mai sentita sola.

-

Chiuse il quaderno con gli appunti. Aveva ripassato abbastanza, era pronta ad affrontare l'esame, leggere ancora in quel momento non avrebbe fatto altro che metterle confusione in testa.

Guardò fuori dalla finestra dell'aula, dove il professore di Verde Urbano stava interrogando uno a uno i suoi compagni. Lei sapeva che non mancava molto perché la chiamasse, ma non era agitata; si trattava dell'ultimo esame del periodo, poi sarebbe stata libera per qualche settimana prima che riprendessero le lezioni.

«Aaris, mi ripeteresti quali sono le attenzioni per la sicurezza?» le chiese Ealèen, sporgendosi dal posto dietro al suo. Era sempre la stessa storia, non riusciva a capire perché dovessero per forza chiedere a lei piuttosto che ricontrollare sul libro come avrebbe fatto una persona sana di mente: era molto più affidabile e non si disturbava qualcun'altro; ma, a quanto pare, era un ragionamento che per molti sembrava quasi inconcepibile. Se c'era un'occasione per parlare, perché non sfruttarla dopotutto!

Sospirò e, rassegnata, si voltò verso la ragazza per risponderle. Ormai ci era abituata.

«Non si devono posizionare gli alberi in punti che potrebbero compromettere la visibilità rischiando di causare degli incidenti con le motrici, bisogna quindi fare attenzione a rotonde e incroci; è necessario utilizzare della terra sufficientemente permeabile in modo che con le piogge serali non si creino pozzanghere ma, allo stesso tempo, deve esserci una quantità tale di alberi da permettere la portanza del suolo in modo che non diventi instabile causando cedimenti. Oltretutto, però, gli alberi devono essere a una distanza tale dagli edifici da evitare che le radici interferiscano con le strutture di fondazione. A proposito di questo, bisogna fare anche attenzione che non rovinino le parti asfaltate delle strade e-»

«Ok, ok, ok, aspetta un attimo che mi segno tutto che poi mi dimentico, hai detto... le rotonde giusto?»

Aaris sbuffò esasperata, non aveva senso segnarsi in quel momento le cose, se non le sapeva non sarebbe cambiato poi molto segnandosele qualche minuto prima dell'esame.

«Nauayir?» chiamò il professore, leggendo dall'elenco. L'aveva salvata giusto in tempo dallo strazio di dover rispiegare. Passato l'esame, se ne sarebbe andata a casa e non avrebbe più dovuto vedere quelle persone per qualche settimana.

Si alzò e si sedette sullo sgabello che era stato messo di fronte alla cattedra del professore.

«Buongiorno», salutò, accomodandosi. Quello era il momento in cui si agitava sempre, poi per fortuna quando iniziava a parlare ritornava lentamente in sé e quindi l'ansia non comprometteva la sua preparazione.

«Bene signorina Nauayir,» esordì lui, «mi elenchi le diverse aree verdi presenti nella nostra città e le loro dimensioni».

Fece un bel respiro e poi iniziò a parlare. Sapeva la risposta, non era un problema.

«Ad Aretem ci sono in totale centouno parchi di grandi dimensioni, uno per ogni quartiere» cominciò, con voce ferma e sicura. «La loro area equivale esattamente a un quinto dell'area occupata dal quartiere stesso, e ha una viabilità tale da proseguire con i suoi sentieri il disegno delle strade, così da dare una continuità visiva. L'unica eccezione è il parco centrale che si trova nel Quartiere della Cultura, il quale ha una superficie pari a un terzo e una viabilità solo con due assi ortogonali che dividono il parco esattamente in quattro parti identiche. In queste parti non ci sono sentieri in quanto hanno lo scopo esclusivo di essere il grande polmone dell'intera città, come i singoli parchi lo sono per i rispettivi quartieri. La densità arborea è quindi maggiore e non ha scopo decorativo ma solamente funzionale a questo fine. Oltre a questi parchi di grandi dimensioni, ogni villa ha il proprio giardino con una superfice pari alla proiezione sul terreno dello spazio occupato dalla copertura dell'edificio stesso. Nel quartiere della cultura, invece, non ci sono giardini privati delle diverse scuole, ma piccoli slarghi che fungono da piazze che, nel totale, occupano la metà della superficie coperta dalle palestre, dai teatri e da tutti gli altri edifici, eccezion fatta per la grande biblioteca, che ha il giardino posizionato nella corte interna. Differente è la periferia; essa è infatti costituita di case immerse nel verde, affacciate a un sistema di strade concentriche connesse da strade radiali. In totale ci sono cinque anelli di verde, la cui superficie raddoppia tra l'uno e l'altro andando verso l'esterno, fino alla fine della città, dove inizia la Grande Foresta»

Aveva parlato, suo malgrado, con tono saccente. Il professore annuì pensieroso in cerca di un'altra domanda da porle.

«Prima ha accennato agli "scopi" delle diverse aree, potrebbe argomentare?»

Aaris sorrise, quello era uno degli argomenti che le erano piaciuti di più, il perché fosse necessario inserire gli spazi verdi all'interno della città. Lei ci aveva pensato molto durante le pause tra le lezioni quando andava al parco per sfuggire ai suoi compagni, e aveva individuato anche un altro motivo che non era scritto sul libro sul perché la natura fosse tanto importante.

«Gli scopi per cui bisogna progettare aree verdi nella nostra città sono cinque: fungono da polmone della città, permettendo ai cittadini di vivere in un ambiente salutare e con la giusta quantità di ossigeno; interrompono la regolarità dell'assetto urbano; consentono di individuare dei punti di riferimento che permettano un migliore orientamento per le persone; sono luoghi di ritrovo dove possono essere organizzate le feste e gli incontri di quartiere; e infine mitigano l'impatto della città sulla Grande Foresta, per questo l'aumento del verde è progressivo verso la periferia».

Sul viso del professore prese forma uno sguardo soddisfatto. Aveva risposto perfettamente a tutte le domande, quindi avrebbe preso di nuovo il massimo. Tuttavia, era curiosa di sapere cosa ne pensasse dell'idea che si era fatta in quei giorni andando al parco.

«Inoltre però, credo che ci sia un altro motivo per cui è essenziale che la natura sia presente nella nostra città», i suoi compagni bisbigliarono tra loro e Ealèen iniziò a sfogliare il libro in preda al panico, in cerca del punto in cui fosse scritto quello che stava dicendo; il professore corrugò le sopracciglia confuso, ma lei non si perse d'animo e continuò: «spesso le persone sono prese dalle attività di cui si occupano tutti i giorni, divenendo in un certo senso vittime della loro stessa vita, prigioniere delle abitudini e dell'oppressione della società; perdono sé stesse divenendo quasi degli automi e allontanandosi dal loro vero io. La natura in qualche modo è la rappresentazione della vita e, come tale, permette a chi è pronto ad ascoltare di cogliere chi è realmente e di svegliarsi dall'oblio in cui siamo costantemente immersi. È come se la natura svelasse...»

«No. Non so dove abbia letto questo ma è decisamente sbagliato» la interruppe, con suo stupore, il professore. «Mi dispiace perché stava andando molto bene, tuttavia quello che sta affermando mi fa intuire che lei non abbia compreso realmente l'argomento che stiamo trattando. È evidente che ha studiato e non lo metto in dubbio, ma il suo approccio è superficiale. Mi dispiace, ma non posso darle la sufficienza, un conto era se avesse fatto qualche piccolo errore, ma una cosa del genere è inaccettabile».

Aaris sgranò gli occhi, attonita. Sentì il mondo crollarle addosso, non riusciva a capacitarsi di quello che stava accadendo. Lei aveva detto tutto, e anzi, stava approfondendo! Se solo l'avesse lasciata finire!

«Mi scusi... io intendevo dire che la natura ha un'influenza positiva sull'anima delle persone e che...»

«Ho capito benissimo quello che voleva dire, e io le ripeto che è completamente errato. Mi dispiace, ma la prossima volta studi meglio».

Non sapeva che cosa rispondere, era come se improvvisamente si fosse estraniata dal proprio corpo; si sentiva tremare, aveva caldo e freddo allo stesso tempo. Voleva gridare, voleva riuscire a dire quello che pensava, voleva piangere e allo stesso tempo non sapeva se ridere per l'assurdità di quello che stava accadendo.

I suoi compagni la stavano fissando. La conoscevano praticamente da tutta la vita e non l'avevano mai vista sbagliare una risposta, tanto sa essere il punto di riferimento dell'intera classe. Probabilmente anche loro non si capacitavano di quello che stava accadendo, e come avrebbero potuto? Era del tutto assurdo!

Si alzò lentamente. Aveva voglia di spezzare la cattedra in due con un pugno che esprimesse tutto quello che sentiva e a cui non sapeva dare un nome, voleva gridare le sue ragioni, voleva far capire al professore quello che intendeva dire perché era sicura che non avesse capito.

Eppure, rimase completamente calma, e si andò a sedere al suo posto.

Il professore chiamò un altro compagno come se nulla fosse, come se non fosse accaduto veramente quello che Aaris aveva sempre ritenuto impossibile.

Si guardò le mani, certa di vederle tremare, invece si rese conto queste erano perfettamente immobili. Che cosa le stava succedendo? Si sentiva in preda agli spasmi, stava gridando per un dolore che non capiva da dove provenisse, si piantava le unghie addosso nel tentativo di strapparsi la pelle e, allo stesso tempo, aveva il pieno controllo di sé stessa. Neanche una lacrima a bagnarle il volto.

«Mi dispiace Aaris, andrà meglio la prossima volta, però dovevi studiare un po' di più, si sa che gli scopi sono cinque!» le disse a bassa voce Ealèen.

Aaris avrebbe tanto voluto prenderla per il collo e sbatterla sul muro, invece si alzò senza dire una parola e uscì con tranquillità dalla classe.

Non riusciva a capire come potesse rimanere così calma. Come poteva esserci tanta differenza tra quello che sentiva dentro di sé e quello che invece mostrava agli altri? Come poteva rimanere la solita Aaris pacata e calma? Aveva bisogno di aria, aveva bisogno di respirare. C'era qualcosa che non andava, non era semplicemente il voto, non le era importato mai chissà quanto delle valutazioni. Ma il modo in cui il professore l'aveva guardata... si era sentita trafitta da una lama gelida piantata dritta nel cuore.

Si sentiva prigioniera, soffocava, sentiva che c'era una parte di lei che voleva esprimere le sue reali emozioni, ma era legata e si dimenava per liberarsi da quella facciata, quella finzione che la mostrava come una ragazzina quieta e serena. Lei non era serena affatto.

Andò dritta al parco addentrandosi nel verde, lontano da panchine e persone, il punto più isolato che riuscì a trovare.

Prese un bel respiro e guardò le bellissime foglie sempre verdi. Era quello di cui aveva bisogno.

Malgrado quello che aveva detto il professore, lei era certa che fosse vero; la natura la faceva ricollegare al lato più profondo di sé stessa.

Il suo respiro divenne affannoso e le sue mani tremarono senza controllo. Finalmente. Si sentiva morire a tenere tutto dentro, quella sensazione la stava divorando dall'interno. Non si trattava di una crisi momentanea, era la somma di tutte le emozioni negative che aveva provato fino a quel momento e che, per qualche motivo, non era mai riuscita a esprimere. Tutto il suo astio, per il mondo, per le persone, finalmente stava uscendo allo scoperto.

Gridò. Gridò per la prima volta nella sua vita. Gridò e, con tutta la sua forza, tirò una raffica di pugni sull'albero più vicino, scorticandosi la pelle sulle nocche.

Con un ultimo sfogo, tirò un calcio per gridare tutta la sua frustrazione. L'albero tremò e lentamente si inclinò verso il basso. Il peso della chioma diede il colpo decisivo, facendo spezzare il tronco nel punto che aveva colpito con i suoi pugni.

L'albero crollò con un tonfo sordo sul prato.

Guardò attonita lo spettacolo che le si mostrò davanti, la rabbia completamente sparita.

Non era abbastanza forte da far crollare un albero e lo sapeva bene, di sicuro non uno che aveva come minimo cento anni.

Si avvicinò lentamente, guardando la vita cui aveva appena posto fine. Sul serio aveva portato alla morte di un altro essere vivente? Si chinò per vedere meglio il tronco spezzato, ma inorridì nello scoprire ciò che si celava dietro a quel bellissimo fusto vivido e brillante.

Un pezzo di corteccia brillava di una luce azzurra che formava una specie di membrana, e l'interno... completamente nero.

Marcio.

Morto.

👀

Bisogna dire che qui c'è davvero qualcosa di strano...

Aaris sarà pure una secchiona che ha una reazione esagerata per un brutto voto, ma questa scoperta che ha fatto... Cosa è successo a questo povero albero? (Oltre a essere preso a calci e pugni da una ragazzina isterica ovviamente😅)

Cos'è quella membrana azzurra sulla corteccia?

Questa è decisamente una scoperta che fa venire i brividi...

Comunque sia, risolleviamoci il morale con la presentazione dei nuovi personaggi di questo capitolo. Abbiamo finalmente conosciuto i genitori di Aaris e anche quelli di Kollh grazie alla loro imbarazzante cena di famiglia.

Bene, ecco a voi Aelis Nauayir, Progettista delle forme urbane, danzatrice acrobatica e, ovviamente, madre di Aaris.

Passiamo ora al padre: Baerol Faarondur, Servente e danzatore acrobatico.

Lo so, la divisa sembra quella di un poliziotto, ma lui in un certo senso lo è, quindi ci accontentiamo di questa immagine...

Adesso passiamo ai genitori di Kollh.

Ecco a voi la madre, Eall Awar, Ricercatrice del passato e danzatrice dei ventagli, una donna dal carattere estremamente "gentile" che non ha preso di buon occhio la relazione tra Aaris e Kollh.

E il padre: Oarel Auìouen, Ricercatore del passato e danzatore del pallone, un personaggio che compare molto marginalmente qui e in un altro capitolo più avanti, potete anche non memorizzarlo.

Bene, adesso probabilmente vi starete chiedendo perchè Aaris abbia il cognome della madre e non quello del padre. O forse non ve lo stavate chiedendo ma ve lo dico lo stesso.

Ad Aretem non c'è un cognome di famiglia che viene preso esclusivamente dal padre, funziona così: le femmine prendono il cognome della madre e i maschi quello del padre, per questo motivo fratelli e sorelle potrebbero non essere riconoscibili dal loro cognome.

Non chiedetemi il perché, semplicemente trovavo ingiusto che si desse maggiore importanza o al cognome del padre o a quello della madre, così almeno sono tutti contenti😅.

Bene, credo sia tutto, ci vediamo al prossimo aggiornamento!

NediFo

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