Cieli di Sangue - La nuova di...

By Chiarasaccuta_writer

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{Libro Secondo della trilogia Cieli di Sangue} I regni di Kaewang e Sunju sono in pace, ma i sovrani si trova... More

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«Cosa dobbiamo fare, eomonim?» chiese Kang-shi, strofinandosi gli occhi sottili. Su-jin, dopo essersi cambiata, gli aveva fatto indossare una casacca grigia e dei pantaloni neri. In tal modo, si sarebbe confuso più facilmente nella notte.

Mi-sun, invece, teneva le braccia sollevate mentre le dame al suo servizio la cambiavano, infilandole le vesti più scomode e ruvide mai viste sulla faccia del regno. Erano semplici hanbok bianchi, con rifiniture blu sulle maniche larghe. Il cotone grezzo pungeva sulla pelle, non l'avrebbe coperta abbastanza dal freddo della sera. «Andiamo via da questo posto maledetto, prima che ci uccidano. Qui abbiamo solo nemici, Kang-shi.»

«Nemici!» mormorò il bambino, correndole incontro non appena fu libero dalle mani di Su-jin. Mi-sun sentì la dolce stretta delle sue mani intorno alle ginocchia e non poté fare a meno di sorridere, distaccandosi per un attimo dalla realtà. Come se l'omicidio appena compiuto non fosse accaduto. «Odio i nemici. Non mi piacciono, andiamo via!»

«Sì» lo rassicurò Mi-sun, una volta terminata di vestire. Aveva i lunghi capelli sciolti che ricadevano sulla schiena, chiusi da un nodo sulle punte. «Però dovrai tenere gli occhi chiusi finché non saremo fuori dalla nostra dimora, me lo prometti?»

«Ma io paura occhi chiusi!» esclamò Kang-shi, battendo un piedino a terra. Su-jin e le altre dame di misero a ridere, ma fu solo la prima ad avvicinarsi, per redarguirlo.

«Dovrai farlo, daegun mama» gli disse, con fare dolce e il benestare di Mi-sun, a cui poi si rivolse. «Non possiamo più aspettare, gongju, o sarà troppo tardi.»

Mi-sun annuì e fece cenno alle due dame di aprire le ante della camera da letto, mentre lei posava le mani sopra gli occhi del figlio, ignorando le sue proteste. Non voleva che Kang-shi familiarizzasse con il sangue e con la morte, era ancora troppo piccolo.

«Su-jin, tu vai avanti, assicurati che i soldati non si siano spostati dentro il nostro giardino.»

«Subito» mormorò la dama, avviandosi verso l'esterno del palazzo quando le dame aprirono le ante. Il puzzo di sangue aveva invaso ogni angolo della sala da giorno, e Mi-sun lottò pur di non abbandonare il viso di Kang-shi per coprirsi il naso da quel fetido odore, che troppo le ricordava quello del corpo di Junoh.

Già, Junoh. Fu la sua voce, sulla soglia, che parve sfiorarla da lontano e le fece commette l'errore di allentare la presa delle dita sul volto del figlio. Eppure, ciò che aveva sentito, doveva essere per forza lui.

«Junoh?» sussurrò Mi-sun, mentre Su-jin tornava affannata sotto la veranda, segnalando loro che tutto era tranquillo. Accanto alla spalla della dama, si fermò una farfalla bianca, luminescente, che volò in cerchio nel giardino. Kang-shi si illuminò nel vederla, e non osò guardarsi indietro, pur di seguirla fuori con vivacità.

«Mia amica!» disse, facendo correre un brivido di terrore lungo la schiena di Mi-sun.

«No, Kang-shi!» Mi-sun si sforzò di non alzare la voce e lo seguì fuori, afferrandolo per il braccio e tirandolo con veemenza al proprio corpo. «Devi starmi vicino e non allontanarti mai, hai capito?!»

«Mi-sun» la chiamò la farfalla, così luminosa e agitata al contempo.

Lei sgranò gli occhi e avanzò verso quell'essere, che non credeva più essere un semplice insetto. Per troppo tempo il figlio era stato ossessionato dalle farfalle, diceva che gli parlavano. Mi-sun aveva cominciato a comprendere solo da tempo, ma aveva sempre avuto paura della realtà. Di starsi immaginando tutto, quando, forse, non era così. «Sei... Dimmi che sei tu.»

«Mi-sun, devi seguirmi. Non hai tempo da perdere

Era lui. Era Junoh.

Mi-sun per poco non ebbe un mancamento, sentì le ginocchia tremare e le lacrime salire agli occhi e appannare la vista. Era talmente tanto bello ascoltare quella voce, che la principessa non si rese neanche conto della presenza di Su-jin, ora accanto a lei, con una mano posata sopra la sua spalla. «Gongju, dobbiamo uscire da qui. Le guardie sono state allontanate perché il re ha avuto una grave ricaduta. Andiamo e prendiamo il corridoio sinistro.»

Mi-sun rimase interdetta di fronte la farfalla, prima di seguire la dama oltre le porte del proprio palazzo, superando anche quello di Yong. L'insetto non si distaccava dal suo fianco, sbatteva le ali sul suo fianco e Mi-sun si assicurava della sua presenza, senza parlare, turbata quasi. Aveva timore di essersi solo... lasciata andare alla disperazione. Quando arrivò di fronte il corridoio che l'avrebbe condotta in direzione delle porte di palazzo, la principessa fece per imboccare la strada sinistra, ma la farfalla sbatté le ali nella direzione opposta, facendola desistere.

«Su-jin» mormorò allora, muovendo un passo verso la farfalla che solo lei e il figlio parevano riuscire a vedere. «Prendiamo il corridoio a destra.»

«Ma come potete essere sicura che non ci saranno delle guardie ad attenderci? Questo è il modo più sicuro, gongju» la dama puntò i piedi a terra, ma Kang-shi le tirò la gonna verso la farfalla, come a chiederle di andare.

«Mi-sun» la chiamò di nuovo Junoh, con quel suo tono spazientito che tanto le era familiare. Allora, la principessa ebbe la conferma di non starsi immaginando niente. Era tutto reale. «Ti fidi di me?»

Sì, era quella la risposta. Mi-sun non sarebbe mai tornata indietro, non sarebbe mai retrocessa di fronte alle parole dell'unica persona che avrebbe voluto stringere in quel mondo, che si era dimostrato ostile con lei fin dal suo arrivo a Kaewang. «Mi fido di te...» sussurrò alla fine.

La giovane non poté fare a meno di seguire la farfalla, a dispetto delle parole delle sue amiche. Insieme al figlio, intraprese una direzione già conosciuta, ornata dai fiori bianchi che l'avrebbero condotta al mausoleo. Quel luogo dove non era potuta accedere, per cercare ciò che restava di Junoh.

«Gongju» la chiamò in un sussurrò Su-jin. ma Mi-sun congedò le sue lamentele con una mano.

«Fidati. C'è una cosa che devo fare» mormorò, fermandosi di fronte la struttura sacra.

Quando salì in veranda, la farfalla si fermò sulle porte del mausoleo circolare, dalle pareti neri e lo spiovente tetto rosso, illuminato da tenui lanterne di carta. Poi, la voce di Junoh, triste e al contempo speranzosa, riecheggiò di nuovo nelle orecchie di Mi-sun.

«Portami via da questo posto, portami via con voi

Mi-sun sentì le lacrime salire agli occhi e adagiò il proprio palmo sulle ante di legno e carta, lasciando che la farfalla le volasse accanto. Kang-shi le tirò di nuovo la gonna.

«Eomonim, cosa dobbiamo fare in posto segreto?»

«In questo posto segreto...» mormorò Mi-sun, spingendo le porte legnose verso l'interno, che si aprirono senza fare alcun rumore. «Riprenderemo tuo padre.»

«Verrà con noi?» le domandò Kang-shi, correndo all'interno della stanza alla volta della farfalla.

Mi-sun fece cenno alle dame di restare di guardia ed entrò nel mausoleo, trovandosi di fronte a scaffali e scaffali di tavolette ancestrali coperte da volute di incenso e cesti di cibo. Offerte commemorative per gli antenati, e per i loro spiriti. Ma della tavoletta di Junoh non vi era traccia, almeno non nella sezione riservata ai nobili, ai principi. Inutile quanto Mi-sun lasciasse scorrere gli occhi sugli ideogrammi, non riusciva a vedere i caratteri del suo amato.

«Eomonim...» mormorò Kang-shi, seguendo ancora la farfalla fino al punto più basso delle mensole, accovacciandosi su una tavoletta di legno grezzo. Non era nemmeno stata levigata. «Quale tavoletta sarà abeonim?»

La farfalla si depositò su di essa, le sue ali sembrarono illuminare il mausoleo, semi immerso nel leggero tepore delle lanterne, di intensa luce bianca. E Mi-sun capì.

«Non so leggere!» esclamò Kang-shi, sollevando la tavoletta verso di lei.

Mi-sun la prese e accarezzò gli ideogrammi sbavati, dipinti sul legno: Junoh, terzo principe di Kaewang, traditore del suo sangue. Non solo lo avevano relegato al luogo più basso, non solo lo avevano privato di una tavoletta ancestrale che fosse quanto meno degna, ma si erano ben premurati di ricordare per sempre la sua ribellione.

Mi-sun avrebbe voluto scoppiare in lacrime, ma si astenne. Non poteva mostrarsi debole. Stava imparando che molte delle emozioni del figlio dipendevano da lei, perciò si premurò di forzare un sorriso sul proprio viso e posare una mano sulla testa del piccolo. «Hai trovato tuo padre, mio caro Kang-shi.»

«Mio padre?» Il bambino fissò la tavoletta con fare gioioso, poi la riprese e la strinse al petto. «Non lo lascerò andare, allora!»

La farfalla si illuminò di nuovo, quasi a voler esprimere felicità, e Mi-sun si permise di tirare in su col naso, per soffocare una lacrima silenziosa. Era contenta di sapere che Junoh avesse avuto modo di conoscere l'affetto di Kang-shi, seppur da lontano.

«Piccolo mio» lo chiamò, accarezzando la guancia del figlio. «Chiedi a tuo padre di indicarci la via per uscire da questo palazzo.»

Kang-shi sorrise convinto e saltò in piedi. «Abeonim, hai sentito? Eomonim vuole andare via da questo posto.»

La farfalla si sollevò in volo ed uscì dal mausoleo. Su-jin stava fremendo sulla soglia, era nervosa. «Gongju, delle guardie si stanno avvicinando.»

Mi-sun nascose la tavoletta vicino al cuore, sotto la stoffa, e afferrò per mano il figlio, raggiungendo le dame e camminando a ritroso lungo il corridoio principale. Seguivano la farfalla, che indicava loro le vie più sicure, e le serve non osavano proferire parola. Solo quando arrivarono ai portoni rossi del palazzo, aperti per permettere ai medici e ai monaci di entrare a palazzo, Mi-sun si fermò. C'era un nugolo di soldati posto a sorvegliare il palazzo.

«E adesso?» domandò Su-jin, agitata.

Mi-sun drizzò la schiena e si voltò a osservare la farfalla, ancora vicino a loro. Essa sbatté le ali in direzione delle porte e quando fu di fronte ai soldati, emise una luce talmente forte da farli diventare ciechi. Le loro urla imperversarono nel palazzo, terrorizzando Kang-shi, il quale le strinse la mano, pallido in viso. Mi-sun, però, non poteva concentrarsi su di lui o avrebbe perso il suo vantaggio prezioso. Perciò si voltò verso le dame.

«Andiamo, svelte! Raggiungiamo la città!» gridò Mi-sun, attraversando quelle porte e lasciandosi alle spalle un palazzo che l'aveva accolta come una prigione.

**


Quella mattina, Areum si era svegliata adirata. Hwa stentava ancora a camminare correttamente dopo l'aggressione del lupo, e Dier non le rivolgeva la parola da due giorni. Il suo comportamento l'aveva fatta pentire di essersi esposta tanto al suo giudizio, ma non era il momento di piangersi addosso.

No, quella era la sera del rito propiziatorio. La mattina dopo sarebbero scesi in battaglia.

Doveva calmarsi.

Dopo aver fatto una carezza a Hwa, intenta a crogiolarsi tra i suoi cuscini morbidi, la principessa si alzò dalla propria gher, respirando l'odore della pioggia nelle narici. Il cielo era coperto da nuvole grigie, e una piacevole frescura aveva invaso il campo in cui si erano appostati i Taigat. Ciò significava che una tempesta era in arrivo, il Cielo Azzurro non era felice. I soldati erano turbati e lo diventavano sempre di più ogni volta che un tuono rimbombava nel cielo.

Areum non aveva mai avuto paura della pioggia, almeno non come la si temeva del Khusai, ma le tempeste erano pericolose. I fulmini cadevano incessanti a palazzo, non era raro che gli incendi divampassero, ma non era quello il caso. No, la ragazza aveva un obiettivo quella sera: il cugino.

Dier era seduto su uno dei tappeti arabescati intorno a un grosso falò, aveva gli occhi affilati fissi verso il cielo, anche lui preoccupato a causa delle possibili ripercussioni che si sarebbero potute scatenare sulla tribù. Però, era da solo. Areum sapeva di avere solo quella chance, e l'avrebbe sfruttata.

«Dier» lo chiamò Areum, stringendo i denti sulle labbra, il vento freddo trapelava sotto la gonna color cobalto. «Possiamo parlare?»

Dier non si voltò a fissarla, non subito almeno. Areum lo vide posare il gomito sul ginocchio e sospirare, come se fosse stanco. La casacca nera sembrava confondersi all'oscurità che, man mano, stava calando sulla tribù. Alla fine, il ragazzo le fece cenno di sedere accanto a lui, mentre le prime pietanze venivano avvicinate al fuoco, per essere cotto.

«Dimmi» asserì, con voce atona.

Areum si fece coraggio e sedette accanto a lui, seppure sentendosi rigida. «Perché mi stai evitando?»

«Perché non so più chi ho davanti» ribatté lui, secco, senza cercare di nascondersi o di edulcorare. Tipico dei Taigat, gettavano tutto quello che sentivano in faccia all'altra persona, non c'era un filtro alla tribù. Non come a palazzo.

Areum si strinse nelle spalle. Quelle parole erano state un colpo basso, immensamente basso, e sapere ciò le bruciava le viscere. «Non mi riconosci più per qualcosa che ho fatto quattro anni fa, e per cui ho cercato in tutti i modi di redimermi?.»

«Yong mi aveva mandato delle missive, mi aveva detto di non rivelarti della nostra corrispondenza e di stare attento al tuo comportamento. All'inizio credevo lo facesse perché era preoccupato per te, invece... ho sempre notato un certo astio, dietro quegli ideogrammi» Dier voltò gli occhi affilati verso le nuvole grigie, forse per evitare di incrociare quelli di Areum, sgranati.

«Cosa hai detto?» mormorò la ragazza, stupefatta. Liberarsi dei suoi peccati, con Dier, era stato un grande errore in cui era caduta con tutte le scarpe. «Ti sei messo a parlare con mio fratello alle mie spalle, senza dirmi niente? Non credevo fossi così cieco!»

Dier strinse i pugni, continuando a evitare il suo sguardo. «Quindi oltre che balbettante, sono anche cieco. In tal caso non valgo molto, e tu non dovresti affannarti a starmi dietro.»

«Sei un cieco perché non riesci a vedere oltre quello che è accaduto. Io sono sempre Areum, a prescindere da ogni altra cosa. Ho fatto degli errori ma, ora...»

«Non puoi minimizzare tutto così» replicò Dier, voltandosi a guardarla. Era combattuto la sua voce aveva ricominciato a tremare, la sua mano vibrava appena, come se volesse afferrare quella di Areum, ancora troppo distante. «Io lo so quanto hai sofferto, va bene? Lo so che sollevarsi da tutto quel fango è stata dura, ma... Ma io non credevo che...»

«Che fossi così sporca?» replicò, con la voce rotta da lacrime che si ostinò a non lasciar emergere. «O che fossi così simile a Junoh? Perché è questo il problema, io ti ricordo lui.»

Dier sgranò gli occhi, il respiro gli si mozzò, e allora Areum ebbe conferma della propria supposizione mentre, in lontananza, si cominciavano a udire i primi canti profondi, cavernosi, del Khusai. «Io... Areum, non avrei voluto giudicarti, però le tue parole si sono impresse a fuoco nella mia mente e io...»

La principessa si morse le labbra, prima di voltare lo sguardo in direzione delle lingue di fuoco che si alzavano verso il cielo. La rabbia aveva ormai invaso il suo cuore ma le lacrime non sarebbero uscite. Nemmeno una l'avrebbe abbandonata. «Dunque non conta niente quello che ci siamo detti, il nostro amore reciproco. Tutto viene cancellato dalle tue paure.»

«Dalle mie paure? Tu non sai quello che ho passato in quel palazzo, non sai quello che Junoh mi ha fatto e non puoi nemmeno immaginarlo» sussurrò Dier, senza muoversi di un solo millimetro. Era una statua di sale. «Tu non puoi pretendere che io dimentichi. Non puoi pretendere che passi sopra tutto questo, perché qualora volessi sposarti... Saremmo costretti a tornare a palazzo. E quando tuo padre morirà, senza aver nominato un principe ereditario, cosa accadrà? Avvelenerai tuo fratello per ottenere un trono che non voglio?»

Un buco profondo si formò nel petto di Areum, che si alzò in piedi, di scatto, avvertendo i tuoni rombare e le prime gocce di pioggia ricadere sulle loro teste. «Tu mi credi capace di questo?» mormorò, deglutendo un grumo di saliva amara.

«Io ho paura di quello che puoi fare, Areum» ammise alla fine Dier, mordendosi le labbra. Una lacrima fuoriuscì dalle sue ciglia, ricadde lungo la guancia, di fronte lo sguardo esterrefatto di Areum. Per un attimo, fu come sentirsi estraniata dal proprio corpo.

Perché, quelle parole, l'avevano fatta sentire un mostro.

«Quindi quando mi hai detto che mi amavi era tutta una menzogna?»

Dier sembrò diventare ancora più pallido. Scosse velocemente la testa, per cercare di ammutolirla. «No, non ho mentito, io sono davvero innamorato di te, ma ho...» si fermò, per un istante, poi lasciò ciondolare le braccia. «Ti credevo una persona diversa.»

«Una persona diversa...» era il colmo, la fine di una storia e di un affetto in cui lei aveva creduto fino in fondo. Essere rigettata, in quel modo tanto ostile, fece provare ad Areum mille emozioni sopite. Tra cui la furia. E lei non era mai lucida, quando si infuriava. «Già, credo che tu abbia sbagliato con me. Dopo tutto, non sono altro che un'infima assassina, per te, per mio fratello. Per chiunque.»

Dier non le rispose, si limitò ad abbassare la testa sotto il peso della pioggia e dei sensi di colpa. Areum sperò che ne restasse sotterrato, poi girò i tacchi e si avviò in direzione dell'accampamento centrale. Non sarebbe tornata a piangere nella sua tenda, perché voleva avere delle risposte, voleva sapere semmai si sarebbe scrollata di dosso quel peso. Era adirata, con suo fratello e con Dier, e non riusciva a pensare ad altro che a volere delle risposte.
Delle certezze. Voleva sapere cosa quella vita avesse in serbo per lei. Voleva sapere semmai sarebbe davvero diventata regina. Voleva sapere cosa ci fosse in serbo per lei, che non fosse la disperazione più nera. 

Cercava risposte. E l'unica che avrebbe potuto dargliele, era Baylagh.

**

hanbok: tipico abito coreano, dallo scollo a v sovrapposto sul petto e le gonne molto gonfie.
Eomonim: madre. 

E dunque, ci siamo, resa dei conti fra Dier e Areum. Io a lui non lo biasimo, sapete perché? Perché Dier ha il mio stesso problema, tende a idealizzare, e ha idealizzato Areum, l'ha ricostruita al suo fianco con amore, pezzo per pezzo, per poi capire che anche lei ha un passato, degli errori e degli sbagli da scontare. E quindi, il patatrack più totale. Eppure, Dier non ha rinnegato il suo amore, nemmeno per un istante, ma è stato sincero. Areum, di contro, avrebbe voluto spezzarlo in due, ma siamo qui. E la situazione è alquanto tragica. Baylagh ci darà le risposte che ci meritiamo?

E Mi-sun riuscirà a evadere da Kaewang senza farsi ritrovare dalle guardie? Avete notato un certo trambusto, che il re sia agli sgoccioli? CHE IL TRONO DI KAEWANG SIA A TANTO COSì DALL'ESSERE VACANTE? 

Ci sentiamo venerdì ragazzi, per un altro capitolo tutto dedicato ai nostri gemelli!

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