Sulle tracce di Dennis Logan

By ZUBRYBLACK

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Dennis Logan è uno spietato serial killer che uccide solo per il gusto di farlo macchiandosi così della morte... More

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By ZUBRYBLACK

La caratteristica principale che viene sempre descritta nei dossier dei serial killer è quella che, tutti coloro che rientravano in questa categoria, fossero dotati di un'incredibile ed elevata intelligenza. E Dennis lo aveva dimostrato più di una volta.

Il giorno seguente, finite le lezioni, Dennis fu il primo ad arrivare all'ingresso e ad aspettare Toby. Non aveva avuto nemmeno bisogno di avvisare sua madre, perché sicuramente Natasha avrebbe avuto il turno lungo e non sarebbe tornata a casa prima di sera.

Quando tutti gli studenti uscirono e andarono verso il parcheggio per salire sulle rispettive macchine, Toby apparì per ultimo fissando il suo orologio da polso vecchio stile.

Dennis attese che quel soggetto così bizzarro si fermasse a si guardasse intorno, e quando avvenne, gli fece un cenno di saluto col capo. In mano aveva due libri sul neokantismo raccolti poco prima.

«Bene, vedo che sei un tipo affidabile.»
«Tu inizi le frasi sempre con "vedo che"?»
«Sì, tutti gli uomini intellettuali fanno affidamento al senso della vista. È molto importante essere degli abili osservatori sai?»

Questo concetto, si disse tra sè e sè, Dennis lo conosceva molto bene. Aveva passato anni a tenere d'occhio le sue vittime, aspettando il momento propizio per colpire. Vedere e osservare erano la sua specialità.

Toby propose di prendere un autobus per fare meno fatica ma Dennis decise che camminare era meglio, aveva bisogno di parlare e gonfiare Toby come un pallone, ascoltare il suo ego crescere. Solo così si sarebbe goduto il momento in cui avrebbe dimostrato che la testa unita alle mani era un'arma migliore delle semplici parole.

Così, tra un semaforo e un altro, Toby martellò le tempie di Dennis parlando di Kant, Marx, dei movimenti filosofici, di quanto la gente fosse stolta a credere a certe sciocchezze come gli ufo e di tante altre cose che però non raggiunsero mai le orecchie del ragazzo. Dennis aveva smesso di ascoltarlo già dall'uscita da scuola e annuiva di tanto in tanto per non farlo insospettire. Solo dopo un po', quando stavano raggiungendo il penultimo semaforo della strada, il discorso infinito di Toby venne interrotto da un tizio travestito da Hot Dog che cercava di spargere l'offerta del giorno.

«Ma ti rendi conto dello schifo?»
«Di cosa?»
«Di quello! Quel cibo è un'arma letale contro il cervello umano! Non ha proteine, non ha vitamine, serve solo a diventare più scemi e a non entrare più nei pantaloni!»
«Ma a molti piacciono, è solo una strappo alla regola.»
Toby si rimise a posto gli occhiali: «Ecco perché non voglio né figli né famiglia, non intendo passare più della metà della mia vita dentro a posti simili.»

***

Il palazzo dove si trovava lo studio personale di Toby era nel centro della città. Era un edificio bianco e molto alto, con almeno dodici piani, pieno di finestre e senza scale. Tutti coloro che usufruivano degli studi presenti nell'edificio usavano l'ascensore.

Davanti all'entrata erano presenti un'infinità di citofoni riportanti nomi di geometri, dottori, psicologi e altre professioni importanti. Lo studio di Toby era al quinto piano, e nessuno oltre a lui aveva affittato qualcosa lì.

Il ragazzo smilzo infatti spiegò che oltre allo studio, i suoi genitori gli avevano assicurato pace e tranquillità, per tanto tutti quegli altri studi affittabili erano stati smantellati. Questo fatto, Toby non si dimenticò di spiegarlo, non aveva fatto molto piacere agli altri affittuari presenti nello stabile.

Quando finalmente l'ascensore raggiunse il piano stabilito, Dennis e Toby procedettero fino alla fine del corridoio dove era situata una porta solitaria con una targa attaccata sopra, e sulla targa era stato inciso il numero 506.

L'atmosfera era davvero gelida, i muri del corridoio erano di un bianco disturbante senza foto o quadri a ravvivare il tutto e il suono dei loro passi faceva eco.

Quando finalmente Toby aprì la porta fece cenno a Dennis di entrare: «Prego, fai come fossi a casa tua.»
«Meglio di no.»

Dentro lo studio c'erano una grossa scrivania in legno scuro perfettamente lavorata e decorata, una sedia del medesimo materiale con le medesime lavorazioni e un cuscino bianco, un divano color crema con sopra due cuscini piccolissimi e grigi e di fianco, posta in diagonale, una grossa poltrona dello stesso colore, una vasta e immensa libreria piena di testi filosofici e una gigantesca finestra che guardava verso le montagne, sul pavimento un lussuoso tappeto persiano bianco e bordeaux. Sulla parete della scrivania erano appese le imponenti, e anche le uniche dell'intero piano, foto dei filosofi preferiti di Toby.

Il ragazzo indicò al suo ospite il divano ben curato invitandolo a sedersi mentre andava a prendere qualche testo dalla libreria.

Dennis lo guardò storto prima di sedersi, quel divano gli ricordava gli studi degli psicanalisti che vedeva nei film, e qualcuno alle sue spalle forse ne aveva davvero bisogno. Ma non doveva farsi distrarre da quei pensieri sarcastici.

Quando Toby tornò con due grossi volumi su Kant disse quasi fiero: «Sai, questa è la posizione più comoda dell'intero palazzo.»
«Ed è tutta tua?»
«Certo, come puoi vedere.» Diede uno dei due libroni a Dennis e poi si sedette sulla poltrona, «Mio e dei miei carissimi maestri.»
«Fantastico.»

Dopo essersi schiarito la gola, Toby cominciò a parlare di Kant, del Neokantismo, dei suoi seguaci e del suo movimento senza mai fare una sosta, era come se fosse stato una macchinetta impazzita.

Dennis cercò di stargli dietro annuendo e rispondendo a monosillabi mantenendo un profilo piuttosto basso finchè, forse sicuro di aver detto tutto, Toby non cambiò improvvisamente argomento: «Ma, parlando tra noi intellettuali Logan, ti sei mai chiesto che cosa spinge la gente a vivere ogni giorno?»
«Cosa?» la domanda riportò Dennis sulla terra, cogliendolo alla sprovvista, «Boh insomma, si nasce e si è vivi. No?»
«È tutto quello che sai dire?»
«È un mistero della natura.»

Toby sgranò quei suoi occhi da avvoltoio tirando la pelle della sua faccia quasi tutta ossa, al limite dall'incredulità: «No! Non è un mistero della natura amico, è un complesso sistema vitale che impartisce al nostro cervello degli obiettivi capaci di farci progredire nella nostra vita! Quando si è piccoli si ha l'obiettivo di nutrirsi, di camminare per essere più veloci, di parlare per comunicare. Quando si è adulti di affermarsi nella società uno step alla volta! È ovvio!»

Dennis potè quasi giurare che le pareti si fossero messe a tremare per via della sua foga. Toby era diventato tutto rosso e sulla sua fronte spuntavano due vene che si gonfiarono, saltò dalla poltrona e andò verso le foto sul muro implorando perdono per il suo ospite superficiale.

Alle sue spalle Dennis sfoderò una smorfia di disprezzo. Posò il grosso volume sul divano senza cura e lo allontanò ulteriormente come se fosse stato radioattivo in attesa che Toby si calmasse.

«Ogni essere vivente vive per obiettivi Logan, e quando non ne ha a disposizione se lo crea, facendo così nascere le nuove culture e gli ideali, le religioni e la criminalità, hai capito? Anche noi due siamo frutto di un obiettivo che si è posto qualcun'altro e il nostro compito è di far progredire questo sistema chiamato vita!»
«Hey rallenta. Tu esisti perché i tuoi genitori hanno fatto festa sotto le coperte, come i miei.»
«No! C'è studio, c'è elaborazione! Nulla si fa per caso!»

Dennis alzò gli occhi al cielo, chiedendosi quando finalmente sarebbe finita quella tragedia da teatro. Il suo obiettivo era di far sentire Toby un vero genio, invece lo stava prendendo a parole.

Il ragazzo smise finalmente di urlare, sospirò e si sistemò gli occhiali. Dopodiché provò a cambiare nuovamente discorso alla ricerca di qualche vena culturale nel suo ospite: «Se io ti chiedessi di descrivere Platone in tre semplici parole, quali sarebbero?»
«Vecchio, barbuto e morto.»
«Cazzo Logan! Sei serio?!»

Dennis nascose con la mano un sorriso divertito, ancora una volta Toby stava dando di matto per la risposta banale che aveva dato.

«Almeno sai dirmi qualcosa sul neokantismo come avevi chiesto?»
Il silenzio fu la risposta di Dennis, che fissò negli occhi Toby come se lo stesse sfidando.
«Hai qualche ideale intelligente? Sai almeno pronunciarlo?»

Dopo che Dennis rimase in silenzio ad osservarlo negli occhi per tutto il tempo, Toby si alzò, andò verso la libreria e prese un volume ancora più grande dei primi. Poi tornando vicino al divano, lanciò il grosso libro dritto sul petto del ragazzo alla quale si soffocò un respiro.

«Sai? Vedo che sei un tipo a cui piace attirare l'attenzione, ma se proprio devi farlo almeno prima acculturati, idiota.»

Dennis a quel punto modificò la sua espressione, i suoi occhi si strizzarono in due fessure piccolissime e si puntarono su Toby. Quando il ragazzo smilzo tornò a sedersi sulla poltrona uno strano silenzio calò nella stanza, l'atmosfera si fece più tesa, ma Dennis non era affatto agitato.

Guardò la copertina verde scuro del libro che gli era caduto addosso e poi esordì: «Vuoi sapere una cosa? Ho capito cosa sei: tu sei un narcisista.»
«Che vorresti dire?»
«Perchè mai io dovrei perdere il mio tempo a parlare con uno che crede di saperne di più? Sprecherei solo un mare di fiato prezioso.» accarezzò le parole scritte sulla copertina con l'indice secco, «E sai anche come si risponde a un narcisista come te?»
«Come?»

La risposta di Dennis fu un colpo improvviso dato dal grosso volume, schiacciato contro il naso di Toby che volò via dalla poltrona.

Si portò le dita sotto al naso e, quando le trovò completamente zuppe di sangue, quasi gli venne un attacco di panico a causa della sua sensibilità. Questo fatto non gli permise infatti di accorgersi di quello che Dennis stava facendo alle sue spalle: il ragazzo infatti aveva tirato fuori dalla tasca un rotolo di nastro adesivo e aveva iniziato a ricoprire le proprie dita e i palmi delle mani.

Dopodiché afferrò Toby per le gambe e lo trascinò vicino alla sua scrivania. Il ragazzo egocentrico iniziò ad urlare disperato, chiedendo aiuto ma il fatto che al quinto piano non ci fossero altre persone al di fuori di lui fu la sua rovina, nessuno sentì le sue urla.

Quando fu a pochi centimetri dalle gambe della scrivania, Dennis lo girò a pancia in su per godersi la sua espressione terrorizzata che lo fissava dal pavimento.

«Ma che cazzo stai facendo?!»
«Lascia che ti dica quale sia la mia specialità "intellettuale".» prese un altro grosso testo dalla libreria mentre Toby era rimasto impietrito sul pavimento, «Ed è la filosofia della morte!»

L'ultima frase uscì con un tono così diabolico da farlo sembrare pronunciato da uno scienziato pazzo, poi Dennis cominciò a strappare delle pagine dal libro e ad appollottolarle creando delle grosse palle di carta.

«Non puoi farlo! È illegale!»
«Per questo è divertente.»

La prima palla di carta finì dritta in bocca a Toby, che non fece nemmeno in tempo a urlare, poi ne seguì una seconda, una terza e una quarta. Dopo la sesta palla di pagine strappate che il ragazzo si ritrovò tra le labbra, il respiro cominciò a mancargli.

Dennis stava spingendo quella carta così in profondità da avergliela mandata dritta in gola, e l'aria stava faticando a passare. Il volto di Toby cominciò a diventare viola, il suo corpo prese ad agitarsi nella vana speranza di togliere quella carta e riavere un minimo di aria da respirare, ma quando alzò una mano per farlo, Dennis gliela rigettò sul pavimento con un calcio e, sempre con quella sua forza, glielo ruppe.

Solo allora Toby si rese conto che anche sotto la suola delle scarpe Dennis aveva il nastro adesivo. Il ragazzo magro non potè nemmeno urlare di dolore perché quella carta gli impediva di fare qualsiasi cosa, potè solo sentire una scossa di dolore salire dal polso fino alla spalla e non fare proprio niente.

Intanto Dennis era passato a un secondo libro e stava strappando quattro pagine alla volta fino a raggiungere già la metà del volume. Ormai nella bocca della sua preda non c'era più spazio, così Dennis rimase ad osservare divertito quella faccia gonfia di carta e viola come una melanzana.

Toby tentò così di usare l'altra mano ma non incontrò una sorte diversa, Dennis gli ruppe anche il secondo polso.

Dopo un po', Dennis andò verso la parete con le foto, ne staccò una e aiutandosi con il nastro adesivo, la appiccicò sul volto di Toby che finì per agitarsi ancora di più. Il ragazzo stava muovendo la testa da una parte all'altra velocemente mentre il suo aguzzino stava attaccando non il nastro adesivo ogni centimetro di quella foto sul suo volto, comprendo principalmente gli occhi, il naso e bocca.

Dopodiché, stufo delle ginocchiate che sentiva dietro di lui, Dennis attaccò con il nastro adesivo le braccia e le gambe di Toby al pavimento, facendogli assumere una posa da stella marina.

Nonostante fossero passati quasi quattro minuti, Toby non sembrava intenzionato a dargliela vinta, stava resistendo con una determinazione quasi ammirevole. L'essere umano solitamente non può non respirare per più di due minuti. Nel mentre che quel povero ragazzo si agitava sotto i chili di nastro adesivo che lo bloccavano al pavimento, Dennis andò verso la scrivania e spostò il pensate mobile di legno ai piedi della sua preda.

Rimase ancora qualche istante a godersi quella scena appoggiandosi coi gomiti sul tavolo e con un sorriso diabolico e soddisfatto, sentendo l'ego del suo compagno sparire rapidamente e venire sostituito dal terrore. Poi, concludendo che la cosa era andata già troppo per le lunghe gli diede il colpo di grazia: afferrò la pesante scrivania da sotto al piano di lavoro e la ribaltò sul corpo di Toby che lo colpì, dritta e spedita, sullo sterno, uccidendolo.

La stanza piombò nel silenzio più totale, il corpo del ragazzo rimase immobile, sotto la pesante scrivania riversa su di lui. Dennis andò lentamente verso il viso del ragazzo ricoperto dalla foto del filosofo per assicurarsi che ormai fosse morto e, tanto per accrescere la sua opera, prese la sedia e la riversò sulla testa del cadavere.

Dopodiché prese il grosso libro con la quale era iniziata la collutazione, si alzò il cappuccio della giacca sulla testa e uscì dall'edificio.

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