Nothing so far

By klarizak

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> Cosa succede se amore e odio si scontrano, creando un legame indissolubile? Eden Carter è giovane, per ques... More

Playlist consigliata per la lettura
AVVERTENZE
Prologo
Chapter 1
Chapter 2
Chapter 3
Chapter 4
Chapter 5
Chapter 6
Chapter 7
Chapter 8
Chapter 9
Chapter 10
Chapter 11
Chapter 12
Chapter 13
Chapter 14
Chapter 15
Chapter 16
Chapter 17
Chapter 18
Chapter 19
Chapter 20
Chapter 21
Chapter 22
Chapter 23
Chapter 24
Chapter 25
Chapter 26
Chapter 27
Chapter 28
Chapter 29
Chapter 30
Chapter 31
Chapter 32
Chapter 33
33.5
Chapter 34
Chapter 35
Chapter 36
Chapter 37
Chapter 39
Chapter 40
Chapter 41
Chapter 42
Chapter 43
Chapter 44
Chapter 45
Chapter 46
Chapter 47
Chapter 48
49. Il giorno in cui...
50. ...vinse la morte.
-Epilogo-
Ringraziamenti
Avviso🥀
Stiamo tornando...🤍

Chapter 38

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By klarizak


-La vita non è aspettare che passi la tempesta,
ma imparare a ballare sotto la pioggia."

Mahatma Gandhi.

Andrew

Tornare a scuola, dopo più di una settimana trascorsa senza nemmeno vedere un libro scolastico, fa proprio schifo.

Ci mancava solo il test di storia.

A che mi servirà la storia, nel corso della mia vita?

Okay, ci sono state guerre e si dice che la storia si studi per non ripetere gli errori passati, ma non mi sembra che il mondo sia migliorato molto, perciò che cazzo me ne frega delle rivoluzioni avvenute in passato!?

E in più Eden mi ricorda che devo studiare, per assicurarmi di passare l'anno. Sappiamo entrambi che non ce la farò, probabilmente mai.

Il novanta per cento del tempo la mia mente è da tutt'altra parte, che senso ha continuare a tentare, se poi fallisco sempre.

"È il liceo, sopravvivrai" mi ripete Thomas, dandomi una pacca sulla spalla.

Peccato che io voglia vivere, non ha senso accontentarsi della sopravvivenza.

Non sopporto di avere ansia per un test, che so determinerà il mio percorso. Ma oggi dico basta, alla mia mente, davvero, non sopporto più quella stronza.

Come va, va.

Entro a scuola seguito dai miei amici e, quando vedo Eden al suo armadietto, cammino nella sua direzione.

È talmente assorta nel cercare qualcosa all'interno dell'armadietto, che nemmeno si accorge della mia presenza alle sue spalle.

Perciò, quando le cingo la vita con le mani, lei sobbalza leggermente e si volta verso di me.

Ci guardiamo per un paio di secondi mentre la tengo stretta a me e poi sorride.

"Ciao." mormoro, finalmente felice.

"Ehi", accenna un sorriso, ma c'è qualcosa che non va, perché la sua concentrazione torna immediatamente a ciò che stava facendo.

"Che cerchi?" Domando incuriosito, deve essere importante.

"Ho perso una cosa." borbotta distrattamente.

Le sue lamette. Le ho prese io, tutte.

Possibile che ne abbia anche dentro l'armadietto? No, non credo proprio.

"Dovremmo andare, c'è il test di storia, no?"

Tento di distrarla dal suo obbiettivo in ogni modo possibile, anche se farei di tutto pur di saltare quel dannato compito. Non ricordo nulla di quello che ho studiato.

Di quello che ho provato a studiare, per la precisione.

Ma Eden sembra intenta a non farmi sospettare nulla, perché chiude di scatto l'armadietto, voltandosi verso di me con un debole sorriso in volto.

"Kat?" Domando guardandomi in giro, strano non siano insieme.

"Ha preso il raffreddore, deve aver fatto una delle sue camminate al gelo, ieri".

Annuisco e, mentre cingo la spalla di Eden con un braccio, ci dirigiamo verso la classe della prima ora.

Sì, proprio storia, che fortuna.

Mi siedo di fianco ad Ed, certo del fatto che lei ha studiato, conoscendola.

L'inizio effettivo della lezione, e del compito, non tarda ad arrivare. La professoressa è persino arrivata in anticipo, dandomi la certezza che non è stata investita, come avevo pregato solo la notte prima.

Le verifiche sono tutte uguali, ringraziando il cielo, ma i banchi vengono distanziati di ben cinque centimetri l'uno dall'altro.

Pensate un po' che stronzata, eh!

Quando il compito arriva anche a me, penso che forse andare a zappare la terra non sarebbe così male.

Non è la giornata giusta per questo tipo di...cose.

Non saprei come altro definire i geroglifici che leggo sul foglio.

"Il risultato di questo test varrà il 50% del voto di fine semestre. Prego, iniziate!"

Annuncia la professoressa, acuendo ancor di più il senso di ansia che si è attanagliato al mio stomaco un'ora fa.

Ho appena dimenticato le poche risposte che sapevo, grandioso.

Getto un'occhiata in direzione di Eden, che scrive freneticamente sul foglio. Scontato.

L'ennesima F, fa nulla. Non ce la faccio a vivere pensando di valere quanto una lettera.

Osservo inerme il foglio, cercando di farmi venire qualcosa in mente, ma nulla. Il vuoto più totale, e dire che ho anche provato a studiare.

"Passamelo", sento bisbigliare accanto a me.

Alzo lo sguardo verso la professoressa, che lavora al computer, non preoccupandosi della classe, dato che ognuno sembra star lavorando in silenzio.

Guardo Eden confuso, per poi mimare con il labiale un 'no'. Se la professoressa ci vedesse annullerebbe entrambi i compiti, e non lascerò che rischi per me.

Prima che possa tornare a fissare il mio foglio, Eden si sporge leggermente e lo afferra, e sotto le mie mani ce n'è uno con tutte le risposte scritte.

Tutte le crocette sbarrate.

Merda, non può averlo fatto davvero.

Passano circa dieci minuti e la professoressa è stata chiamata per risolvere una questione urgente, perciò noialtri continuiamo a lavorare in silenzio, o meglio, gli altri lavorano in silenzio.

Eden scambia nuovamente i fogli con uno scatto fulmineo. Le risposte sono state scritte tutte, con una calligrafia più simile possibile alla mia e le crocette sono state tutte sbarrate.

Le devo un favore enorme, davvero.

E non parlo solo di questo stupido compito, in qualche modo, Eden sa sempre come aiutarmi.

La ringrazio con un sussurro e il suo sguardo, che si avvicina più alla delusione che ad altro, si tramuta in un debole sorriso incoraggiante.

Detesto deluderla.

In generale, detesto deludere chi amo.

Al rientro in aula della professoressa, siamo di nuovo tutti in silenzio e la campanella non tarda a suonare, annunciando la fine dell'ora.

Consegno la verifica alla velocità della luce, uscendo dalla classe con un senso di angoscia che mi schiaccia il petto.

Sono stanco di fallire.

Non so più cosa fare e temo di star impazzendo, mancano solo tre giorni al cinque dicembre.

Tre giorni in cui il tempo sembra non scorrere mai.

E, per quanto abbia tentato di non darlo a vedere, sono dannatamente preoccupato.

Mi dirigo verso il bagno dei ragazzi, che stranamente è vuoto. Mi getto verso uno dei lavandini, apro il getto d'acqua il più possibile, lasciando scorrere l'acqua gelida, che dopo pochi secondi finisce sul mio viso con un gesto scattante.

Continuo a gettarmi acqua sul viso finché non sento le narici colme, e non riesco più a respirare.

Con le braccia ben salde al marmo del lavello, osservo il mio riflesso nello specchio.

Il viso bagnato, i capelli spettinati, le occhiaie.

Davvero piaccio ad Eden, con questa faccia da cazzo?

È proprio lei a distrarmi dai pensieri che mi assillano. Quando vedo il suo riflesso dietro di me, il mio cuore salta un battito.

Mi volto di scatto, passandomi una mano sul viso freddo come quello di un cadavere.

"Che succede?" Domanda avvicinandosi cauta.

Anche se so che è Eden, e che non mi farebbe mai del male, mi sento minacciato, mentre mi si avvicina.

Non voglio che il panico l'abbia vinta anche stavolta.

Respiro ed inspiro profondamente e il mio petto si muove in maniera irregolare.

Ingoio il groppo apparentemente insormontabile che avverto in gola, e riprendo il controllo di me stesso.

"Nulla, sto bene".

Tiro fuori queste poche parole dalla bocca, che vengono fuori sotto forma di un sussurro quasi impercettibile.

Massaggio le palpebre con il pollice e l'indice, per mettere bene a fuoco l'ambiente in cui mi trovo.

"Non è vero, che succede?" Domanda Eden con tono apprensivo, facendosi sempre più vicina.

Veniamo interrotti da un ragazzino, molto probabilmente del primo anno, che entra in bagno. Eden si volta nella sua direzione, con uno sguardo incendiario.

Il ragazzo, serrando le labbra, esce in silenzio dalla porta.

Mi scappa una risatina.

"Lo hai spaventato".

"Credo di sì." sussurra, non preoccupandosi di nascondere il sorrisetto che si stampa sul suo volto.

Restiamo in silenzio per qualche attimo finché Eden non rompe completamente la distanza, accarezzandomi la mano con le dita.

Il suo gesto delicato mi costringe ad abbassare lo sguardo.

"Ti stai perdendo l'ora di inglese." mormoro a bassa voce.

"Non importa." ribatte facendo scorrere il suo tocco lungo il mio braccio.

Il silenzio aleggia intorno a noi, ciò significa che la seconda ora è già iniziata.

La fronte di Eden si poggia sul mio naso, lasciandomi inebriare del suo profumo dolce e fresco, che mi dona un momento di calma.

"Eden, vai".

La voce mi viene fuori quasi infastidita e mi pento subito del modo in cui mi sto comportando, ma non riesco a fare altrimenti.

"Non ti lascio, te l'ho promesso".

Giusto.

Colpa mia.

Con lo sguardo rivolto verso il basso osservo la punta delle scarpe e, dopo un lungo respiro, sussurro:" Pomeriggio vedo la psicologa, poi passo a prenderti, d'accordo?"

Alzo gli occhi e osservo le sopracciglia di Eden arcuate in un'espressione confusa.

"Primo, è meraviglioso che tu vada dalla psicologa, sono fiera di te. Secondo, che significa che passi a prendermi?"

Sento un sorriso farsi spazio in me mentre contemplo il suo viso che cerca di captare qualche informazione dalla mia espressione.

"È una sorpresa".

I nostri nasi si toccano e sto per baciarla quando si stacca improvvisamente da me.

"Stronzo." mi insulta puntandomi un dito contro, accompagnando l'insulto con una risata.

Esce dal bagno per andare in classe, e so già che cercherà qualche scusa patetica per il ritardo, come suo solito.

Torno a guardarmi nello specchio, ormai solo, e sento che il colorito sano sta ricominciando a rimpadronirsi del mio volto.

È passato, anche stavolta.

Per ora.

🪐🪐🪐

Arrivo a casa prima di quanto pensassi, trascorrendo il tempo camminando per le stradine che conducono fino a casa mia.

Rigiro la chiave all'interno della serratura che scatta dopo i soliti due giri verso destra. Ad accogliermi è la figura esile di mia madre, che oggi non mi aspettavo di vedere per pranzo, in quanto sarebbe dovuta rimanere a lavoro per alcuni affari in corso.

"Ehi." mi saluta allegramente con un bacio sulla guancia.

"Ciao", ribatto leggermente svogliato.

La giornata mi è passata davanti così lentamente, che non voglio nemmeno pensare che tra tre ore al massimo dovrò tornare da Anne. Sono quasi convinto che quella donna voglia farmi il lavaggio del cervello.

Ma non posso fare a meno di parlarle, anche se non la vedo per giorni, settimane, o addirittura mesi, Anne resta la persona meno simile ad una psicologa che mi sia mai capitata nel corso della mia terapia.

E per questo gliene sono grato.

Quando sono con lei non mi sento un paziente da psicanalizzare, ma solo un ragazzino con cui le piace parlare.

Sono solo Andrew, e non Andrew Jones, quello che soffre di disturbi derivanti dall'ansia da quando aveva sette anni, perché suo padre è una merda e ha cercato di ucciderlo.

Non sono niente di tutto quello che dicono gli altri.

"Andrew, mi ascolti?"

La voce squillante di mia madre mi risveglia dal mare di pensieri nel quale mi ero perso. Chiudo gli occhi e li apro dopo qualche secondo, per riprendere la concentrazione.

"Sì, ti ascolto".

"Hai deciso, per oggi pomeriggio?"

Alzo lo sguardo e i nostri occhi, dello stesso azzurro brillante, si incontrano. Indugio sulla risposta, come a riflettere, solo per fare chiarezza tra i flussi della mia mente.

"Sì...ci vado, ma dopo non torno a casa, non aspettarmi per cena".

Ho intenzione di fare una sorpresa ad Eden. E che nessuno venga a dirmi che è un gesto romantico, perché non è assolutamente quello il mio obbiettivo.

Voglio solo ringraziarla con un gesto...carino.

È paradossale: detesto il romanticismo ma sono un'inguaribile romanticone.

Insomma, non è da tutti saltellare dalla gioia quando i due protagonisti di un romanzo rosa si sfiorano, mettendo da parte l'astio che c'era precedentemente tra loro.

E no, non mi riferisco a me ed Eden.

"Perché, che fai?"

Mia madre e il non saper farsi i fatti propri camminano sempre insieme, ma ormai non ha nemmeno più senso cercare una scusa, credo sia palese che tra me ed Eden c'è qualcosa.

Solo uno stupido non lo noterebbe, soprattutto dopo ieri sera.

"Esco con Eden." dico abbassando lo sguardo e giocherellando con l'elastico che porto al polso.

Mi costringo a reprimere un sorriso dinanzi alla bocca spalancata di mia madre, che noto con la coda dell'occhio.

"Allora è vero! Ho appena vinto venti dollari, figlio mio".

Alzo lo sguardo corrugando le sopracciglia, confuso più che mai. Mamma si stringe nelle spalle, rivolgendomi un sorrisetto.

"Oh e va bene, io e Charles avevamo scommesso. Lui diceva che non avresti mai notato davvero sua figlia, io pensavo tutto l'opposto. Il mio sesto senso non sbaglia mai".

Mi fa l'occhiolino e mi ritrovo a fissarla con occhi strabuzzati.

La mia bocca è spalancata in una "o" perfetta, mentre cerco di capire come sia possibile che mia madre e Charles Carter si dilettino a scommettere sui loro figli.

È scioccante cosa provoca l'avanzare degli anni, in certe persone.

"Non guardarmi così, è stato divertente sentirvi entrare in casa dopo quella festa, ti ricordi?"

Sento il cuore come se fosse adornato da fiamme, mi brucia il petto e un senso di calore mi pervade. Mi ritrovo a sorridere al pensiero di quella sera.

Quando il solo pensiero di sfiorare Eden mi provocava un senso di paura, e forse anche di disgusto. Non la conoscevo, mi aveva solo aiutato in un momento di debolezza, non volevo starle vicino.

Poi ho capito che avevo solo paura che mi piacesse da impazzire, starle vicino.

"Come ci hai sentiti?" Domando quando mi rendo effettivamente conto di ciò che ha detto mia madre.

"Non siete stati molto silenziosi." ridacchia lei senza guardarmi negli occhi.

Non riesco più a trattenere una risata, che viene fuori come un'esplosione di gioia, quando in realtà mi sento più in imbarazzo che mai.

"Va bene, se tu dimentichi questa storia, io non penserò a cosa avete sicuramente fatto tu e Charles, quando non c'eravamo!"

Esclamo fuggendo dal suo sguardo, per rintanarmi nella mia stanza.

"Andrew Jones!" Urla con tono sfacciato, rovinato da una risata.

Mi chiudo in camera e, girovagando da un'estremo all'altro del perimetro, cerco un'idea su cosa fare stasera.

La verità è che non è ho la benché minima idea.

Penso, penso, penso e ripenso.

Cosa piace alle ragazze? Qualcosa che non sia scontato, questo è certo.

Forse sbaglio domanda da pormi, non devo chiedermi cosa piace alle ragazze, ma cosa piace a Eden Carter.

Perché lei non è come tutte le altre ragazze che hanno fatto parte della mia vita.

Delle altre non mi importava granché, le trattavo con rispetto, ovviamente, ma nessuna era in grado di farmi sentire quel che sento per Eden.

La cosa che più mi fa infuriare è non riuscire a dare un nome a ciò che provo, è avvilente, davvero.

C'è solo un problema: non so davvero cosa ama Eden.

Oltre al suo amore viscerale per la lettura, e il cacciarsi nei guai, non so molto di quel che le piace.

Non so nemmeno il suo colore preferito, ed io sono uno che intuisce molto delle persone in base al loro colore preferito.

Perciò stasera è l'occasione perfetta per mettere fine a questi miei dubbi idioti.

Continuo a girovagare per la stanza, come se all'improvviso mi verrà qualcosa in mente, se continuo così.

Lo ammetto, non ho mai avuto un appuntamento, sono una frana, non scherzo.

Ma fortunatamente ho la persona perfetta a cui chiedere un consiglio.

No, non parlo di Thomas, se chiedessi a lui probabilmente finirei con Eden in un luogo deserto e finiremo accoltellati da dei criminali.

Nemmeno Ryan è la persona più indicata a cui chiedere, per ovvi motivi.

Allora a cosa serve cercare di entrare nelle grazie della migliore amica della ragazza che ti piace? Be', a questo.

Chi meglio di Kathrine conosce Eden? Nessuno.

Compongo il suo numero e la sua voce gioiosa non tarda molto, prima di rispondere dall'altro capo del telefono.

"Che vuoi, Jones?"

Okay, forse gioiosa non è proprio l'aggettivo più adatto.

"Kathrine Jennes, luce dei miei occhi..."

Sono proprio un paraculo.

"Datti una mossa, Andrew, mio caro." mi interrompe all'istante con tono canzonatorio, facendomi alzare gli occhi al cielo.

"Mi serve il tuo aiuto".

🪐🪐🪐

Alle quattro e mezza del pomeriggio, seppure in ritardo, sono pronto per l'appuntamento con la psicologa.

Sono stato trattenuto da Kathrine che, ammetto, sa essere più logorroica di quanto immaginassi, ha iniziato a raccontarmi una storia lunghissima sul perché dovrei portare Eden nel posto che mi ha consigliato.

La cosa più strana? Devo farlo esattamente al tramonto.

Ovvero tra circa tre ore e mezza, per essere precisi.

Sto per fare qualcosa di romantico? Sì. Sono certo di essere me stesso? Francamente non lo so.

"Esco! Ci vediamo, mamma".

Urlo al vento mentre, in fretta e furia, mi precipito fuori di casa, per non arrivare in ulteriore ritardo all'appuntamento con Anne.

Tanto rimarrò per sempre il suo paziente preferito.

Arrivato a destinazione, la segretaria non mi lascia nemmeno spiegare, si limita a borbottare un 'sei il solito, Andrew', per poi farmi accomodare nello studio del capo, dove trovo Anne già in posizione di attacco.

"Andrew, cosa ti ho detto sul ritardo?" Domanda con tono severo e le braccia incrociate al petto.

Tiene i capelli raccolti in uno chignon perfetto, che le dona un'aria più autoritaria, ma che con me non attacca.

Chiudo la porta con uno scatto ancor prima che mi venga chiesto, e vado a sedermi di fronte a lei, fingendo un'espressione dispiaciuta.

"Non capiterà più, promesso".

Pronuncio queste parole con serietà, mentre tengo le dita incrociate dietro la schiena. Cuore non vede, cuore non duole, no?

"Sono seria, Andrew. Non sei il mio unico paziente".

"Ma sono il tuo preferito." la sfotto con un sorrisetto compiaciuto.

"Narciso," borbotta lei, sottovoce. Anche se io ho sentito benissimo ciò che ha detto.

Nascondo un sorriso, poiché il silenzio mi preannuncia che la donna di fronte a me sta per assumere la sua espressione seriosa, e inizierà a farmi le solite domande.

"Bene. Innanzitutto, come stai?"

"Non male".

Ho cercato di ammazzarmi.

"Sicuro?" Continua Anne con un cipiglio sul volto.

"Certo".

Non esattamente.

"Ne sono felice. La scuola come procede?"

Mi parla come se fossimo due amici di vecchia data che non si vedevano da tanto, e questo mi fa sentire molto a mio agio.

"Abbastanza bene, non mi assento più molto spesso".

E invece sì.

Eppure Anne sorride, perché mi crede, si fida di me. Mi dispiace mentirle.

"La bocciatura ti ha fatto bene".

Essere bocciato per aver saltato mesi di scuola non è di certo un vanto. Ho passato un intero anno con la paura di uscire di casa, di andare a scuola, di vedere chiunque.

Avevo paura mi venisse un attacco di panico davanti a tutti.

Perciò restavo a casa, oppure mi assentavo senza dirlo a mia madre.

Ed è così che ho saltato tre mesi di scuola come se nulla fosse. Mamma comprendeva quello che mi accadeva, ma di certo non potevo aspettarmi che acconsentisse a lasciarmi a casa per così tanto tempo.

Poi è arrivata una chiamata della preside.

Andrew Jones, bocciato.

Ho pensato: "meglio così".

Ma me ne sono pentito amaramente.

Però se non avessi perso un anno, probabilmente Eden non mi avrebbe mai notato, perciò per un certo verso sono felice di essere dove sono.

"Andrew!"

Sento esclamare, venendo strappato via dai miei pensieri.

"Scusa, pensavo".

"A cosa?" Domanda la donna di fronte a me, mentre gesticola con le mani come se stesse praticando del satanismo.

"All'anno scorso...a una persona".

Non so bene cosa dire e le parole slittano sulla mia lingua così velocemente, che temo di averne persa qualcuna.

"Pensavi ad una persona che era presente nella tua vita l'anno scorso?" Domanda inarcando le sopracciglia.

D'accordo, sono un disastro.

Prendo un respiro, mettendo in ordine le parole con le quali voglio esprimermi.

"Pensavo all'anno scorso, poi il pensiero è ricaduto su una persona." le spiego paziente.

"Chi?"

"Una persona importante," pronunciando queste parole non riesco a trattenere un sorrisetto, che tento di nascondere abbassando la testa istintivamente.

"Una ragazza?" Domanda curiosa "...o un ragazzo!"

Esclama, mettendo subito in chiaro le cose. Non nego che a volte ci siamo ritrovati a parlare di ragazze carine che vedevo a scuola, e le ho persino raccontato del bacio dato a Thomas.

"Una ragazza." ribatto mordendomi l'interno della guancia.

Il mio battito cardiaco accelera e sento il cuore in fibrillazione. Detesto che solo a nominare Eden il mio corpo reagisca così.

"Come si chiama?"

Questo è il momento in cui viene fuori Anne, e non più la psicologa che è in lei, che però non tarderà a tornare, come al solito.

"Eden," mormoro con un pizzico di gioia nella voce.

"Non sarà mica la ragazza di Ryan, quella di cui mi parlavi, vero?"

È sul punto di lasciarsi andare ad una risata, le basta guardarmi in volto per capire che la sua affermazione è corretta.

"Al cuore non si comanda." borbotto con il tono di una persona saccente.

"Ti piace, eh?"

"Da impazzire".

Ammettere ad alta voce che Eden Carter mi ha fatto perdere la testa, è la cosa più liberatoria che abbia mai fatto.

"Secondo l'etica dell'amicizia non avresti dovuto però...sembri più felice, o sbaglio?"

"No, non sbagli." ammetto sottovoce, come se avessi bisogno di tenere questa informazione per me, ancora per un po'.

"L'importante è una ripresa progressiva, come procedono i tuoi attacchi di panico?"

Eccola qui, la versione rompicoglioni di Anne. Trova sempre il modo per infilare nel discorso gli attacchi di panico, come se fosse una passeggiata parlarne, per me.

"Bene." mento spudoratamente, abbassando istintivamente lo sguardo.

Mi concentro ad osservare il pavimento, e la donna di fronte a me se ne accorge ben presto.

"Cosa intendi con 'bene', sono spariti, anche grazie ai farmaci, oppure riesci a tenerli a bada?"

"Intendo che non me ne libererò mai, però va bene." sbotto con tono più acido e sfacciato di quanto avrei voluto in realtà.

Lei mi osserva, non mostra un minimo di emozione, e questo mi fa infuriare. È come se non sentissi più nulla, dall'altra parte.

"Non è vero che non te ne libererai, Andrew. Ci vuole tempo, e lo sai bene".

Mi ritrovo a ridere, mentre mi sistemo sulla sedia, per la cazzata che ho appena sentito.

"Tempo? Tempo...tutti questi anni non sono serviti a nulla?" Domando affranto, nel ripensare a tutto quello che ho subìto.

Eppure non mi piace lamentarmene, preferisco mostrarmi forte, come tutti, del resto.

"Ricordi quando hai tentato di avere una ripresa veloce? Cercando di mettere da parte i problemi, lasciandoti andare..." inizia Anne.

Annuisco.

"Cos'è successo dopo solo poche settimane?" Domanda con tono canzonatorio, come a dimostrarmi che ha ragione, e so che è così.

"Ho avuto una ricaduta pesante".

"Appunto, a questo serve il tempo".

Acconsento con un cenno del capo, sperando che abbia ragione.

"Del resto mi sembra che ultimamente tu stia vivendo maggiormente la tua vita con serenità, tua madre mi ha parlato della gita scolastica, e le è sembrato andasse tutto bene".

Mi spiega con il solito gesticolare che certe volte mi dà sui nervi.

"Ho ancora paura dei temporali, non mi sento proprio tranquillo".

Ammetto, con un senso di vergogna e ansia che si insidia nel mio petto.

"È un trauma, serve a ricordarti che hai combattuto, ma non puoi liberartene." ribatte lei, cercando di convincermi.

No, non sono forte, non lo sono mai stato. Ho imparato a sopravvivere, ecco tutto.

Però annuisco, nonostante non sia pienamente convinto dalle parole di Anne. Voglio finire il prima possibile.

"Perché non provi a far fronte al tuo trauma?" Scatta come se un lampo di genio si fosse insinuato nella sua mente.

"Cosa dovrei fare, ballare sotto un temporale?" Domando scettico, non impegnandomi nemmeno a trattenere una risata.

Quando lei non risponde, però, inizio a credere che non stia scherzando. Storco il naso con espressione confusa, quasi divertita, tale è l'assurdità che ho sentito.

"È una stronzata." borbotto contrariato.

"Non devi farlo per forza. Si chiama imparare a danzare sotto la pioggia, accetta il trauma e affrontalo".

Non replico, tengo lo sguardo basso, pensando alle parole di Anne.

Qualche volta mi sono chiesto come sarebbe stato sentire la pioggia sul viso, i tuoni in sottofondo, e non esserne terrorizzato.

Mi chiedo come sia, la sensazione dell'acqua gelida che ti ricade sul volto, mentre i problemi sembrano diventare solo uno sfondo di quel momento.

Distrattamente controllo l'orologio alle spalle di Anne, notando che sono circa le sei e mezza del pomeriggio. Secondo i calcoli del maps nel telefono, ci vorrà almeno un'ora per arrivare nel luogo in cui ho intenzione di portare Eden.

Devo darmi una mossa.

Picchietto il dito sul bracciolo della sedia, Anne se ne accorge all'istante. Bene, come immaginavo.

"C'è qualcosa che ti preoccupa?"

Domanda riponendo il quadernetto sul quale stava scrivendo gli appunti della seduta, come sempre.

Si volta, osservando il punto esatto su cui si erano fermati i miei occhi poco fa.

"Non avevi detto di avere altri pazienti? Staranno attendendo da un po', ormai." dico come se nulla fosse.

"Hai da fare per caso, Andrew?"

Anne cerca di nascondere un sorrisetto, ciò significa che molto probabilmente ha già capito dove voglio andare a parare.

"Sì, effettivamente ho altre persone da vedere. Che ne dici di tornare, settimana prossima? Possibilmente in orario".

Mi rimbecca divertita. Poi si alza, ed io la seguo a ruota mentre mi conduce fuori dalla porta, per salutarmi.

Ci stringiamo la mano, come al solito, ma lei ha ancora qualcosa da dirmi.

"Divertiti con la tua ragazza, e non combinare casini." mi avverte, puntandomi un dito contro.

Mi allontano con un sorriso, pronto per andare a prendere la mia ragazza.

Eden

"Dove vai?"

Mi fermo sull'uscio di casa, avvertendo la voce di mio padre alle spalle. Mi giro lentamente nella sua direzione, con un sorriso che non vuole per nessuna ragione lasciare il mio volto.

"Esco" minimizzo.

"Dove e con chi?"

Domanda severo, mentre il suo sguardo analizza come sono vestita. Il vestitino giallo con fiorellini mi accarezza le ginocchia, un giubbotto di jeans e una borsetta nera completano il mio outfit, che sembra non andare molto a genio a papà.

Sto per sgusciare fuori di casa senza dare spiegazioni, quando il rumore di un clacson mi fa sobbalzare.

D'accordo, secondo i miei piani non sarebbe dovuta andare così.

"Devo andare, mi sa." dico innocentemente, indicando la porta alle mie spalle.

"Eden Rosie Carter!"

Entrambi i miei nomi, e il mio cognome nella stessa frase, ancora.

È diventato un hobby torturarmi, eh!

Ma oramai non ha più senso mentire, o inventare delle cazzate, mio padre sarebbe capace di riconoscere Andrew a metri di distanza, perciò

"Sto uscendo con Andrew, che tra l'altro mi sta aspettando, ed è maleducazione far aspettare le persone. Bene, buona serata, papino mio!"

Dico tutto d'un fiato, stringendo la borsa a tracolla tra le mani, quasi sgualciandola.

Esco senza nemmeno lasciargli il tempo di ribattere, l'ultima cosa che mi giunge alle orecchie, prima di chiudere la porta, è una delle sue solite raccomandazioni.

Prendo un respiro profondo e mi affretto a raggiungere l'auto, dove Andrew mi attende fumando una sigaretta, poggiato al cofano.

È meraviglioso, come sempre.

"Molto carino da parte tua, fumare proprio davanti casa mia, con mio padre che sicuramente ci spia dalla finestra".

Andrew si volta, tornando alla realtà, e i suoi occhi chiari incontrano i miei.

"Sei bellissima." mormora già ad un soffio dalle mie labbra.

"Ruffiano." borbotto prima di lasciare un bacio fugace sulle sue.

"Sincero, al massimo".

Pensa che sia bella. Andrew Jones pensa che io sia bella.

È paradossale, davvero.

Guardare nei suoi occhi, e leggerci una sincerità mai vista, mi fa battere il cuore.

"Ti stai già eccitando?" Domanda sarcastico.

Bene, è ancora Andrew.

Scoppio a ridergli in faccia, mentre mi metto comoda sul sedile, non potendo evitare di arrossire.

"Sei un'idiota".

"Per questo ti piaccio da impazzire." ribatte in tono canzonatorio.

Già.

"Convinto tu".

Alzo le mani in segno di resa, lasciando un'espressione gioiosa sul suo volto.

"Dove andiamo?" Domando d'un tratto, non riuscendo più a tenere a freno la curiosità, attanagliata a me da questa mattina.

Abbiamo intrapreso delle strade che non mi pare di riconoscere, o meglio, che non mi fanno venire nulla in mente.

"Lo scoprirai quando arriveremo".

Andrew tiene gli occhi incollati sulla strada, gettando un'occhiata nella mia direzione di tanto in tanto, accennando un sorriso.

"E dai!"

Mi lagno come una bambina sotto il suo sguardo divertito, mentre tengo le braccia incrociate al petto e lo sguardo fisso sulla strada, sperando che qualche dettaglio mi faccia riconoscere il posto.

Scruto il paesaggio intorno a noi e, oltre agli enormi palazzi che caratterizzano la città, non c'è altro.

"Quanto ci vorrà?" Chiedo con la stessa impazienza di una bambina il giorno di Natale, che non desidera altro che aprire i regali.

"Circa un'ora".

Risponde Andrew, allungando il collo per osservare un cartello stradale di fronte a noi che recita 'South Boston'.

Dove andremo a finire?

"Non mi stai portando in qualche posto sperduto per uccidermi, vero?"

Questa volta nella mia voce si avverte una nota di esitazione.

"Temimi." risponde lui, prima di scoppiare a ridere.

Lo seguo a ruota, lasciandomi andare ad una risata sincera.

"Thomas e Ryan?" Domando distrattamente, mentre scrollo un po' sui social con il telefono in mano.

"Molto probabilmente Thomas starà facendo un solitario a carte, Ryan starà studiando, come sempre".

"Mhh, divertente da entrambe le parti." mormoro con un sorriso sulle labbra.

Trascorriamo il resto del tempo in silenzio, non in un silenzio imbarazzante, ma come due persone che stanno semplicemente pensando ai fatti propri.

Il silenzio dura finché, come risvegliata da una brezza d'aria fresca, non inizio a scorgere il mare, realizzando dove mi sta portando Andrew.

Porto le mani alla bocca, scioccata e felice come una bambina.

"Mi hai portata a Carson Beach!"

Esclamo, avendo la conferma di ciò che dico quando riconosco il panorama inconfondibile. Il sole è in procinto di tramontare e il cielo si riempie di colori caldi.

Andrew si volta verso, con un sorriso smagliante stampato in volto.

"Ma...come facevi a sapere che amo questo posto!?"

"Ho le mie conoscenze." ribatte fieramente.

Kat. Sorrido tra me.

Impieghiamo poco prima di trovare un posto dove parcheggiare la macchina, a quest'ora la spiaggia è deserta.

L'aria fresca mi colpisce in pieno viso quando balzo giù dalla macchina e, benché faccia abbastanza freddo, impiego meno di un secondo prima di sfilare gli stivali per sentire la sabbia sotto i piedi.

Sento il cuore esplodere nel petto ad ogni passo che mi avvicina al mare.

Quando Andrew è al mio fianco, getto le mani intorno al suo collo, per baciarlo, più felice che mai.

"Mi hai portata fin qui, solo per farmi felice?" Domando ancora pervasa da un senso di incertezza.

Non riesco a credere di essere qui, dopo anni.

"Farei di tutto, pur di vederti sempre così felice".

Mi alzo in punta di piedi per arrivare alla sua bocca, che si unisce alla mia in un bacio pieno di foga.

Le sue mani mi cingono la vita, premendo più forte ogni tanto, in segno di provocazione.

Adesso tocca a me.

Mentre Andrew continua a lasciare una scia di baci languidi lungo il mio collo, io mi avvicino al lobo del suo orecchio destro, passandovi sopra la lingua.

Molto probabilmente lui non se lo aspettava, perché gli scappa un gemito sommesso.

"Stai rovinando tutto il romanticismo." mi sussurra all'orecchio e il suono della sua voce mi fa vibrare le gambe, tanto che, per non darlo a vedere, mi metto a sedere sulla sabbia.

Andrew fa lo stesso e restiamo inermi  a fissare le onde del mare che si infrangono sulla riva. Di tanto in tanto sento il suo sguardo addosso, ma non gli do peso.

Sono troppo incantata dal mare e dal tramonto.

Con le braccia incrociate al petto, mi ritrovo a sorridere, quando Andrew mi scosta una ciocca di capelli dal viso.

"Ti ricordi la storia delle stelle cadenti?"

Mi volto di scatto, al ricordo di quella storia mai raccontata. Annuisco entusiasta, sperando che finalmente me la racconti.

Attendo che parli, quando lui si sdraia supino sulla sabbia lo seguo, incurante dei vestiti che si sporcheranno.

Le nostre mani si intrecciano.

Osserviamo le prime stelle che iniziano a sbucare, mentre la luce lunare prende il posto degli ultimi colori tenui del giorno.

"Quando ero piccolo, e avevo bisogno di evadere da tutto, mio nonno materno mi portava a guardare le stelle sui prati più sperduti della città. Mia nonna è morta prematuramente, perciò lui ha dovuto imparare a cavarsela da solo, a respirare senza di lei.
Da solo non voleva più contare le stelle, non gli sembrava giusto, perciò ha trovato un'amica: la donna delle stelle, che io ho conosciuto poco tempo fa".

Lo osservo incantata da questa storia, bramando di sapere come mai adesso ci pensa lui a mandare avanti questa tradizione.

"Poi mio nonno è...morto, chiedendomi di continuare a contare le stelle cadenti, per sentirmi più vicino a lui. Lo faccio, ma l'ho sempre fatto da solo.
Tutta questa storia serviva a chiederti se vuoi essere la mia donna delle stelle".

Il cuore mi esplode nel petto, conoscere Andrew, sapere di più sul suo passato, mi fa sentire ancora più vicina a lui.

"Conteremo le stelle insieme." dico con fermezza.

"Per sempre?"

Non credo nel per sempre, vorrei rispondere, ma qualcosa mi ferma.

"Per sempre." confermo.

Stringo la sua mano più forte, rifiutandomi di lasciarla andare.

"Adesso voglio sapere qualcosa di te, perché questo posto è così tanto speciale?"

Scommetto che Kat non gli ha raccontato tutti i dettagli dietro a questa storia, perciò tocca a me farlo, nonostante non potermi godere semplicemente il cielo stellato mi faccia un po' male.

"Se vuoi, ovviamente." si affretta ad aggiungere Andrew.

No, è il momento.

"I miei genitori si sono conosciuti qui, si sono innamorati qui. Si sono conosciuti il sette luglio di diciotto anni fa. Perciò ogni anno, quel giorno, venivamo qui, per trascorrere una giornata in famiglia.
O almeno così è stato fino ai miei nove anni, non sono arrivata a dieci, purtroppo.
Questo posto mi è mancato per anni e sono felice di essere tornata, nonostante tutti i ricordi che riporta a galla".

Andrew ha ascoltato in silenzio per tutto il tempo, aspettando che finissi, prima di parlare.

"Ti prometto che ogni anno, il due di dicembre, ti porterò qui." sussurra, posando le labbra sulla mia mano, per lasciarvi un bacio delicato.

Sorrido debolmente quando un pensiero sfiora la mia mente.

Sta succedendo ancora.

La storia che si ripete.

Mi sto innamorando di Andrew qui, su questa spiaggia. Come è successo ai miei genitori.

Ma noi non avremo il loro stesso epilogo, non me ne andrò, lo prometto a me stessa.

Il momento colmo di purezza che si è creato, viene squarciato da un rumore sordo, che fa scattare Andrew all'istante.

Un tuono.

Andrew respira rumorosamente e poggio il palmo della mano sulla sua guancia, per costringerlo a guardarmi negli occhi.

"Andiamo?" Gli domando, apprensiva.

So bene che ha paura di guidare con il temporale, perciò meglio andare adesso, piuttosto che incappare nella pioggia battente tra un po'.

I tuoni sembrano ancora lontani, ma alcune gocce di pioggia iniziano a cadere sulle nostre teste.

"No, devo fare una cosa".

Non sapevo avrebbe piovuto, altrimenti non gli avrei mai permesso di uscire, conoscendo la sua paura, pur non sapendo da dove derivi.

Ma adesso non ho idea di cosa voglia fare.

Si alza improvvisamente, tendendo le mani nella mia direzione, per invitarmi ad alzarmi.

Le afferro, e ci ritroviamo in piedi sotto le prime gocce di pioggia.

Mi bacia, cosa che non mi sarei mai aspettata adesso, infatti in un primo momento ho gli occhi sbarrati per lo stupore, poi li richiudo per il piacere.

Quando si stacca da me, sento il suo respiro pesante e il cuore che batte all'impazzata.

Senza dire nulla, prende in mano il telefono, facendo partire una canzone che riconosco sin dai primi accordi.

The night we met.

È forse impazzito?

Dovrei assecondarlo o sta delirando?

"Non sono pazzo, asseconda la canzone. Lasciamoci andare, ti prego".

Okay, è impazzito.

Ma lo assecondo, perché amo la sua follia.

"The night we met." sospiro, pensando al titolo della canzone.

Andrew sorride debolmente sulle mie labbra.

"Che vuoi fare?" Domando mentre cerca di farmi fare un giro su me stessa, come se stessimo...danzando.

Seguo il movimento, le sue mani si posano sui miei fianchi e di istinto le mie finiscono sul suo collo.

"Imparo a danzare sotto la pioggia".

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AAAAAA questi due sono così carini che potrebbe venirmi il diabete.🤠

A parte i miei scleri, spero che questo capitolo un po' romantico vi sia piaciuto.

Sono innamorata di questi personaggi, così come tutti gli altri, e vorrei che la loro storia non debba mai terminare.

Innanzitutto...cosa vedrete nel prossimo capitolo?🔥

Azione, romanticismo, amicizia, mistero.

Vi dico solo che il capitolo quaranta sarà delirante, ma ci arriveremo pian piano.

Adesso vi lascio in pace.

Grazie per leggere Nsf.💝💝

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