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Door berenicelibri

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🇺🇸 Miami, Florida. In una realtà dedita al lusso ed al perbenismo, Jeongguk, annoiato milionario, è alla di... Meer

⚠️disclaimer⚠️ {spazio autrice}
presentazione {spazio autrice}
I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.
IX.
X.
XI.
XII.
XIII.
XIV.
XV.
XVI.
XVII.
XVIII
XX.
Epilogo.
{nota autrice}

XIX.

279 46 13
Door berenicelibri

Moderno è sinonimo di progresso; e progresso equivalente di scienza. Là dove vi sia progresso, indubbiamente avviene il cambiamento delle scienze. Ed in una società in cui la medicina diventa razionale, anche la scienza entra nell'ordinario delle giornate. C'è una spiegazione scientifica per qualsiasi cosa, anche per la più sciocca; talvolta, pretende di spiegare lo stato emozionale dell'individuo - quell'esperienza, impossibile da provare a parole, ma solo tramite l'incontro.

Abituati alla spiegazione scientifica e logica, il razionale tende a patologizzare, per volontà di spiegazione, e là dove ci sia qualcosa di inusuale, strano, immediatamente diviene patologico. Che siano sindromi, semplici mal d'amori, vi è una spiegazione logica per tutto.

Ed allora la domanda da farsi non è più il perché delle cose, ma quale sia - ammesso esista - il confine fra normale ed anormale. Per questo incomprensibile motivo, Taehyung vi si poneva al centro.

Stava sul marciapiede ad attendere Jeongguk; a crogiolarsi nervoso, pestandosi i piedi, puntandoli a terra e rigirandosi fra loro le mani. Sudavano per l'afa della spiaggia, ed indubbiamente appiccicose per il salmastro marino. Taehyung era in attesa della sua prova, di Jeongguk.

Aveva perso. Una partita giocata in partenza con la speranza di arrivare ad un traguardo impossibile, ma immaginabile. Man mano che si avvicinava alla fine, l'obiettivo della vittoria sfuocava sempre di più, e vedeva allontanarsi la luce della speranza, sempre più flebile, sempre più sbiadita. Quel traguardo, in principio immaginabile, man mano diveniva impossibile.

Nessun cambiamento, piuttosto la sola e diretta presa di coscienza del reale. Si diceva di non esser pessimista, anche se i suoi pensieri cinici lo contraddicevano; Taehyung mirava ad esser realista e con Jeongguk aveva solo sognato più del necessario.

Un rombo potente lo fece voltare. "Papi!" Jeongguk lasciò cadere il casco a terra, non si curò del tonfo. A lui importava solamente raggiungere Taehyung. "Papi!"

Ma era stato bene, nella migliore delle forme. E se avesse deciso di cessare d'intossicarsi con tutti quei veleni del suo strizzacervelli, il merito era solo di Jeongguk. Quanta forza d'animo in un solo esile corpo, per Taehyung.

"Sono venuto appena ho ricevuto il messaggio-"

Jeongguk gli si gettò al collo, con le braccia a cingerlo stretto. Ma lui rimase immobile.

Si lasciò abbracciare, toccare, perché quella sarebbe stata l'ultima volta in cui poteva aver contatto con lui. Poco dopo, reagì. Solo a sfiorargli i fianchi.

"Papi, che succede?" Jeongguk se ne accorse. Impaurito, con ancora le braccia al suo collo, cercò di fissare il suo sguardo in quello di Taehyung. Ma egli non ebbe il coraggio di ricambiare; guardava in basso, per la paura d'affrontarlo. "C-che succede?"

"Gguk..." balbettò.

"Tete, cosa c'è?" Jeongguk prese a baciarlo. Frequenti e veloci, ma dolci, baci sulle guance del più grande. "Parlami, ti prego."

Taehyung sospirò afflitto.

"Va bene, ho capito." Jeongguk si ritrasse da lui. Non lo baciava più, non lo abbracciava più. "È per quello che è successo a casa mia?"

"No, Jeongguk- per favore..." non seppe l'avvocato incominciargli un discorso; non seppe mettere in fila tutta la marea di cose che aveva intenzione di dirgli. Il risultato sarebbe stato pessimo.

"Ho capito. È per quello che è successo a casa mia." le lacrime gli scesero silenziose sul viso, e Taehyung, in quel frangente disperato, s'accorse d'amarlo ancor più di quanto sospettasse. "Lo so, è stata un'azione totalmente avventata. Non c'è nessun ma, per cui io possa, anche di poco, essere innocente." si asciugò le lacrime. "E per questo, ti prego- credimi, non farò un altro sbaglio di nuovo, te lo prometto!"

Gli si gettò di nuovo al collo. Ma stavolta, Jeongguk cercò le sue labbra, ed al posto dei soliti boccioli caldi, accoglienti, vi trovò puro acciaio, freddo come il ghiaccio, non in grado di ricambiare il suo fuoco di passioni. "Ehm- scusa, non volevo. Dimenticavo che siamo in pubblico..." surzò le lacrime con la manica fingendo un sorriso.

"Ascolta, Jeongguk." l'aria seria dell'avvocato lo spaventava. "Sono arrivato ad un punto della vita in cui devo fare i conti con me stesso, e..."

"Tae...?" Jeongguk andò in panico.

"Non voglio che pensi sia colpa tua, perché sei l'ultima persona a cui potrei dare carico di tutto ciò che mi è successo. Anzi, dovrei ringraziarti. Perché senza di te non avrei mai potuto guardare in faccia la realtà e capirmi." Taehyung lo amava, ma quella sua freddezza, quel suo trauma inconscio, ormai a galla, lo spingeva a celare, a recludere i suoi sentimenti in una perpetua botte di ferro su cui solo Jeongguk era stato in grado di tracciare degli stretti spiragli.

"Tete, mi stai lasciando?"

La voce del ragazzo si spezzò per il pianto. Durava fatica a respirare, parlare; i singhiozzi presero il posto delle azioni vitali, e con gli occhi lucidi, pieni di afflizione lo guardava inerme.

Senza dubbio Taehyung sapeva che lo avrebbe distrutto, che avrebbe lasciato cadere in frantumi quel cuore di cristallo che gli aveva affidato alle mani.

"Devo tornare in Ohio, dalla mia famiglia. Devo tornare a casa per me stesso."

Fu come un coltello nel petto. Jeongguk, con gli occhi spalancati, si staccò da quelli bassi dell'avvocato per guardare a terra. Il suo cuore era ormai in frantumi.

"Lasciami venire con te!" ristabilì il contatto perso. "Verrò con te, papi. Per favore fammi venire con te!" si divincolava davanti a lui. Feroce era quella passione che li legava stretti, ma da cui Taehyung sentiva il necessario bisogno di separarsi.

"Ascoltami, Gguk!" lo prese per i polsi, e l'altro si gelò a quel contatto freddo in grado di immobilizzare le sue passioni. "No, non puoi. Ho bisogno di prendermi un periodo di pausa da tutto, e purtroppo, a malincuore, anche da te. Devo... curarmi, sarebbe troppo difficile star qui a spiegartelo. Ma non posso trascinarti nel baratro della disperazione insieme a me."

"Tae, no! Cosa significa io voglio venire con te!" Jeongguk piangeva disperato.

"Non capiresti, piccolo mio."

Interruppe quel contatto, quel tenerlo a lui stretto, perché ormai la sua decisione di separarsi da lui era stata presa. Taehyung non lo avrebbe più rivisto. O almeno, non l'avrebbe rivisto finché non si fosse curato abbastanza da donargli tutto sé stesso in una relazione genuina. "Non so se tornerò, Jeongguk."

Lui, col cuore in mano. Lo fissava afflitto, ancora incredulo.

"H-hai qualcun altro?" ma, in realtà, non osava sapere la risposta.

"No, Jeongguk." stentava però a credergli. "Non ho nessun altro, non ho mai avuto nessun altro. Se vuoi tutta la verità, sappi che ho avuto una sola relazione in vita mia, oltre a te. Per il resto, dovrai aspettare."

"No, Taehyung. Ti prego, non lasciarmi!"

Si portò le mani alla faccia, a coprirsi le lacrime, a scostarsi i suoi capelli platino che pendevano sugli occhi vitrei per via del pianto. "Ti prego, non farlo."

"Devo." freddo e statuario, al contrario Taehyung nascondeva anche le sue di lacrime sotto una coltre che lui stesso si prefiggeva.

"Non farlo!"

Ma era quello ciò che Taehyung, una volta per tutte, s'era imposto per guarire. E per tornare da lui.

Un lieve respiro di dolore, che gli lacerava il petto, lo attraversò in un afflato. Il suo dolore si trasformò in rabbia perché, di fatto, non sapeva gestirlo, tanto meno trattenerlo. Perché l'emozione, specie quella in negativo, qualora sia repressa, torna sempre più forte. E Taehyung tratteneva quel dolore camuffato in rabbia da anni.

Ma Jeongguk, che ignaro ed afflitto dal dolore si gettò a terra, con le mani candide, affusolate, ancora a coprirsi il volto. Si disperava, al contempo non si vergognava, per piangere in ginocchio sul marciapiede di South Beach davanti ai passanti.

"Jeongguk, alzati!" Taehyung tuonò autoritario. "Alzati, non è piangendo che otterrai ciò che vuoi."

"Non farmi questo, papi." mugolava con le parole soffocate sulla faccia. "Io ti amo, ti amo davvero, Taehyung."

L'avvocato guardò per aria, a domandarsi come tanto coraggio, tanto cuore ed ardore fossero riposti in quella piccola persona che il destino per caso gli fece incontrare. Non lo aveva usato come mero oggetto per la propria espiazione, perché la loro era stata una relazione alla pari, la più sana e genuina ci fosse. Perché Taehyung lo amava, e lo amava più di chiunque altro. La sola nota discordante era il suo lato tossico, che s'imponeva di reprimere, ma con cui, adesso, era costretto a fare i conti se voleva tornare indietro da lui.

"Sei un bambino, Gguk. Che ne sai tu dell'amore... che ne sai." recitò quella parte sua non propria, che facesse passare tale separazione come rottura.

"So che ti voglio bene, Taehyung!" gridò ancora. E quelle parole gli fecero più male di un ordinario Ti amo.

"Adesso devo andarmene." s'infilò le mani in tasca, a trattenere le lacrime degli occhi ormai lucidi. "Spero che questo addio si trasformi in un arrivederci col tempo, che abbia il coraggio di tornare, di star bene per te."

Il cuore di Jeongguk venne umiliato. Taehyung silenzioso rientrava nella sua Cadillac parcheggiata sulla passeggiata, ricolma di bagagli.

Jeongguk non seppe la verità, e non l'avrebbe saputa finché Taehyung non fosse tornato, e non fosse stato lui, di sua sponte, a raccontargli in tutto e per tutto il suo passato. E di come quel piccolo ragazzo biondo, platinato e viziato, era riuscito a cambiarlo.

Jeongguk non seppe nemmeno che ventun giorni prima Taehyung aveva trovato nei vecchi ritagli di giornale, che dall'Ohio lo avevano seguito fino i Florida, un album pieno di ricordi, in cui, con cura, egli aveva riposto ogni sua singola memoria, ogni suo singolo vissuto. La sua storia, i suoi viaggi, le foto con Catherine, con Joe. Niente che non gli fece spuntare il sorriso.

Sua madre seguiva nelle successive pagine ingiallite, quasi accartocciate. Quelle foto incollate con della roba gialla, appiccicosa, ormai marrone per il tempo trascorso. I cappelli della donna gli strapparono una risata. Ne aveva uno per ogni circostanza, e si ricordò che il suo preferito era quello che indossava sempre quando veniva a trovare suo figlio, ormai cresciuto.

Ma dalle scartoffie saltò fuori un frammento. Introvabile, nascosto con cura, perché nessuno - forse Taehyung - lo trovasse.

Si abbassò a terra per raccoglierlo. Cadde di faccia, con il retro sporco di quella sostanza marrone delle altre foto.

La volse ed i suoi occhi cominciarono sudare. Lacrime silenziose gli scendevano giù per il volto, a bagnargli le guance sbiancate per la sorpresa.

Il cuore prese a battere forte, il respiro a venire meno. Le pareti della stanza a soffocarlo, a dargli il senso di morte. Ma domò quel che d'oppressione; per la prima volta ci riuscì. Rivide, finalmente, la luce in fondo al tunnel che credeva d'aver perso e che flebile ritornò al sicuro nell'oscurità. Visibile, e solo per un attimo, come un bagliore.

La vecchia polaroid lo ritraeva piccino, con una canna a pesca in una mano ed un pesce appena preso nell'altra. A fianco a lui, con la chioma ricciuta ed il sorriso stampato sulla faccia, suo padre.

Fiero ed orgoglioso di lui lo teneva per un fianco. Lo abbracciava. Ed il piccolo Taehyung contento, anzi felice, a bearsi di quelle attenzioni.

S'accasciò a terra, con la schiena poggiata al lato del letto. E mormorò, con la voce rotta dal pianto. "Ti voglio bene."

Capì che era il momento d'affrontare il suo passato, di guardare in faccia la realtà. Di smettere di negare di avere un problema, di ammettere a sé stesso che aveva bisogno d'aiuto.

Ma ringraziò in cuor suo Jeongguk che, pur piccolo ed inconsapevole, aveva aperto il suo cuore, lo aveva squarciato, in modo che quelle mille farfalle d'emozioni venissero fuori tutte insieme ed irrompenti.

Era tempo per Taehyung di guarire, e finalmente amarlo.

Cercava la seconda possibilità, e stavolta non l'avrebbe sprecata. "Ti voglio bene, papà."

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