Miami Heat | VK

Oleh berenicelibri

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🇺🇸 Miami, Florida. In una realtà dedita al lusso ed al perbenismo, Jeongguk, annoiato milionario, è alla di... Lebih Banyak

⚠️disclaimer⚠️ {spazio autrice}
presentazione {spazio autrice}
I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.
IX.
X.
XI.
XII.
XIII.
XIV.
XV.
XVI.
XVIII
XIX.
XX.
Epilogo.
{nota autrice}

XVII.

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Oleh berenicelibri

Il tuo solo pensiero, la tua sola immagine. Tutto ciò basta a farmi innamorare ancora una volta di te. Non riesco ad andare oltre il semplice complimento; non riesco a dichiararti ciò che realmente provo.

Non so se sia stata l'esperienza a ridurmi ad un insensibile ceppo che in realtà, nel buio più profondo, arde nascosto per te. Non so se sia questo mio innato bisogno di proteggermi dalle ferite.

Mi sento in colpa, poiché non riesco a darti ciò che realmente meriti - un amore vero, genuino. E non dirmi il contrario, piccolo mio, perché se per adesso è abbastanza, nel tempo si affievolirà; ed io per te non sarò sufficiente, indubbiamente vorrai avere di più. Perché è giusto così, tesoro. E ti comprenderò, se mi lascerai. Rischierei di ridurre in frantumi il cuore che mi hai donato.

Ho bisogno che tu mi dica di amarmi, perché io non posso. Vorrei, ma non riesco. Trovo di continuo un muro sulle mie labbra che m'impedisce di darti più di abbastanza.

Ed ogni volta mi sorprendi; rendi mediocri le mie osservazioni ciniche e sfiduciose con un pensiero profondo. Il tuo ottimismo verso la vita non ha uguali, ed ogni volta cerco di confutare i tuoi sentimenti, come fossi a processo.

Sei l'unico imputato contro il quale non posso vincere, amore mio. Perché sei stato tu ad incarcerare il mio cuore, sei stato tu a rendermi inerme, debole - tutto ciò che un vero uomo non dovrebbe essere.

Ti sono bastate poche parole per rivoltare il mio mondo, queste stupide quattro mura di carta fragili che mi sono costruito per resistere a ciò che non volevo affrontare.

Susciti le mie emozioni, tutto ciò che credevo aver disseminato lungo i passati viali della mia vita. Mi hai insegnato - pur piccolo - che ad un uomo è concesso piangere. Detesto ammetterlo, ma il modo dolce che hai di commuoverti, quelle lacrime che scendono in silenzio sono il motivo per cui il mio cuore batte più forte.

Detesto esser debole, ma tu lo fai sembrare così sublime. L'aver dei sentimenti, riuscire ad amare - quello che ad un uomo non è lecito - tu, amore mio, lo fai sembrare così normale, un sentimento ordinario, come alzarsi la mattina, fare colazione, guardare le stelle di notte.

Sono romantico perché parte della mia natura passionale, non sentimentale. Tu mi hai donato la facoltà d'amare, ancor più quella di essere amato. M'insegni ogni giorno sempre di più cosa significhi, poiché a te viene naturale. L'amore è un sentimento spontaneo che nasce dai piccoli gesti.

Non dirmi "ti amo" perché mi spaventerebbe, spaventerebbe la mia incontrastata apatia a cui d'obbligo mi sono rassegnato - ma questo lo sai, perché, dopo tutto, sei la persona che mi conosce meglio fra tutte.

Mi hai lasciato sulle labbra un leggero "ti voglio bene", perché, se anche ignori la mia malattia, il mio cuore ti comunica tutto ciò che ho passato, e per certo vale mille volte di più di una superficiale dichiarazione nata da sesso confuso per amore.

E, dunque, tesoro mio, Ti voglio bene. Ti voglio bene più d'ogni altro, perché tu proteggi il mio cuore, lo fai crescere, e sei capace a risvegliare quei sentimenti da tempo morti, la mia facoltà di provare emozioni e non reprimerle.

Un peso dal cuore, adesso il quale leggero come una piuma. E solo grazie a te.

Ho lasciato un pezzo di me all'Havana ed ogni volta che tornerò - che torneremo - sarà come la prima, faremo l'amore e ci diremo "ti voglio bene". E ti darò tutti i baci che vorrai, senza vergognarmene.

Tuo, Taehyung.


"Ed i suoi attacchi di panico? Sono stati frequenti nelle ultime settimane, o è riuscito a controllarli?"

"No." secco e deciso.

Taehyung era un pezzo di ghiaccio sul lettino dello strizzacervelli. Odiava recarsi in quello studio, odiava mettersi seduto a farsi giudicare per il suo essere, per giunta regalare pure dei soldi per qualcosa che non desse frutti.

"Mi ha riferito che, al contrario di quanto le avessi prescritto, ha smesso di assumere ansiolitici ed antidepressivi."

"Sì." non una parola in più, non una di meno.

"Signor Kim, ho bisogno di conoscere le sue condizioni di salute, al contrario non potrò fare la mia diagnosi."

"Sto normale." ancora freddo e sentenziario.

Lo psichiatra prese un respiro. "Si è presentato questa mattina dicendo di aver avuto una delle sue solite crisi, mentre adesso è cambiato all'improvviso."

"Adesso va solo meglio." si limitò a dire. "Ma il problema rimane."

"Da cosa è scaturito il suo attacco di panico? C'è stato un evento in particolare?"

"Oggi ricorre... la morte di mio padre." dove tutto cominciò. "Mia madre ha telefonato dall'Ohio e me lo ha ricordato..."

"Capisco." lo strizzacervelli sospirò. Con due dita alle sopracciglia, vestito di tutto punto in giacca e cravatta, teneva una conversazione lenta, adatta per Taehyung che dovesse rilassarsi.

"È poco virile." tratteneva i singhiozzi.

"Signor Kim, la seduta può prevedere anche il silenzio."

"Ah! Lo so... me lo ricorda ogni volta." si schiaffò esausto una mano sulla coscia. "Ma non la pago per stare in silenzio, vorrei che i miei problemi fossero in qualche modo risolti."

Lasciò trasparire la sua disperazione, lasciò che il suo strizzacervelli notasse anche la minima vena di stabilità scomparire. "Mi distacco da ogni idea freudiana. Piuttosto preferisco insegnarle a gestirsi, oltre che lenire il suo dolore con i medicinali." si alzò dalla scrivania. "Lei, Signor Kim, soffre di un disturbo depressivo reattivo, causato da lutto procrastinato e cronico. Reprime ogni emozione del suo sistema conseguentemente alla perdita, in più non riesce a metter fine alla sua sofferenza."

"Tsk!" Taehyung s'espresse in uno sbuffo.

"Non sono qui per dirle che piangere è poco virile, come dice lei. Se non vuole assumere le medicine prescritte, mi permetta di aiutarla a gestire il suo sistema emozionale." il dottore si mise seduto sul banco d'interrogazione.

Taehyung, di fronte a lui, rimase immobile. "Sente la pressione di una società che indubbiamente pone dei canoni in cui rientrare per essere definiti normali o sani - e francamente non sono mai riuscito a capirne i confini... quale sia il limite fra normalità e non."

Taehyung, sfinito, non aveva da sentirne di discorsi. Preferiva rimanere in silenzio, dopo tutto. "Il sistema ci impone una mortificazione delle emozioni. Siamo noi a doverle, dunque, gestire; e non le richiedo di comprendere gli altri, piuttosto sé stesso."

"Lei, dottore, ammette la scelta? O la psicoanalisi non glielo permette?" una domanda pungente da parte dell'avvocato.

"Non sono del tutto d'accordo con la dottrina della mia materia. Alcuni dei miei colleghi la interpretano alla lettera. Io credo che ogni caso sia singolare e che il cervello umano sia dotato di libero arbitrio." era comodo. Sapeva che in retorica non poteva vincere contro un avvocato.

"E se le dicessi che per scelta ho represso ogni mia emozione, lei cosa penserebbe? Che sia tutto frutto del trauma? Che io stesso sia un folle?" Taehyung strinse il pugno al petto.

"No, Signor Kim. Non lo penso affatto." lo frenò dal suo delirio. "Credo che il suo sia stato un meccanismo naturale di difesa contro gli ostacoli della vita." fece una pausa. "Da ciò che mi ha raccontato, suo padre non ha mai accettato la sua-"

"La prego, non me lo ricordi." Taehyung chiuse gli occhi e si strinse una mano in fronte.

"Per questo il suo disturbo depressivo si prolunga nel tempo. Ha cercato di forzare inconsciamente il suo sistema. Non metto in dubbio che abbia amato suo padre - il suo solo comportamento dopo che questi lo ha lasciato ne è a dimostrazione. Ma in mia opinione, sebbene non voglia giudicarlo, è tempo di affrontare il motivo per cui lei è così, e, se è possibile... superarlo. C'è qualcosa che nel presente allievi il suo dolore?"

Jeongguk - il primo pensiero di Taehyung. Come una farfalla s'aprisse nel suo corpo, nel suo stomaco; che spiegasse le ali in volo segno di libertà.

"Sì." diretto, rispose al dottore.

"Ci pensi adesso."

Taehyung chiuse gli occhi, e senza che lo psichiatra gliel'ordinasse prese a vagare fra i suoi ricordi con Jeongguk. Il suo viaggio gli rendeva il cuore indubbiamente più leggero.

"Ha tenuto un diario dei suoi pensieri?"

"Sì." ancora ad occhi chiusi.

"Si è sentito meglio?"

"Solo un po'." - poi in fondo era già qualcosa.

"Adesso, invece, come si sente?"

Taehyung vagava per prati fioriti accompagnato per la mano da Jeongguk. Nella sua mente solo gioia, calma e tranquillità. "Bene." il solo pensiero di Jeongguk lo avrebbe salvato dal resto.

"D'accordo, Signor Kim. Torniamo a noi." e Taehyung aprì gli occhi. "Ha più sofferto d'insonnia."

"No." pensava a Jeongguk.

"Ha più avuto alterazioni del peso corporeo o forte senso di agitazione?"

"No." pensava a Jeongguk. "Mi sono sentito agitato meno del solito."

"Rallentamento fisico, difficoltà di concentrazione?"

"Assolutamente no." quella corsa per arrivare al tramonto cubano.

"E tutto senza psicofarmaci." rifletté il dottore. "Signor Kim, a me piuttosto sembra che stia migliorando. Certo, l'ultimo attacco di panico è stato notevole, ma gli effetti non si vedono in un giorno."

"Sono assalito da pensieri assurdi, pessimisti. Non mi sento in grado di provare dei sentimenti che possano compensare chi mi sta a fianco."

Il dottore strappò un foglio dal libretto delle prescrizioni. "Diminuisca la dose delle sue solite medicine. È pericoloso cessare improvvisamente dei farmaci del genere."

Taehyung s'alzò per prenderlo. "E mi contatti il prima possibile, per qualsiasi inconveniente."


Sedeva sullo scalino d'entrata allo studio. Poi in fondo, quello strizzacervelli dall'aria burbera gli disse qualcosa di sacro.

Il sistema ci impone una mortificazione delle emozioni.

Poi ancora.

Non le richiedo di comprendere gli altri, piuttosto lei stesso.

Parole che certo un ordinario psichiatra avrebbe stentato a dire. Ma Taehyung viveva nel mondo del contrario e tale, dunque, non gli sembrò inordinario. Piuttosto lo ritenne un semplice consiglio di conforto al di là delle terapie da lui prescritte.

Si crogiolava con le ginocchia fra loro attaccate; strappava i secchi germogli che nascevano negl'incavi e fessure del patio.

Pensare a qualcosa di confortevole. A lui, a Jeongguk.

Con la sola forza del pensiero, lo chiamò a sé.

Ti aspetto a casa mia, papi 👉 👌

Il suo cellulare s'illuminò, allo stesso modo di una scintilla che comparve ad animare il suo volto disperato.

Gli sorse un sorriso sulle labbra. Per il solo divertimento spontaneo che Jeongguk provocava in lui, diveniva più leggero, e quell'attesa che divideva entrambi, man mano, era ridotta dal fervore che resuscitava il suo cuore in lutto.

Periva la sua forza d'animo; malamente poteva alzarsi, contando solo sul peso delle sue ossa, se non fosse stato per la carica di quella piccola missiva.

Gli bastava Jeongguk per anestetizzare il suo cuore dolente. Nessuna medicina, se non il suo antidoto naturale, era in grado di fargli superare il torpore dell'anima.

La sua Cadillac rombò; corse veloce a Gables Estate, e trattenne quel sentimento di gioia, proprio del volersi amare.

Premeva il piede sull'acceleratore con l'intenzione d'accorciare le distanze, perché in amore il tempo non conta; trascorre imperterrito, indomato, mai contato dai granelli di una clessidra di sabbia. Così che l'eternità, in compagnia della persona amata, si riveli come un attimo trascorso, senza che le vittime, i rivali d'amore s'accorgano di nulla.

La Cadillac dell'avvocato strisciò rumorosa. Un frastuono che, gracchiante, scorticò la ghiaia all'ingresso della villa. Taehyung non se ne curò, piuttosto corse in fretta là dove era desiderio fosse atteso.

"È permesso?" nessun riscontro, una volta giunto all'uscio dei Jeon. "È-è permesso!"

La porta cigolava al minimo spiraglio di vento e Taehyung, accorto, la scostò col palmo. Al dentro, il buio. La sola luce filtrava dalle persiane schiuse in flebili spiragli, ed a malapena riusciva a raggiungere un punto piano dove aggrapparsi. A malapena Taehyung poteva osservare, nel buio dell'ingresso, i millesimi granelli di polvere girovagare per quei raggi.

"Jeongguk!" lo chiamò. "Se hai intenzione di farmi una sorpresa indecente come la scorsa volta, potevi anche dirmelo. Ci sarei stato!"

Col palmo scorreva la ringhiera. Quel bianco prezioso e lucido che lisciava ogni volta fosse presso casa del suo amasio.

"Jeongguk, sono davanti alla porta di camera tua." lo chiamò, una volta al piano di sopra.

"Entra, papi..."

Ma Taehyung non s'immaginò, non si prefissò mai nella mente quello scenario da capogiro che Jeongguk, stavolta, gli ebbe regalato fiero.

"Papi, unisciti." uno schiocco di labbra. "Per f-favore..."

L'avvocato non poté credere ai suoi occhi. Non voleva credervi, si forzava, con tutta la volontà potesse avere in corpo, di pensare che quella scena, propostagli da Jeongguk, non fosse altro che mera illusione - pura follia.

Insano. Ma doveva credervi perché non era altro se non la cruda realtà.

"Jeongguk... s-sei con altri uomini."

"Sì, papi..." si strusciò a loro. "Non lo vedi?"

Taehyung rimase con le labbra spalancate. Il suo volto del tutto cambiato dall'espressione ilare di un attimo prima. Insano - si ripeteva.

Stava a lui, dunque, porsi la domanda. Se gli piacesse, se volesse farlo con Jeongguk. Se volesse farlo con altri uomini, oltre a Jeongguk.

"I-io..." gli mancavano le parole.

"Papi..." quella supplica.

La mente geniale, ma contorta, del giovane aveva escogitato ciò che forse ci fosse di più puntiglioso per Taehyung.

Fare del sesso con altri uomini. Far sapere che gli sarebbe potuto piacere, ad altri.

Quegli affari attenevano alla sfera del suo privato; la relazione con Jeongguk afferiva al suo intimo. Non era segreta, piuttosto privata, nella dimensione in cui al di fuori parevano amici stretti, se qualcuno li avesse visti passeggiare per le strade di Miami.

"Papi..."

Ma che Jeongguk si tramutasse in un mero oggetto, che gli desse la possibilità di condividerlo con altri gli recava oltremodo fastidio.

Jeongguk era un tipo libero, fuori dagli schemi, a tratti superbo, certamente anticonvenzionale, ma il fatto che usasse il suo corpo in maniera fin troppo libertina andava a turbare l'idea tradizionalista e chiusa che Taehyung aveva del sesso.

"Perché i nostri corpi, in realtà, sono semplicemente nostri. C'è sempre un'autorità con cui dobbiamo fare i conti, siamo continuamente esposti, sfruttati, ingabbiati, scherniti, giudicati."

L'autorità era Taehyung. E stentava ad ammetterlo, imponeva a sé stesso di non credere di aver infranto quelle promesse fatte all'Avana.

Perché il loro, poi in fondo, non si limitava ad uno scontro di battute di scherno ed inganni a fin di bene. Il loro era uno confronto generazionale, un contrasto d'idee.

Fin troppo diversi, fin troppo distanti - forse.

Ma Taehyung non poté tollerarlo. Si fece accecare dalla gelosia, un tale puntiglio per cui si precipitò verso Jeongguk.

Stava al centro fra i due ragazzi, corvini, altri e slanciati. Una coppia perfetta - si direbbe - se al centro non vi si fosse piazzato il biondo.

"No, Jeongguk. Non voglio farlo."

"Per favore, papi... Yoongi e Hosek sono stati così gentili ad accettare il mio invito." a tratti quell'aria da viziato gli dava ai nervi.

"Jeongguk, ti prego, smettila di petularmi-"

"Avvocato, glielo sta chiedendo in ginocchio. Non rifiuti." uno dei due ragazzi s'espresse.

E Taehyung perse le staffe.

La retorica della fermezza da sempre dava di lui un'immagine irremovibile, ma per ciò a cui davvero tenesse - ogni cosa che per lui contasse - tirava fuori la sua parte irascibile. Ed indignato strinse i denti, puntando il dito al petto nudo del ragazzo che reggeva Jeongguk, incastrato.

"Che cazzo hai detto, brutto pezzo di merda?"

"Mi scusi." del tutto tranquillo. "Le ho solamente proposto..."

"Adesso ti cheti. E fate quello che dico io!" Taehyung ghignava ancora.

"Papi, sta' zitto. Sono miei ospiti." Jeongguk intervenne. Ormai era un dialogo fra i due soli, ed ignoravano il circostante. Del resto, quando giungevano occhi con occhi, sempre il mondo attorno a loro s'annullava.

"Non m'importa, Jeongguk." respirò affannato. "Se ne devono andare."

"Cosa- papi, spero tu stia scherzando!" il biondo si lamentò.

"Fuori!" gridò, adesso lontano da loro. "E rivestitevi." emise un cenno di dissenso. Dette loro le spalle e, con le dita a tastarsi il dotto delle lacrime, parlava in sussurri. "Mio Dio..." esasperato.

Obbedirono certo ai suoi ordini, perché quell'avvocato cupo ed adesso irascibile l'impauriva.

"Arrivederci, Kim Taehyung." uno dei due svolazzò la mano in aria per prendersi gioco di lui.

"Al diavolo!" rispose.

Ed in quel silenzio, animato soltanto dal lontano passar del traffico della Miami diurna, nessuno dei due ebbe il coraggio di rivolgersi anche un frammento di parola o suono.

Jeongguk, nudo dietro di lui, lo guardava imbarazzato con le dita incrociate, e piano abbassava sempre di più lo sguardo verso terra.

Taehyung, roso da sentimenti indecifrabili, continuava a tastarsi la fronte, con le spalle a Jeongguk.

"Papi, scusami..." ancora nudo, gl'andò in contro, con l'obiettivo di abbracciarlo per la schiena.

"Non toccarmi!" flebile ma deciso, gli si rivoltò contro.

"Papi, cosa-"

"Jeongguk, sai che non apprezzo questo tipo di cose... c-che mi trovo in difficoltà riguardo al far sapere alla gente che io-" tacque, fece finta d'interrompersi. "...che non voglio nessun altro ad intromettersi nella nostra relazione! Dio, Jeongguk! Che vergogna!"

Taehyung gridava e Jeongguk si sentì incredibilmente in colpa.

Pertanto, pianse; perché quello era il suo modo d'esprimersi nella circostanza in cui venisse ferito. "Papi, n-non l'ho fatto apposta, non ti ho ferito di proposito-" singhiozzava.

"Sei un bambino, Jeongguk." lo rimproverò. "Ed io sono incazzato." fece per andarsene.

"No, papi aspetta-" lo bloccò per la camicia. "Non andartene!"

Ma Taehyung si scrollò quello che per lui ebbe ormai decretato essere un peso. "Lasciami, per favore- e rifletti sulle azioni."

Rimase lì, nudo. Vedendolo andar via, e mai s'era immaginato che quell'azione potesse ferirlo.

Azzardata, ma contemplata. Sapeva potesse esser provocatoria, ma non fin tanto da spezzargli il cuore.

"Non voglio che tu faccia più questo tipo di cose." con il volto a tre quarti, senza volerlo vedere.

Jeongguk trasformò la sua rabbia in dolore, perché in nessun altro modo poteva gestirla. "Va' via, Taehyung! Io faccio quello che voglio."

"Tu ed i tuoi discorsi astratti sul corpo..." fu adesso l'avvocato a provocarlo. "Smettila di prostituirti, e rivestiti, che sei ridicolo."

L'anima fragile di Taehyung venne falciata. E Jeongguk, ignaro della verità, della sua instabilità, si sentì irrimediabilmente in colpa.

Bastava dir di no, non prestare il proprio consenso. Il suo atteggiamento estremo si trovò a fronteggiare una realtà a lui sconosciuta ma per la verità delicata.

Jeongguk avrebbe voluto tornare indietro, e pentirsi prima ancora di proporre una tale nefandezza agli occhi di Taehyung. E lo ricercò vagando nella sua mente all'infinito, pensando all'unico posto dove potesse esser fuggito.

Gli dette tempo, perché conscio dei suoi sbagli, perché conscio del fatto che Taehyung dovesse metabolizzare il tutto prima delle sue scuse effettive. Perché, poi in fondo, lo amava, ed amare significa anche attesa e tenacia, un'attesa che ben oltre prevarica l'ordinario.


Il promontorio di Overtown s'affacciava sulla Miami commerciale. Quel puntino visto dall'alto, che ad ogni osservatore avrebbe regalato un non so che di sublime, in grado di farlo sentire dominante su una realtà frenetica. Distaccarsene, recandovi là sopra, significava lasciare il mondo quotidiano senza sosta a cui ogni abitante di quella città di fuoco era destinato.

E Taehyung vi giungeva ogni volta avesse avuto dei dubbi, delle perplessità, alla meglio; qualora, invece, si trovasse chiuso in uno dei suoi gineprai dell'animo, veniva ad Overtown per disperarsi in santa pace, lontano dalla ricordanza che presto quel suo angolo di follia sarebbe stato mangiato dall'agitazione senza freni della notte e del giorno.

Stare lì gli pareva beatitudine, perché nient'altro sapeva lenirlo come la solitudine ed il silenzio. Almeno finché non avesse trovato Jeongguk.

Da quando volle intraprendere quella conoscenza, non più l'avvocato fuggì in nell'angolo lontano, e nemmeno mai lo ricercò o ne sentì il bisogno.

Ma Jeongguk sapeva - così gli aveva confessato - si trovasse là. Si era rivelato fra le parole di confessione d'amore per lui, e fra quelle righe, che il ragazzo aveva setacciato a non perdersi niente, trovò la risposta alle sue domande.

Taehyung era fuggito nel suo solito posto.

Un gioco da ragazzi sarebbe stato raggiungerlo in moto, ma al biondo premeva farlo nel modo più discreto possibile.

Partì da Gables Estate, e corse fin là dove fermarsi ed avanzare cauto per raggiungerlo.

Il promontorio di Overtown al tramonto diveniva romantico, e la calura del giorno svaniva in favore d'un fresco venticello che tirava dal mare.

Strade sporche, trasandate, e dunque inusuali da battere per Jeongguk, abituato al lustro della ricca Miami.

Indossava la sua tenuta nera di pelle, da cui mai si staccava per un viaggio in moto, e pian piano rotolava verso la sagoma perplessa sull'orizzonte. Taehyung era lì, adesso con le spalle a lui date e volto a guardare l'accecante arancione del tramonto.

Jeongguk si tolse il casco e perse minimi frangenti ad osservarlo, a guardarlo, ricolmo di rimorso.

Poggiò il casco sul veicolo. "Papi." intanto gli si avvicinò.

Ancora un altro passo a diminuire la loro distanza, ma Taehyung non lo degnò del minimo sguardo. "Taehyung." adesso, serio.

L'avvocato sospirò, a far sentire tutta la sua rabbia - o qualsiasi cosa gli nascesse dalla psiche - al ragazzo accanto a lui. "Per favore." lo implorò. "Mi dispiace."

"Tsk!" Taehyung sogghignò.

"Prometto che non lo farò più. Non ti costringerò di nuovo, non ti metterò ancora in imbarazzo."

"Non basta un stupidissima promessa." cinico e diretto. "Jeongguk, se non riesci ad impegnarti seriamente, io- io... non potrò mai-"

"Hai ragione." Taehyung si bloccò. "Ma non voglio nessun altro se non te. D'accordo, pensavo ti avesse fatto piacere, e senza pensare alle conseguenze." si fermò per un istante. "Sembra sciocco. È la mia prima relazione - e con un uomo molto più grande di me! Ma mi sto impegnando al massimo per farti capire che - Taehyung - per farti capire quanto tu mi piaccia." si corresse. "Per farti capire che puoi riuscirci anche tu."

L'avvocato sospirò. Nessun altro cenno di ricevuta risposta confermò a Jeongguk i sentimenti dell'altro.

"Papi..." e si avvicinò a lui.

Mise la mano nella tasca sinistra nei suoi jeans, e non con fare malizioso, piuttosto per sentire con lui contatto ed unirsi. E poggiò la sua chioma di platino sulla spalla dell'avvocato.

Taehyung crollò, perché non poteva negargli quel suo affetto da lui desiderato, e non poteva nemmeno, dal canto suo, privarsi di un tale contatto.

"Dio, Jeongguk... non posso arrabbiarmi con te."

"Shh..." e l'avvocato non fiatò. "Papi, ti voglio bene." ancora quelle parole. Ancora quella dichiarazione tanto ingenua, ma tanto forte, pungente, straziante. Straziante almeno per il cuore di Taehyung, perché la parte che non intimoriva, l'uccideva lenta con la consapevolezza che l'amore di quel giovane uomo fosse troppo per lui.

"Jeongguk, smettila-"

"No, non la smetto." le sue intenzioni erano chiare, perché se le parole maccheroniche ed avvocatesche di Taehyung in amore fossero state insufficienti, quelle di Jeongguk gli sarebbero giunte in soccorso. Glielo avrebbe ricordato, ripetuto lui al suo posto ciò che era in compito a Taehyung.

"Mi piace tutto di te. Mi piace la tua bocca, i tuoi occhi, che difendi la gente, il modo in cui ti vesti..."

Taehyung gli baciò la fronte.

"Un bacio sulle labbra, papi."

E lo fece, perché consapevole di non potergli dare la serenità di una relazione stabile così come desiderasse. Almeno con un bacio sperava di sdebitarsi.

"Sei la persona più pura che abbia mai conosciuto, Jeongguk. E cerco in te quello di cui io stesso ho bisogno."

Jeongguk si crogiolò su di lui, e tale rimase.

La sola presenza di lui ricordava a Taehyung che mai avrebbe potuto dargli ciò che realmente desiderava. Nessuna stabilità, nessun amore certo. Prima d'amare l'altro, doveva amar sé stesso; e finché non avesse fatto i conti con tutti i suoi stati in sospeso, con il sé del passato e del presente, Taehyung non avrebbe mai potuto amarlo nel futuro.

E tutto era degenerato al momento di quella relazione tanto strampalata, nata per caso, fra le ordinarie chiacchiere d'un incontro al bar. Era nato un non so che d'elettrico per cui l'avvocato non poté più dirsi ancora detentore e parte di quella sua apatia confortevole e senz'oneri che si era creato negli anni.

Jeongguk era giunto ad infrangere le sue barriere, a distruggere i suoi castelli di sabbia. Giunse l'ora che Taehyung facesse i conti con sé stesso, con la sua paura d'esser quel che fosse, con la sua paura - da lui detta - d'ostentare.

Figlio del caso, l'amore di Jeongguk gli avrebbe fatto prendere una decisione radicale, l'avrebbe del tutto cambiato. Lo avrebbe, forse, salvato.

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