Miami Heat | VK

By berenicelibri

13.9K 1.2K 683

🇺🇸 Miami, Florida. In una realtà dedita al lusso ed al perbenismo, Jeongguk, annoiato milionario, è alla di... More

⚠️disclaimer⚠️ {spazio autrice}
presentazione {spazio autrice}
I.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.
IX.
X.
XI.
XII.
XIII.
XIV.
XV.
XVI.
XVII.
XVIII
XIX.
XX.
Epilogo.
{nota autrice}

II.

740 60 24
By berenicelibri

La morale perbenistica obbliga l'ordinario borghese a comportarsi secondo tutt'una serie di principi consacrati, volti allo stabilire l'ordine. L'esser fuori posto, in una precisa schiera omologata, è la condanna all'infrangimento di tale prescrizione. Un canone legislativo, in grado di etichettare tutto ciò si presenti diverso dalla norma. È la trasgressione ad esser peccato.

Ogni tartufo si nasconde al di sotto di un terreno d'ipocrisie, false credenze, nel profondo non rispettate ma reiterate; in modo che un sistema immobile venga perpetrato persino da altri.

Ne rimangono vittime, che siano eroi o malvagi. Gli ultimi definiti tali solo per aver avuto il coraggio di opporsi al tanto convenzionale conformismo.

Non vi è posto per gli esclusi. Non v'è posto per nessuno che non patisca, perché poi in fondo ogni essere - nella sua dimensione ontologica - è a modo suo diverso.

Falsamente di coesistenza. Una società che, col pretesto d'includere, ghettizza in maniera ipocrita.

Tutt'una trappola. Novelle inventate per tener l'umano a bada; frivole storielle che raccontano di miti irraggiungibili, ineguagliabili, che penetrano nelle essenze della persona fino a convincerla che quella sia la retta via.

"Mio padre ha donato diecimila dollari in beneficienza." ne parlava per rendere palese quel lavaggio di coscienza a suon di denaro.

"Beneficienza? Non sosteneva l'istruzione femminile in Afghanistan?" Jimin, seduto a tavola, replicava incuriosito.

"Tsk- che importa dell'Afghanistan!" davanti a lui Patrick sbuffava indolente. "Ormai è andato. Da quando le truppe americane sono state ritirate, non è certo più affar nostro. Non sei d'accordo?"

Jeongguk s'intromise. "Ma i talebani hanno segregato donne e... bambine. Non possono più uscire di casa se non accompagnate da uomini e coperte fin sopra la testa-"

"Ehi, biondino saccente." venne interrotto dal ragazzo più grande. Donald s'imponeva su di lui, tanto a renderlo timido. "Da quando in qua ti occupi di attivismo? È una roba per donne."

Jeongguk, interdetto, abbassò gli occhi.

"I nostri nonni hanno affrontato la guerra in Corea, e tu hai davvero il coraggio di affermare un tale spregio nei confronti di chi è adesso oppresso?" Jimin fissava Donald, puntando il dito sul tavolo.

"Per favore, datevi una calmata." Logan prese un lungo tiro di sigaretta dall'altro capo del tavolo. "I panni sporchi si lavano in casa propria. I talebani si occuperanno delle loro donne, non è affar nostro."

In posizione di dominanza, quel ragazzo dai capelli grano e gli occhi azzurri - il più grande del gruppo - inalava l'odore erbaceo del suo fumo. "E tu biondino, sta' attento a quel che dici. È illogico che uno dei più generosi benefattori di Miami faccia la beneficienza a chi non gli compete."

Jeongguk incassò il colpo. Odiava che quel loro capo così mediocre esigesse da loro rispetto.

Ognuno in sala superava la ventina, esclusi lui e Jimin. Si sentiva piccolo, nonostante in principio avesse preso l'iniziativa di arrivare al Club e controbatterne ogni membro.

"E poi, Jimin..." Logan si strusciò una mano sul volto a rassegnazione. "Piantala di tirare sempre in ballo la guerra di Corea, sono esausto di sentire il tuo bla bla sui tuoi nonni, la loro vita sul campo di battaglia..."

"Piantala tu!" esordì con tutto il coraggio che ebbe in corpo. "Ad oggi ne sentiamo ancora gli effetti. Le Coree sono in continuo conflitto, abbiamo pure la leva obbligatoria. Siete stati voi-" Jimin gli puntò il dito in faccia. "Siete stati voi, con la vostra stupidissima guerra su procura, a sfruttarci, solo per espandere i vostri ancor più stupidi interessi."

"Jimin non ti scaldare." gl'intimò la voce secondaria di Donald. Il capo lo stava fissando giudicatore.

"Mi scaldo per ciò che conta, difendo le mie idee." si pose a combattimento, pur rimanendo seduto. "Avete legittimato ciò che legittimo non era, e per cosa? Per le vostre manie di dominio."

"Lo sapevo." esordì Derek. "Sei un comunista." quel commento imbecille a schernirlo nell'umiliazione del suo popolo.

"Non sono comunista." Jimin, contro tutti, digrignò i denti. "Condanno le vostre azioni così come quelle dei russi. E voi non siete tanto differenti da loro: due superpotenze a difendere in esclusivo i propri interessi a danno di un popolo - del mio popolo."

"Chim, per favore..." per quanto Jeongguk volesse anche lui rispondergli a tono, non valeva la pena sprecare energie per quel confronto senza sbocco.

"No, Gguk. Non ho intenzione di finire la mia tiritera."

Gli si volse, ancora crucciato, amareggiato per quell'utile che giustificasse il mezzo, ignorante d'una condizione reale.

"Chim, non ti basta sguazzare nell'oro? Hai soldi, una famiglia che non s'interessa troppo dei cazzi tuoi... T'importa davvero di quel che accade fuori da Miami?"

Donald era la voce dell'ipocrisia. Rappresentava in tutta la sua perfezione quel tipo di società eroica, superomistica e senza limiti della Miami capitalistica. Il tutto per l'utile, alle cose che servivano. Un utile - a suo parere - che non avesse un fine. Ma cosa importasse se il tutto era volto, poi in fondo, al niente? Ad una vita superficiale senz'impegno.

Il denaro si era sostituito a Dio. I figli di Miami non veneravano altro se non il lusso, la ricchezza, il frivolo, il superficiale... il niente. Un'infinità di idoli, creati dall'uomo, e perciò - dunque - in grado egli stesso di distruggerli e ricrearne a suo vantaggio e piacimento.

"A me importa!" Jeongguk prese le parti dell'amico.

Quella chioma platinata che si ergeva fra le teste ordinarie, tutte scure, se non i capelli grano di Logan. Jeongguk si fece coraggio. Mostrava un certo caratterino in compagnia di chi si fidasse; desiderava farsi valere, suo malgrado peccasse di timidezza davanti a chi non conosceva, al fine di accaparrarsi un posto nel Gables Club.

"Oh, sentiamo Jeongguk. Cos'hai da dirci di tanto interessante? Altri noiosi aneddoti sulla guerra come quelli di Jimin-"

"Sta' zitto, Logan!"

Sicuro di sé, come prole del New Way of Life, poggiò i gomiti sul tavolo, in segno di falso ascolto nei confronti di Jeongguk.

Si volse a lui, squadrandolo da capo ai piedi. Analizzò ogni suo dettaglio, ogni suo difetto. Perché fu su quelli che si concentrò onde a colpirlo nel modo più subdolo e meschino possibile. "Sono curioso di sapere quello che ti ronza per testa, Barbie."

Jeongguk cercò di mantenersi calmo all'apparenza; strinse i pugni sotto al tavolo. Affondò nelle carni le sue mezze lune dolci, ma non così tanto da non lasciarsi il segno.

"Logan-"

"Shh... Chim, per cortesia. Lascialo parlare." Logan camminò fino a lui. A passo lento, a incutere rispetto agli altri col timore. "Gradisci?" avanzò a Jeongguk un vassoio imbiancato di strisce fresche. "Te la sto offrendo, sarebbe un peccato rifiutare." s'impose un falso broncio sul volto. Offrì una banconota da mille dollari a Jeongguk - che fremeva per la paura di commettere il passo falso. "Solo il meglio per uno dei miei compagni del Gables..." gliela mise davanti a tentarlo.

Per favore, Ggukkie. Rifiuta. Jimin lo supplicava con lo sguardo.

"Sembri un tipo quieto, non come Jimin." Jeongguk era ad un passo dal compiere quella follia. "Ti accontenti della tua posizione, non è così?" Logan lo zittì.

In quella recita di seduzione, Jeongguk non riuscì a resistere al suo fascino demoniaco.

Prese coraggio. Tirò su quell'ambrosia velenosa, sperando che gli passasse la timidezza. Si sentiva in trappola, nessuna via d'uscita.

D'improvviso, tutto incominciò a girare.

"Cosa volevi dirmi, Ggukkie?" Logan gli era ad un briciolo dal volto.

Gl'intentò quella farsa in fronte ad un pubblico ipocrita, che declamava il buonismo, quando nell'oscurità tramava il peggiore degli inganni.

"Niente." solo per un attimo fu stordito.

"Bene!" Logan si sentiva potente. Pose le distanze fra loro due, fiero di averlo messo a tacere sulle sue idee.

Era a conoscenza della timidezza del ragazzo più piccolo, la seppe sfruttare al suo vantaggio, onde a far rimanere in solo Jimin, in quelle sue ferme, e stupide - a giudizio degli altri - convinzioni su due mondi in conflitto. "Un brindisi al Gables Club!" Logan alzò in alto il calice. Tutti imitarono il gesto del capo. "All'amicizia." esclamò a conferma di tale ipocrisia.

"Ehi, Gguk. Tutto bene?" Jimin gli sussurrò di soppiatto.

"Sì, va tutto bene." mentì. Il suo piano era miseramente fallito.

Logan sistemò i vassoi rimanenti. Si accanirono come degli animali coloro che non ebbero beneficiato prima di ciò che il padrone avesse potuto offrirgli. "Mi proclamo il benefattore di Miami!" Logan irruppe fra il tintinnio dei bicchieri.

"Sono a voi devoto." lo schernì Derek.

"Chi, se non il sotto scritto, può regalarvi della dinamite più pregiata?" Logan rideva sguaiato col bicchiere alzato.

Beneficiarono tutti, escluso Jimin, dell'offerta di Logan. Aspirarono di gusto quel nettare bianco polveroso, così da esser in poco nella dimensione altra, in cui non vigessero né limiti, né freni.

"Ho un'idea!" dopo un'altra striscia veloce, Donald, con gli occhi spalancati, dilatati dall'adrenalina. "Chiamiamo una troia che ce lo succhi da sotto il tavolo a turno!" Jeongguk deglutì. Palese fu il loro volere di metterlo in imbarazzo.

"Il cazzone dalle idee brillanti!" Logan lo cinse per le spalle. "Fantastico, collega."

"Me ne dissocio." gridò Patrick, ancora seduto. Seguito, nell'immediato da Jimin. "Non contate su di me."

"Ehi, comunista guastafeste. Vieni qui." da seduto, Logan lo tirò a sé. "Ti voglio bene, pezzente." era completamente fatto. Così tanto da fargli una flebile masa sulla testa.

"E lasciami, Logan!"

"Patrick, la tua ragazza non lo saprà mai." Donald si accese una sigaretta. "A proposito, come va con Rose?"

"Il prossimo mese diamo la festa di fidanzamento al South Beach."

"Wow, allora fate sul serio." Logan lo guardò curioso. "Mi aspetto l'invito, marito." lo schernì. "E spero che il vostro futuro matrimonio non sia la tomba delle tue scopate." esalò il fumo dopo un tiro profondo d'erba.

"Io e Rose stiamo bene insieme. Non ho bisogno di una troia che me lo succhi da sotto il tavolo." chiuse Patrick.

"Io, sì!" gridò Donald.

Un boato di risate si levò nella stanza. Quell'idea folle e dispregiante piacque a chi era abituato a non esser mai contento di tutto, contento del lusso. Tutto ciò che a loro non bastasse mai.

Schianti di mano, risa sguaiate. Bocche spalancate per quei versi demenziali che inondavano la stanza di illiceità e bassezza.

Gli eccessi, uniti agli stupefacenti, li sottrassero dal controllo delle loro prestanze fisiche.

"Silenzio, per favore!" Logan sbatté il bicchiere sul tavolo. "Ho detto silenzio!" si fece valere su quella banda di scellerati.

In un attimo, nessuno più fiatò. La paura, incussa dalle maniere forti di quel capo temuto, li faceva tremare al singolo cambio di tono. Logan fu serio, sebbene incapace di tenersi a freno.

"E tu, Jeongguk?" il biondo, in fronte a lui, deglutì imbarazzato. Terrificato. "Ce l'hai la ragazza?"

Il tutto organizzato a suo spregio. Sapeva che a Logan non importasse di niente riguardo la sua vita personale, piuttosto traeva piacere dal deriderlo, umiliarlo. Pensare di sentirsi superiore a chi lui stesso riteneva esser diverso. E che tale trasgressione - per lui - dovesse essere quanto prima punita.

"No." rispose amaro Jeongguk, perché già sapeva dove volesse portarlo Logan. "I-Io sono..."

"Non preoccuparti, amico."

Il silenzio. Ogni membro del Gables Club guardava divertito la scena, ambizioso verso quell'umiliazione tanto attesa. "Lo abbiamo capito. Ti piace prenderlo nel culo." Logan, al sottofondo delle silenti risa, si comodò sullo schienale, coi piedi sopra alla tavola ancora imbandita.

Jimin fu sul punto di rispondergli.

"Anche alla mia ragazza piace prenderlo nel culo." non ci fu spazio per nessuna replica, Patrick incominciò versi a dir poco ripugnanti. "Grida fortissimo quando glielo metto dentro- Ahh..!!" e risero a quell'esclamazione tanto oscena.

"Smettetela." urlò serio Jimin.

"Barbie, il tuo culo è ancora vergine?"

"S-sì." ne soffriva. Non trovò mai qualcuno che lo comprendesse a pieno, qualcuno che lo amasse, e non d'amicizia. Accumulava odio, rabbia, che conservava sotto quell'aspetto falsamente pacato. Non poteva - non voleva - fare il loro gioco; essere additato come zimbello.

"E quindi tu, Jeongguk, sei come... una donna?" fu solo l'inizio di una serie tanto stupida di domande.

"Derek..." a fianco di Jeongguk, sempre pronto a proteggerlo, Jimin fece percepire il suo sconforto. La sua sfiducia verso il genere umano. Il fallimento del genere umano.

"No, Chim. Aspetta." intervenne a prendere in mano la situazione; spostò con garbo la mano del compagno da sé, in modo da gesticolare nella spiegazione. Fu strano, ma prese sul serio tale domanda alle spalle delle molteplici risa infantili. "Genere e orientamento sessuale sono due cose diverse. Il genere non sempre coincide col sesso biologico, dipende da ciò che una persona si sente." ci fu un silenzio imbarazzante, mentre dava forma ai suoi pensieri. "L'orientamento sessuale è, invece, l'attrazione verso l'altro-"

"Ma toglimi una curiosità, Jeon." lo interruppe Logan. "Perché voi omosessuali parlate tutti così?"

"Così come?" Jeongguk si aspettava la battuta derisoria.

"Così come parli tu." Logan prese un lungo tiro, ancora appollaiato coi piedi sul tavolo. "Non so cosa ci troviate di tanto interessante nell'imitazione di codesta vocina stridula, tanto effemminata... o persino a prenderlo nel culo-"

Il resto del Gables Club si levò in risata. "Logan, smettila sei offensivo!" Jimin si volse a lui con lo sguardo fiammeggiante.

"Chim, ti devi sempre intromettere? Lascia parlare Jeongguk, per una volta."

Jimin si volse all'amico. Occhi con occhi, quello sguardo di Jeongguk, tanto timido, ma sicuro a ribattere, gli donò tranquillità. Promise a sé stesso, prima di entrare in quel subdolo circo, di riuscire almeno ad esser fermo, pur reticente - perché altrimenti non era ammissibile.

La timidezza lo mangiava, l'intentata vergogna lo rodeva da dentro. Ma strinse i pugni, si fece coraggio, e dopo un respiro profondo cercò di vincerlo d'intelligenza.

"Credo tu stia cadendo nel pregiudizio. Io n-non parlo così come tu dici."

"Mmh- impressione mia. Non premevo ad offenderti, Ggukkie."

Senz'offesa - ma tutto ciò che viene dopo l'avversione è contradizione.

"Ma è vero che voi uomini omosessuali desiderate dei figli?" esordì Donald.

"In qualche modo dovrai pur riprodurti, coglione. Non puoi mica usare la fica per scopare e basta." lo freddò Patrick. "Piuttosto se mio padre fosse omosessuale, non lo accetterei. Pensa di tornare a casa un giorno e ti dice che è frocio-"

"Moderate i termini, idioti. Si dice invertiti." Derek scandì per bene quell'ultima parola. E non lo fece in modo serio, tutt'altro. Fu solo uno - fra i tanti - della lunga serie d'insulti a Jeongguk.

Jimin sfiorò il suo piede sotto il tavolo. Era lì, per lui.

"Sarei curioso di sapere cosa ne pensano i tuoi genitori, Jeongguk. Almeno ne sono a conoscenza?" con quella sua solita aria da borioso. Si alzò per riempirsi un bicchiere quadrato di brandy.

"C-certo che lo sanno. Non ci vedono niente di male." deglutì il tremolio della sua voce in gola.

"Vi piacciono le cose da femmine, parlate come delle femmine, camminate come delle femmine. È inutile tu lo neghi."

"Logan, per favore. Adesso basta, stai esagerando." Jimin alzò lo sguardo a volerlo zittire. Gli fu pressoché impossibile.

Jeongguk, ferito nell'orgoglio, pur timido, cercò di controbatterlo. "F-forse sei tu stesso un omosessuale?" lo avvelenò con la sua stessa medicina, e francamente non seppe nemmeno con che coraggio gli avanzò quell'accusa. Se fosse stato il buon benefattore, come tanto si proclamava, lo sfidava a non andar su tutte le furie davanti agli altri.

A quella provocazione, il resto del Gables Club sussultò. Logan strinse il bicchiere a scaricare ogni suo briciolo di rabbia e frustrazione causatagli dall'attacco di Jeongguk.

"Sai, pensavo che fosse qualcosa di contagioso." vi prese un sorso. "Poi, appena ti sei trasferito a Miami e ti ho conosciuto ho cambiato idea." all'apparenza un pezzo di ghiaccio; in sé, invece, ogni sua certezza vacillava, fino a mettere in dubbio ciò che lui pensasse di essere. Celava volutamente quell'imbarazzo spontaneo. "Sono fin troppo sicuro che mi piaccia leccarla!" si volse agli altri col calice ancora in mano. Le braccia aperte, in segno di paternalismo. Non comprensivo, piuttosto oppressivo e sorvegliante.

"Non sono contagioso. Non è una malattia." ribatté Jeongguk in quella sfida a due.

"Piuttosto, Barbie." lo guardò fisso, dopo un gotto di brandy. "Chi mi dice che non sia tu ad essere innamorato di me." Jeongguk divenne rosso in viso, con gli occhi spalancati dal terrore. Si era cacciato in un bel guaio.

Jimin divenne gonfio di rabbia. "Perché non s'innamorerebbe mai di un coglione mediocre come te." lo punse con arguzia.

In un mondo dove l'apparenza è tutto, l'aspetto esteriore, il pensiero che gli altri hanno sulla persona vale più di ogni altra cosa. Jeongguk lo sapeva bene. Per quel motivo, giocò a renderlo irascibile.

"Ti prego di perdonarmi, se ti ho messo in imbarazzo." sbuffò a riso. Distolse lo sguardo perché ormai aveva vinto Barbie, e lui negava l'evidenza.

Mise in dubbio la sua mascolinità, lo fece vacillare nelle sue certezze. E tale gli parve l'unica possibilità per vincerlo, considerando le sue ferme convinzioni ancorate a tradizionalismo infondato.

"Facciamo la pace." il benefattore gli offrì un altro vassoio. E con le strisce di polvere ben ordinate. "Questo è il mio dolce perdono. Spero tu accetti."

Jimin lo maledì. Logan sapeva come comprarlo, con l'ambrosia dei ricchi.

Entrambi tirarono su un'unica striscia. Quella falsa condivisione, tale menzognera amicizia era ciò che simboleggiava il mondo in cui erano imprigionati. Una gabbia di Mefistofele, una manifestazione di esso stesso, che li convinceva alla sopravvivenza. Perché nessun'altra era la via d'uscita.

Logan poggiò il vassoio sul tavolo. "Abbi un'altra uscita del genere e ti strappo i tuoi preziosi capelli. Hai ricevuto, Barbie?" glielo sussurrò con la sua fronte attaccata, non appena furono vicini.

Coglione - pensò Jeongguk, mentre abbassava gli occhi ad evitar lo sguardo maligno.

Logan gli strinse i capelli da dietro. "Siamo pari." ringhiò.

Il suo lato di benefattore prese la meglio. Lasciò la presa dai fili platino dell'altro, ma - al contrario della promessa fatta - continuò quello scherno. Era irremovibile; voleva vincere, sebbene fosse ormai il tutto già concluso agli occhi altrui - ciò che davvero per lui contava.

"Spero mi racconterai quanto sarà bello farsi penetrare da un cazzo." lo guardò di sbieco. "Gli amici si dicono tutto." con voce flebile ma velenosa. "Quelli del Gables Club scopano tutti. Tranne tu, Barbie."

"Meglio che andiamo." Jimin si alzò frettoloso.

Gli occhi di Jeongguk si fecero lucidi, il suo respiro ansimante e caldo. Contrasse il petto alla ricerca di ossigeno.

L'amico lo prese per un braccio. Non voleva dar loro la possibilità di deriderlo ancora.

"La vostra compagnia è un piacere. Spero torniate presto."

Corse fuori dalla villa di Logan.

Le lacrime di Jeongguk iniziarono a rigargli il volto, appena lontani dal luogo di raduno del club. Piangeva quell'amara consapevolezza di aver incassato l'ultimo colpo, senza mezzi a difesa.

"Gguk..." Jimin si limitò ad abbracciarlo.

"Chim, ti prego portami via." mugolava fra il pianto, con le mani sugli occhi.

Che lo chiamassero Barbie, che lo offendessero in qualsiasi altro modo, ebbe imparato a difendersi con la parola. Ma il suo avversario fu fin troppo mordace, fin troppo infimo, malvagio, diabolico, per poterlo superare con uno scambio equo.

"Vuoi che chiami un taxi-"

"No!" si staccò da lui. "P-preferisco camminare-" si accasciò a terra, devastato.

Odiava Logan, e non lo perdonò per quell'ultima goccia che fece traboccare il suo vaso già crepato. Per Jeongguk la verginità era ciò che lo faceva sentire meno di altri, non al passo con coloro che avrebbe voluto uguagliare. Per sentirsi più adulto, tutt'al più superiore, e parte di quella cerchia di cui mirava a far parte.

"Sei fatto, non puoi camminare."

"Per favore... ho bisogno di aria." lo guardò di nuovo con gli occhi pieni di lacrime.

Jimin, con un sospiro, gli porse la mano. "D'accordo. Tieniti a me."

Se lo caricò, con le spalle a sostenergli le braccia.

Un'entità presuppone il suo contrario. Come si prefigge d'includere, così - al di sotto di una tale scusa ipocrita - la società demoniaca ingabbia e ghettizza.

Jeongguk ne rimase vittima. Ma non vi era spazio per un uomo piangente, se non in un immaginario farisaico. Quelle regole d'imposizione performante, che prescrivono atti eroici, escludevano ogni possibilità di debolezza.

Non si mostrò esser l'anello debole di un capitalismo spietato, non lo desiderava affatto. Ma in cuor suo, sapeva che la vincita era l'unica via d'uscita. Il contrario - la sconfitta - la morte della persona stessa.

Ma anche col conseguimento di una vittoria, il successo sarebbe stato effimero, perché più l'essere stesso ottiene e più desidera. Una ricerca incessante, fino all'annientarsi. Una competizione sfrenata, dove non vi sia spazio per la lacrima.

Continue Reading

You'll Also Like

294K 15.8K 59
Dove Jungkook riceve dei messaggi da un certo "V" ,il quale è follemente innamorato di lui. -05/11/17 #998 in Fanfiction -06/11/18 #1 in Kim -06/11/1...
21.9K 1.2K 30
> > > > Completa. Contenuti: • Boy x boy • Don't like? Don't read • Taekook/Kooktae • Violenza • Fluff/Smut • Fan fiction ispirata ad un videogioco I...
126K 4.9K 17
Kim Taehyung e Jeon Jungkook sono due compagni di classe. Uno è il secchione e l'altro è il tipico ragazzo popolare. Come potrà un cellulare unire le...
63.5K 4.8K 13
╰Dove Kook viene rapito e Tae è il figlio del rapitore╯