MIND OF GLASS: OPERATION Y [I...

By DarkRafflesia

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Dave Morrison, Capitano del Navy SEAL, è un uomo determinato, autorevole, ma sconsiderato e fiscale. Noah Fin... More

⭐RICONOSCIMENTI
Presentazione
Cast
Dedica
Prologo - ✓
PARTE PRIMA
Capitolo 1: Bravo (Parte 1) - ✓
Capitolo 1: Bravo (Parte 2) - ✓
Capitolo 2: Coinquilini - ✓
Capitolo 3: Demoni del passato - ✓
Capitolo 5: Insieme - ✓
Capitolo 6: Prima Tappa - ✓
Capitolo 7: Presenza - ✓
Capitolo 8: Sconosciuto - ✓
Capitolo 9: Ricordi bruciati - ✓
Capitolo 10: Il prossimo - ✓
Capitolo 11: Vacanza (Parte 1) - ✓
Capitolo 11: Vacanza (Parte 2) - ✓
Capitolo 12: Dolore lontano - ✓
Capitolo 13: Turbolenze - ✓
Capitolo 14: Scontro - ✓
Capitolo 15: Notizia - ✓
Capitolo 16: Lettere reali - ✓
Capitolo 17: Firmato... - ✓
Capitolo 18: Sui tetti - ✓
Capitolo 19: In mezzo alla folla... - ✓
Capitolo 20: Rientro - ✓
PARTE SECONDA
Capitolo 21: Adunata - ✓
Capitolo 22: Sorpresa? - ✓
Capitolo 23: Toc-Toc - ✓
Capitolo 24: Legami scomodi - ✓
Capitolo 25: Nuovi ospiti - ✓
Capitolo 26: La spia - ✓
Capitolo 27: Tocca a me - ✓
Capitolo 28: Il mondo continua a girare - ✓
Capitolo 29: Prurito ed ematomi - ✓
Capitolo 30: Fede - ✓
Capitolo 31: Rimorsi - ✓
Capitolo 32: Torna a letto - ✓
Capitolo 33: Fiamme - ✓
Capitolo 34: Scuse e incertezze - ✓
Capitolo 35: Analista per caso - ✓
Capitolo 36: Non puoi dimenticare - ✓
Capitolo 37: Bersagli - ✓
Capitolo 38: Ostacoli - ✓
Capitolo 39: Ho trovato Jake e... - ✓
Capitolo 40: La bomba - ✓
Capitolo 41: Shakalaka - ✓
PARTE TERZA
Capitolo 42: Scampagnata - ✓
Capitolo 43: Pausa? - ✓
Capitolo 44: Nuove conoscenze - ✓
Capitolo 45: Mercato finanziario - ✓
Capitolo 46: Linea - ✓
Capitolo 47: Safe International Hawk - ✓
Capitolo 48: Fregati - ✓
Capitolo 49: In trappola - ✓
Capitolo 50: Dimitri Malokov - ✓
Capitolo 51: Rancore - ✓
Capitolo 52: Portare via tutto - ✓
Capitolo 53: Insofferenza - ✓
Capitolo 54: Colpe - ✓
Capitolo 55: Operazione Y - ✓
Capitolo 56: Amicizia - ✓
Capitolo 57: Risposta inaspettata - ✓
Capitolo 58: Rivelazione - ✓
Capitolo 59: Con onore - ✓
Capitolo 60: Rottura - ✓
Capitolo 61: Solitudine - ✓
PARTE QUARTA
Dimitri Malokov & Iari Staniv
Capitolo 62: Egoismo
Capitolo 63: Apnea
Capitolo 64: Il prezzo da pagare
Capitolo 65: Anonimato
Capitolo 66: Saluto
Capitolo 67: Benvenuto nella squadra
Capitolo 68: Giuramento
Capitolo 69: Decisione
Capitolo 70: L'impegno che non serve
Capitolo 71: Lontanamente vicini
Capitolo 72: Vecchie amicizie
Capitolo 73: Vigilia
Capitolo 74: L'inizio
Capitolo 75: Le squadre
Capitolo 76: Patente?
Capitolo 77: La tana del lupo
Capitolo 78: Boom...
Capitolo 79: Maledetta emotività
Capitolo 80: Svantaggio?
Capitolo 81: Iari Staniv
Capitolo 82: Luccichio
Capitolo 83: La pace
Capitolo 84: Caduti
Capitolo 85: Respirare
Capitolo 86: Un'ultima cosa da fare
Epilogo
💜Ringraziamenti & Playlist💜

Capitolo 4: Una semplice giornata di lavoro - ✓

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By DarkRafflesia


Il mattino arrivò lesto per Dave Morrison. Non gli dispiacque; dopo essere tornato alle cinque del mattino, aveva puntato la sveglia per le sette, godendosi due ore di sano riposo. Fu difficile svegliarsi, non poté negarlo, tuttavia il successo della notte prima lo aveva caricato a tal punto da non risentire del sonno neanche un po'. Un braccio pronunciato, dai muscoli tonici, sbucò dalle lenzuola leggere; il condizionatore aveva abbassato la temperatura estiva. Premette il pulsante della sveglia digitale, dal suono davvero troppo assordante per i suoi gusti. 

Avrebbe dovuto cambiarla con qualcosa di più rilassante, anche se avrebbe rischiato di riaddormentarsi di nuovo. Supino, come era solito dormire, scostò le lenzuola con un gesto sicuro. Sollevò le braccia per stiracchiare i muscoli con esagerata enfasi, godendosi il fioco fascio di luce che penetrò le serrande per imbattersi paradossalmente sui suoi zigomi pronunciati e caratterizzati da una lieve barbetta incolta; si mise seduto e sbadigliò, voltandosi per scendere dal letto. A piedi nudi, camminò con addosso il completino che usava a casa, pantaloncini e canotta, dirigendosi in bagno; si grattò il retro del collo, i ciuffetti biondi totalmente scompigliati. Tuttavia, prima di svoltare verso il bagno, doveva sostare in un'altra stanza. 

Ghignò, roteando gli occhi al cielo per l'ipotesi di qualche ora prima, rivelatesi esatta; non decise di bussare.
No.
Aprì direttamente la porta, illuminando la tana del lupo con la solarità del suo carisma.

«Raise and shine, jalapeño! È tempo di andare a lavoro!» gioì con tono acuto, in una piccola cantilena che enfatizzasse la provocazione diretta.

Un agglomerato di coperte gli stava dando le spalle, fronteggiando il muro pur di non guardare la porta. Era totalmente sommerso, sebbene non ci fosse freddo, che a stento Dave riconobbe la nuca ricciolina sbucare con qualche ciuffetto pazzerello: un animale in letargo. Ovviamente non poté non tralasciare lo schifo cui si imbatterono le sue iridi marroni. Gli scarti di cibo dei giorni precedenti erano ancora lì. Per non parlare del tanfo di chiuso che si era insinuato nelle sue narici. La finestra era sigillata, come se avesse patito il freddo di una giornata invernale. Si era già fatto un'idea di come aveva reso la sua camera da letto Noah, eppure aveva sottovalutato il problema; era peggio di quel che si era aspettato. Fece una smorfia di disgusto, allontanando il busto per evitare di essere travolto da quell'ondata maleodorante di sporco. Un barbone viveva in condizioni di pulizia migliori, ci avrebbe giurato. Ancora di spalle, l'agglomerato di lenzuola si mosse senza avere intenzione di rivelare il diretto interessato, emettendo un ringhio impastato.

«Hai rotto il cazzo con quel nomignolo di merda.» provenne dall'involucro, un tono nervoso, ma sussurrato. «Get out.»

Dave scosse la testa, schioccando la lingua con divertimento. «Come volevasi dimostrare, non riesci neanche ad alzarti. – commentò, udendo un'ulteriore lamentela esasperata. – Oggi non tollero ritardi, quindi-oh!» dai riflessi pronti, si scostò, schivando di striscio una scarpetta da ginnastica che gli sfiorò la spalla. «Potevo morire. Come osi attentare alla mia vita?»

Noah si era girato, rimanendo ancora immerso nelle coperte; tuttavia il suo braccio mingherlino stava penzolando dal letto, in direzione dell'altra scarpa ai piedi del letto. Dave gli puntò il dito.

«Don't you dare.» lo avvertì.

Ma il ragazzo non lo ascoltò nemmeno. «Get the fuck out.» ribadì, lanciando la calzatura.

Dave l'evitò nuovamente, non contenendo una risata. «I videogiochi non sono così male: hai una mira micidiale, pur non vedendomi.»

«È impossibile non immaginare la tua faccia da culo.» Noah gli diede le spalle, nascondendosi. «Ti lancerò la lampada se non chiudi la porta.»

«Per favore, quanto sei drastico. – l'uomo socchiuse la porta, non prima di pronunciare queste ultime parole: – Ti concedo mezz'ora. Dopodiché scendi a fare colazione.»

Dopo aver interagito con la bestia, Dave andò in bagno e si preparò per fare una bella doccia. Avviò il getto del soffione, scegliendo la giusta temperatura, si denudò e si chiuse all'interno di quel metro quadro, incominciando a cantare a squarciagola; non era da lui fare quel tipo di sceneggiate, eppure doveva trovare un modo per far schiodare Noah da quel letto. Ogni mattina inventava qualcosa che potesse indurre il giovane a perdere la pazienza – e già ne aveva poca, quando si trattava di sottostare alle sue provocazioni – cosicché da essere obbligato a scendere dal materasso per andargli incontro, scaricargli milioni di insulti, per poi essere costretto, tuttavia, a lavarsi, cambiarsi e andare a lavoro. 

Trucchetti del mestiere che Dave aveva imparato nel corso di quell'anno; conosceva poco di Noah, ma i suoi gusti, le sue abitudini e il suo carattere burbero, erano le uniche cose che aveva imparato a menadito.

Finita la doccia, il soldato avvolse un asciugamano alla vita, mentre un altro lo usò per strofinarsi i capelli corti; passò il braccio sul vetro appannato dalla condensa e si guardò allo specchio. Si controllò il mento e la mandibola, notando effettivamente che quella barba doveva essere tolta per subito. Avvezzato ai primi anni al Navy SEAL, era solito portare i capelli rasati e la mascella liscia; col tempo questa regola venne meno ed ottenne la libertà di poter fare quello che voleva del suo aspetto estetico, eccetto per la barba, ormai una sua costanza. A differenza di Kyle, il quale a volte sembrava davvero un vichingo, Dave era un figurino di eleganza e compostezza. Prese la schiuma da barba e si divertì ad eliminare gli intrusi della pelle; si sciacquò la faccia e si pettinò i capelli già asciutti. 

Si diresse in camera da letto, aprì la cabina armadio e ci si infilò praticamente dentro, scegliendo gli indumenti adatti per quella giornata. Pronto, si guardò allo specchio un'ultima volta, ammirando l'abbinamento scelto; pantaloni di un marrone scuro, scarpe nere, camicia bianca dalle maniche arrotolate sino ai gomiti e piastrine pendenti al collo, senza una cravatta che sigillasse il colletto sino all'ultimo bottone. Preferiva tenerne almeno tre aperti: non era mai stato un tipo dalle ampie formalità. Rispettare il codice camicia-pantalone era già fin troppo. Anche perché c'era chi non lo rispettava minimamente. 

E quel chi aveva appena aperto la porta della stanzetta per chiudersi in bagno. 

Con la coda dell'occhio, Dave lo vide, sorridendo vittorioso mentre indossava nel polso sinistro uno dei suoi cinque orologi raffinati che teneva nel cassetto del comò; cinturino marrone, quadrante nero, ed il gioco era fatto. Fece arieggiare la sua stanza, dopo averla riordinata per bene, dopodiché scese in cucina a preparare la colazione. L'unica fortuna che poteva condividere con Noah era...No. non c'erano fortune quando c'era di mezzo quel ragazzino. 

Non era in grado di cucinarsi da solo, optando per ciò che di poco salutare vi fosse nel mondo, quindi doveva cercare di obbligarlo a mangiare cibi salutari, proteine e vitamine. Prepararsi la colazione non era un problema, ma se Dave doveva incominciare la giornata con il piede giusto, era meglio che ogni tanto facesse il servizievole per placarlo un po'. Una bella tazza di latte caldo con un briciolo di zucchero per eliminare le amarezze della vita era ciò che faceva al caso di Noah; non era un bevitore di caffè, ma la caffeina di quella maledetta Coca-Cola l'accettava volentieri. Dave, invece, optò per una tazza tradizionale di caffè all'italiana che avrebbe accompagnato con dei bei pancake proteici. 

Preparò l'impasto e si mise a lavoro; preferiva sempre alimenti salutari e naturali. Aveva comprato una caffettiera originale per avere sempre a portata di mano quel sapore forte e deciso, una botta di caffeina che giungeva istantaneamente dopo la prima tazzina, a differenza di quell'acqua sporca che tanto odiavano gli abitanti dello stivale; poté comprendere la loro avversione, non li biasimò. Avvitò la caffettiera nuova di zecca e la mise sul fuoco, successivamente versò un mestolo dell'impasto dei pancake sulla padella antiaderente e si apprestò a cucinarli, facendoli saltare per girarli con maestria, dandosi un po' arie, tanto per autocompiacersi delle sue grandiose doti. Nel frattempo riempì la tazza di Noah con del latte e la chiuse nel microonde, impostando il timer. Avrebbe dovuto comprare anche una macchina per il cappuccino: chissà se in quel modo il ragazzo avesse bevuto il caffè. Il tin! annunciò la colazione pronta; apparecchiò il tavolo in vetro e posò ciò che aveva preparato; il piatto di pancake, lo sciroppo d'acero, la sua tazzina di caffè e la tazza di Noah. 

Guardò l'orologio; passò mezz'ora precisa. E dopo mezz'ora scese Noah. 

Si è fatto la doccia. Pensò Dave al vedere i ciuffi mossi del ragazzo più ordinati del normale e splendenti, con quel castano un po' più chiaro, lontano dal colore smorto e unto. Come previsto, stava indossando un paio di jeans blu, le scarpette bianche che gli aveva lanciato in precedenza, e una felpa leggera di un nero un po' scialbo, un grigio molto scuro. Si aggiustò gli occhiali sul naso, sbadigliando rumorosamente non appena varcò la soglia dell'openspace per sedersi a tavola, davanti alla sua tazza fumante.

«La tua puntualità fa da contrasto a come appari, lo sai?» domandò Dave, mettendosi a capo tavola, giornale in mano e caffè nell'altra – preferiva leggere le notizie, anziché guardare la tv: suonava più rilassante. «O ti presenti in orario o non ti presenti affatto: non c'è una via di mezzo.»

Noah prese la tazza dalla base, senza usufruire del manico, ed incominciò a sorseggiare il latte, inclinando lievemente il busto dall'altro lato per non dargli udienza. «Chiunque sarebbe puntuale per non avere a che fare con te e con le tue storie.» appoggiò la caviglia sopra il ginocchio, scuotendo il piede.

«Non sarei un Capitano, altrimenti. Peccato che le mie punizioni con te non valgono, perché non devi scendere sul campo imbracciando un'arma. – affermò un po' deluso il soldato, senza guardarlo per girare pagina e leggere l'articolo sull'ultima partita di baseball trasmessa l'altra sera. – Mi sarebbe piaciuto vederti collassare alla prima flessione, con quelle braccine che ti ritrovi.»

«Preferisco essere come sono, piuttosto che seguire te.»

«Ritieniti fortunato a non essere sovrappeso. È l'unica cosa che mi tiene lontano dal farti fare attività fisica, sappilo.»

Noah lo ignorò.

«Almeno la sessione notturna è andata bene?» Dave finì il caffè e si dedicò interamente al giornale, scuotendolo con un gesto sicuro per emettere il suono della carta stampata.

Ai bordi del suo campo visivo, tuttavia, non poté ignorare l'occhiata folgorante che il ragazzo gli lanciò con aria stizzita, le occhiaie più evidenti per l'espressione torva.

«Sarebbe andata bene se qualcuno, qui, non avesse staccato la corrente.»

«Oh, suvvia. Sei il campione mondiale di...quello che è. Non perdi mai. Che ci fa se per una volta fai cilecca?»

«Se non fossi tu a farmi perdere, accetterei mille sconfitte. Leali quantomeno.» Noah si scolò in un unico sorso il restante latte, dopodiché posò la tazza sul lavello e si diresse all'entrata di casa, verso il muro sulla quale vi erano appesi alcuni mazzi di chiave, tra cui uno colmo e stracolmo di portachiavi sui videogiochi. «Sposta la tua cazzo di macchina dal vialetto, devo uscire.» prese il suo mazzo e fece dietrofront verso la porta del garage.

«Non vuoi i pancake? Ne ho fatti in più per-»

«Muoviti.» gli parlò di sopra il ragazzo, sbattendo di proposito la porta per spronarlo.

Dave abbassò il giornale e si portò due dita negli angoli degli occhi, inspirando profondamente.

«Che qualcuno, lassù, mi dia la forza.»

Dovette mangiare in fretta e furia, pur di assecondare quello scontroso coinquilino che si ritrovava; prese le chiavi dell'auto, il portafoglio e tutto l'occorrente che gli serviva per andare a lavoro, dopodiché si diresse al vialetto per andare, indossando gli occhiali da sole. Una stupenda Mercedes-Benz di ultima generazione, dal colore grigio metallizzato, faceva la sua bella figura in confronto alle vetture che il vicinato aveva da offrire. Amava le auto. Il suo sogno del cassetto era una Maserati rossa, fiammeggiante, ma doveva mantenere una certa discrezione e decoro; inoltre non era mai stato il tipo da ostentare lo stipendio che guadagnava mensilmente per essere un soldato del Navy SEAL e, soprattutto, un agente della Central Intelligence Agency. 

Esatto. 

Non era solo il Capitano Dave Morrison, bensì l'agente Dave Morrison. 

E quel tipetto peperino sulla moto, la quale sbucò dalla saracinesca automatica del garage, era l'agente Noah Finley, anch'egli un dipendente di Langley. 

Stavano dirigendosi entrambi alla sede principale, seppure con mezzi di trasporto differenti; qualsiasi cosa pur di stare lontani e avere meno interazioni possibili durante il corso della giornata. Se Dave aveva le carte in tavola per dare l'idea di essere un uomo d'affari, Noah sembrava un ragazzo che stava andando ad aprire una caffetteria per incominciare il suo turno part-time dietro un banalissimo bancone; la sua moto era vecchiotta, dal colore opaco, di quanto non venisse riverniciata da secoli. Era di un blu slavato, un modello di circa cinque anni fa: nulla di vistoso ed elegante. L'uomo aveva perso il conto di quante volte aveva consigliato al giovane di comprarsene una nuova, o di fare una dannata revisione; era capitato che il bolide a due ruote si fermasse in mezzo alla strada per un guasto al motore o che non si accendesse direttamente dal garage. Era strano che Noah non se ne curasse più di tanto; prediligeva comunque le moto alle auto. Evidentemente gli andava bene così. Spendeva soldi solo in attrezzature informatiche per quegli odiosi videogiochi. 

Tuttavia non poteva che dargli punti a favore, nonostante quel ferro vecchio. Al primo semaforo rosso, Dave si fermò; imprecò, grugnendo frustrato contro coloro che gli si puntellarono davanti, poiché al verde rimasero immobili per far passare le vetture che arrivarono dall'incrocio a sinistra; lo svantaggio di vivere in periferia era proprio quello: il dover affrontare il traffico dell'ora di punta dall'ingresso fino all'arrivo a Langley. 

Che rottura di... Noah, dal casco addosso, sorpassò beatamente tutti quanti con uno slalom incredibile, quasi a voler far impazzire di proposito chi gli stava dietro. Il soldato lo vide sparire in lontananza, soprattutto quando udì il rombare del suo motore, sinonimo che aveva accelerato per aumentare le distanze con lui. Era forse una provocazione? Un modo per dirgli che, nonostante avesse ricevuto le sue mille ramanzine sul ritardo, era lui quello che stava rischiando tra i due? Oh, questo non dovevi farlo. Inclinò la testa di lato, accettando la sfida. Cambiò marcia, dopodiché premette l'acceleratore. Non appena le macchine si mossero, anche lui si diede allo slalom spericolato, sorpassando i taxi e i maledetti autobus che rallentarono il flusso di macchine. Lui non sarebbe mai arrivato in ritardo. Nei suoi onorevoli sei anni di servizio alla CIA, non avrebbe mai trasgredito una delle peculiarità con cui i suoi colleghi lo avevano conosciuto. Arrivò a Langley con ben dieci minuti di anticipo, infatti. Svoltò verso la discesa che lo avrebbe condotto verso il parcheggio sotterraneo. Fu lì che Noah parcheggiò la sua moto, dalla quale scese in quel preciso istante. Dave non resistette alla tentazione di parcheggiare accanto a lui.

«Credevi di avermi seminato?» domandò non appena chiuse lo sportello dalla macchina, il sorriso borioso a trentadue denti.

Noah si tolse il casco, scuotendo la testa per aggiustarsi i capelli. «Mi sarebbe piaciuto poter correre nel mio ufficio prima del tuo arrivo per toglierti dai piedi, ma devo sopportarti fino all'ultimo.» aprì il sedile per posare il suddetto e prendere lo zainetto per metterselo su una spalla, dopodiché si avviò all'ascensore.

Dave lo seguì a ruota libera, mettendocisi accanto. Il ragazzo teneva la schiena ricurva in avanti; se l'avesse raddrizzata, vittima purtroppo della postura da nerd, dalle scapole alate, avrebbe guadagnato in altezza.

«Tu devi sopportare me? – sospirò una risata – Chiunque, qua dentro, potrebbe dire il contrario.»

Noah lo ignorò, prendendo dalla tasca della felpa il badge della CIA, con la sua bellissima fotografia apatica e priva di espressione di sette anni fa; avvicinò il codice a barre sul dispositivo a infrarossi per ottenere il permesso di accesso. Quando il tintinnio annunciò il corretto rilevamento, varcò il portellino per chiamare immediatamente l'ascensore. Dave lo raggiunse, appoggiandosi al muro.

«Dovresti tenerlo al collo, il badge. È pur sempre un riconoscimento.» sottolineò, indicando il suo, indossato non appena era sceso dalla vettura.

«Cristo, mi stai sempre col fiato sul collo. Quanto sei puntiglioso.» eppure obbedì, indossandolo.

«Una figura del tuo calibro dovrebbe sempre utilizzarlo, affinché tutti possano vederlo. – le porte dell'ascensore si aprirono; i due colleghi entrarono. Noah premette il pulsante per il tredicesimo piano, mentre Dave quello per il quindicesimo; due ruoli diversi di diversa rilevanza. Le porte si chiusero e l'ascensore iniziò la sua salita. – Oggi hai da fare?»

«Non lo so.»

«Nessun lavoro da parte di Timothy?»

«Non lo so.» rispose spazientito, mettendo le mani dentro le tasche. «Vai a sorseggiare margarita, dopo la missione di stanotte, e non rompere.»

«Mi piacerebbe, ma non posso. – Morrison ondeggiò la testa con dissenso – Sono pur sempre il capo della Direzione delle Operazioni; devo tenere conto degli agenti scelti per andare sul campo, dei loro progressi, dove mandarli e se sono idonei per affrontare qualcosa di più pericoloso.» precisò con tono serio. «Dovrò sospendere l'agente Taylor dopo quello che ha passato, per darle il tempo di riprendersi e capire se lasciarla operativa o darle un ruolo da ufficio. Dopodiché dovrò organizzare una squadra del Navy SEAL per una spedizione di grado inferiore: una semplice ricognizione. Per questo avrò bisogno dell'aiuto di Gregory e della sua Direzione di Supporto.»

Come capo della Direzione delle Operazioni, Dave dirigeva le operazioni sotto copertura del dipartimento, coordinando le attività di intelligence di tutte le agenzie di sicurezza degli Stati Uniti. Era stato nominato dal Presidente in persona, per aver salvato un'intera nave da crociera da un gruppo di terroristi. A differenza dei Marines e delle piccole squadre del Navy SEAL, incaricate per le spedizioni in Iraq, Iran, Arabia Saudita – i primi – e per azioni dirette o ricognizioni costiere e marittime – i secondi –, i team operativi di Dave Morrison, supervisionati dal supporto di Gregory Reed, si occupavano di anti-terrorismo, di salvataggio di agenti scomparsi, della cattura e dell'eliminazione di bersagli e di protezione ostaggi. Il Team Bravo veniva chiamato quando la situazione si inaspriva più del dovuto. Era Dave ad addestrarli, per questo toccava a lui supervisionare le pagelle, i loro progressi al poligono di tiro e alle simulazioni che, una volta ogni tre mesi, attuava per capire chi fosse all'altezza di andare in ambienti rischiosi e, specialmente, dannosi per la loro incolumità. Dave e Gregory erano le uniche figure a svolgere due ruoli contemporaneamente. Il suo ruolo da capo di Direzione del Supporto, il secondo in comando del Team Bravo, lo aveva guadagnato grazie a Dave; le funzioni ricoperte dal settore avevano come oggetto la sicurezza, il personale amministrativo, gestionale e di servizio, le comunicazioni e la gestione finanziaria.

«Che noia.» fu l'unico commento di Noah a riguardo.

Un po' offensivo nei confronti di Dave. «Noia? Vorrei vedere te al posto mio.»

«Anche io vorrei vedere te al posto mio, visto che questo posto sta in piedi grazie a me.»

«E su questo, dannazione, non posso darti torto.» ammise il soldato a mani basse.

L'ascensore arrivò al tredicesimo piano. Le porte si aprirono e Noah fece per uscire a passo veloce.

«Mi raccomando: niente fast-food alla pausa pranzo.» puntualizzò Dave con un tono misto a ilarità e autorevolezza, un ordine che il giovane doveva rispettare.

Noah lo rispettò parecchio, infatti non appena varcò l'uscita sollevò la mano per mostrare un teso dito medio alle sue spalle, affinché l'uomo recepisse il messaggio. Questi non ribatté, bensì scosse la testa rassegnato, aspettando che l'ascensore ripartisse per raggiungere il suo piano.
Finalmente un po' di pace. Furono i primi pensieri di Noah non appena sentì il dolce suono dell'ascensore allontanarsi sempre più. Il Dipartimento cui era diretto situava oltre l'angolo; doveva superare la segreteria, quell'ingorgo odiosissimo di persone in mezzo al corridoio, per avere di fronte l'ala dove svolgeva le sue mansioni giornaliere. Afferrò lo zaino per averlo sotto il braccio ed aprì la zip del taschino esterno; tirò fuori i suoi auricolari bianchi e li infilò alle orecchie per subito. 

Attaccò il jack al cellulare ed avviò la prima canzone che gli capitò di intravedere nella sua playlist. Indossò il cappuccio della felpa, chinò lo sguardo e camminò spedito nel suo ufficio. Di fatto non si accorse che i dipendenti di quel piano si irrigidirono alla sua vista; si scostarono felini per farlo passare e lo seguirono con lo sguardo, scambiandosi poi occhiate timorose e discrete. Noah fece solo finta di non esserne conscio, poiché era una situazione che si ripeteva ogni volta dal suo primo giorno di lavoro. Le porte in vetro della Direzione delle Scienze e delle Tecnologie mostravano un team di addetti indaffarato con scartoffie, un mucchio di informazioni che saltavano a destra e manca senza una sosta fissa; un brusio acceso poteva udirlo anche attraverso la musica di sottofondo. Che fastidio. Varcò l'entrata, provocando lo stridio della porta dalle rotelle arrugginite e poco oleate. Gli occhi dei dipendenti si mossero in quella direzione.

Calò un silenzio tombale.
Immobilizzati, sbiancarono davanti al loro superiore, poiché consapevoli che questi non sopportava che all'infuori del suo ufficio, quella piccola stanza in fondo alla sala, accanto a quella del grande Capo, si venisse a creare una tale baraonda per banali impedimenti che lui stesso avrebbe in seguito risolto.

Perché Noah Finley era il Vicedirettore della Digital Innovation, il sotto dipartimento della Direzione delle Scienze e delle Tecnologie. 

Mai giudicare dalle apparenze; il giovane deteneva quasi lo stesso potere di Dave Morrison. Solamente la sua età lo frenava dallo scalare ulteriormente la piramide, altrimenti avrebbe avuto il titolo di Capo stampato a caratteri cubitali sul badge. Attraversò il vialetto principale, in mezzo alla quarantina di scrivanie munite di personal computer; ogni tanto le sue iridi grigie, fredde e penetranti, si posavano su alcuni di loro, scaturendone paura e brividi. Si sentivano sotto il suo giudizio, convinti di aver sbagliato qualcosa e di doverne pagare le conseguenze. Raggiunto il suo ufficio, dalle tende sigillate, ci piombò dentro, sbattendo la porta per far sussultare le spalle dei suoi dipendenti.

Un parlottio sommesso si diffuse nella sala; ripresero con le loro faccende, ma ad un tono basso per non oltrepassare la soglia di decibel in grado di disturbare le orecchie del giovane Vicedirettore. Noah lanciò lo zainetto sulla poltroncina vuota accanto alla scrivania; rispetto alla sua stanza da letto, quel posto era un antro minimalista. Pareti bianche, eccetto quella vetrata, totalmente bloccata da tende blu scuro, una scrivania bianca lucida, sedie nere, la sua munita di rotelline, la finestra era anch'essa ostruita da tende di un bianco opaco, quasi trasparente, ed un mobile astratto color legno dove vi era una quantità industriale di fascicoli ordinati in delle cartellette tutte uguali, contrassegnate con delle lettere per essere disposte in ordine alfabetico.

L'unico oggetto dichiarante lo stile di vita del ragazzo era una piccola action-figure di uno dei suoi videogiochi preferiti, posta accanto al portapenne e allo schermo piatto del computer. Si sedette a peso morto sulla sedia, accendendo il dispositivo per controllare se avesse ricevuto tutto l'occorrente che aveva richiesto dagli altri agenti. Fu un bene che avesse tolto una cuffia dall'orecchio, poiché bussarono alla porta. Noah innalzò lo sguardo al soffitto; non aveva ancora iniziato e già c'erano problemi.

«Avanti.» disse dopo aver mangiato una gomma da masticare.

«N-Noah? Posso?» balbettò un individuo, il quale sbucò dall'uscio come una talpa impaurita.

Il Capo della Direzione si palesò al suo cospetto. Timothy Su, di origini orientali, si rifugiò dietro la porta, facendo guizzare i suoi occhioni neri a mandorla sul diretto interessato con disagio, il quale fece scoppiare la gomma con un soave pouf!. Questi annuì, sedendosi un po' più composto, avendo pur sempre a che fare con un suo superiore. Timothy entrò, portando tra le mani un documento; non si accomodò, limitandosi a poggiare il foglio sulla scrivania, affinché Noah lo potesse leggere.

«Questi elencati sono gli archivi nuovi che ho caricato nel sistema. Vorrei che tu li ordinassi e li proteggessi nel settore 78B per i nuovi prototipi di sviluppo d'intelligence: sono ancora in fase provvisoria, perciò vanno contrassegnati nella cartella dei dispositivi in fase di sperimentazione.» si aggiustò gli occhiali tondi sul naso, allentandosi il colletto della camicia per farsi coraggio. «Vorrei che tu gli dessi un'occhiata, magari potresti apportare qualche modifica se trovi delle pecche.»

Noah prese il foglio e lesse attentamente la lista di ciò che era stato sviluppato. «Di che si tratta?»

«Sistemi di rintracciamento GPS più efficaci: ho notato che quelli di cui disponiamo hanno delle anomalie al momento dell'accensione e sono troppo grandi. Ho creato un design più piccolo, senza la solita lucina lampeggiante. Un dischetto con una spia simile al segnale a infrarossi di un telecomando. Che te ne pare?»

«Non male.»

A Timothy brillarono gli occhi con orgoglio. «A che punto è il progetto D-R9?» chiese poi speranzoso.

Il palloncino scoppiò nuovamente. «Ci sto ancora ragionando.»

«Riuscirai a finirlo entro un anno?»

«Anche di meno: dammi cinque mesi.»

«Grandioso! – gioì entusiasta. Noah lo squadrò con un sopracciglio alzato, allora si ricompose. – Volevo dire: Bene. Perfetto. Buon lavoro!» e abbandonò l'ufficio con più ottimismo.

Il ragazzo non ci diede tanto peso, mettendosi immediatamente a lavoro.
Il compito di Timothy era semplice ed efficace; studiava e sviluppava gli avanzamenti tecnologici utili alle funzioni di intelligence dell'agenzia, le quali venivano mandate anche alle Forze Armate della Direzione delle Operazioni. Noah, essendo il vicedirettore del Dipartimento delle Digital Innovation, si occupava dell'infrastruttura informatica della CIA, controllando e assicurando la sicurezza degli archivi e creando una rete di collegamento fra tutti i Dipartimenti dell'Agenzia; ciò che fece in meno di dieci minuti, proteggendo gli archivi contrassegnati dall'agente Su: un gioco da ragazzi. Spesso l'orientale gli presentava le sue idee, come se volesse un secondo parare esterno con cui confrontarsi per trovare difetti da correggere; Noah non aveva mai visto robe del genere. 

Tutto quello che veniva presentato nei film erano cazzate; strumenti di spionaggio super sofisticati in grado di poter fare la qualunque cosa non esistevano. Si potevano rinnovare oggetti già progettati, migliorare alcune funzioni con la nuova tecnologia del ventunesimo secolo, ma mai vedere quelle finzioni alla Mission Impossible.
Adesso che aveva finito poteva dedicarsi al progetto citato da Timothy per...

Il telefono sulla scrivania squillò.

Aveva appena aperto la cartella, dannazione!

E poi perché la Segreteria d'Ufficio lo stava chiamando?
Alzò la cornetta, portandola all'orecchio.
Non ebbe l'opportunità di parlare che Virginia Stevenson parlò macchinosa.

«Agente Finley, è pregato di presentarsi dal Direttore Simmons entro cinque minuti.»

Riattaccò.

Cosa diavolo voleva il Direttore della CIA da lui?

________________________________________________________________________________

Angolo autrice:

Buon martedì!
Da questa settimana, come già accennato nell'annuncio, avrete due capitoli a settimana. Ero consapevole che un solo aggiornamento settimanale fosse un po' troppo poco, perciò per soddisfare le vostre esigenze ho deciso di aumentare il passo! 
Adesso la storia inizierà a prendere piede.
Siete pronti? 

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