BADLANDS II

By CatsLikeFish

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➡️ Storia in corso ▶️ Sequel di Badlands 🦋🦋🦋 Questa storia contiene scene esplicite ed il linguaggio non... More

BADLANDS II
When you think of love, do you think of pain?
Innocence died screaming, honey, ask me I should know
Do You really want me dead or alive to torture for my sins?
Do you want my presence or need my help? Who knows where that may lead
How are you all around me when you're not really there
With my feelings on fire, guess I'm a bad liar
Wish you knew that I miss you too much to be mad anymore
You've got a fire inside but your heart's so cold
Use the sleeves on my sweater, Let's have an adventure
And oh we started Two hearts in one home
Dancing through our house with the ghost of you
Would you rescue me? Would you get my back?
What am I now? What if I'm someone I don't want around?
Will you still love me when I'm no longer young and beautiful?
Due parole su Badlands
And my daddy said, "Stay away from Juliet"
Sleep with me here in the silence Come kiss me, silver and gold
We weren't perfect But I've never felt this way for no one
Baby kiss me, before they turn the lights out
'Cause I've done some things that I can't speak
I know you wanna go to heaven, but you're human tonight
I spend her love until she's broken inside
If it's not you, it's not anyone
End
Seconda parte
XXV
XXVI
XXVII
XXVIII
XXIX
XXX
XXXI
XXXII
XXXIII
XXXIV
XXXV
XXXVI
XXXVII
XXXVIII
XXXIX
XL
XLI
XLII
XLIII
XLIV
XLV
XLVI
XLVII
XLVIII
XLIX
L
LI
LII
LIII
LIV
Epilogo: parte uno
Epilogo: parte tre

Epilogo: parte due

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By CatsLikeFish


Siamo quasi alla fine 🖤

🔴🔴🔴

Juliet

Un'esplosione di colori mi riempie la pancia e la mia mente si svuota di ogni pensiero.
Alexander si appropria della mia bocca e la tortura con affondi di lingua violenti e incalzanti, causandomi spasmi piacevoli sotto la pelle.

Le sue mani immerse nei miei capelli sono avide, sicure, ma il mio equilibrio è precario. Muovo un passo, poi un altro, sto indietreggiando, sfiancata e incapace di fronteggiare la forza di quel bacio.

Il mio cuore brucia, le ginocchia cedono e in un attimo casco sul letto, trascinandomi il suo corpo addosso.

Con le braccia gli circondo la schiena, mentre lui schiaccia i palmi freddi sulle mie guance e mi tiene ferma, approfondendo quel gioco di lingue in modo indecente.

La scia del suo profumo mi scava una voragine nel petto e ogni volta che provo a incamerare aria, ciò che ricevo sono pugnalate roventi nello stomaco.

Il mio corpo si arrende al suo, e quando distanzio le gambe tra loro, avverto un pizzicore intenso proprio lì, in mezzo alle cosce, dove la fibbia della cintura preme contro la mia carne scoperta. Mi scappa un altro gemito, ma invece che ritrarsi, Alexander sembra interpretare ogni mio lamento come un invito.

Sto boccheggiando e lui si accorge della mia difficoltà, difatti inizia a spingere duramente contro il mio inguine. Il bacio diventa caldo, eccitato e le sue mani percorrono il mio corpo e scendono ad afferrarmi il fondoschiena con irruenza.

Per un attimo mi chiedo dove siano le mie mutande, ma poi ricordo che se l'è intascate lui durante il ricevimento.

Con la punta delle dita raschia la mia pelle sensibile, scava sotto la mia gonna e ne solleva il bordo, per poi stringermi con i suoi palmi gelidi.

-No, fermati.-

Sono io a pronunciare quelle parole.
All'improvviso Alexander sembra risvegliarsi da un incantesimo. Retrocede di scatto, si alza in piedi, mentre io resto sul letto, a sfiorarmi le labbra. Queste scottano come le mie guance, sotto il suo sguardo confuso.

-Io... Tu... Eri così scosso...-

Lui scrolla il capo. -Juliet, non avrei dovuto.-

-Stavi male fino a poco fa. Piangevi per Jenny-, ansimo a corto di fiato, intenta a risistemarmi il vestito sulle ginocchia.

-Non piangevo per Jenny.-

Alexander mette su uno sguardo riluttante, fa una pausa, poi si siede di fianco a me.

-Quando lei se n'è andata, ho realizzato.-

-Cosa?-

Ma lui serra le labbra, non parla.

-Dimmelo, per favore.- Gli lancio un'occhiata supplicante, vorrei solo si spiegasse meglio.

-Ho realizzato di aver sprecato più di due anni della mia vita.-

L'amarezza del suo tono seppellisce tutte le emozioni piacevoli che si erano disegnate sul mio volto, grazie al bacio.

-Come l'hai capito?-

-Se n'è andata e io non ho provato niente.-

La sua risposta è secca, ma io fatico a crederci.

-Non è possibile.-

E subito dopo me ne pento.
Non so nulla di loro due.

-Non volevo ammetterlo a me stesso, in realtà l'avevo già capito da tempo.-

Sollevo un sopracciglio. -Quando l'hai capito, Alex?-

Lui lascia scorrere le sue iridi scure dalle mie pupille dilatate alle mie labbra.

-Quando ho suonato il tuo campanello, quando tu hai aperto la porta e io ti ho guardata negli occhi.-

Sto trattenendo il respiro. So già che ogni parola che uscirà dalla sua bocca sarà in grado di uccidermi o di tenermi in vita.

-Ma non ho voluto dare retta al mio istinto.- 

-Il tuo istinto mi odia-, mi lamento con un piccolo broncio.

-Non riesco mai a capirti.-

-Capisci Jenny?-

-Con Jenny le cose sono semplici. Con te... No.-

-Che è successo?-

-Te l'ho detto, io e Jenny abbiamo discusso e lei...-

-No, intendo prima. Tu e lei. Come ci siete arrivati a volere ciò? Un... matrimonio?-

Non mi sforzo nemmeno a dissimulare la smorfia di disgusto che m'inasprisce il volto al solo pronunciare quella parola.

-Juliet, tu ne stai parlando come se dovessi farlo domani.-

-Be', invece da come ne parli tu, non sembri felice della scelta-, lo provoco senza mezze misure.

-Non è stata una mia idea.- taglia corto. -L'hai sentita quando eravamo al ristorante? Non sono stato io a farle la proposta.-

-Quindi l'avete deciso insieme?-

-Me l'ha chiesto lei, io ho accettato.-

Le domande gliele ho fatte io, sì, ma ora non voglio più stare a sentire. Mi alzo in piedi. È stato inutile provare a mantenere un po' di sangue freddo. Davanti a quell'eventualità non riesco a ragionare in modo lucido.

-Come puoi farmi questo?-

La mia domanda non ha un senso, forse nulla di tutto questo ha un senso. Il bacio, la discussione, la mia gelosia... Eppure Alexander sembra capire perfettamente.

-Juliet, non ti vedevo da tre anni. Hai deciso tu di tagliarmi fuori dalla tua vita. Completamente.-

A quel punto lo vedo ruotare il viso, distoglie lo sguardo. Noto un piccolo solco sotto lo zigomo, sta serrando i denti.

Ti ho bloccato, sì, ma era l'unico modo per andare avanti. Per convincermi che ti avrei dimenticato.

-Alex, pensa se l'avessi fatto io. Pensa se fossi stata io a venire da te per dirti... "Ehi, ciao, lo sai che mi sposo?"-

Lui torna con lo sguardo su di me per trafiggermi con un'occhiataccia. Alexander non gradisce il suono di quell'ipotesi, come se l'idea non potesse nemmeno sfiorarlo.

-Non me l'avresti mai perdonato, vero?- insisto cercando i suoi occhi irrequieti.

-No.- risponde senza paura e subito dopo il suo sguardo s'intorbidisce, rubandomi ogni respiro.

-Sei ingiusto.-

Chino il capo e lui fa lo stesso, solo che io sto trattenendo il pianto.

-Mi conosci, Juliet. Tra noi il problema esisterebbe comunque, a prescindere da un eventuale matrimonio. Mi basta solo l'idea che qualcuno ti abbia sfiorata o baciata, per non riuscire a sopportarlo.-

La sua voce è sussurrata, ma non conosce incertezze. E se lui è di ghiaccio, io non riesco a mantenere la calma.

-Tu hai accettato di sposare un'altra ragazza, mentre io non posso baciare chi mi pare?-

Alexander solleva il labbro superiore, disgustato.

-Prossimo anno? Davvero?- strepito riportando la discussione sul problema principale.

-Non abbiamo mai parlato di date.-

-Lei ha detto così però- ribadisco stizzita.

-Forse erano i suoi piani. O forse, durante la cena, ha capito cosa stava succedendo e voleva una tua reazione, Juliet.-

Non riesco a riflettere in modo obiettivo. Sono successe troppe cose e le mie labbra scottano ancora per quel bacio così intenso. Mi risiedo al suo fianco, questa volta però, a distanza di sicurezza.

- Non le hai mai detto niente di noi, vero?- chiedo con un filo di coraggio.

- Mai. Dev'essersi accorta di qualcosa.-

Continuo a scrollare il capo. La storia del matrimonio non mi va giù.

-Questa non è una cosa da te, Alexander. Se hai accettato, c'era un motivo. Non lo vuoi ammettere, ma forse la ami per davvero.-

-No che non lo è. Non è una cosa da me.- puntualizza. -Dicendo di sì ho solo acconsentito al fatto di potermi legare di più a lei.-

La sua risposta mi confonde.

-Perché dovresti acconsentire a...- Mi strofino la fronte corrucciata.

-Ci conosciamo da anni.-

-Non è una motivazione per accettare di sposare qualcuno, così, senza entusiasmo- lo rimprovero infastidita.

-La motivazione infatti è un'altra.-

Mi volto di scatto e lo fulmino con uno sguardo interrogativo, quindi lui continua.

-Se non posso avere te, non m'importa di nessun altra, Juliet. Ti sembra difficile da capire?-

Non posso farmi imbambolare da queste parole. Non posso.

Restiamo a fissarci senza parlare, ma sono io a interrompere quello strano silenzio tra noi.

-Non ci si comporta così con la persona con cui dovresti condividere il resto della tua vita, lo sai, vero?-

-Lei lo voleva.-

-Alex, non puoi usare le persone in questo modo. Gli altri non sono pedine che muovi in base ai tuoi scopi o desideri. Perché illuderla così?-

La mia voce sta tremando.

-Non era mia intenzione illuderla. Preferivi che io mi piangessi addosso, nella speranza che tu tornassi? O che non vedessi più nessuno, Juliet?-

-Non provarci, Alex. Non provare a manipolarmi.-

-Quando siamo tornati qui, in hotel, Jenny ha cominciato a farmi domande su di te e in un attimo ho rivissuto tutto. Tutto quello che avevo tenuto nascosto per proteggermi e non stare male. Mi sono sentito così...-

Scandisce quelle parole con voce calma e quando si arresta per prendere un lungo respiro, io mi avvicino a lui.

-Vuoto?- completo la sua frase.

Alexander annuisce.

-Ho iniziato a pensare al tempo trascorso con lei. Mi sono chiesto se non avessi sprecato anni della mia vita, con il solo tentativo di dimenticarti.-

-Be'... io ho fatto così.- confesso stringendomi nelle spalle.

-E a quanto pare ci sei riuscita benissimo. Dubito che tu abbia aspettato tanto per farti scopare da quel...-

-Alex dacci un taglio con queste assurdità.-

I suoi specchi sottili mi macchiano di un'occhiata perentoria.

-Assurdità?-

-Lo sono. Quello che ho trascorso con Rick non può essere paragonato a quello che ho passato con te, nemmeno lontanamente. E no, non ci sono riuscita a dimenticarti.- spiego rapida, senza prendere respiro. - E se per te il desiderio di voler trascorrere il resto della vita con una persona non ha valore... be' per me ce l'ha. È chiaro che tu mi abbia dimenticata.- 

Uno scossone mi fa tremare le spalle, mentre la mia voce si frantuma sull'ultima frase.

-Juliet, per me il matrimonio non ha alcun valore. Non stavo illudendo lei, ma...-

I suoi occhi cominciano a scivolare nel vuoto. Sembra stia rivivendo un momento sofferto.

-Ti ascolto, Alex.-

-Stavo illudendo me stesso. Man mano che tutto diventava più ufficiale con lei, tu ti facevi sempre più lontana. Ero sicuro di arrivare qui e comportarmi come se nulla fosse, ma... è bastato così poco. Mi è bastato guardarti negli occhi.-

I nostri sguardi si allineano sulle rispettive bocche.

-Mi è bastato baciarti, Juliet.- Chiudo le palpebre, mentre i nostri nasi si sfiorano. -E la cosa che non sopporto... è che ho voglia di baciarti ancora.-

Un trillo sconosciuto mi fa spalancare gli occhi.
Qualcuno ha suonato alla porta.

-Chi è?- salto su spaventata.

Dimmi che non è lei.

Alexander va ad aprire e sull'uscio trova un addetto dell'hotel che gli lascia degli asciugamani puliti.

Io tiro un sospiro di sollievo, finché non sento Alexander rispondere -Sì, lascio la stanza domattina, alle undici.-

-Quindi parti domani?-

-Il mio volo è domani sera.- lo vedo controllare il cellulare.

-Se devi chiamarla, fa pure, non è un problema. Io torno a casa.-

Mi alzo in piedi, recupero la borsa dal letto, ma lui mi ferma dal polso.

-Juliet. Aspetta.-

E io mi acciglio. Non è da lui fare così.

-Resta.-

Il suo tono è profondo, velenoso.
E io non so se posso fidarmi di Alexander.

-Perché?- gli chiedo sollevando il mento per incontrare i suoi occhi cupi.

-Perché io ti...-

Schiudo le labbra, spaventata. Il cuore smette di battere mentre osservo la sua bocca carnosa dispiegarsi per parlare.

-...Voglio parlare.-

Sbatto le palpebre confusa.

-Non abbiamo fatto altro che istigarci per due giorni, Juliet. Ho trovato il tempo per...-
indica il mio fianco che brucia ancora per i suoi morsi. -Tradire Jenny, senza nemmeno parlarti.-

-Non capisco.-

-Non voglio andarmene così. Se me ne andassi senza aver avuto il coraggio di sapere tutto di te, non me lo perdonerei mai- mormora avvicinando le labbra alle mie.

Sposto il capo, dubbiosa.

-Non so se sia una buona idea, Alex. Se tu hai già preso la decisione di tornare a casa, è giusto che tu vada. Non voglio essere il motivo di atteggiamenti di cui ti pentirai.-

Il nero profondo che sporca le sue iridi viene illuminato da una scintilla di malizia.

-Di cosa mi dovrei pentire? Mhm? Del fatto che ti voglio?-

La sua mano mi stringe il fianco. Mi scappa un lamento quando preme il pollice sul livido che si staglia sotto i miei indumenti.

- O del fatto che voglio passare tutta la notte con te, Juliet?-

Muovo il capo mimandogli un no.

-Non dire così.-

-Questa è la verità.-

-Non puoi fare così. Ho paura che questo sia un addio, Alex. Che sia un tuo momento di debolezza. Che starai con me questa notte e poi tornerai da lei.- biascico con occhi lucidi.

-Voglio solo assicurarmi che tu stia bene, Juliet.-

Con la punta delle dita fredde traccia la mia gola, poi curva la testa a lato, osservando maniacalmente la linea del mio collo.

-In un modo o nell'altro... La tua presenza riesce sempre a confondermi.- confesso chiudendo gli occhi, sopraffatta dal suo profumo.

-Juliet, non ti ho ritrovata felice come mi aspettavo e per una volta che la causa non sono io...-

-Che vuoi fare?-

-Voglio esserti d'aiuto.-

La fitta dolorosa che mi attanagliava il fianco si dissipa e una forte sensazione di sollievo si espande nel mio petto. Non so come, ma riesce sempre a farmi sentire protetta.

-Hai chiuso con Maverick?-

-Sì.-

-Sicura?-

Io sì, lui non lo so. Ma questo meglio non dirlo.

-Sì-

-E lui l'ha capito, Juliet?-

-Sì. Gli passerà.-

Le mie risposte non sembrano soddisfare Alexander, che mi scruta attentamente.

-Devo parlarci prima di partire.-

-Lascia stare. Non ne vale la pena.-

-Lascia che sia io a decidere, Juliet.-

- Cosa...-

Ormai siamo troppo vicini e le parole sono suoni sussurrati, adagiati sulle rispettive labbra.

-Se ne vale la pena o meno.-

-Scusa...- mormoro poi, con un filo di voce.

-Per cosa?- domanda lui, guardandomi dall'alto.

-Per questo.-

Gli bacio dapprima la guancia, poi il labbro inferiore. Il mio bacio è a stampo, ma quel contatto innocente dura poco. Alexander serra le mie labbra nella morsa del suo indice, che, insieme al pollice, stringe la mia bocca, per poi morderne e succhiarne l'estremità.

-Continui a farti baciare, Juliet.- mormora prima di assestarmi un duro colpo di lingua sul labbro, in grado di farmi tremare.

-Anche tu.- Ho il coraggio di rispondere.

-Non volevo farle questo. Me l'ero promesso, ma quando si tratta di te...-

Mi sfiora le spalle con le nocche lisce e, per la prima volta, il suo sguardo tormentato scende a lambire il mio corpo.

-Ho paura.- confesso tentennante.

-Anch'io, Juliet. Molta.-

-Non mi aspettavo che tornassi indietro, Alex.-

-Nemmeno io.-

I nostri nasi si cercano, delicatamente.

-Domani a che ora hai il check-out?-

- Alle undici devo lasciare la stanza, ma come ti ho detto, il volo è la sera.-

In quel momento la sua mano scivola in basso e con le dita mi sfiora la coscia nuda.

-Andiamo da me, così non ti devi per forza svegliare presto e possiamo stare a parlare fino a tardi.-

La mia proposta non gli provoca alcuna emozione.

-Parlare fino a tardi...- ripete con il suo tono di voce apatico.

Annuisco mentre lui incastra lo sguardo sulle mie labbra. Con il pollice mi accarezza la gola, i muscoli della mia schiena s'irrigidiscono.
Il bacio di Alexander è stata la cosa migliore che mi sia capitata negli ultimi tre anni, ma ora tutto il mio corpo è in allarme.

-Sei sicura?-



È ormai ora di cena. Aspettare un taxi alle sei del pomeriggio diventa un'agonia, il freddo mi ghiaccia le ossa e m'intorpidisce le labbra. Dopo mezz'ora nel traffico rientriamo in casa. Qui un piacevole tepore ci accoglie e le mie membra sembrano riprendere vita.
Alexander lascia la valigia all'ingresso, poi segue i miei passi fino in camera da letto e mi sorprende con la stessa domanda di poco prima.

-Sei sicura?-

Annuisco distrattamente, mentre mi dirigo in bagno, dove gli mostro gli asciugamani puliti.

-Puoi lasciare le tue cose lì, non c'è molto spazio... se vuoi posso spostare i miei trucchi e...-

-Juliet?-

Mi fermo e lo guardo. Il golfino scuro definisce il suo fisico asciutto e sottolinea le sue spalle, non le ricordavo così grandi.

-Perché ti stai agitando?- domanda serio.

Lancio lo sguardo oltre la finestra.
Fuori è freddo, buio, e lui sta lì insieme a me.
Sto sognando? È reale?

Un insieme di pensieri sconnessi mi riempie il petto. Ci troviamo nel periodo natalizio e stranamente non mi sento sola. Non importa se qualcuno non ha chiamato per gli auguri, non m'importa se mio padre si sia dimenticato di me. Alexander è lì, in carne e ossa, con me. E non c'è nient'altro al mondo che mi faccia sentire più al sicuro.

-Non mi sto agitando...- mento impacciata, mentre torniamo in camera da letto.

-Hai fame?-

Mi stringo nelle spalle.

-Ti preparo qualcosa.- aggiunge senza scollarmi gli occhi di dosso.

Ma la sua spavalderia sembra svanire quando, dopo essermi sfilata gli stivali, mi sbottono la camicetta.

-Chi è che si sta agitando ora?- lo stuzzico invogliando i suoi occhi a tornare sul mio reggiseno nero.

Alexander muove un passo verso di me, ma prima che io possa captare le sue intenzioni, un telefono vibra, interrompendo quel momento.

Senza nemmeno doverci riflettere, vado in bagno, finisco di spogliarmi e mi butto in doccia.
Lui sta parlando al cellulare.
E io non voglio udire una sola parola.

Dopo aver fatto la doccia m'infilo dentro l'accappatoio, poi mi dirigo in cucina dove mi accoglie un buon profumino.

-Tutto bene?- chiedo curiosa.

Alexander è di spalle, con il corpo rivolto verso la cucina.

-Sì.-

-Era lei?-

Maledizione, devo farmi gli affari miei.

Lo vedo annuire brevemente.

-È già partita?-

Trattengo il respiro. Sono così agitata che non mi accorgo che Alex è ai fornelli.

-Parte tra poco, ha trovavo un volo all'ultimo.-

Alexander si gira verso di me e i suoi occhi profondi rimangono impigliati nelle mie gambe lasciate scoperte dall'accappatoio.

-Non voglio metterti pressione, ma viste le circostanze... Come siete rimasti?-

Lui sembrava aspettarsi quella domanda.

-Non lo so. Una parte di me sapeva già che con Jenny sarebbe durata finché non ti avrei rivista.-

-Non è una risposta.- mormoro avvicinandomi.

I nostri fianchi si scontrano. Lo guardo.
Il labbro inferiore di Alexander viene smosso da un sussulto.

-Mhm.-

Con l'indice sfiora la mia clavicola nuda, poi segue la traiettoria fino al mio basso ventre. Infilza il dito nel nodo e con naturalezza slaccia il mio accappatoio che si apre davanti ai suoi occhi sottili. Ma prima che il suo palmo possa sfiorarmi, si ritrae.

-Quindi è vero, Alex.-

-Cosa?-

-Mi vuoi, ma non riesci a toccarmi.- borbotto riallacciandomi l'accappatoio per poi stringermici dentro.

-Non sei tu il problema, forse avevi tutto il diritto di intraprendere altre relazioni ma...-

-Forse?- ripeto allibita.

-L'idea che tu non provassi nulla e ci sei stata comunque...-

-Di' la verità. Mi spezzerai di nuovo il cuore, vero?-

Lui mi osserva. La domanda è troppo diretta, così come il suo sguardo attento.

-Chi mi dice non sarai tu a farlo, Juliet?-

-Non ho provato nulla, è vero. E la cosa dovrebbe farti piacere.- ribadisco, riferendomi a Rick.

Alexander apre la bocca, ma la richiude immediatamente. Sembra pensare bene a quali parole usare.

-Riesci a darmi un po' di tempo, Juliet?-

Non mi aspettavo quell'uscita. Il suo tono trasparente mi rende così felice che dico la prima cosa che mi viene in mente.

-Non te ne andare.-

-Non me ne vado, Juliet.-

Alexander resta immobile, mentre io casco in avanti, contro il suo petto, e ben presto vengo sorretta da un abbraccio caldo.

-Vestiti. La cena è quasi pronta.- mi rimprovera.

-Non ho molta fame.- confesso sottovoce.

-Ti verrà.-

Così vado in camera e tiro fuori dall'armadio una canottiera e un paio di pantaloncini, poi torno in cucina. Alexander si volta per inchiodarmi con uno sguardo duro che sembra dire "devi per forza startene svestita in questo modo?"

-Non hai freddo?-

-Ci sono venticinque gradi e tu hai acceso il forno.- sbuffo.

-Va' ad asciugarti i capelli.-

-Li asciugo dopo, non rompere.- bofonchio fingendomi infastidita, ma in realtà amo la sua premura nei miei confronti.

Alexander è ancora di spalle e io posso ammirare la sua schiena ampia avvolta da una maglietta nera e aderente.
Vorrei fargli una battuta sul fatto che anche lui abbia caldo, visto che si è tolto il maglione, ma per una volta decido di starmene zitta.

Mi avvicino in punta di piedi e quando poggio la guancia sulla sua schiena calda, lui sobbalza, quasi spaventato.

Un intenso profumo di pulito mi riempie il petto.

-Maverick ti ha chiamata?- chiede con lo sguardo rivolto alla bistecca che si sta abbrustolendo.

-Non possiamo evitare l'argomento? Comunque la stai bruciando. Pensavo ti piacesse al sangue.-

-Pensavi bene. Infatti questa è per te, visto che ti piace stracotta.- puntualizza, prima di impiattare.
-Lo rivedrai sì o no?-

-Nah, lo rivedrò dopo capodanno, a lavoro. Non ci voglio pensare ora.-

-E quell'altro?-

Alexander sta sfornando le patate quando lo sorprendo con la mia risposta.

-Gli ho detto addio oggi, poco prima di venire in hotel da te.-

-Era ora.-

-Avevi ragione. Non gli importava di me. Non sei stato il primo a dirmelo, ma...-

-Ma tu sei una nana testarda che non ascolta nessuno.-

Scoppio a ridere, mentre lui mi fa cenno di sedermi sopra a uno degli sgabelli che costeggiano l'isola della cucina.
Io però non gli do retta. Gli resto appiccicata

-Ascolto te però.- affermo causandogli uno sguardo stupito.

-Sarà meglio, piccoletta.-

-Toglimi una curiosità. Perché lei? Insomma... Non sembra il tipo da chiedere attenzioni. E a te piace darle.-

Lo vedo girarsi per guardarmi oltre la spalla, le sopracciglia corrucciate.

-Jenny è sempre stata molto indipendente. E sì, all'inizio mi mancava prendermi cura di qualcuno.-

Strofino lo zigomo sulla sua schiena. Sento i suoi muscoli contrarsi.

-Va' a sederti, non farmelo ripetere. È quasi pronto.- ordina rigido.

-Ma tu raccontami.-

-Siediti, ho detto.-

Sbuffo e mi appollaio sullo sgabello, poggiando i gomiti sul bancone e le guance sui palmi delle mani.

-Eravamo entrambi molto occupati con lo studio. Ho dovuto imparare a fare spazio nella mia vita e lasciarne un po' anche a lei. Anche se in realtà lei era sempre in viaggio, quindi la nostra è stata una relazione a distanza per lungo tempo.-

-Non eri geloso?-

Alexander viene a sedersi e mi lancia un'occhiataccia perché sto sgranocchiando del pane, invece che aspettare la cena.

-No.-

-E io che pensavo che finivi a letto con Nicole.-

La mia uscita gli causa un'espressione contrita.

-Chi?-

-Sai benissimo chi. Che è successo tra di voi?-

-Niente, Juliet. E se proprio vuoi saperlo, sono più le ragazze uscite da camera mia piangendo, che quelle che ho anche solo baciato.-

Ingoio il rospo. Non voglio sapere chi hai baciato.

-E come hai capito che Jenny fosse diversa?-

La voce mi trema. Ho paura delle sue risposte.

-Le ragazze vogliono divertirsi.- sbuffa cominciando a mangiare.

- Tu no, Alex?-

-A modo mio.-

-E il tuo modo, a loro non piaceva?-

-No.-

-Come l'hai scoperto?-

A quel punto deve posare là forchetta.

-Rifiutandole. Mi sono inimicato la ragazza più popolare del campus. Non avevo nemmeno interesse a parlare con lei. Non era il mio tipo. Finché una sera ci siamo ritrovati a una festa, io ho rifiutato il suo bacio e lei non l'ha presa bene. Le ho però detto che mi piacevano le sue pinze per capelli.-

-Sarebbe un complimento?- domando confusa.

-No. Lei ha riso di me. Ma quando ha capito come volevo usarle, quelle pinze, ha smesso di ridere.-

Scrollo il capo. -Sempre il solito. E con Jenny?- chiedo dimenticandomi di mangiare.

-Con Jenny l'intesa è stata mentale. Siamo molto simili.-

-E quando hai...-

-Quando ho cominciato a giocarci, con lei?-

Alexander solleva lo sguardo dal piatto per valutare la mia reazione.

Maledizione. Non voglio diventi una gara a farci del male.

-Quando ti sei avvicinato a lei.- lo correggo con voce decisa.

Lui però non sembra intenzionato a rispondere.

-Quando pensavi fosse pronta?- ipotizzo, nella speranza che si sbottoni un po' di più con le parole.

-No. Quando pensavo di esserlo io.-

La sua risposta mi spiazza.

-E...?- lo incalzo.

Cavargli due sillabe di bocca sta diventando un'impresa.

-Jenny non voleva ciò che volevo io. Ma non l'ha saputo finché non ha provato.-

-E quanto ci hai messo...-

-Per diverso tempo non mi sono sentito pronto. Fare sesso è un atto intimo e non mi andava di farlo con qualcuno che non fossi tu.-

Mormora quella parole con gli occhi al piatto, mentre io arrossisco all'improvviso.

-Be', ognuno hai suoi tempi.-

-Non voglio i dettagli.- commenta infastidito. - E tu non stai mangiando.-

Roteo le pupille al soffitto, mentre Alexander mi trafigge con un'occhiata risoluta.

-Sii sincera.-

-Dimmi.- barbotto addentando un boccone.

-Qualcuno ti ha mai fatto del male?-

Ci sfidiamo con uno sguardo intenso, la durata di qualche secondo.

-No.-

-Sicura?-

-In che senso?

-In quel senso. Qualcuno ne ha approfittato?-

Giro il viso di lato.

-Io... ehm... è stato un po' un casino all'inizio, non riuscivo a...-

Alexander mi versa dell'acqua, poi m'invoglia a continuare con l'insistenza dei suoi occhi.

-Non lo so, non è stato facile per me, Alex.-

-Non eri tu. Loro erano il problema, Juliet.-

-No, si trattava di me. Ero stravolta, completamente. Non riuscivo a essere spontanea, riuscivo a fare le cose solo...-

A quel punto distoglie le attenzioni dal piatto, che smette di essere la sua priorità. Quello che ho da dire è più interessante della cena.

-...A comando?- conclude le mie parole con un sopracciglio inarcato.

-Sì.-

-E Rick?-

Non riesco a sostenere quell'occhiata intensa, abbasso il mento.

-Juliet, lui ne ha approfittato, vero?-

Deglutisco.

-No, cioè... quando ha capito che cosa mi piaceva, penso ne abbia approfittato un po'.-

Sobbalzo. La forchetta casca dalle mani di Alexander e finisce sul pavimento, creando un rumoroso tintinnio metallico.

-Ti ha fatto del male?-

-No, ma la trovava una cosa assurda. Un giorno ho scoperto che ne aveva parlato in ufficio, con dei suoi colleghi.-

-Stavi con lui perche era uno stronzo insensibile.- sputa Alexander, irrigidendo i pugni sulla superficie.

-È andato a raccontare ad alcuni suoi amici i nostri dettagli intimi. Non capivo perché questi mi guardassero in modo strano, durante la pausa pranzo. Quando l'ho scoperto, sono morta per la vergogna. Tutte quelle battutine... è stato terribile. Ne ho parlato con la responsabile, le ho chiesto se potevano trasferirmi, non volevo più lavorare vicino a Rick. Ovviamente non le ho riferito tutto, ma lei l'ha richiamato e Rick da lì in poi ha iniziato a odiarmi e a darmi il tormento.-

-Te l'ha fatta pagare?-

-Preferisco non parlarne.-

Alexander si acciglia e mi fissa intensamente.

-Tu ora me ne parli, Juliet.-

-No.-

Non gli dirò nulla. Non posso avere l'anima di Rick sulla coscienza.

In quell'istante il suo telefono poggiato sull'isola della cucina s'illumina, ponendo fine al momento di tensione.

-Scusa.- mormora Alexander, con gli occhi rivolti allo schermo.

Di nuovo?

-Hai fatto scalo?- lo sento chiedere, mentre si alza in piedi.

Mi brucia lo stomaco. Sono intimi. Lui si allontana per parlarle, ma io sento tutto.

-Non lo so.-

Pausa.

-Non posso lasciare Juliet, non ora.-

Pausa.

-Jenny, non sto...-

Mette giù, anche se molto probabile l'avrà fatto lei per prima.

-Che dice?-

Giocherello con le patate che ho nel piatto, provo a fingermi disinteressata, ma è davvero un'impresa ardua.

-Jenny non ha molta voglia di parlarmi in questo momento, non la biasimo.-

-Okay, io ti ho raccontato di me, Alex. Ora tocca a te.-

Lui incrocia le braccia al petto.

-Non c'è molto da dire, Juliet. Sai, a differenza tua, io non dormo con una ragazza che non conosco. Tantomeno ci faccio sesso.-

Serro la mandibola. L'affronto è troppo diretto.

-Quindi con Jenny come hai fatto?-

-Inizialmente non riuscivo a capirla. A quanto pare, alcuni giochi non sono per tutti.-

Mi scappa un sorriso. La sua uscita ha un non so che d'ingenuo che mi porta a ridacchiare.

-Che c'è?-

-Guarda che a nessuno piace quello che vuoi fare tu, Alex.-

Lui punta entrambi i gomiti sulla superficie e si sporge verso di me. Il suo profumo mi stordisce e i suoi occhi affusolati mi perforano l'anima.

-Davvero, Juliet?-




Alexander

Un anno prima

-Non mi vuoi parlare del tuo passato, non vuoi stare con me, non vuoi...-

Sono in dormitorio, sto tentando di studiare, ma mi viene difficile. Jenny gira per la stanza, io non scollo gli occhi dalle pagine fitte di scritte e formule.

-Se sei qui per farmi la lista delle mie mancanze, risparmia il fiato. Puoi mandarmela per iscritto. Devo studiare.-

Le indico la porta.

-Alti e bassi continui. Non ce la faccio più, Alex.-

-Va bene. Devo studiare.-

Il mio tono apatico la fa indispettire così tanto che comincia ad alzare la voce.

-Sono stufa delle briciole. Se vedi un'altra, dimmelo.-

Sollevo il capo. Di cosa sta parlando?

-Non vedo nessuno.-

-E da un anno che ci frequentiamo, ti sembra normale che non abbiamo ancora...?-

Il mio sguardo s'incastra nei suoi occhi a mandorla.

Mhm. Interessante.

Lei si ferma, ma ormai ha rapito tutte le mie attenzioni. Chiudo il libro e incrocio le braccia al petto.

-Devo essermi perso qualcosa. Ad esempio la parte in cui hai provato a convincermi.-

-Io dovrei convincerti a venire a letto con me? Tu sei... -

Poi si blocca.

Pazzo.

-Scusa.- la sento mormorare imbarazzata, subito dopo.

Io non apro bocca.

-Però è chiaro che ci sia un'altra.- insiste.

Le mie palpebre, le mie labbra. Immobili.

-E se così fosse, ti chiedo solo di lasciami stare. Perchè sprecare tempo con tutti quei giochini...-

Risposta errata, Jennifer.

-Sprecare tempo?- ricalco le sue parole con aria riluttante.

-Non volevo dire che sto sprecando tempo con te, ma che non stiamo andando da nessuna parte, Alex.-

-Quindi fammi capire... Decidi di obbedire alle mie richieste, nella speranza di finire a letto con me?-

Il viso le diventa tutto rosso.

-Ma no. È normale che...-

A quel punto si stupisce delle sue stesse parole, delle sue stesse reazioni. Quando è da sola, in camera con me, Jenny non è più la stessa persona spigliata e sicura di sé che invece sa essere nella vita di tutti i giorni.

-Tu mi confondi. A volte penso non t'importi di me, non ti capisco, Alex.-

Ho smesso di ascoltarla. Ho il nastro rosso in tasca.

-Vieni qui.-

Lei si avvicina.

-Sulle mie gambe. Siediti.-

Obbedisce.

Le nostre labbra si uniscono lente e altrettanto lentamente cominciamo a baciarci. L'iniziativa è sua, come quella delle sue mani, che non riescono a starmi lontane, nemmeno se dice di essere arrabbiata, confusa o stufa.

Ci vediamo da un anno e forse ha ragione. Dovrei lasciarla in pace. Oppure abbassarle le mutande e sprofondare dentro di lei. Ma non lo faccio. Mai.

Quando Jenny torna ad accarezzarmi i capelli, il petto e le guance, un senso di fastidio comincia a pizzicarmi sotto la pelle.

-Smettila di farlo.-

Lei mi guarda mortificata. Le afferro i polsi e glieli porto dietro la schiena.

-Cosa fai?-

-Ti voglio ferma.-

-Cosa?!-

A quel punto si alza in piedi e mi guarda esterrefatta.

-Non puoi fare così, Alex. Parliamone prima.-

La fisso a labbra serrate.

-So che ci stai provando. Ma non è così che si tratta una persona. Abbiamo discusso, dovremmo provare a fare pace prima.- continua con voce petulante.

Quante storie, è solo un nastro.

-E sì, mi sono lasciata andare e ti ho baciato io, ma... Sono ancora convinta di ciò che ti ho detto.-

È solo un dannatissimo nastro.

-Sono dispiaciuta. E vorrei solo che tu facessi un piccolo passo per dimostrare che ci tieni a me. E non parlo di sesso. Qualsiasi cosa. Basterebbe un gesto fatto con il cuore.-

Lei scandisce quelle parole con enfasi. Definisce il suo stato d'animo in modo infantile e lo fa per me. Lo so. Lo fa sempre. Si esprime come se stesse parlando con un bambino incapace di riconoscere i sentimenti altrui.

-Quindi tu sei dispiaciuta.- ripeto distaccato.

-Come fai a non accorgertene?-

Mi alzo in piedi.

-Alex, mi stai ascoltando?-

Mi avvicino al suo orecchio.

-Devo. Studiare.-

E lei finalmente se ne va.



Le labbra di Juliet sono rosse per il caldo, le pupille dilatate, le guance le bruciano e io non riesco a pensare ad altro da quando ci siamo seduti per cenare.

Le porti le mutande?

-Che ha fatto la ragazza delle pinze, una volta che l'hai rifiutata?-

La sua curiosità fa incurvare il lato delle mie labbra.

-Ha raccontato a tutti quello che le avevo detto. L'ha fatto come ripicca, forse per prendermi in giro, ma ha aiutato nella selezione.-

-Quale selezione?-

Il fatto che fossi selettivo e avessi rifiutato tante studentesse del campus, anche quelle molto belle, aveva acceso in loro una sorta di gara, ma a me non importava della loro stupida competizione femminile.

Non volevo andare a letto con nessuna. Punto.
Alcune sostenevano che fossi un bravo ragazzo, ma poi bastava conoscermi meglio per farle ricredere.

Avevo scoperto che alla maggior parte non spaventava che io fossi un deviato con tendenze sadiche e manie di controllo. Sembrava prendessero delle sbandate spaventose per me.

Non mi spiegavo altrimenti perché avessi una sfilza di studentesse che mi giravano intorno, giorno e notte.
E io ero selettivo, meticolosamente selettivo. Solo brune. Non mi piacevano alte. Occhi grandi, polsi esili e caviglie sottili.

Poi però non ci facevo nulla. Mi stufavo ancor prima di dar loro un bacio. Non riuscivo a trovare una connessione con nessuna, non riuscivo a capire la loro natura, o forse, semplicemente, questa non era compatibile con la mia e la cosa mi annoiava.

E così facendo, rifiutando qualsiasi contatto umano, io non soffrivo.
Il peggio accadeva quando mi ritrovavo ad affrontare le mie sensazioni. Come con Jenny.
Venivo sempre assalito da un piccolo momento di tristezza ogni volta che mi scoprivo davanti a lei.

Pensavo al calore della risata di Juliet, quando mi obbligava a guardare le sue sciocche commedie romantiche. Non volevo pensare ai suoi occhi, eppure lo facevo, forse perché nessuna mi guardava come lo faceva lei.

E se con Juliet mi sentivo vivo, senza di lei ero un guscio vuoto.
Ovviamente non credevo di essere io il problema, anzi, ero convinto fosse Jenny. "Forse devo vedere altre persone" mi dicevo. Ma poi non mi andava di conoscere altre ragazze mentre stavo con lei. Non sentivo l'impulso di scopare con nessuna. Avrei preferito limitarmi a un paio di sculacciate, per poi finire con loro in ginocchio, a compiacermi.

Ma le ragazze volevano venire a letto con me, a nessuna piaceva farsi lasciare lividi o stare due ore di fila dietro alle mie perversioni, senza ricevere sesso in cambio. E non era quello che volevo io.

Mi chiesi come mai quel bisogno disperato di volermi piacere a tutti i costi. Forse perché le ignoravo? Rispondevo a monosillabi? Visualizzavo e non rispondevo?

Ma presto capii che in realtà non ero io particolarmente interessante, era la concorrenza, a essere penosa.
C'era solo egoismo e voglia di mettere in mostra le prestazioni.
Nessuno spazio per la fiducia, per il dolore.
Quando però realizzai che il mio cuore era ancora chiuso, bloccato, buttato da qualche parte, mi resi conto che era del tutto inutile: non mi sarei mai legato profondamente a nessuna.

Non potevo dare loro cosa cercavano, perciò avevo smesso di farmi domande. O meglio, di farmi cercare. Juliet aveva rinchiuso il mio cuore in una gabbia e non ci sarebbe stato verso di farlo uscire, a meno che, lei, con le sue manine, non avesse infilato la chiave nella serratura per aprire il lucchetto. Anche se, molto più probabilmente, me l'avrebbe strappato via con il morso di un solo sguardo.

Un anno prima.

La caffetteria è piena di studenti, ma Jenny non riesce a tenere gli occhi nella sua cerchia di amici. È trascorso qualche giorno dal nostro litigio, ma sembra non avere più alcuna importanza. Ogni tanto mi cerca, poi distoglie lo sguardo. Lo faceva anche a lezione, prima che ci conoscessimo. E non c'è un motivo preciso per cui abbiamo cominciato a parlare. M'incuriosiva il fatto che fosse l'unica del corso ad avere i miei stessi voti. È brillante, intelligente e riusciamo a discutere per ore.

Un'altra occhiata furtiva. Ormai mi conosce, lo sa che se vuole tornare a parlarmi, la prima mossa tocca a lei. E lo fa, sempre. Poi finiamo a discutere per ore di qualsiasi argomento e le cose sembrano andare lisce, finchè non le scatta qualcosa. A volte un abbraccio, a volte una carezza sul ginocchio, a volte un bacio. Le ho sempre detto che non voglio nient'altro che un'amicizia, ma lei è attratta da me e restare sul piano platonico non è qualcosa che riesce a contemplare. Soprattutto a causa delle mie richieste.

Non penso sia necessario dirle che è proprio la noia a farmi venire voglia di giocare con lei. Sono troppo impegnato con lo studio, non ci vediamo quasi mai e mi sta bene così. Quelli che le impartisco sono ordini giornalieri, lei deve solo obbedire. Piccoli compiti che mi fanno sentire di avere il controllo sulla sua vita. Il colore dell'intimo da indossare, il momento in cui può o non può toccarsi e piccole cose di questo genere.

E lei accetta, sempre, forse perché sa che quello è quello l'unico modo per tenermi legato a lei, seppur da un filo molto fragile. Ma a me piace spingermi oltre. E farla presentare a un orale senza reggiseno è stata la mia soddisfazione più grande. Soprattutto perché ha preso il massimo dei voti, nonostante l'imbarazzo.

-Alex, posso parlarti?-

Come da previsione, me la ritrovo davanti.

-Sì.-

Andiamo nella mia stanza, chiudo la porta a chiave, poi la guardo dall'alto.
Jenny ha un'indole diversa da quella di Juliet. Vuole aiutarmi, pensa di poter trovare del buono in me.
E no, Juliet non era così. Non le importava di redimermi, di salvarmi, di rendermi una persona migliore.
Juliet voleva me, con tutte le mie parti più oscure.

-Vuoi chiedermi scusa per l'altro giorno?- le chiedo freddo.

Lei sgrana gli occhi, incredula.

-Non ti chiederò scusa per qualcosa che non ho fatto! - alza la voce.

Mi schiarisco la gola con un colpo di tosse.

-Vuoi chidermi scusa per l'altro giorno, Jennifer?- scandisco lento.

-Sei sempre il solito, maledizione.- si lamenta lei.

Ma le sue labbra sono sulle mie.
Un bacio, poi un altro.

Indossa una gonna e mi basta farla sedere sulla mia gamba per sentirla. È così bagnata tra le cosce che inizia a dimenarsi infastidita.

-Non ti legherò. Ma terrai le mani ferme.-

Lei annuisce, sdraiandosi sul mio letto, sotto di me.

-Sì. devi dire di sì.-

-Sì.-

La spoglio. È la prima volta che succede. Il suo viso è arrossato e il suo corpo perfetto. Tutto quello che voglio in una ragazza è davanti ai miei occhi. Persino la sua pelle è perfetta.
Eppure un profondo senso di tristezza mi assale mentre mi sbottono i pantaloni.

Affondo il viso nel cuscino, non riesco a guardarla, mentre mi faccio spazio nella sua fessura stretta e soffocante.
Mi spingo dentro di lei fino a stancarmi. Jenny non può gemere perchè con la mano le copro la bocca, mentre potrebbe muoversi, ma non lo fa. D'un tratto si contrae intorno a me e il suo respiro accelera.

-Alex...-

Non riesco nemmeno a guardare Jenny in faccia. Ho solo in mente i suoi occhi.


-Alle feste ci andavi?-

E ora che posso specchiarmi nelle iridi di Juliet, quasi non ci credo.
Perché sì, mi aveva bloccato ovunque, ma io controllavo il suo profilo ogni maledetta sera, prima di andare a dormire. Quindi la vedevo, ma lei non guardava me. Ed era quello che più mi mancava.

-Non andavo alle feste regolarmente. Sarà capitato una volta o due.- taglio corto.

Juliet mi sfiora il dorso della mano.
Sollevo gli occhi dal piatto vuoto e vedo che mi sta ammirando con i suoi occhioni scuri.

-Cosa c'è?-

-Le cose che mi hai raccontato, me le aspettavo. Mi sembra di conoscerti da una vita... - sussurra tormentandosi i capelli bagnati.

Le verrà un accidente.

-Mi conosci da una vita, Juliet.-

Le sue dita s'incastrano tra le mie e io le stringo più forte, causandole un sorriso nascosto.

Con il pollice le carezzo il polso, dandole i brividi.

-Vieni più vicina.-

Lei scende dallo sgabello e si accosta alla mia figura per darmi un bacio, ma io la fermo.

-Che ne dici se mi fai mangiare il dolce, prima?-

-Ehm...- Le sue guance si arrossano e le sue pupille diventano enormi.

-Ho visto che hai della torta in frigo.- specifico, prima che possa pensare male.

-Sì, è quella avanzata dal ricevimento.-

-Mhm, troppa panna. Hai del gelato?-

A quel punto capisce subito.

-Ma... Che intenzioni hai?-

Si morde il labbro. Ho sempre odiato i traditori, sì, ma ora si tratta della mia piccola Juliet. Tutto il resto può andare a farsi fottere.

-Che intendi, Juliet?-

-Possiamo fingere che sia tutto naturale e casuale, se vuoi. Come se tu non avessi già programmato tutto, Alex.-

Mi provoca con un ghigno imbarazzato, poi va ad aprire il freezer.

-Oppure... Non so, non hai del ghiaccio?-

Vado al sodo, lasciandola a bocca aperta.

-Siamo a dicembre, perché dovrei? E poi mica sapevo saresti venuto.-

La vedo scartare la confezione del gelato e prendere un cucchiaino. Il suo corpo minuto si muove per la cucina, leggero, senza fare un rumore. A fare rumore sono però i miei pensieri, serpeggianti e velenosi.

-Ne hai preso solo uno.- realizzo indicando il cucchiaino.

Lei posa la vaschetta sulla superficie, ma resta a distanza di sicurezza.

-Vieni qui.-

-Qui dove, Alex?-

-Davanti a me, Juliet.-

Lascia il cucchiaino incastonato nel gelato ancora ghiacciato, mentre compie un giro intorno all'isola per posizionarsi davanti a me.

-Sai...-

Juliet solleva lo sguardo nel mio quando mi sente parlare.

-È pensiero comune che il caldo sia indicatore di vita, mentre il freddo rappresenti la morte.-

-Preferisci i il freddo?- Chiede lei.

-Sai perchè?-

-Perché?- domanda con occhi curiosi mentre estraggo il cucchiaino dal gelato, lentamente.

Sono ancora seduto sullo sgabello, mentre lei si erge in piedi, davanti a me. Lascio scorrere il cucchiaino lungo la sua mandibola e Juliet viene assalita da un brivido che le fa incurvare il collo di lato.

-Perché ti si arrossano le guance...-

Faccio scivolare il cucchiaino gelido sulla sua bocca calda.

-Ti si gonfiano le labbra...-

Juliet serra le cosce perché lo porto fino all'altezza dei suoi capezzoli nascosti dalla canottiera. Questi diventano turgidi e sensibili a contatto con la superficie ghiacciata.

-... e tante altre cose che mi piacciono.-

Ma non mi fermo. Lei allarga gli occhi perché scendo sempre più a fondo, stavolta percorro il suo basso ventre.

-Quindi, sì, Juliet...-

Modello la curva del monte di venere e una volta centrato il suo clitoride protetto dai pantaloncini, le sferro un colpo.

-Preferisco il freddo.-

Juliet sobbalza e si morde il labbro.
I suoi occhi diventano morbidi, così sottomessi al mio sguardo, che vengo inebriato da un'esplosione di adrenalina. Sento il sangue pompare nei boxer.

-Metti le mani sulle mie ginocchia e resta immobile.- le ordino.

A quel punto lei si curva verso di me. Poggia entrambi i palmi sulle mie gambe, ma non ha il coraggio di sollevare gli occhi.

-Guardami.- le ordino con fermezza.

E dopo essermi assicurato che sia immobile, come la voglio io, lascio strisciare il cucchiaino freddo proprio lì, tra le sue cosce calde e lo rifaccio.
Stavolta con più foga. Le sgrana gli occhi, ma resta ferma nella sua posizione.

Brava.

-Inginocchiati, ora.-

Juliet solleva lo sguardo, ma non fiata. Forse lo sta proprio trattenendo il fiato.

-Sai, Juliet... - Con il pollice le carezzo il labbro inferiore, pieno e invitante. -Di solito ho bene a mente tutto quello che desidero fare, ma ora...-

Lei poggia entrambe le ginocchia sul pavimento, solleva il viso e mi guarda.

-Vorrei sapere cosa desideri tu.- concludo puntandola dall'alto.

Ed è in quel momento che capisco.
Il modo in cui mi sento è una droga della quale non potrò mai più fare a meno. Non ho mai provato alcun tipo di sostanza, ma immagino sia questo l'effetto. Una vampata calda mi brucia la pelle e mi fa sentire così potente da indurmi a perdere il contatto con la realtà.

Juliet mi ammira come fossi una divinità, come se potessi farle qualsiasi cosa. Sembra pronta ad accettare qualsiasi cosa.

-Puoi fare quello che vuoi, lo sai.- sussurra languida.

Reprimo il tremolio che fa vibrare il mio labbro inferiore. Juliet sa quali tasti schiacciare per obbligarmi a perdere il controllo e con lei non devo fingere, non mi devo trattenere, posso essere me stesso.
Freddo e spietato l'attimo prima. Un animale, sadico e senza controllo, subito dopo.

-Lo so, Juliet ma... ho paura.-

Mi stupisco dei miei stessi pensieri.

-Di cosa?-

-Che tu ci stia male, dopo. -

Come ci starò male io, perché ho sofferto troppo senza di te.

Lei però rimane nella sua posizione, devota alla mia richiesta, come posso ignorare tanta bellezza?

-Mi stai ascoltando, Juliet?-

Annuisce.

-In piedi.- le ordino causandole un cipiglio confuso.

Mi alzo in piedi anch'io e solo a quel punto capisce che non ho intenzione di andare oltre.

-Lasciami una coperta, dormo sul divano.-

Stordita da quel cambio di accelerata, si guarda intorno.

-Posso dormire io sul divano.- si affretta a dire, mentre con fare impacciato comincia a raccogliere piatti e bicchieri dal tavolo.

-No.- le afferro il polso con dolcezza. -Ci penso io qui. Tu va' a cambiarti.-

Indico il pigiama chiazzato di gelato all'altezza del seno, poi le sfioro la guancia con un bacio.
Lei rabbrividisce e dopo avermi lanciato una lunga occhiata dal basso, se ne va.
Macchio il suo corpo con uno sguardo torbido, ripensando a tutto ciò che di proibito avrei potuto farle.

Cristo.




Un anno prima.

I suoi occhi a mandorla restano fissi sulla corda. I capelli neri contornano la sua espressione curiosa.
Poi un ghigno divertito fa capolino sul viso di Jenny.

-Ti fa sorridere questa situazione?-

-No... be', un po'.-

Stringo la corda intorno nocche bianche, i suoi occhi seguono ogni mio movimento.

-È tutto sempre così... lento?-

Sorrido.

-Sei tu a ridere ora.- mi rimbecca sveglia.

-Ti stai lamentando, Jennifer?-

-No.- compie una pausa, poi indica i nastri sparsi sul mio letto. -Quelli li userai?-

Raggiungo il materasso, sollevo una benda e gliela mostro. -Intendi questa?-

Lei sgrana gli occhi e annuisce intimorita.

-No, non la userò. Mi hai detto di no alla benda, perché vuoi vedere cosa faccio. Giusto?-

-Giusto.-

-E vuoi poter parlare...- il mio tono è quasi sprezzante.

- Sì, te l'ho detto... Voglio poterti dire basta.-

-Sei convinta del fatto che mi fermerai. Ne parliamo da settimane, se hai cambiato idea, non c'è problema, dimmelo.-

Non voglio forzarla, sembra troppo indecisa.

-Non ho cambiato idea, lo voglio. Voglio provare.-

Annuisco, seguitando ad allacciare la corda intorno al suo ventre piatto.

-Alex e poi perché...-

Distolgo gli occhi dal nodo e glieli pianto addosso.

-Perché ora non fai silenzio?-

Il mio tono cambia e lei si fa improvvisamente seria.
Con minuzia continuo a far scorrere la corda intono al suo corpo. È un'operazione che richiede diversi minuti e lei vaga con gli occhi per la stanza, invece che guardare me.

-Ti sto annoiando?-

Muove il capo e fa cenno di no.

-Inginocchiati.-

Lei non fa storie. E le avrei detto brava, ma non penso se lo meriti per davvero.

Poi le volto le spalle per andare a recuperare uno dei miei attrezzi.
Con la coda dell'occhio noto che tende il collo per sbirciare. Lo sento. Non è questo il suo posto. Dice di voler provare, ma so già che non è per lei questo gioco. La conosco.

-Sei agitata?- le chiedo tornando davanti a lei.

-Un po'.-

Le spingo due dita sul lato della sua gola. Voglio sentire il battito del suo cuore pulsare disperato sotto ai miei polpastrelli freddi.

-Il tuo cuore sta impazzendo.-

E il solo pensiero di provocare quella reazione nel corpo di una ragazza fa accrescere l'eccitazione nei miei pantaloni.
Questo voglio. Anche se Jenny non è perfetta per il ruolo che vorrei assegnarle.

-Cosa mi farai?-

Un ghigno soddisfatto mi piega le labbra.

-Mi siederò, ti guarderò e ti ascolterò.-

Le mie parole le causano un sopracciglio inarcato.

-Fare cosa?-

-Contorcerti, gemere. E, se sono fortunato, anche piangere.-

La sua faccia.

Si deforma. Incredula. Spaventata.

-Stai... è uno scherzo?-

-Ti sembra che io stia scherzando, Jennifer?-

I miei occhi si assottigliano ai lati, mentre poso le mani sui fianchi e la fisso.
Le ho spiegato ogni cosa, a parole. Come le ho riferito che, mosso dall'eccitazione, le avrei sussurrato parole viscide e terrificanti. Ma il potere lo aveva lei. Poteva fermarmi quando lo riteneva necessario.

-Perché dovresti volermi... io pensavo fossimo qui per...-

-Vuoi fermarti? -Il mio tono si addolcisce, non voglio si senta obbligata.

-No.-

-A me sembra che tu non sia sicura.-

-Sei gentile a preoccuparti.-

Se sapessi come desidero torturati, non mi definiresti "gentile".

-Puoi fermarmi quando vuoi, Jenny.-

Annuisce. Sembra convinta. Perciò iniziamo.

E quando si accorge dell'asta che tengo tra le mani, trasalisce.

-Ehm...-

Vorrebbe subito delle spiegazioni, ma che gusto c'è? Voglio godermi la sua faccia confusa.

-È grande.- la sento mormorare.

-Non è mai stato un problema per te.-

Inizia a tentennare. -Alex, io non so se...-

Sono stufo di pregarla. Se vuole finirla qui, deve solo dirmelo. Così le lancio un'occhiata spietata che le fa chiudere la bocca all'istante.

-Allarga le gambe.-

È in ginocchio, legata, quando mi chino verso di lei. Aziono la vibrazione e la pressione che le applico contro la obbliga a serrare gli occhi.

-Cosa senti?-

-Alex...-

-Ti ho fatto una domanda.-

-È piacevole.-

La sua bocca ha un sussulto perché premo un tasto e aumento la velocità.

-Bene. Ora concentrati.-

Lei mi osserva. Il suo battito accelera, comincia a gemere man mano che le sue carni s'irrorano di piacere.

-Jenny, non farlo.-

La confusione accresce nel suo sguardo.

-È un gioco malato, Alex, lo sai, vero?-

-Con chi credevi di avere a che a fare, mhm?-

Un singulto le fa vibrare la gola.

-Concentrati ho detto.- le ordino quando mi accorgo che le sue gambe cominciano a tremare.

-Non...-

-Respira.-

Jenny alza il bacino, solleva il peso per avere meno contatto con quell'arnese infernale.

-Male, molto male.-

-Dammi un attimo di tregua.-

Mi sfugge un ghigno, compiaciuto dal pensiero che a breve supplicherà nei modi più indecenti.

-È troppo intenso....- la sento lamentarsi.

Quindi mi alzo in piedi. Una mano sulla sua testa, l'accarezzo. Lei innalza lo sguardo, mi sta pregando di smetterla e per un attimo sembra credere che io mi sia fatto impietosire dai suoi gemiti. Ma non è così.

Una mano sulla sua spalla e con un gesto deciso la spingo verso il basso. Lei sprofonda sul pavimento e con un colpo di caviglia le spingo il vibratore sul clitoride. Jenny urla.

-Sei uno stronzo e io ti odio.- ringhia a denti stretti.

-Ti basterebbe assecondare il tuo corpo.-

-Ma hai detto che non devo...-

-Quindi mi odi perché vuoi a tutti i costi obbedirmi?-

Sbuffa, sudata e confusa.

-Io...- S'inclina in avanti, cambia angolazione e forse quel fastidio torna piacevole perché lei comincia a oscillare con il bacino.

-Non provarci nemmeno- scandisco lento.

-Perché mi fai questo?-

Le afferro il mento.

-È un esercizio. Devi imparare a controllarti. Sono io a decidere quando.-

Mi abbasso di nuovo alla sua altezza.
Lei si lecca le labbra e inspira il mio profumo.
Poi ansima, perché le ho appena spinto due dita dentro, con violenza.

-Ora. Hai il mio permesso.-

E i tremori che le percorrevano le cosce si fanno più intensi, fino a culminare in un orgasmo intenso. Un rivolo le imperla il collo e scivola tra i suoi seni piccoli. Io la osservo finché il suo respiro non si regolarizza.

-Okay.- la sento dire. È sorridente.

-Okay, cosa?-

-Ho finito, no?-

Scoppio a ridere. Di gusto, stavolta.
Poi mi alzo in piedi e la fisso.
È confusa.

-Hai finito? Davvero?-

-Sembri divertito ora.-

-Il mio divertimento è la tua tortura. E quella è appena cominciata, Jennifer.-





Fatico a prendere sonno, ma proprio quando finalmente scivolo nell'oblio, dei passi delicati mi svegliano.
Riapro gli occhi. Sono sul divano, nell'appartamento di Juliet, e lei si è appena alzata per andare a prendere un bicchiere d'acqua.

Prova a fare piano, ma sbadata com'è, fa scontrare due bicchieri e a quel punto si volta nella mia direzione, impaurita.

-Scusa.-, mormora quando si accorge che la sto guardando. -Ti ho svegliato?-

-No.-

Beve, poi indugia con i fianchi appiccicati alla cucina. Il suo corpo è avvolto da una canottiera scura e aderente. Indossa un paio di mutande nere, nient'altro.

-Juliet?-

Il suo nome esce un po' più roco del solito dalle mie labbra.
Lei affonda gli occhi nocciola nei miei.

-Dormi con me.-

Le sue ciglia folte hanno un guizzo. A passi lenti si avvicina, poi si siede sul divano, di fianco alla mia figura distesa. Nella penombra rimiro la sua pelle liscia e fina. Perfetta.
Con il pollice traccio la lunghezza del suo braccio e lei viene percorsa un brivido.

-Che vuoi farmi?-

Il suo tono di voce sommesso guida le mie dita, che s'insinuano sotto il bordo della sua canottiera, la sollevo appena.

-Cosa mai...-
Pigio i polpastrelli sui suoi lividi violacei.
O forse dovrei dire i miei lividi.
-...Potrei mai farti, Juliet?-

L'impronta del mio morso non si vede più, le chiazze sul fianco si confondono tra loro.

Mi accorgo che sta tremando, quindi sollevo il piumone per coprirla e lei vi s'infila sotto, stringendosi contro il mio corpo.

-Dimmi la verità. Vuoi rinunciare a me?- domanda strofinando il nasino nell'incavo del mio collo.

-Non posso rinunciare a te, Juliet.-

Lei solleva il mento e sporge le labbra verso le mie. Io serro la mandibola.

-Smettila.-
Risucchio un rantolo quando mi accorgo che vuole un bacio.
-Juliet, no.-

Poi però mi lecca il labbro inferiore, inducendomi a schiudere le labbra.

-Mi hai già baciata.-

-Sì, ma... ora è diverso- mormoro posizionandomi sopra di lei.

Ha i capelli ancora umidi. Nella penombra noto le sue guance arrossarsi quando con il ginocchio le ordino di aprire le gambe, per infilarmici in mezzo.
Le sfilo una delle forcine nere che le sorreggono la crocchia, mentre lei mi osserva da sotto le ciglia folte.
Intrappolo il pollice in mezzo alle asticelle e sforzo l'apertura della forcina. Juliet rabbrividisce, forse perché sto fissando i suoi capezzoli nascosti dalla canottiera.
Mi basta un solo sguardo e lei capisce.

Apre le labbra con lascivia, ma non esce un suono, mentre la mia mano sta già serpeggiando sotto il suo indumento, sollevandolo completamente. I suoi seni tondi e piccoli rimbalzano fuori, io mi lecco le labbra, poi avvicino la forcina al suo petto ansante. Sfilo il dito e la morsa si chiude intorno al suo capezzolo turgido.

Juliet inarca la schiena, serra i denti ingoiando un lamento di dolore. La visione del suo volto sofferente mi squarcia a metà. E sì, mi eccita più di ogni altra cosa.

-Shh.-

Le sfilo un'altra forcina dai capelli e l'applico all'altro seno, facendola mugolare di dolore.

-Alex...-

-Volevi baciarmi, no?-

Lei annuisce.

-Bene. Adesso puoi farlo.- mormoro strisciando con la lingua sulle sue labbra morbide e piene.

Un'ondata di calore m'indurisce le vene, sento il collo pulsare e i boxer restringersi quando lei apre la bocca per lasciarsi fottere dalla mia lingua dura.

-Non mi hai dato ascolto. Hai i capelli umidi - la rimprovero tra uno schiocco di lingua e l'altro.

E non solo - penso, sprofondando con l'erezione nelle sue mutandine calde.

Un morso, poi un altro. Lei boccheggia, forse perché sto premendo i polpastrelli freddi sul suo clitoride coperto dall'intimo. Lo pizzico tra le dita, facendola contorcere.

-Ferma.-

La sento sbuffare piccoli lamenti sofferti e ogni muscolo del mio addome va a fuoco.
Le sposto l'intimo di lato e le infilo due dita dentro, la penetro lentamente, per lasciarle modo di bagnarsi e prendermi tutto fino alle nocche.

-Alex, piano...-

La pressione la fa contrarre, una morsa calda intorno alle mie dita e tutta la mia lunghezza comincia a pulsare di desiderio. Voglio lei. Non m'importa di cos'ha fatto quando non stava con me. La voglio.

O forse no?

È così stretta che non riesco a ragionare lucidamente.

Un lampo di rabbia mi acceca quando la vedo tirare la testa all'indietro e un gemito sensuale abbandona le sue labbra carnose.  Nell'oscurità riesco a scorgere quell'immagine proibita che mi dilania il petto.

L'ha fatto con un altro. Chissà quante volte.

Juliet mi guarda confusa quando mi stacco dalla sua bocca. Le sfilo le forcine lentamente, i suoi seni rimangono turgidi e arrossati, mentre io sono costretto ad abbassarle la canotta per non guardarla. Poi mi stendo al suo lato.

-Alex?- Lei prova a sfiorarmi, ma io le sposto la mano.

-Dammi un po' di tempo.- mi giustifico.

Non riesco a non pensarci.

- Che succede?-

Si riaggiusta la canottiera sui fianchi, poi si appoggia sul gomito e mi osserva preoccupata.

-Mi dispiace. Non ci riesco.- sputo con la mascella contratta.

-Domani ho una visita all'orfanotrofio. Mi accompagni prima di partire?- chiede lei accoccolandosi sul divano, nello spazio davanti al mio corpo.

Mi porge le spalle e io la proteggo con la coperta.

-Sì se ti fa piacere, sì. Ti accompagno volentieri.-

-Grazie.-

E non si limita a quello. Il suo corpo è caldo contro il mio ed è impossibile nascondere quanto io sia eccitato nello stare con i boxer affossati nel suo culo tondo.

-Juliet ...- sussurro affannato -Ti voglio.-

-Ma sei trattenuto. È per lei?-

Il suo sussurro è spezzato, sembra quasi vergognarsi di quel pensiero.

-No.-

È per te. Che non sei piu mia.

-Alex, a me va bene stare così. Solo...-
Le sposto i capelli dalla fronte, poi la stringo più forte, mentre lei sussurra.
-Non te ne andare.-

Si fa piccola sul mio petto prima di addormentarsi.

-Non me ne vado, Juliet.-


-Hai davvero preparato la colazione?-

Mi stropiccio gli occhi e mi accorgo che lei si è svegliata prima di me.

-Perché, ti fa strano?-

Sì. Anche che tu si sia alzata così presto.

Juliet arriccia il naso e mi porge una tazza fumante di caffè.

-Hai già mangiato?- chiedo vedendola sparire in camera da letto.

-No, tra poco arriva la colazione. Ho ordinato dei croissant, so che ti piacciono.-

Dopo qualche sorso di caffè, poso la tazza e la seguo in bagno. Devo lavarmi i denti, il viso e farmi una doccia.

-Ho spostato le tue cose.- cinguetta lei indicando il piccolo ripiano che sovrasta il lavandino.

-Non le hai spostate, hai invaso lo spazio con le tue.- mormoro inforcando il mio spazzolino.

-È casa mia.- lei mi guarda in cagnesco.

-Sei disordinata.-

Dopo essersi lavata i denti, Juliet si volta e si leva canottiera. Allo specchio vedo il suo riflesso. I suoi seni leggermente arrossati m'ipnotizzano.

-Cosa stai facendo?-

-È il mio bagno e quella è la mia doccia.- dice restando in mutande.

-Interessante.- commento sarcastico.

-Falla con me, Alexander.-

Mhm, interessante.

-Secondo quale logica?-

Sorride.

-Spogliati. Devi sempre trovare una logica in tutto, tu?-

-Quindi dovrei accontentarti e basta, Juliet?-

Si avvicina. Un breve sorrisetto, poi abbandona le mani sul mio torace e mi solleva la t-shirt aiutandomi a sfilarla.

Riempio il petto di un lungo respiro, finendo a sbuffare, mostrandole tutta la mia fatica. Lei volta, infine si piega per sfilarsi le mutande.

Cristo.


In doccia fisso le piastrelle alle sue spalle, pur di non cascare nella tentazione di fissarla morbosamente.
Perché mi sono cacciato in questo guaio?

Juliet prova a porgermi il bagnoschiuma, ma io la guardo immobile, senza parlare.
Apre il flacone e una scia di sapone freddo cola sulla mia erezione imponente.

- Ops.- mormora senza sollevare gli occhi.

Non mi scompongo. Volevo dimostrare a me stesso di essere in grado di stare in quella situazione ambigua, insieme a lei, ma la cosa mi si sta ritorcendo contro.

Lei fa scivolare un po' di gel doccia sulla sua mano poi s'inginocchia.
E il mio controllo dura poco, troppo poco.
Posa il bagnoschiuma e si rialza, ma l'occhiata che mi ha lanciato dal basso, non era casuale.
Mi basta quel gesto, l'afferro dai polso e la faccio voltare, premendole il viso contro la parete.

-Stai provando a provocarmi?-

-No, ma sta funzionando ugualmente.-

La mia erezione spinge pesante tra i suoi glutei mentre con la mano le circondo il busto e scendo a lusingare il clitoride soffice con la punta delle dita. Si gonfia appena sotto al mio tocco e io sento la salivazione aumentare al pensiero di come potrebbe pulsarmi tra le labbra.
In mezzo ai denti.

Abbandono il petto contro la sua schiena. Lei ansima un lamento perché il mio corpo si modella sul suo, togliendole il respiro.
Porto il pollice sulla mia punta tesa e la spingo, facendola aderire ai suoi glutei sodi.

Io posso darti l'l'inferno, ma tua puoi regalarmi il paradiso, piccola Juliet.

Tutta quella pressione la spaventa, si volta di scatto. E io la lascio fare.
Osservo il suo corpo minuto tratteggiato di goccioline.

-Devo chiederti il permesso?-  le domando mentre fisso un punto preciso tra le sue gambe.

-No.-

Le mordo la spalla.
Lei sgrana gli occhi.
Poi il collo, il fianco.
Scendo più a fondo. Mi abbasso tra le sue cosce.
Con gli incisivi stuzzico le sue pieghe, poi sollevo il mento e la penetro con un'occhiata sporca.

-Guardami.-

-Alexander...- Ansima il mio nome, mentre sfiora le mie spalle nude.

-Dimmi, Juliet.-

Il mio respiro accelera, provo a regolarizzarlo, soffiando sulla sua fessura liscia. La vorrei dilaniare con la lingua e sfinire di morsi.

-Io...-

Le si rompe il fiato nel momento in cui lascio un bacio innocente sulle sue carni più sensibili.

-Non vuoi?-

-Mi stai supplicando?- chiede dall'alto, con un pizzico di coraggio.

No, ma mi sto trattenendo perché il tuo profumo mi manda fuori di testa.

-Non lo farei mai, Juliet.-

-Il tuo sguardo però mi sta implorando.-

Già, ma questo è un segreto. Mio e tuo. Quanto mi rendi vulnerabile, possono vederlo solo i tuoi occhi.

-Allora non dirmi di no- mugolo infastidito, prima di macchiarla con un'occhiata torva.

E poi fingo che quell'attimo non esista, ma in realtà c'è, c'è sempre stato. A volte con gli occhi, a volte con le parole. Le chiedo di lasciarmi il controllo e lei lo fa. Trattengo il respiro, finché lei non parla.

-Va bene. -

Juliet lo sussurra sottovoce e io, eccitato da una scintilla primordiale, sembro dimenticare ogni cosa.

-Ma fa' piano per favore.- la sento tremare.

La sua timida richiesta mi provoca una contrazione piacevole sotto l'addome.

E poi, finalmente, la mordo.



Juliet

Quello che ho davanti è un ragazzo meticoloso e calcolatore, ma perde il controllo davanti alla possibilità di trascendere la decenza dei limiti, per abbracciare la sua natura.
Alexander resta fermo nella sua eleganza, non si scompone, nemmeno nel momento in cui mi fa urlare.
Il dolore è lancinante. Secco. Ma lui lo leviga con il suo respiro caldo. La sofferenza si affievolisce con qualche passata di lingua e finalmente riesco a buttare fuori l'aria che avevo trattenuto durante i morsi più voraci.
Bacia le mie pieghe portando la testa all'indietro, come se volesse risucchiarmi via anche l'anima con quelle labbra infernali.

-Alex...-

Non riesco a resistere, ormai mi sta riempiendo con la lingua e, a ogni soffio caldo, a ogni slittata umida, io mi sciolgo. La tensione nella pancia si fa sempre più serrata. Lui immerge due dita affusolate dentro di me proprio nel momento in cui mi contraggo con spasmi involontari intorno alle sua falangi.

-Se continui così...-

Abbasso il capo e lo scontro con il suo sguardo è duro. Il profumo del bagnoschiuma m'inebria i sensi e il vapore riempie il box, tant'è che non riesco più a vedere nulla. Mi obbligo però a guardarlo negli occhi, perché lo conosco, è quello che vuole. Il veleno delle sue iridi torbide mi penetra sotto la pelle, lo inietta nelle mie vene come una sostanza tossica di cui non potrò più fare a meno.

E con quello sguardo mi sta parlando. Mi sta dicendo che è il momento. Ci ho messo mesi, forse anni a ritrovare l' istintività di cui mi aveva privata, ma è riuscito a cancellare tutto con un semplice sguardo. Le gambe cedono e comincio a tremare sulla sua lingua che lecca via il mio orgasmo con lussuria.

Alexander si asciuga il dorso della mano, poi torna in piedi. Curva il capo per affossare il suo sguardo nel mio, forse per studiarmi al meglio.

-Che vuoi fare?- domando abbassando il mento.

La sua eccitazione è turgida, bagnata ed è impossibile da non notare.

-Vorrei non andarmene.- mormora rubandomi ai miei pensieri.

-Be', puoi sempre...-

-Shh...-

Si versa lo shampoo sul palmo della mano e invece che insaponare i suoi capelli, si occupa dei miei. La coccola mi fa arcuare il collo, chiudo gli occhi, beandomi di tutte quelle sensazioni piacevoli che mi attraversano il corpo.

Ho capito che non vuole parlare, che non vuole essere toccato, quindi decido di rispettare il suo volere. Dopo essermi lavata, esco dalla doccia e così fa lui poco dopo. Gli porgo un asciugamano pulito, mentre io mi avvolgo nel mio accappatoio.

-Non vuoi più parlare?-

Mi mordo il labbro, lui incrocia il mio sguardo nello specchio.

-O hai solo paura di litigare come ne ho io?-

Alexander stringe l'asciugamano bianco intorno ai fianchi stretti, poi afferra la mia spazzola di legno dal ripiano del mobile.

-Avresti il coraggio di chiedermelo?-

-Cosa dovrei chiederti, Juliet?- domanda cominciando a spazzolarmi i capelli.

-Di venire a Londra, con te.-

I nostri occhi si cercano allo specchio, ma per una volta è lui a spostare lo sguardo dal mio.

-Te l'ho già chiesto una volta. Ti ho supplicato di venire a vivere con me, Juliet.-

Lo sussurra sottovoce, quasi controvoglia, mentre io reclino il collo per consentirgli di districarmi i capelli al meglio.

-Non era il momento giusto. Non facevamo che litigare. Tu eri geloso di tutto e tutti. Non volevi vivere con me per davvero, volevi solo controllarmi.-

Quelle parole sembrano pungerlo nell'orgoglio.

- Ah, sì? E ora sai che non è più così?- mi sfida.
-Ora è il momento giusto per chiedetelo, Juliet?-

Riconosco una vena di sfida mista a delusione nella sua voce.

-Non lo so, dovresti dirmelo tu dato che volevi passare il resto vita con un'altra.-

Lo sputo di getto, ancora ferita da quel pensiero.

Come posso ignorarlo?

Alexander smette di occuparsi dei miei capelli e posa la spazzola sul bordo del lavandino.

-Juliet...-

-Lo volevi davvero? Ne eri sicuro?- domando voltandomi per incontrare i suoi occhi.

-Non si è mai sicuri di una cosa del genere.-

-Sì invece.-

Lui scrolla il capo, ma io proseguo.

-Lo sei quando ami qualcuno.- insisto.

Un rumore improvviso obbliga a voltarci verso la porta.
Sono dei passi.

-Aspettavi ospiti?- domanda lui assottigliando lo sguardo.

-No.-

-Catherine ha le chiavi di casa?-

Oh, no. Rick.

Io non fiato, così Alexander si veste ed esce per primo dal bagno. Mi do una specchiata veloce e, ancora avvolta dall'accappatoio, raggiungo camera mia per cambiarmi. Ma quando riconosco la voce di Rick, mi precipito in cucina.

-Non ci posso credere.-

Rick sta guardando Alex.
E ha un mazzo di fiori in mano.

-Sono per me?- m'intrometto.

-Ero venuto a chiederti scusa.-

-Okay, ora puoi andare.-

Mi avvicino per strappargli i fiori dalle mani, nelle speranza che se ne vada, ma lui solleva il mazzo impedendomi di afferrarlo.

-Sai cosa dicono di te, Juliet? -

I suoi occhi restano incollati al mio accappatoio.

-Rick, è meglio se vai.-

-Che per un po' di attenzioni maschili faresti qualsiasi cosa.-

Il gelo cala nella stanza.

-Ecco perché non ti ho mai presentata alla mia famiglia. E lui? Lui è più malato di te.-

Alexander è rimasto alle mie spalle, in silenzio. Non ha fiatato finora, ma adesso non riesce più a resistere.

-Stavolta non sbagli, Maverick. Infatti spero tu abbia detto le tue ultime preghiere.-

I due si guardano in cagnesco, così intervengo.

-Vattene.-

Lo dico a Rick, prima che Alexander faccia qualcosa d'impensabile. È così freddo e silenzioso che ho quasi paura.

-Non voglio parlare con te ma con lui.- Rick mi comunica tutto il suo astio.

-E invece parli con me- strepito ormai al limite.

-Ah, perché con una come te si può anche parlare?- sogghigna Rick, levandomi il respiro.

Sono così mortificata che potrei scoppiare a piangere da un momento all'altro.

-Non rivolgerti a Juliet in questo modo.- Alexander muove un passo e l'altro fa lo stesso.

-Ma a lei piace essere trattata così. Tu lo sai, no?-

-Juliet vai di là- mi ordina Alex a quel punto.

Andate al diavolo allora.

Così, indispettita e punta nell'orgoglio, mi rifugio in corridoio e mi metto ad ascoltare.

-Facile, eh.- La voce di Rick.

-Cosa sarebbe facile?- domanda Alex con tono sprezzante.

-Facile per me e te, infilarci tra le gambe di una ragazza così.-

Il respiro mi si spezza in gola.

-Così? Così come Maverick?-

-Una ragazza così, come Juliet. Facile.-

Non capisco se Rick stia cercando il suo appoggio o la sfida. Alexander però non fiata. E io lo conosco. Quel silenzio è spaventoso. Sta architettando qualcosa.

-Non rispondi? Allora sai che ho ragione, Alexander.-

-Non ti rispondo perché al momento il mio cervello è occupato, Maverick. Tutti i modi in cui potrei ucciderti mi stanno scorrendo davanti agli occhi. Dovrò solo sceglierne uno. Il più doloroso.-

Rick ridacchia.

-Non parlare in quel modo di Juliet. Mai più.- prosegue Alex.

A quel punto sento un tonfo. Mi affaccio e vedo Alexander spingere Rick contro la parete.
Quest'ultimo però non ha paura, anzi, lo sfida.

-Dici che dobbiamo ringraziare suo padre?-

-Cosa le hai fatto? Cosa stai insinuando?- lo aggredisce Alexander.

-Sei adulto, ci arrivi da solo, no?-

Rick me ne ha fatte di tutti i colori e di sicuro non è il ragazzo che voglio nella mia vita, ma nello stesso tempo, non posso lasciare che Alex gli faccia del male.

-La tua sorellina mi ha supplicato di non raccontare a nessuno della nostra relazione. L'ha fatto, letteralmente.-

Oh no devo dividerli.

-Alex!- urlo quando vedo i suoi occhi iniettarsi di buio.

Provo a sfiorargli il braccio, ma prima che io possa toccarlo, lui indietreggia, lasciando Rick libero.

-Rick, vattene.-

Lui lancia i fiori a terra e mi guarda con disgusto. -Tieni.- E finalmente se ne va.

-Voleva solamente provocarti, Alex. Non...-

Ma io conosco Rick, non demorderà tanto facilmente. Alexander resta con lo sguardo al pavimento e mi rivolge un tono duro.

-Va' a vestirti, andiamo.-



Finiamo la colazione in taxi, io mi stendo un velo di rossetto, Alexander non fiata per tutto il tragitto. Ha cominciato a scendere un po' di neve oltre al finestrino e quando arriviamo all'orfanotrofio, lui non sembra intenzionato a seguirmi. Rimane a guardare le pareti esterne dell'edificio con aria titubante.

-È pieno di bambini lì dentro e so che i bambini non ti piacciono.- mormoro sottovoce.

Poi il mio viso si deforma.

-Noooo! Abbiamo dimenticato i regali!- Mi porto una mano sulla fronte.

La faccenda di Rick mi aveva fatto dimenticare delle cose importanti.

-E ora?- Alexander guarda il taxi che ormai si è allontanato nel traffico.

-Non fa niente. Li porterò domani.- non riesco a nascondere il broncio. -Ora passo comunque per un saluto.-

-Io vado a prendere un caffè.-

Annuisco leggermente amareggiata. Alla fine sapevo non sarebbe entrato con me, di cosa mi stupisco?
Alexander però mi afferra dal polso, l'attimo prima che io possa varcare il portone. Le sue dita gelide raschiano la mia pelle chiara celata dalla manica del cappotto. Rabbrividisco.

-Ti vengo a prendere.- mugola tra i miei capelli.

-Va bene.-

Mi aggiusta la sciarpa che mi circonda il collo, poi mi lascia un bacio sulla fronte e se ne va.


La delusione dei bambini dura un soffio. Si aspettavano i miei regali, ma nonostante ciò, corrono in cerchio cantando e urlando a squarciagola, riempiendo di gioia quel freddo salone.

-Che cosa hai dato loro questa mattina? Non sono mai così.-

Mi avvicino a Emily, la direttrice. È una ragazza sulla trentina che trascorre più ore del dovuto lì dentro, ha una vocazione e i bambini l'adorano.

-Hanno mangiato una fetta di cheesecake, non sono abituati a tutti quegli zuccheri.-

Smangiucchiamo una fetta di torta tra una chiacchiera e l'altra, poi, quando le acque si calmano, riusciamo a convincere i bambini a sedersi in tondo.

-Juliet è qui per leggervi "A Christmas carol."

Alcuni si lamentano e da lì diventa un crescendo, altri bambini si accodano alle lagne e il trambusto ricomincia.  Accorre anche un'altra educatrice per ristabilire l'ordine, ma l'entusiasmo è difficile da contenere oggi.
Io mi siedo a terra e non posso fare a meno di ridacchiare per tutto quel casino.

-Qual è la tua storia preferita?- mi domanda Harper, una bambina dai lunghi capelli rossi.
Si siede vicino a me, poi mi guarda in attesa.

-Ehm...-

Lancio gli occhi a lato e comincio a pensarci.

-La bella e la bestia.-

Qualcuno suona il campanello, quindi l'educatrice si assenta un attimo e i bambini ne approfittano per farsi i dispetti a vicenda.

-Leggiamo quella!- urlano alcuni.

-No. Non abbiamo il libro. È Natale, quindi leggiamo "A Christmas Carol", bambini- spiega Emily con tono paziente.

-Perché ti piace quella storia, Juliet? Di cosa parla?-

-Be'... Parla di un incantesimo, di un castello in cui vivono oggetti animati e...-

Il mio sguardo s'incastra nella figura che si materializza all'ingresso del salone. Alexander sta sulla soglia a braccia incrociate, il bicipite avvolto dalla camicia è premuto contro lo stipite della porta e mi sta guardando.

-Parla di una storia d'amore. Un amore che inizia male, molto male.-

- Perché?-

Torno con lo sguardo alla bambina che mi osserva curiosa.

- Non lo so, forse perché è un amore sbagliato. Una relazione sbilanciata che ha bisogno di cambiare per funzionare.-

-E allora perché ti piace?-

Bella domanda.

I miei occhi scivolano di nuovo in quel buio profondo, lo sguardo di Alexander mi risucchia completamente.

-Perché quando finalmente i due si amano nel modo giusto, quando la bestia accetta di lasciare libera la ragazza, è lì che raggiungono un amore consapevole e può iniziare la loro storia d'amore.-

-Chi stai guardando?!- domanda un bambino tirandomi i capelli.

Il gruppetto si volta nella direzione di Alexander.

-Ma quello è Babbo Natale?- Harper si alza in piedi e lo punta con l'indice.

Lui prova a trattenere lo sdegno sotto al labbro.

-Non sono troppo giovane e bello?-

-E modesto, mi dicevano- commenta l'educatrice.

Emily sbatte le ciglia agitata. -Chi diamine l'ha fatto entrare?- domanda guardando l'altra di traverso.

-Sì che è Babbo Natale, vedete?- urla un bambino. -Ha portato i regali!-

I bimbi si lanciano alle sue spalle come delle bestioline affamate. Emily e l'educatrice provano a dividerli, ma pare impossibile.
A quel punto mi alzo in piedi e mi accorgo che sparsi sul pavimento, ci sono i pacchi che avevo dimenticato nel mio appartamento.

-Sei passato da casa?-

Resto a fissarlo incredula, quando lui annuisce.

Emily accanto a noi,  è in un brodo di giuggiole.
Continua a tirarsi su gli occhiali sul naso e a sorridere ad Alexander, ringraziandolo.

-Mi ero dimenticata cosa significasse andare in giro con te.- borbotto prendendolo da parte.

Lui però ignora le occhiatine interessate di Emily e mi guarda.

-Scusami per l'altra sera. Quando ho detto che non mi piaceva chi sei diventata, sono stato superficiale. E mi dispiace.-

Lo fisso confusa.
Chi sei tu? Cosa ne hai fatto di Alexander?

- Alex, mi stai davvero...-

- Sto esprimendo ad alta voce il modo in cui mi sento. Non è un pensiero che ti ferisce, quindi sono libero di esprimerlo.-

Sembra recitare una formula imparata molto bene, ma messa in pratica raramente.

-Te l'ha detto il dottore di fare così, vero?-

-A quanto pare, quando provo sentimenti positivi, devo esternali.-

Sorrido.

-Aspetta, allora... ehm, non ho capito. Puoi ridirmi cosa intendevi, perchè io davvero...-

Alexander capisce la mia presa in giro ma decide comunque di darmi corda.

-Non ti ho mai vista cosi. E mi piace vederti così.-

Mi avvicino. Il profumo che emana la sua camicia stirata mi fa perdere un battito.

-Devo migliorare.- aggiunge con voce profonda.

-Già, non sei così perfetto...-

Lo stuzzico, mentre in realtà i miei pensieri urlano tutt'altro.

Alexander curva le labbra contro il mio orecchio.
-Mhm, frena quella lingua, piccoletta.-

Vedo i suoi denti bianchi, poi la bocca a un soffio dalla mia.

-Che schifo, si baciano!- grida un bambino, artefice di scompiglio e versi schifati.

Ci distacchiamo prima che le nostre labbra si sfiorino.

-Possono smetterla di urlare per un secondo?-
Alexander si porta una mano sulla fronte, esausto.
-Sono qui dentro da un minuto e sto già impazzendo.-

Harper si avvicina a noi e mostra ad Alexander la piccola costruzione fatta con i lego appena scartati.

-Ti piace?- domanda porgendogli il gioco.

-No.- risponde lui. -Li hai messi male.-

Lei si fa sopraffare da un piccolo broncio.

-Insegnale allora- lo spingo verso di lei, indicandogli il pavimento.

Lui guarda il parquet rovinato con riluttanza, poi decide di ispezionare la costruzione incastrata male.

-È sbagliato.- ribadisce senza emozioni.

-E sbagliato sì, mi piace sbagliato.- s'impunta la bambina, quasi a volerlo sfidare.

Lui sbuffa. -Cos'è?-

-Un prato con uno scivolo.-

-Un prato rosso?-

-Non lo voglio il verde. È brutto.-

-E questo sarebbe uno scivolo?-

Alex scruta il mattoncino di lego messo di traverso.

-Me lo costruisci tu? Guarda, non scivola- si lamenta Harper provando a far slittare una macchinina sulla sua costruzione.

Alexander a quel punto si siede a gambe incrociate, accanto a lei.

-Si tratta di fisica. Esiste la forza peso e la forza di attrito dinamico...-

Lui inizia spiegare cose incomprensibili, ma io perdo l'attenzione dopo un secondo esatto. Forse perché modula la voce in quel modo suadente, o forse perché usa le sue mani perfette per montare i pezzi. E io ho già smesso di ascoltarlo.

-...l'accelerazione è fondamentale. Vedi? Ora la macchinina può scivolare correttamente.- conclude davanti a una Harper tutta felice della sua nuova costruzione.

-È bellissima. Ma questo no.-

La vedo rimuovere il piccolo mattoncino verde che lui aveva usato per la chioma di un albero e la sostituisce con un altro colore.

Alexander la guarda confuso.

-Mi piace sbagliato ti ho detto.- insiste la bambina.

-Come ti pare.- 

Lui si alza in piedi, così ci allontaniamo dal gruppetto.

-A chi verrebbe in mente di abbandonare questi bambini?- chiede sottovoce.

-Alcuni non sono stati abbandonati di proposito. Prendi Harper. Sua madre è morta per overdose, proprio davanti ai suoi occhi. La donna aveva un golfino verde quella sera. E lei non sopporta la visione di quel colore.-

Alexander sembra trasalire.

-Oddio ma è tardissimo, volete restare per pranzo voi due?- c'interrompe Emily causando un cipiglio sul volto dell'educatrice.

-No, dobbiamo andare a pranzo dai nostri genitori.-

-Vostri genitori? Non mi avevi detto che avevi un fratello, Juliet.-

Emily guarda Alexander poi sgrana gli occhi, come a dire "Potevi anche dirmelo."

-Non sono suo...-

Alexander blocca la frase sul nascere, perchè Harper torna da noi.

-Posso fare il prato rosso? -

-Puoi fare il prato rosso.- mormora lui con le mani affossate nelle tasche.

-Mi piace così, anche se so che il colore è sbagliato.- spiega lei con tono soddisfatto.

Alexander a quel punto si china all'altezza della bambina.

-Farai sempre sbagliato?-

-Sì.- annuisce Harper.

-È una promossa?-

-Sì. Però tu devi farne una a me.-

Lei si solleva in punta di piedi per parlargli nell'orecchio in modo buffo.

-Juliet è bellissima, devi sposarla.-

Emily si porta una mano alla bocca, sgranando i suoi occhi acqua marina.

-Ci sto lavorando.- mormora lui.

Sento le guance scottare.

-È un bugiardo. Non starlo a sentire.-

A quel punto salutiamo i bambini che non ci considerano di striscio, visti i nuovi regali e ci buttiamo nel primo taxi che riusciamo a prendere.

-Sei stato carino, Alex.- azzardo, mentre ci stringiamo nel sedile posteriore.

-Non farci l'abitudine, Juliet.-

Il suo tono serio mi causa un sorriso.

-Mia madre vuole vederci, dobbiamo andare a pranzo da loro perché poi hanno il volo stanotte.-

-Passiamo da te a prendere la mia valigia. Devo cambiarmi. Ho dello zucchero a velo sui pantaloni e chissà cos'altro.- biascica schifato.

Scrollo il capo, vorrei dirgli che non è vero, che è perfetto come sempre, ma resto in silenzio, affossando la guancia nella sua spalla rassicurante.

E quella calma apparente dura poco. Quando arriviamo sotto casa mia, estraggo il cellulare dalla borsa e noto che Rick mi sta chiamando. E lo vede anche Alex, perché mi ruba il telefono dalle mani e risponde con il vivavoce.

-Maverick.-

-Perchè rispondi tu? Cosa ci fai ancora con Juliet?-

-Cosa vuoi da lei?-

-È natale pensavo di meritarmi un regalo speciale.- ridacchia l'altro.

-È finita lo sai.- borbotto io, infastidita.

-Non è mai iniziata. Ci stavamo solo divertendo, quindi non può finire.-

Le parole di Rick hanno il suono tetro di una minaccia.

-Sono stufo ripeterti che ti voglio morto, non darmi l'onore di passare alla pratica, Maverick.-

-Quindi sta con te oggi?-

-L'unica cosa che ti riguarda è che Juliet non starà con te. Mai più.-

Alexander chiude la chiamata e mi rivolge un'occhiata guardinga.

-Juliet, non girarci intorno e rispondi. Perché hai paura di lui?-

-Ma no...-

-Che cosa ti ha fatto?-

-Sicuro di volerlo sentire?-

-No. Ma devo.-

Lo sguardo di Alexander è fermo. Non batte ciglio. Decido quindi di farmi coraggio, mentre camminiamo verso il portone.

-Una sera, dopo l'orario di lavoro, ci siamo chiusi ufficio. Lui mi aveva regalato una benda e mi aveva detto di aspettare lì.-

-Non voglio i dettagli.-

-Quando è arrivato ha cominciato a spogliarmi e a baciarmi...-

-Juliet.-

-Scusa, allora non posso raccontartela.- sbotto infilando le chiavi nella serratura.

-No, aspetta. Dimmelo, voglio sapere.-

Prendo un lungo respiro.

-Mi ero accorta che c'era qualcosa di diverso, ma non capivo.-

-Cosa vuoi dire?-

-Ero bendata, ma quando mi ha baciato sulle labbra, ho capito che non era lui. Non era Rick.-

Alexander non intuisce la piega del discorso.

-Non era lui?- si acciglia.

-Rick mi parlava, era lì con me, ma... non era da solo.-

Un guizzo tetro spegne i suoi occhi scuri.

-Dammi il suo indirizzo.-

Scrollo il capo.

-Voleva farmela pagare. Avevano fatto una scommessa, e....-

-Ho sentito abbastanza. Devi dirmi i nomi.- stride a pugni serrati.

Sbatto le palpebre e all'improvviso una lacrima mi riga il viso. Solo allora, lui sembra accorgersi di me.

-E tu cos'hai fatto, Juliet?-

-Non sono riuscita ad alzarmi dal letto per una settimana al pensiero di cosa sarebbe accaduto se non me ne fossi accorta. Se non l'avessi fermato, se non mi fossi tolta la benda...-

Alex non reagisce. I suoi occhi si svuotano di ogni emozione. Riesco solo a leggere una domanda sul suo viso "Come hai potuto perdonarlo?"

-Dopo quell'episodio io e Rick abbiamo smesso di frequentarci. Non volevo più vederlo. Lui ha provato in tutti i modi a farsi perdonare, ma... non ho mai ceduto, tranne quando ho saputo che venivate qui.-

Abbasso il capo.

-Gli ho chiesto di venire al matrimonio per non stare da sola. Tu avevi Jenny.-

-Mi hai detto di essere impegnata prima che sapessi di Jenny... l'hai chiamato "il mio ragazzo"- mormora con una smorfia disgustata.

-Lo so. L'ho fatto perché non volevo pensassi male di me. Io e Rick non siamo mai stati insieme per davvero. Era solo...-

Mi asciugo un'altro lacrima, mentre lui resta immobile.

-L'hai chiamato il tuo ragazzo.- ripete incredulo.

-Cosa dovevo dire? Che era uno stronzo con cui andavo a letto ogni tanto?-

Le mie parole gli causano uno scatto repentino. Si volta dandomi le spalle.

-Chiama tua madre e dille che io non ci vengo a pranzo.-

-Alex, no. Dove vai?-

-Dimmi dove abita.-

Faccio cenno di no con la testa.

-Lo scoprirò da solo Juliet.-

-Non ha senso ora. Mi è passata.-

-Ma non è passata a me. Lo voglio vedere morto. Chi è l'altro stronzo?-

-Un suo amico, nonché collega. vanno a correre insieme tutte le mattine. Alex non fare sciocchezze, non hai il volo anche tu, stasera? Se non vieni a pranzo mia madre ci rimane male.-

Provo a strattonargli la manica del cappotto. Lui però resta impassibile.

-Non posso lasciarti qui con lui.-

Alexander trattiene il respiro, mentre io tuffo la testa nel suo petto.

-Allora non lasciarmi.-

🥄

-Siete in ritardo!-

Mia madre ci sgrida non appena mettiamo piede nel loro piccolo appartamento.

Vedo Alexander dare una scrollata di spalle, ovviamente lei se la prende solo con me e quando le spiego dell'orfanotrofio, finalmente si da una calmata.

- Shh, Tristan sta facendo il riposino pomeridiano.- sussurra a un certo punto, scaldandoci il pranzo.

-A quest'ora?-

-Sono le quattro, Juls. Vi aspetto da tre ore.-

Quando Alexander apre la sua valigia e noto alcuni pacchi incartati, per poco non sussulto.

O no, non ho pensato ai regali di Natale.

-Ehm... mamma.-

-L'importante che stiamo insieme. E comunque sei sempre la solita.- mi redarguisce lei, conoscendomi alla perfezione.

-Ma ti vogliamo bene così.- s'intromette John nel vedere la mia faccia spenta.

Alexander lascia i pacchi in salotto, poi aiuta mia madre ad apparecchiare. Quei due si alleano sempre, vanno troppo d'accordo e a me scappa un sorriso. Forse perché mi accorgo che certe cose non cambieranno mai.

-Lasciamoli alle loro faccende. Vieni un attimo con me, Juliet.- mi richiama John.

Lo seguo in balcone dove una brezza gelida mi raffredda le gambe scoperte.

- Senti, non sono questioni che mi riguardano, ma per me sei come una figlia. Non mi aspettavo di... -

-John, non voglio la pietà di nessuno. Sto bene.-

-Quel ragazzo non mi piace. E tu non sembri felice. Ti ripeto, non dovrei immischiarmi, lo so, ma se questa notte parto senza dirti ciò che penso, me ne pentirò.-

Negli anni le rughe che gli segnano il volto si sono accentuate, ma il suo sguardo si è addolcito. John non assomiglia affatto ad Alexander.

-Quindi? Cosa suggerisci?-

-Torna a Londra, Juliet. Tua madre ne sarebbe così felice.-

Chino il mento.

-E lo dico contro i miei interessi. Lo conosco mio figlio e lo vedo come ti guarda. Non riesce a starti lontano. Da quando siamo qui avete passato giorno e notte sempre insieme.-

Mi stringo nelle spalle, lasciandomi trasportare dal ricordo dei nostri baci.

-Pensavo che tenervi lontani fosse la soluzione migliore.-

-Lo pensavo anch'io... È che senza di lui, mi sento persa.-

-Non dire così. Hai fatto tante cose in questi ultimi anni. Te la sei cavata.-

Annuisco. -Però su una cosa hai ragione. Non sono felice qui.-

John resta sempre goffo, ma accetta di buon grado il mio abbraccio.

-Che succede?-

Alex mette su una smorfia quando ci vede.

-Suggerivo a Juliet di prendere in considerazione il trasferimento.- spiega John. -Non mi piace questa situazione tra voi. È strana e complicata, ma prima di tutto voglio siate felici.-

-La vecchiaia lo sta rammollendo- sghignazzo quando John ci lascia soli per raggiungere mia madre.

Alexander però è dannatamente serio e io smetto di ridere. -O forse ha solo visto come stavo io, quando tu sei andata via.-

-Cosa?-

-Lascia stare.- mugugna facendomi cenno di rientrare.

Lo seguo in corridoio e un pensiero mi attanaglia la mente. Tornerei davvero a Londra?

Udiamo il vociferare dalla cucina. Mia madre sta mostrando a John il regalo di Alex.

-Regali profumi costosi a mia madre?-

Lui fa una svolta ed entra in una stanza da letto.

-Gelosa?-

-Può darsi.-

Il suo sguardo però è ancora preoccupato. Gli occhi cupi si scuriscono quando si soffermano su una mascherina da notte, abbandonata sopra al comodino di fianco al letto.

-Alex.-

-Mhm?-

-Non pensarci, per favore.-

Mi riferisco a Rick, non c'è nemmeno bisogno di dirlo ad alta voce.

-Come faccio a non pensarci?- Lo vedo frugare nella tasca del suo cappotto piegato sulla poltrona.

-Cos'è? Hai comprato qualcosa per Jenny?-

E lo dico perchè quello che estrae è un piccolo cofanetto quadrato.

-No. Era tuo.- Alexander mi porge la confezione in velluto blu.

-M...mio?-

La apro mentre il cuore mi scoppia nel petto. Il diamante incastonato nell'anello è così grande che perdo le parole.

-Volevo dartelo tre anni fa.-

-Cosa?-

Alexander annuisce. -Hai capito bene.-

-Perchè...-

-Non era una proposta, ma una promessa.-

Le mani tremano, non riesco a formulare un pensiero di senso compiuto.

-C'era periodo in cui andava tutto bene. Poi sei tornata da New York e non so cosa sia successo.-

-Perché lo avevi con te? Lo stavi per dare a lei? A Jenny?-

-No, Juliet. Era di mia madre. Non potrò darlo a nessun'altra.-

Mi perdo a guardare le labbra perfette che hanno appena pronunciato quelle parole sottovoce.
Mi getto contro il suo petto e dico ad alta voce il primo desiderio che mi passa per la mente.

-Cancella il volo, Alex.-

-Prima di tutto non darmi ordini, piccoletta. E seconda cosa... Posso spostarlo, ma non cancellarlo.-

-Spostalo a domani, rimani qui stanotte.-

Lui guarda fuori dalla finestra, il buio ha cominciato a calare. -Juliet...-

-Piuttosto dormi da un'altra parte se non vuoi stare da me.-

-Se cancello il volo, poi finisce che...-

Lui si avvicina, io mi faccio piccola sotto al suo mento, poi chiudo gli occhi perché so che quello è lo sguardo di quando mi sta per baciare.

-Alexander? Juliet?-

L'occhiataccia di John è gelida.
Con un gesto istintivo porto le mani dietro la schiena, nascondendo la scatola con l'anello.

-C'è il dolce.-

Approfitto del momento in cui Alexander si volta in direzione di suo padre, mi allungo verso il cappotto per rimettere in tasca l'anello. Non posso accettarlo, non ne ho il diritto.

-Arrivo, papà. Sto parlando con Juliet.-

John apre bocca, ma alla fine si rende conto che è del tutto inutile. Senza volerlo, poco fa, ha firmato la sua benedizione.

E mi basta che lui si allontani di nuovo, per ritrovare un tono di voce più sussurrato.

-Posso convincerti. So come farlo.-

bisbiglio sollevandomi in punta di piedi, per giungere all'orecchio di Alexander.
Quelle parole però, sembrano gettarlo nello sconforto.

-La cosa triste è che per me non ci sarà mai nessuna come te.-

Gli sfioro le nocche fredde che tende lungo i fianchi.

-Quindi rimani?-

-T'interessa solo questo, Juliet?-

-Hai da dirmi qualcos'altro di più romantico? Anche quello potrebbe interessarmi.- lo stuzzico.

Lui scrolla il capo.

-Cos'è cambiato da quando volevi darmi quell'anello, Alex?-

- Juliet...- il suo sguardo scende sulle mie mani vuote. Ha già capito che l'ho rimesso nella tasca del cappotto.

-Non parlo della tua gelosia o delle mie scelte sbagliate. Parlo di quello che provi.- spiego.

Lui affila lo sguardo, i suoi occhi assottigliati si restringono ai lati.

-Forse, alla fine, non è cambiato proprio niente. Il modo in cui riesci a farmi provare delle emozioni, per quanto possa sembrare sbagliato, è l'unico che ho per sentire qualcosa.-

Le nostre labbra si uniscono in un dolce bacio a stampo. Non riesco ad approfondirlo perché prima sorrido sulla sua bocca, poi metto il broncio quando il mio sguardo cade sulla sua valigia pronta. E lui se ne accorge.

-Dato che ci tieni tanto a saperlo, Juliet, l'ho già spostato a domani il volo.-

Gli allungo le braccia intorno al collo, incrocio i polsi dietro alla sua nuca per indurlo ad abbassarsi sulla mia bocca. Cerco disperatamente di raggiungere le sue labbra, ma quando Alexander si rende conto di quanto io desideri baciarlo, comincia a giocare, tirando la testa all'indietro.

-Cosa ti faccio sentire....-

-Juliet - Il mio nome è un dolce rimprovero sulle sue labbra dure.- Va' di là o sarò io a farti sentire qualcosa.-


Il pranzo si protrae fino alle sei e io mi sono rimpinzata di così tanti dolci, che ho tutte le intenzioni di saltare cena. Verso le otto accompagniamo John e mia madre in aeroporto e stranamente nessuno dei due dice nulla riguardo ai cambi di programmi di Alex.

-Juliet, tanto ci vediamo tra un mese.-

Mia madre invece dà per scontato che accetterò il trasferimento. E non fa che ripetermelo mentre ci abbracciamo, fuori dall'aeroporto.

Sono circa le dieci di sera quando io e Alexander ritorniamo al traffico della città. E proprio mentre siamo diretti a casa mia, alcune ragazze dell'ufficio mi chiedono di raggiungerle.
Chiedo al taxi di fermarsi davanti al locale in cui abbiamo appuntamento e non appena Alexander si accorge quanto l'esterno sia gremito di gente, inizia a lamentarsi.

-Pensavo di restare a casa, da solo, con te.-

-Pensavi male. Dopo andiamo a casa. Passiamo un attimo a salutare le mie amiche.-

-Immagino il divertimento.- commenta aprendomi la portiera.

-Uno sforzo, Alex?-

-Dopo quei marmocchi urlanti, devo sopportare...-

La coda di gente ammassata per entrare è infinita.

-No, questo no. Vieni.-

Lo seguo fino all'ingresso, superiamo la fila e presto ci troviamo faccia a faccia con il bodyguard.

-Avete il pass?- domanda l'uomo.

-Dimmi dove acquistarlo.-

-Se non l'avete non potete entrare, dovete mettervi in coda.-

-Va bene, lo compro.-

- Non so il prezzo...- borbotta il bodyguard.

Vedo Alexander estrarre alcune banconote da cento dollari dal portafogli.

-Era questo vero?-

Il tizio conta cinque banconote, poi alza la corda per permetterci di entrare.

-Che gesto poco elegante.-

-Mhm, quindi preferisci tornare al freddo?-

Certo che no, ma lì dentro fa un caldo insopportabile. Ci sfiliamo i cappotti, oltrepassiamo la folla e raggiungiamo il tavolo di Kathy che sta bevendo con le sue amiche.
Lei è l'unica del mio ufficio che non mi guarda in modo strano. Dopo il litigio con Rick mi è stata vicino fregarsene dei giudizi, soprattutto quando lui ha cominciato a mettere in giro delle voci su di me.

-Devi dirci qualcosa Juliet?- esclama Kathy alzandosi in piedi.

Ovviamente gli occhi delle ragazze sono tutti puntati sulla figura alle mie spalle.

-Ehm... lui è Alexander.-

Le amiche di Kathy si scambiano qualche occhiata complice.

-E no, non è come pensate.-

- Chi è?-

-Il figlio del marito di mia madre.-

Sorridono tra loro, poi le sento dire. -Allora è proprio come pensavamo.-

La serata trascorre tranquilla, Alexander è di poche parole come al suo solito, ma con mia sorpresa le ragazze riescono persino a fargli bere due cocktail.

Io mi sento ancora un po' agitata nello stargli vicino e quando mi scappa la pipì, ne approfitto per andare nel bagno del locale a darmi una sistemata. Provo a scandagliare il mio viso per guardarlo con obiettività, eppure non ci riesco. Il mio naso è piccolo, i miei occhi scuri e le labbra rosse. Ma non riesco a vederci nulla di bello dopo aver passato così tanto tempo insieme a Rick. Mi ha fatta sentire insignificante così tante volte...
E so che Alex vede la stessa cosa, sennò non avrebbe così tante remore nel toccarmi.

Prima dice di non volermi, poi si lascia baciare e infine quel "Ci sto lavorando"...
No, era una battuta fatta a una bambina che ha perso la mamma come lui, e che da un anno sta in un orfanotrofio. Non voleva deluderla. Ecco il perchè di quella frase.
Ma l'anello...

Non ho risposte, quindi torno nella mischia e quando giungo al tavolo vedo Kathy e Alexander chiacchierare tra loro.

-Non puoi passare la serata a guardarla e basta.- lo rimprovera lei.

-No?- ribatte lui.

-No. Prima di tutto sembri pazzo e seconda cosa, io ti consiglio di parlarle.-

Lui non fiata quando mi vede arrivare. Nel buio posso scorgere la sua figura avvolta dagli abiti costosi, ma solo quando sono abbastanza vicina, riesco a intercettare il suo sguardo cupo su di me.

-Non farla tornare da Rick.- sento Kathy sussurrare, prima di alzarsi per lasciarmi il posto.

-Da bravo stalker quale sei, le hai fatto il terzo grado su Rick, vero?- domando sedendomi di fianco a lui.

Il suo braccio è steso sullo schienale alle mie spalle e quando con le dita mi sfiora la nuca, un vortice bollente mi scalda il petto e le guance.

Mi sento un po' brilla, ma forse è la sua presenza a rendermi irrequieta e allo stesso tempo elettrizzata.

-Non faccio che pensare a ieri sera.- mugugna lui con voce quasi seccata.

Incrocio il suo sguardo, ma non riesco a decifrare le sue emozioni. Sempre che ne abbia in questo momento.

-A ieri sera?-

-Quello che mi hai detto, Juliet.-

-Di che parli, Alex?

-Ti ho davvero incasinata?-

-Credo... non lo so.-

-Ti ho davvero fottuto quel cervello così tanto?-

Il suo sguardo è attento, serio, ma le sue labbra hanno una curva maliziosa.

-Sei preoccupato sul serio o stai giocando con i miei pensieri?-

La domanda mi esce spontanea, perchè siamo troppo vicini. Sento il suo profumo e il calore dei nostri fianchi in collisione.

-Sai che amo fare entrambe le cose, Juliet.-

Mi manca il respiro perché i suoi occhi spietati scivolano su di me come due pennellate così profonde da scavarmi l'anima. Le dita fredde non stanno più massaggiando la piccola porzione dietro la mia nuca, ma hanno cominciato a darmi i brividi lungo la schiena. Scende con il palmo fino al mio fianco e con una presa possessiva mi accerchia e mi spinge contro il suo corpo. Siamo vicini, è buio e io vorrei solo baciarlo.

-Non hai risposto alla mia domanda- m'incalza a quel punto.

-Si, è proprio così. Mi hai incasinata. Ma se quello è il prezzo da pagare per...-

Sollevo il mento e quando vedo le sue labbra a un centimetro dalle mie, perdo il filo.

-Continua, Juliet.-

-Se quello è il prezzo da pagare per averti e per provare ciò che non mai provato con nessun altro, allora... -

Alexander lascia scivolare la mano tra le mie cosce, le serro d'istinto, come scottata dal suo tocco velenoso.

-Cosa, Juliet? Cosa mi lasci fare, mhm?- sussurra nel mio orecchio.

-Fottimi il cervello come e quando vuoi.-

-Cristo.-

Innalza il mento, sembra compiaciuto.

-Ti fidi ancora di me?-

-Sì.-

-E sai che tutto questo è sbagliato, Juliet?-

-Sì.-

La mia testa è leggermente annebbiata dall'alcol, ma c'è qualcosa tra noi che non posso dimenticare.
O meglio, qualcuno. Jenny.

-Ora tocca a me farti una domanda. Ci pensi a lei?-

Lui non esita.

-Sì.-

Mi alzo velocemente. Forse troppo, ma non m'importa. Non c'era indecisione nella sua voce.

-Juliet, non in quel..-

Prima che il mio polso finisca tra le sua dita pericolose, io sfuggo alla sua presa e scappo via.

Mi allontano a passi rapidi e mi fermo solo quando in mezzo alla folla di gente, incontro Kathy, che sta ballando con uno sconosciuto.

-Allora? Vi siete messi insieme?- domanda lei.

-Cosa? No, perchè?-

-Senti, Juliet, l'ho visto poco fa. C'è anche Rick stasera. Se l'avessi saputo, non ti avrei chiamata.-

Kathy lo detesta.

-Tranquilla, frequentiamo le stesse compagnie, non posso evitarlo.-

-Non tornare da quello stronzo.-

-Non è mia intenzione, Kathy.-

-Anche perché, non ho mai visto tanta luce nei tuoi occhi, Juliet. Quella che ho visto quando sei entrata insieme a quel ragazzo.-

No, non è così.

-Con Alex le cose sono così difficili...-

Lei però non mi sta ascoltando, sembra aver intercettato qualcuno in lontananza. - Arrivo subito- bofonchia sbrigativa, poi mi abbandona nel bel mezzo della pista.

È molto probabile che Alex se ne sia andato, visto che pensa ancora a Jenny. Al solo pensiero, il pianto sembra voler far capolino nei miei occhi, ma io ricaccio in gola un singulto doloroso e, dopo un paio di bicchieri, smetto di pensare. E mi ritrovo a ballare addosso a uno sconosciuto.

Ma ben presto si materializza davanti ai miei occhi il motivo della sparizione improvvisa di Kathy. Non so se me l'abbia portato lì, magari con l'inganno, ma Alexander è proprio davanti a me. E quei due specchi neri non sono occhi, ma scie infuocate che bruciano la mia pelle ad ogni movimento che compio contro il ragazzo alle mie spalle.

A me non importa, continuo a ballare. Senza nemmeno volerlo, gli sto mostrando quella che era stata la mia vita fino ad allora.

Te ne puoi tornare da lei.

Vorrei potermi dimenticare di tutto e tutti, ma una ragazza gli si avvicina e gli sussurra qualcosa nell'orecchio. Alexander fa cenno di no con la testa. Sicuramente lei gli avrà chiesto di ballare. Davanti al rifiuto, la tizia mette su una smorfia delusa, io invece inclino il collo all'indietro, soddisfatta.

D'un tratto però il tizio alle mie spalle dice qualcosa e dopo poco sento le sua labbra sul collo. Solitamente è quello il momento in cui mi tiro indietro.
Ma qualcosa mi blocca.
Ad Alexander non è sfuggito quel dettaglio. Mi sta guardando e, mentre lo fa, afferra la ragazza dai fianchi con un gesto brusco.

E mi basta un attimo. L'attimo in cui lei gli sfiora il petto con le dita e io non capisco più nulla.

-Sei occupato?- la sento chiedere, causandogli una smorfia infastidita.

-Sì, da me. Vattene.- sbotto mandandola via.

Lei si defila sbuffando e lui dapprima sorride, compiaciuto per avermi provocato quella reazione, poi però i suoi occhi si fermano alle mie spalle.

-Alex?-

-Mhm?-

-Smettila.-

-Lo conosci?-

- No.-

-Dimmi una cosa Juliet, il tuo passatempo preferito consiste nel lasciare che degli sconosciuti ti tocchino con le loro parti intime?-

-Messa così è terribile.-

-È quello a cui mi hai obbligato ad assistere.-

-Stavo solo ballando, perché devi esagerare?-

- Perché...-  

Perché lo pensi anche tu. E Rick ha ragione.

-Cosa stavamo dicendo?-

Alexander è po' brillo, lo riconosco dal tono di voce, di solito sicuro e controllato. Viene continuamente distratto dalla sagoma alle mie spalle. È solo quando il ragazzo se ne va, lui riesce a trovare la concentrazione su di me.

-Juliet, non volevo dire che penso a lei, ma che non posso chiudere in quel modo, per telefono. Non sono fatto così. Quindi sì, ci penso, ma solo perché mi sento in colpa.-

-Stai diventando bravo a esternare le tue emozioni.- lo punzecchio.

-Non è vero.-

-Sì. E io mi sono innervosita solo perché non voglio condividerti con nessuno. Potevo accettarlo con Rick, ma non con te. Non posso.-

Alexander muove un passo sovrastandomi con la sua altezza.

-Condividermi?- domanda accigliato.

Annuisco ma non riesco a parlare, i suoi occhi scuri mi trafiggono l'anima.

-Io preferirei morire in questo esatto istante, piuttosto che condividerti con qualcun altro, Juliet.-

Il cuore mi salta fuori dal petto perchè Alexander mi accerchia il collo con la mano e mi bacia. Sulla sua lingua calda avverto il sapore della menta mescolata all'alcol.

-Non scappare, Juliet.-

-Perché dici questo?-

-Perché l'hai già fatto. Scapperai ancora?-

Sono i bicchieri di troppo a farlo parlare così, ad ammorbidire i suoi pensieri, solitamente spigolosi.

-No. Ho visto la parte peggiore di te e non mi ha mai fatto paura.- boccheggio senza fiato.

Schiudo la bocca e lascio che la sua lingua dura mi distrugga la bocca senza pietà.
Le mie mani scendono lungo i bottoni della sua camicia, fino a sfiorare la fibbia della cintura.

-Non qui.- ansima roco.

Ci allontaniamo dalla calca, ma c'è gente ovunque e la testa mi gira.
Poi però mi ricordo di una cosa.

-Vieni.-

Gli faccio strada in una zona più appartata e quando sposto la tenda che nasconde il tavolino, noto che non c'è nessuno sul divano.

-Chiedimi scusa, Juliet.-

In un attimo ci ritroviamo seduti, io sulle sue gambe, lui con le mani tra i miei e capelli. E non riesco a mettere a fuoco nient'altro che non siano i suoi occhi tormentati.

-Non ti chiedo proprio un bel niente.-

-Chiedimi scusa e fingerò di non aver visto come mi hai provocato.-

Ridacchio.

-Ti fa ridere?-

-Sì, perché sei geloso di una cosa così insulsa...-

Lui comincia a disegnare cerchi sul mio ginocchio con la punta del polpastrello.

-Ti stava addosso, Juliet.-

-Ero arrabbiata con te. Sei tu che voglio addosso.-

In un attimo le nostre labbra si ricongiungono. Il suo buon sapore mi scivola in gola facendomi scoppiare il petto di scintille. Alexander mi afferra dai fianchi e mi guida, facendomi posizionare a cavalcioni sopra di lui.
Quando appoggio il peso, la sua eccitazione colpisce dritta il mio punto più sensibile, causandogli un rantolo.

-Juliet...- riconosco la nota di rimprovero, ma non mi fermo.

La curva nascosta dai pantaloni comincia a spingere contro le mie mutande, più dura e spessa del solito.

-Voglio andare a casa.-

Il suono della sua voce ora è morbido e dolce, ma nello stesso tempo pizzica sulla mia pelle nuda.

-Intendi...?-

-In mezzo alle tue gambe.-

Quel sussurro mi frantuma il respiro. Schiudo appena le cosce lasciando l'accesso alla sua mano fredda. Mi sta divorando il collo, la spalla. La pelle arde sotto le sue dita letali e il suo respiro diventa più affannato, man mano che mi muovo sopra di lui.

-Dammi un po' di sollievo, Juliet.- mugola prima di spostarmi le mutande con il pollice per permettermi di sentire tutta la sua eccitazione frizionare contro la mia carne umida.

-E come...-

-Apri la bocca.-

Affonda indice e medio tra le mie labbra e un sorrisetto sadico gli modella i lineamenti.
Mi spinge le dita in gola, fino a provocarmi un conato.
Annaspo in difficoltà, ancora, perché lui va di nuovo in profondità e lo rifà.

-Cristo.- mugugna eccitato, mentre il suo petto comincia a palpitare sotto la camicia bianca.

Un fremito fa vibrare il mio basso ventre. Non riesco più a resistergli.

- Alex...-

Lo vedo lanciare un'occhiata intorno a noi. C'è una tenda a nasconderci dal resto del locale e a lui sembra sufficiente.
Con un cenno del capo m'indica il pavimento.

-Non qui.- m'impongo a fatica.

Non riesco a smettere di baciarlo. Lui però non pare accontentarsi, perché con violenza mi afferra dai capelli, per interrompere quel bacio.

-Ti voglio in ginocchio.-

Io lo guardo senza muovere un muscolo.

-Se non riesci a inginocchiarti posso aiutarti, ma la cintura ti lascerebbe i segni sul collo, Juliet. È questo che vuoi, mhm?-

Schiudo le labbra, che lui continua a sfiorare con la punta del pollice, ma d'un tratto alcune voci conosciute mi rapiscono.

Oh no. Dal piccolo spiraglio oltre la tenda vedo gli amici di Rick e tra questi c'è Scarlett, una sua amica, odiosa tanto quanto lui.

-Ciao Juliet. Oh... Non sei sola.-

È proprio lei ad aprire la tenda e a salutarmi.

-Ehm... è il vostro tavolo? Noi stavamo andando via.-farfuglio impacciata.

Scarlett però non sta guardando me.

-Rick mi ha parlato di tuo fratello.-

Provo a sollevarmi dalla posizione che mi vede sopra Alexander. Ma lui mi tiene salda dai fianchi.

-Non è...-

-I vostri genitori sono sposati.- miagola lei con una smorfia schifata.

-Non è così.-

-Sì. Siete legalmente fratellastri.-

-No.- insisto innervosita.

Vedo Scarlett sparire oltre la tenda con un sorrisetto divertito.

-Stronza.- borbotto irritata.

-Siamo già alla fase in cui neghi il mio ruolo, Juliet?-

-E dimmi, secondo te perché lo faccio?-

-Perché sai che a breve sarò dentro di te.-

Mi sporgo verso le sue labbra per baciarle, ma Alexander solleva il mento.

-Ma non così in fretta...-

I nostri sussurri però, vengono nuovamente interrotti. E stavolta Alexander mi abbassa il vestito repentinamente. C'è Rick.

-Lascia fare a me, ti prego.- dico quando vedo che Alexander si è appena irrigidito.

Mi alzo in piedi.

-Non ti chiedo altro, solo una cosa: lasciami in pace, Rick. Me ne andrò da quell'ufficio a breve.-

-Juliet, ma che c'è? Hai paura ti faccia licenziare prima che possano trasferirti?-

Lui e i suoi amici riempiono il privè e io capisco che sia arrivata l'ora di levare il disturbo. Anche Alexander è del mio stesso avviso, perché si alza in piedi.

-Come se in passato non avessi fatto dei dispetti del genere ad altre ragazze...- bofonchio tra me e me, mentre Alexander mi porge borsa e cappotto.

-Non darti tutta questa importanza, Juls. Ti ho solo usata per farmi qualche scopata diversa dal solito.-

Le parole di Rick non dovrebbero avere peso per me, eppure ce l'hanno. E non perché sia lui a pronunciarle. Non ho alcun rispetto della sua opinione, ma il fatto che mi abbia portata credere a lungo di non valere niente, è quello a destabilizzarmi. E ogni volta che mi lancia quelle parole addosso, fatico a mandarle via.

Alexander compie uno scatto ma gli faccio cenno di restare fermo.

-E tu che vuoi fare?- Rick si rivolge a lui con un ghigno.

-Ti ucciderò. È una promessa.- lo minaccia Alex senza levargli gli occhi di dosso.

-Abbiamo delle amicizie in comune, non sono qui per te, Rick.-

M'infilo il cappotto, ma quando sto per sorpassare ma figura di Rick, quest'ultimo mi blocca.

-Ma se non ci fosse il tuo fratellino stasera, tu saresti qui per me.-

Alex sbuffa.

-Non darti arie, stronzo- lo istiga Rick.

E se Alexander non risponde alle provocazioni, io sto cominciando a tremare. La sua calma è inquietante. Ha qualcosa in mente. So che Rick ha i minuti contati e quando vede me e Alex scambiarci un'occhiata complice, lui sembra non sopportarlo.

-Il motivo per cui io e te finivamo insieme, al termine di ogni serata, era molto semplice, Juls. Io ti piacevo e tu eri la più la sgualdrina.-

Quella frase però colpisce anche Alexander, che non riesce più a controllarsi. Torna indietro e il pugno che sferra è secco e arriva dritto sullo zigomo di Rick.

Sgrano gli occhi. Afferro Alexander dalla manica della camicia e lo trascino via da lì prima che gli amici di Rick si facciano venire strane idee.

A passo svelto usciamo fuori dal locale e per un colpo di fortuna, riusciamo subito a prendere un taxi.
Alexander si regge la mano dolorante, mentre io lo aiuto a sbottonare il polsino.

-Male?-

-Non sono abituato a tirare pugni.-

Siamo seduti sul sedile posteriore, mentre al buio osservo la pelle chiara delle sue nocche rompersi in più punti.
Gli lascio un bacio sulla mano, poi un altro. Lui mi osserva incuriosito.

-Alex, è un modo di dire, vero?-

- Cosa?-

- Quando dici che lo ucciderai.-

-Hai dubbi?-

-Dal modo in cui lo guardi... sembri fare sul serio.-

-Pensi io sia in grado di fare una cosa del genere, Juliet?-

Scrollo le spalle e mi avvicino a lui in cerca del suo profumo.

-Riesci a fare la brava, adesso?-

Mugolo un no contro la pelle del suo collo affusolato.

-Siamo quasi arrivati. Comportati bene.-

Dopo qualche minuto apro la porta di casa e nemmeno il tempo di togliere sciarpa o cappotto, che rotoliamo contro il muro. Il mio viso tra le sue mani fredde e i miei pugni stretti intorno alla camicia bianca che gli fascia il petto.

-Aspetta.-

-Cosa?-

-Fermati, Juliet.-

Lo fisso confusa.

-Domani parto.-

Io però non gli do ascolto e, in punta di piedi, raggiungo le sue labbra.

Alexander allarga il palmo e mi posa una mano intorno alla gola.

-Ho detto fermati.-

-E io non voglio stare a sentirti.-

Lui si lascia andare a un'imprecazione.
Un bacio sulla mandibola, poi un altro sul collo. Le nostre lingue si leccano in modo osceno, ma prima che il bacio mi scoppi in bocca, Alexander si blocca di nuovo.

-Forse è meglio se vado a dormire da un'altra parte.-

-Hai solo paura.-

-Di starci male, dopo. Sì.- confessa sottovoce.

-Non ti sto chiedendo di fare sesso.-

Indebolito, abbandona le spalle contro la parete e chiude gli occhi. -E cosa mi stai chiedendo, Juliet?-

-Di fare tutto quello che vuoi, Alex.-

Spalanca le palpebre, curva il capo e mi studia attento. I suoi occhi torturano la mia gola con un'occhiata bramosa.

-Mhm.-

A quel punto tuffa la testa nel mio collo e con un morso deciso mi fa drizzare la schiena.

-Sai cosa voglio, Juliet?-

-Cosa?-

-Il tuo cuore.-

L'osservo con aria interrogativa.

È una dichiarazione d'amore?

-Voglio sentirtelo schizzare in gola, mentre ti sbatto così forte da farti piangere.-

-A...Alexander?!-

I miei occhi si muovono come biglie impazzite, resto a bocca aperta.

-Non dovevo dirla ad alta voce questa, vero?-

-Be'... Non suona molto bene.-

Le sue sopracciglia hanno un sussulto.

-Non voglio davvero...scusami.-

E la sua confusione momentanea mi porta a sorridere.

-Sai, dicevo sempre di accettarti ed era così. Solo che poi quando litigavamo ti rinfacciavo tutto. Se le cose non hanno funzionato, è stata anche colpa mia. Con i gesti ti accettavo, ma poi, a parole ti rinnegavo.- mormoro davanti ai suoi occhi attenti.

-Penso di aver fatto lo stesso errore. Eri... sei esattamente come ti voglio. Eppure riuscivo solo a lamentarmi dei tuoi atteggiamenti, Juliet.-

Alexander ha ancora il cappotto addosso quando le mie mani scivolano sopra la sua camicia.
Poggia una mano sul muro alle mie spalle, forse per sorreggersi.

-Ho bevuto troppo.- commenta apatico. - È per questo che stiamo parlando così tanto?-

Sorridendo, scivolo via e lui mi segue in camera. Mi sfilo orecchìni, i bracciali e quando mi volto, lo trovo seduto sul materasso, la schiena contro la testata del letto, tra i cuscini.

-Spogliati.-

Con la mano raggiungo la cerniera e lascio che l'abito mi scivoli fino alle caviglie. Mi slaccio il reggiseno, infine poso le dita sul bordo delle mutande, ma lui a quel punto mi ferma.

-Tienile.-

Lo vedo sollevare il bacino e infilare una mano nella tasca dei pantaloni.

-Ora qui. Su di me.-

È il nastro rosso quello che ha tra le dita?

-Hai davvero portato...-

Alex tende il braccio verso di me, allarga la mano in attesa, e io gli concedo ciò che vuole, i miei polsi. Li lega con il nastro, poi mi indica le sue gambe.

-Siediti qui.-

Punto dapprima un ginocchio sul materasso, poi l'altro, infine, dandogli la schiena, mi accomodo sul suo bacino. Lui non esita nemmeno per un attimo, con il palmo raccoglie le mie ciocche e, formando un mucchietto, mi solleva i capelli e li ferma con un altro nastro.

Il suo indice traccia una fredda traiettoria lungo la mia spina dorsale, partendo dalla mia nuca fino ai glutei.
Inarco la schiena perché il contatto mi dà i brividi ed è troppo piacevole. Mi spingo con il corpo all' indietro, fino a scivolare sulla sagoma spessa racchiusa nei suoi pantaloni.

-Cosa vuoi, Juliet?- lo sento mormorare dietro di me.

Non riesco a esprimere a parole un desiderio così grande.

-Voglio te. Solo te.-

-Mhm.-

Il suo respiro tiepido mi carezza la spalla nuda.

-E tu?- azzardo.

-Non so se voglio ciò che desideri tu.-

-Non lo sai? sicuro?- lo stuzzico mentre la curva dura spinge così forte contro le mie mutandine da farmi bagnare.

Lo sento rilasciare un rantolo eccitato.

-Non così in fretta, Juliet.-

Alexander mi solleva dai fianchi e aiuta a posizionarmi sulle ginocchia. Si muove lento sul materasso, compie giro intorno alla mia figura e lascia un cuscino al centro del letto. Nemmeno il tempo sollevare il mento per guardarlo in viso, che le sue labbra finiscono sulle mie. Prendiamo a baciarci, io ho le mani legate quindi perdo l'equilibrio casco di schiena sul letto, ma lui attutisce quella caduta portando il cuscino sotto di me.

Poi lo vedo dare un'occhiata furtiva in giro.

-Cosa cerchi?-

-Qualcosa che possa servirmi...-

-Per?- domando sgranando gli occhi, mentre Alexander afferra i miei polsi stretti nel nastro e me li porta sopra la testa.

-Farti male, Juliet. Tanto male.-

Resto senza fiato e quando lui mi sfila le mutande, capisco che non ha più voglia di aspettare. Nemmeno di discutere.

Lo vedo slacciarsi la cintura, i pantaloni, poi seppellisce una mano nei boxer per liberarsi di quella prigione.

-O Dio.- mormoro come se lo vedessi per la prima volta.

Lui solleva solo il lato della bocca.

-È sempre un piacere, Juliet.- sussurra nel mio orecchio, posizionandosi sopra di me.

Schiudo la bocca, ma non esce un suono. Sento la pressione della sua eccitazione contro la mia apertura. Un suono umido e indecente si libera nell'aria, mentre strofina la punta tesa sul mio punto sensibile, prima di sfondare le mie carni. Chiude gli occhi per un attimo, sembra incapace di reggere l'ondata piacevole che gli attraversa l'addome.

Io muovo le gambe per attutire la fitta intensa che si propaga nel mio bassoventre, ma Alexander mi afferra le cosce con fermezza.

-Resta immobile.-

Il mio respiro accelera e mi ritrovo costretta a lanciare un urlo, quando esce e rientra dentro di me con più decisione.

Serro le palpebre, ma non accade nulla di ciò che mi aspettavo. C'è qualcosa che non va. Riapro gli occhi. Lui è fermo. Le sue iridi svuotate.

-Alex?-

-Non riesco a...-

-Cosa c'è?-

Fa cenno di no con il capo, ma non fiata.

-Per favore, parlami.-

-Non è un pensiero bello. Non posso dirlo, Juliet.-

-A me puoi dirlo. A me puoi dire qualsiasi cosa.-

Vorrei non avere i polsi legati in questo momento. Vorrei abbracciarlo.

-Non riesco a non pensarci. Che qualcun altro l'abbia fatto. Che qualcuno sia stato con te, dentro di te.-

-Alex... - Abbasso le braccia e con le dita gli sfioro il petto avvolto dalla camicia, poi la guancia.

Ti amo.

-Ho perso tutto il controllo che avevo su di te, Juliet. Completamente.-

-Esatto. Eppure io sono sempre qui. Non è successo nulla.-

Mi fissa confuso.

-Sono qui con te, non vedi? Non è cambiato niente.-

Alexander sbatte le palpebre un paio di volte. A poco a poco sembra ritrovare la concentrazione perduta e il suo corpo freddo torna a scaldarsi. Ci scambiamo un lungo bacio. La sua lingua si addolcisce lottando con la mia, poi lui si assicura di riposizionare le mie braccia sopra la testa, mentre io sollevo i fianchi, invitandolo ad approfondire quel bacio e quelle spinte decise.

-Ti prego.- sussurro, causandogli un sorriso soddisfatto.

-Vedo che ricordi ancora le buone maniere.-

Lo guardo dal basso, mentre lascio strisciare il naso sul suo collo che ha un profumo divino.

-Comunque no. Non hai il mio permesso, Juliet.-asserisce perentorio. -Supplica meglio.-

E mentre Alexander sussurra quelle parole, mi svuota e mi riempie con violenza. Sento il piacere salire rapido nella pancia, quelle contrazioni involontarie sembra percepirle anche lui perché all'improvviso si ferma.

-Juliet...-

- Sì?-

-Ti vengo dentro.-

Stropiccia la fronte, serra i denti e con un'espressione di sofferta fatica, si ritrae, uscendo da me con uno scatto risoluto.

- Cristo.-

Indugia qualche secondo, forse prova a regolarizzare il respiro, mentre restiamo occhi negli occhi. Nessuno dei due fiata, finché Alexander non imprigiona la mia vita nelle sue mani grandi e mi aiuta a voltarmi.
La sculacciata che mi colpisce il gluteo sinistro è così forte che mi fa perdere l'equilibrio. Finisco con la faccia sul materasso, mentre un verso impercettibile abbandona le sue labbra.

Forse un "brava", o forse qualcosa di più perverso, ma io non riesco a udirlo. Con i pollici allarga la mia apertura insinuandovisi con una spinta lenta e profonda. Emetto un lamento prolungato, ma ogni mio gemito di dolore non fa che provocargli piacere.

Lo sento dal suo respiro accelerato e da come le vibrazioni percorrono lungo la sua eccitazione, che mi pulsa dentro e colpisce un punto ben preciso, portandomi ad ansimare.

Vorrei liberarmi di quella tensione, ma non posso.

- Alex...-

Mi lascio sfuggire un rantolo frustrato, ma la mia difficoltà non pare infastidirlo, anzi, gli causa un sorrisetto sadico.

-A parole tue, piccola Juliet.-

Riconosco il tono crudele di chi vuole portarmi allo stremo. Alexander aumenta le spinte e affonda così in profondità da lasciarmi un'impronta fino allo stomaco. Tendo il collo quando comincia a torturare i miei seni con la punta delle dita. Sto diventando cedevole sotto alle sue mani esperte.
Inarco la schiena, invitandolo a sprofondare di più. Le fitte mi dilaniano il ventre.

-Cristo, perché sei così?-

Ruoto il capo sul materasso e l'unica cosa che posso vedere sono le vene del suo collo gonfiarsi, nient'altro, dato che è ancora vestito.

-Che vuoi dire?- domando ormai sudata e tremante.

-Dimentico sempre che non riesci a prendermi tutto.-

-Ti odio.- mugolo con il cuore a mille.

-Se mi odi perché ti lasci scopare in questo modo, mhm?-

-È così che faremo, sempre?-

La mia domanda non ha un senso preciso, ma lui sembra capirne il significato.

-Io dico proprio di sì, Juliet.-

-Ma...-

-Sei mia. Non m'importa di nient'altro. Sei solo mia.-

Rotolo a pancia in su, finalmente posso guardare i suoi occhi che diventano due fessure affilate quando si abbassa sui miei seni per strapparmi via un urlo. Mi marchia come una preda in suo possesso, mordendomi ovunque.

-Non vuoi che la dimentichi questa notte?- chiedo con voce rotta dai gemiti.

-Non voglio che dimentichi me.-

E poi serro le palpebre, perché non riesco più a sopportare il piacere di quelle spinte intense.
Mi stringe i fianchi con lussuria, e presto vengo travolta da un senso di pace così profondo che perdo il contatto con la realtà.

-Ti amo, Juliet.-

L'ha detto?
Era la sua voce o la mia fantasia?
Il suo timbro profondo risuona nella mia testa e non so se io me lo sia immaginato o meno.

Resto immobile, le palpebre chiuse e il petto ansante.

-Guardami.-

Riapro gli occhi.
Alexander risucchia un gemito tra i denti serrati, quel gesto mi lascia intendere quanto sia pericolosamente vicino all'orgasmo. Nonostante i polsi allacciati, riesco a sollevargli la camicia, come per timore che si possa sporcare. Le vene turgide del suo basso addome sembrano volermi scoppiare sotto le dita.

-Juliet?-

Lo guardo.

-Lasciamelo fare.- ansima accaldato.

Il viso perfetto di Alexander si contrae in una smorfia di piacere. Il petto si alza e si abbassa rapido e dopo qualche affondo più violento, sento il suo corpo tendersi, mentre con un'ultima spinta mi fa urlare. Zittisce la mia bocca sigillandola con un bacio e in quel momento una colata bollente mi fa tremare, riempiendomi la pancia.
Rimaniamo con le labbra appiccicate per qualche istante, poi esce da me lentamente.

-Io....-

Alexander abbassa gli occhi socchiusi sul mio basso ventre e con la punta del pollice raccoglie maniacalmente il liquido caldo che prende a colarmi lungo le cosce. Me lo spinge dentro, provocandomi uno spasmo piacevole.

-Non ti ho nemmeno chiesto se prendi la pillola.-

-È tutto okay. Non... -

roviniamo questo momento.

Mi slaccia i polsi, io mi accoccolo sotto le coperte, sfinita, lui sparisce in bagno e torna in camera con un paio di boxer puliti e una t-shirt bianca.

-Ma che fai?- domando quando lo vedo sedersi alla scrivania e aprire il computer portatile.

-Niente.- mormora mentre un fascio di luce fredda illumina i suoi lineamenti nel buio.

-Cerchi dei modi per poter uccidere qualcuno?-

La mia battuta non riceve risposta. Lui resta per qualche minuto nel suo mondo, poi, finalmente, chiude il portatile.

-Secondo te quello che ha detto Rick è vero?- domando mentre Alexander apre l'armadio e sceglie il pigiama da farmi indossare.
Lo vedo metterci più tempo del dovuto, quindi la domanda esce spontanea.

-Cosa cerchi, Alex?-

-Quello rosa, a quadretti. Ce l'hai ancora?-

Le mie labbra si curvano involontariamente.

-No, non mi andava più.-

-Sei sempre la solita nana, come fa a non andarti più?-

Mi stringo nelle spalle nascondendo un sorriso dietro la spalla.

-Comunque niente di ciò che ha detto quello stronzo è vero. A cosa ti riferisci, Juliet?-

-Se tu non facessi parte della mia famiglia, non mi avresti mai presentato ai tuoi genitori.- ipotizzo ricordando le parole di Rick.

-Non è così.-

-E come sarebbe, Alex?-

Io aspetto, ma lui non parla. Si siede sul bordo del materasso in silenzio.

-È una cosa brutta quella che stai pensando, quindi non puoi dirla?- chiedo impaurita.

-Sei l'unica in grado di farmi sorridere. E penso che una madre vorrebbe vedere il proprio figlio sorridere.-

Le sue parole mi arrivano confuse.
Alexander però si volta e mi basta incrociare il suo sguardo per capire.

-È un modo contorto per dire che me l'avresti fatta conoscere?-

-Sì.-

Gli lancio le braccia al collo, lui finalmente si sdraia di fianco a me.

-Ti preparo una vasca?-

-No. Sono stanca.-

L'alcol e le sensazioni piacevoli di poco fa scorrono nelle mie vene. Abbandono la guancia sul suo petto, lui mi carezza i capelli, e io finalmente mi addormento.
Non so se quello in cui m'immergo sia un sogno o una dolce illusione, ma sento la sua voce sussurrare.

-Ti amo ancora, Juliet.-


Perché dici di amarmi se poi te ne vai?

L'eco di quella domanda rimbomba nella mia mente e risuona martellante, finché non mi sveglio. È sicuramente molto presto, fuori è ancora buio. Io ho sonno, il mio corpo stanco vorrebbe continuare a riposare, ma Alexander è già in piedi.

-Stai bene?-

Mi rivolge quella domanda fredda, mentre io mi muovo a fatica sul letto.

-Sì, credo di sì...-

Lo guardo. È già vestito ed è sempre perfetto.

- Tu?- chiedo strofinandomi la fronte.

-No, ho bevuto troppo ieri.-

Abbasso lo sguardo. Ho la mente confusa e i suoi segni addosso. I suoi occhi sono fissi sul mio corpo.

-Devo andare, Juliet.-

La sua affermazione mi stordisce come uno schiaffo.

Giro il capo verso la porta e noto che la sua valigia è già pronta.

-Non ci posso credere.-

-Se vuoi possiamo parlarne prima.- dice senza battere ciglio.

-Perché hai la valigia pronta?-

-Devo tornare a Londra, lo sai.-

-Ma pensavo....-

- Ho gli esami e... Accetterai il trasferimento?-

-Non l'ho ancora deciso, ma... sì. Voglio tornare a Londra.- rispondo a testa alta.

-Non devi farlo per me, Juliet.-

Stringo il lenzuolo al petto. L'occhiata che gli rivolgo è gelida. Ma chi ti credi di essere?

-Ma io voglio farlo.-

-No.-

-Non vuoi che torni a Londra? Quindi tutte quelle parole, ieri, erano solo per...-

Che stupida

-No, Juliet. Ciò che non voglio è che tu prenda decisioni affrettate. È una scelta importante. Da fare a mente lucida, lontana da me. E non dopo che ti ho...-

Distoglie lo sguardo dal mio e prosegue a parlare.

-Devi prenderti il tempo per pensare. Non puoi stravolgere la tua vita per me.-

Alexander ha ragione, ma quelle parole mi fanno ribollire il sangue per il distacco con cui le pronuncia. Per l'egocentrismo con cui le pronuncia.

-È meglio se te ne vai, Alex.-

Tanto non vedevi l'ora.

Le lacrime mi gonfiano gli occhi.
Non voglio che mi veda piangere.

-Juliet, eravamo ubriachi ieri sera.-

Quella pugnalata al petto non l'avevo richiesta io.

-Ieri pomeriggio non eri ubriaco, quando mi hai chiesto di venire a Londra. Se dici di amarmi, come puoi svegliarti e fare niente di niente?-

-Non ricordo di avertelo detto.-

La sua impassibilità mi dà sui nervi, ma purtroppo il nervoso acuto mi causa una reazione prevedibile. Scoppio a piangere.

-Non c'era bisogno che me lo dicessi. Non saresti mai venuto a letto con me se non fossi stato sicuro di amarmi.-

Le parole mi sfuggono rapide tra i singhiozzi.

-No, non l'avresti fatto.- lo sto ripetendo a me stessa, nel patetico tentativo di rassicurarmi.

Alexander però non risponde. E io perdo tutto il controllo delle mie emozioni.

-Non l'avresti fatto, vero?-

Ormai le lacrime m'inondano il viso e mi serrano la gola, impedendomi di respirare correttamente
Mi accartoccio sul materasso. Sono dolorante, ovunque, il mio corpo brucia ancora per ieri sera, ma è il mio cuore a essere realmente distrutto.

-Juliet...-

-Va' via.-



Alexander

Ho solo una cosa in testa: Maverick. Ucciderlo.

Juliet questa mattina piangeva.
Ieri notte urlava.
E io ho goduto così tanto.
Ma ogni pensiero perde significato davanti al mio obiettivo. Voglio distruggerlo. Penserò dopo a tutto il resto. La parentesi di ieri sera è stata piacevole. Ho bevuto e ho smesso di pensarci, ma stamattina il chiodo fisso è tornato.
Quello che ha fatto a Juliet. Deve pagare.

Un anno prima.

-Jenny, devo fermarmi?-

Lei sgrana gli occhi ad ogni colpo.

-No.-

È in ginocchio. I glutei arrossati e il petto ansante.

E io non ho intenzione di andarci piano.

La frustata sul seno la fa balzare in piedi.

-Fermati, fermati!-

La sua voce stridula mi fa trasalire.
Si getta sul letto e si copre con il lenzuolo in tutta fretta.

-Non pensavo fosse tutto così... reale.- balbetta tremando, mentre indica la mia erezione che spinge nei pantaloni.

-Pensavi che io facessi finta?-

-Eri eccitato. Anzi, sei eccitato, come potevo pensare... Non è normale...- mormora tra se e se. -Ne hai parlato con il tuo terapista?-

Sì.

All'improvviso sembra pentirsi della sua reazione impulsiva.

-Scusa Alex, non voglio risultare insensibile...-

-Va tutto bene, non sei obbligata.-

-Non va tutto bene...- sussurra con gli occhi lucidi. - Non va affatto bene.-

Hai aspettato un anno per scoprire che sono un deviato. Benvenuta all'inferno, Jennifer.

-Come faremo?- domanda mentre i miei occhi cadono sul mio riflesso allo specchio.

È ancora scossa. Io sono immobile. In piedi. Il pugno stretto intorno al frustìno.

-Non lo so.-

-Era la tua parte preferita questa?-

-Ma non te l'ho nemmeno proposta la mia parte preferita, ti piacerebbe ancora meno.- mormoro fissandola negli occhi.

-Alex, se qualche volta io volessi farlo in modo norm... ehm...diverso?-

Scrollo il capo.

-Non saprei, Jenny.-

-Non sai?-

-Sono stato chiaro sin dall'inizio.-

-Ma non pensavo fosse così.-

Finalmente poso gli strumenti di tortura e sento la mia eccitazione svanire.

-Forse non siamo fatti l'uno per l'altra.-

-Alex, questa non è una cosa da dire alla tua ragazza dopo...-

Mi sento sbagliato, di nuovo.

-Hai detto di aver avuto un'unica vera relazione prima di me. Facevi così? Ti comportavi in questo modo?-

-Sì.-

-E con lei...-

-Non mi va di parlare di lei.-

-Ma...-

-Non mi va ti ho detto.-

Lei si asciuga una lacrima. - Alex...-

-Vattene. E non lasciare i tuoi vestiti in giro.-




Le ho estorto tutte le informazioni necessarie. Quella Kathy parlava più del dovuto ieri sera e io ora ho l'indirizzo di Maverick.

Ho passato ore a pensare quale fosse la sostanza più adatta al mio scopo.
Piombo o mercurio? Nessuno dei due.
Effetti collaterali troppo leggeri.
Voglio vederlo morto.

Ho bisogno di qualcosa di facilmente reperibile. Pesticidi? Non sono ferrato in materia, ma conosco le proprietà di alcuni farmaci usati come diserbanti. E una volta selezionato il più diffuso e tossico da ingerire, il gioco è fatto.

Mi reco in un negozio specializzato.
Voglio solo un diserbante in particolare. E loro nome lo vendono, non ho l'aria di chi lo comprerebbe per avvelenare qualcuno.
Ma è così.
Guanti in lattice e una corda.
Non ho bisogno di altro.

Maverick va a correre alle sei del mattino, quindi intorno a quell'ora posso entrare a casa sua indisturbato.
Aspetto che qualcuno apra il portone d'ingresso e mi c'infilo dentro senza destare sospetti.
Abita al secondo piano.
Uso una card per aprire la porta, faccio un giro dell'appartamento, infine apro il frigo.
Frullato proteico. Scontato.
Lo berrà tornato dalla corsa.
E il quantitativo di diserbante che ho intenzione di somministrargli non lo ucciderà per davvero, ma lo terrà fuori dai giochi per almeno due settimane.
Il tempo che Juliet se ne vada da New York.

Dopo un'ora Rick torna a casa. Io mi apposto dietro alla porta del bagno. La prima cosa che fa una volta rientrato, è bere il suo frullato.
Non si accorge dell'odore, come non si accorge della mia presenza.
Finché non parlo.

-Dov'è il tuo amico?-

Maverick si guarda intorno, porta una mano alla gola e inizia a tossire sangue.
Poi si gira verso la finestra e mi basta quell'attimo.
Mi affaccio e vedo un tizio sulla strada, indossa una tenuta sportiva e sta parlando con una ragazza.
Alle mie spalle Maverick prende a contorcersi per il dolore, barcolla, quindi lo sorreggo, trascinandolo fino al letto.

-Dimmi Maverick, hai istinti suicidi?-

Lui mi fissa, ma non riesce ad aprire la bocca, che inizia a gonfiarsi e a diventare violacea.

-Devi stare attento al modo in cui ti rivolgi agli sconosciuti. Alcuni potrebbero essere davvero pericolosi.-

Non riesce a reagire e io posso immobilizzarlo al letto con facilità. Due nodi di corda.
Devo fare in fretta.
Il suo amico sta arrivando.
Mi nascondo dietro la porta.
Il cuore mi batte così velocemente che sembra voglia uccidermi.
Ma cosa sto facendo?
Non sento mai nulla. Niente.
Perché ora ho quest'adrenalina in corpo?
È sbagliato.
Se lo scoprisse Juliet ne rimarrebbe delusa.

L'istinto è quello di chiamare mio padre.
Digli che sono completamente folle. Deve farmi rinchiudere di nuovo, prima che io possa fare del male a qualcuno.

-Ma che cazzo fai Rick?- una voce sconosciuta.

Il ragazzo entra in camera e vede l'amico immobile sul letto.
Ormai l'ho fatto.
Un posacenere di vetro. Ho preso quello. Gliel'ho scagliato sul viso. Probabilmente gli ho rotto la mandibola. Ha perso i sensi. È a terra.
Rick alle mie spalle mormora qualcosa con voce debole.
Controllo il polso del ragazzo.
È vivo.
Sollievo.
Respiro anch'io.
Mi volto e la visione di Rick inasprisce i miei sentimenti.

-Hai fatto del male a Juliet.-

-No.-

-Sì invece.-

Lui non riesce a muoversi e a malapena sposta le labbra tumefatte per parlare. Mi accorgo che ha cominciato a sputare sangue.

-Stavo per farlo, ma non l'ho fatto.-

-L'hai fatto. Hai privato Juliet della vista per poter approfittare di lei, ora meriteresti solo che io ti strappassi i bulbi oculari a morsi.-

Verso quel liquido velenoso nel tappo del flacone e lo avvicino al suo viso gonfio.

-Vedi questo? Mi basterebbe versartelo sulla cornea.-

Con indice e pollice spalanco le sue palpebre.

-Ne basterebbe così poco...-

E resteresti cieco a vita.

-Non volevo ingannarla.-

-Volevi eccome.-

-Ma alla fine non è successo.-

-Devi starle lontano. Non devi parlarle. Non devi guardarla.-

Lui annuisce con una smorfia di dolore.

-Oppure prendo il primo volo e vengo qui apposta.-

-Tu sei pazzo.-

-Sì, quindi faresti bene a credermi quando dico che ti ucciderò prima o poi.-

Maverick a quel punto si contorce in un grido di dolore, poi perde i sensi. E io capisco di dovermi fermare.
Il pensiero è quello di chiamare un'ambulanza.
No, devo ricordarmi di cosa voleva fare a Juliet.
Ma se non chiamo un'ambulanza morirà.
L'altro invece, è svenuto sul pavimento.

Decido di uscire in strada per prendere una boccata d'aria e senza nemmeno accorgermene, sto chiamando mio padre.

-Papà...-

-Alex? Tutto bene?-

-No.-

-Dove sei? sei partito?-

-No.-

-È successo qualcosa?-

-No, ma stava per succedere.-

Lui resta in silenzio.

-Cos'ho di sbagliato, papà?-

-Alex che cos'hai fatto a quel ragazzo?-

Lo sa, lui sa cosa sono in grado di fare.

-Stavo per farlo davvero. Stavo per uccidere un uomo.-

-Avevi detto che la terapia stava andando bene...-

Non c'era rimorso. Non ho avuto paura o ripensamenti. Solo Juliet e il buonsenso mi hanno fermato.

-L'avrei fatto.- ripeto con voce atona.

-Ma non l'hai fatto...-

Mio padre trattiene il respiro finché non parlo.

-No. Il pensiero di Juliet...-

-Ma certo... Juliet. Alex lo capisci perché sono preoccupato? Succede questo quando state insieme. E io non voglio tu ti metta nei guai.-

-Da quando l'ho rivista, non so più cosa voglio.-

-Lo so io. Finisci gli studi, trovati un lavoro e non uccidere nessuno.-

Lui mi saluta, mi fa promettere di chiamare un'ambulanza e di andare all'aeroporto per prendere il volo.

Ma io chiamo Juliet.

-Alex?-

-Juliet, stai meglio?-

-Perché mi chiami? Non chiamarmi più.-

-Va bene.-

Sto per chiudere, ma lei parla con la sua voce da bambina.

-Alex, mi hai detto che erano due le ragazze con cui sei stato in questi anni. Chi era l'altra?-

Tu. Eri tu. Nella mia testa ci sei stata sempre e solo tu, Juliet.

-Dimmela tu una cosa. Tornerai a Londra, Juliet?-

🍒🍒🍒🍒🍒🍒🍒🍒🍒🍒

Lo scopriremo nella prossima puntata! Che si spera arrivi prima del 2024 🩷

Spero il capitolo vi sia piaciuto 🙏🏻

Ci vediamo su Instagram per commentare il capitolo. Grazie davvero per tutta la pazienza che mi state dimostrando nel seguire questa storia.
Vi amo

🫶🏻

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