SOTTO LO STADIO | Paulo Dybala

By taylorsdriver

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Diana è cresciuta a pane e calcio, facendosi le ossa tra i gradoni di cemento dello stadio. Vive in quel mon... More

INTRODUZIONE
PERSONAGGI
Prologo
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By taylorsdriver










«E quindi ogni anno io e Radja ce ne andiamo in vacanza insieme, lontani dai paparazzi. Gli voglio un mondo di bene, siamo diventati padri e cresciuti come uomini praticamente insieme» Miralem sorrise intenerito davanti allo sguardo esterrefatto di Diana.

«Ma... voi due...» balbettò incredula, la bocca che non riusciva a chiudersi per lo stupore. «Avete sempre detto di non essere più amici!»

Lui scrollò le spalle, sogghignando divertito. «La questione è stata gonfiata da tutti. È vero, per un periodo non ci siamo parlati, ma non potevamo continuare così per sempre: alla fine ha accettato la mia scelta, siamo abbastanza grandi per poter mettere da parte queste cose.»

Diana lo fissò sempre più allibita, mordendosi l'interno della guancia.
Di tante possibili scoperte in cui avrebbe potuto incombere, di certo quella rivelazione non era tra quelle che si immaginava: sentiva tutto l'astio nutrito in quegli anni per Pjanić scemare lentamente e, in parte, anche un po' di risentimento verso Nainggolan, che non aveva mai accennato della loro rappacificazione nelle interviste, se non sempre in chiave ironica, sul filo del detto-non-detto.

«Ancora non accetto la tua scelta, perché eri uno dei miei preferiti» affermò seria. «Però mi scuso per tutte le volte in cui ti ho augurato qualche infortunio, ero solo tanto arrabbiata.»

«Accetto le tue scuse!» il bosniaco rise, poggiandole un braccio attorno le spalle. «Cambiando discorso, come va con Dybala? Prima vi ho visti discutere.»

Diana evitò i suoi occhi indagatori, giocherellando con il bordo del vestito. «Alti e bassi. Certe volte se ne esce con delle cose che... Non lo so, sembra non capire. Ha comportamenti strani, non mi dice tutto, non so nemmeno se mi dice la verità.»

«Paulo non è cattivo e non ti sta mentendo» sussurrò Miralem, dopo qualche secondo di silenzio. «È solo spaventato.»

«Ah, lui è spaventato?» la biondina sorrise ironicamente, incrociando le braccia al petto. «E non te la prenderai se ti dico che con le parole di uno dei suoi amici più fedeli ci faccio ben poco.»

«È spaventato perché sa che con te non può permettersi passi falsi, e credimi se ti dico che la sua più grande paura è quella di perderti. Non ho motivo di dirti cazzate, non me ne entra nulla in tasca.»

Diana percepì le guance arrossarsi e una scarica di adrenalina scuoterla dalla testa ai piedi: la sincerità di Pjanić era così palpabile che si vergognò di averla messa in dubbio.
Quella poteva essere un'altra conferma di quanto Paulo tenesse a lei, se solo lui non avesse deciso di rovinare tutto quello che avevano creato in meno di due giorni.
I comportamenti strani, ignorarla per ore e ore senza preoccuparsi di come stesse, la sfuriata senza senso che la aveva rifilato mezz'ora prima, obbligandola a prendere tutte le dovute distanze di sicurezza per salvaguardare i suoi sentimenti e il suo cuore. Era stata lei, da quel momento, a ignorarlo, gettandosi nelle conversazioni più assurde con chiunque non fosse stato Paulo Dybala.

Si alzò con decisione dal divanetto su cui era seduta, traballando sui tacchi che aveva stupidamente scelto di indossare – tutto per quello stronzo – e Miralem riuscì ad afferrarla per un gomito, evitando che ruzzolasse a terra.

«Non hai nemmeno bevuto e stai così?» la sbeffeggiò, destandosi a sua volta.

Diana evitò di ribattere con una delle sue solite battute sarcastiche e lo invitò con un cenno a seguirla verso la ringhiera, il volto stoico e senza emozione.
Strinse con forza il metallo freddo tra le mani e cercò tra la folla il suo numero dieci.

Lo trovò a tiro sotto di loro, accanto alla consolle del DJ, e sentì la bile risalirle in gola quando lo vide scostare una ciocca di capelli dietro l'orecchio di una ragazza, sussurrandole qualcosa di così tanto divertente da costringerla ad avvicinarsi ulteriormente, accarezzandogli il braccio sinistro in un gesto di confidenza molto allusiva. Lui socchiuse gli occhi, scolandosi i rimasugli dell'ennesimo Gin Tonic della serata.

Erano talmente diverse che Diana si chiese se Paulo davvero avesse mai provato attrazione per lei: quella ragazza sembrava uscita dalle riviste patinate e dalle foto in posa sui social, si muoveva con grazia ed eleganza, centellinava ogni movimento per risultare seducente; una ragazza adatta a Paulo, qualcuna che gli avrebbe fatto fare bella figura in ogni contesto e luogo, che avrebbe saputo mantenere il suo posto accanto a lui.
Diana era troppo e troppo poco: troppo piccola, troppo impacciata, troppo ingenua; troppo poco maliziosa, troppo poco donna, troppo poco idonea.

Non c'era nulla che potesse colmare quella distanza che era sempre stata presente tra loro, nonostante gli sforzi che avevano compiuto per accorciarla.

E restò aggrappata a quella ringhiera dura e congelata, come il macigno che sentiva sopra il cuore, anche quando li vide scambiarsi occhiate di fuoco, le stesse occhiate che le aveva riservato nelle notti che erano riusciti a scappare nel loro Paese delle Meraviglie.
Paulo le stava accarezzando la clavicola lasciata scoperta dalla tutina scollata, le mani vagavano senza sosta su quella pelle dorata, così diversa da quella nivea di Diana, le stesse mani che fino a qualche minuto prima stringevano lei; vide il viso dell'argentino nascondersi nell'incavo del collo della ragazza, che aveva preso a muoversi a ritmo di una canzone latina, sorridendo estasiata.

«Quello vorrebbe dire avere paura di perdere una persona?» domandò tagliente la biondina, sebbene la voce le tremasse. «Perdonami, Miralem, ma abbiamo idealizzato Dybala. A lui non frega proprio un cazzo di me, puoi vederlo tu stesso.»

Il bosniaco sbuffò rumorosamente, massaggiandosi la fronte. «Ora mi mandi a fanculo, ma posso assicurarti che lo fa di proposito, perché sa che lo stai guardando e vuole una tua reazione» dichiarò, appoggiandosi con gli avambracci sul bordo.

«L'unica reazione che adesso ho in testa è quella di scendere e riempirlo di schiaffi davanti a tutti.»

«E allora fallo, no?» la sfidò, sollevando impercettibilmente l'angolo sinistro della bocca. «Oppure hai paura?»

Diana non fece in tempo a ribattere che la figura di Bianca si materializzò all'entrata del privé, lasciandola di stucco.
«Ma che cazzo...» farfugliò, facendo accigliare Miralem. «Bianca!»

La riccia si diresse a passo spedito verso la sua migliore amica, piantandosi davanti a lei con le braccia conserte e l'espressione di una furia.
Indossava gli stessi abiti con cui l'avevano lasciata in albergo: la maglietta nera stropicciata e la tuta della Nike di una taglia più grande, gli occhiali da vista – che detestava da morire – sul naso e l'enorme felpa nera a ripararla dal freddo.
Sembrava una bambina appena scesa dal letto e Diana si domandò come diamine fosse riuscita a passare senza che qualche bodyguard la sbattesse fuori dal locale.

«Che cazzo stai facendo qui? Come ci sei arrivata?» le domandò frenetica, staccandosi dalla ringhiera.

«Te lo dico dopo. Dove stanno Angelica e Clara? Dobbiamo tornare in albergo» l'afferrò per un polso, ma la biondina riuscì a liberarsi con uno strattone.

«Ma che cazzo c'hai? Ti sei impazzita?»

«Sono molto confuso» Miralem s'intromise nella discussione, beccandosi un'occhiataccia da parte di entrambe. «Potete calmarvi un attimo?»

«Mi sono rotta le palle di questa storia, va bene? Basta calciatori, basta discoteche, basta 'sta roba che non ci appartiene. Ma non lo vedi che cazzo sta combinando?» indicò con un braccio Paulo, che in quel momento era riuscito ad attirare tutta l'attenzione del locale su di sé. «Vuoi veramente vivere con l'ansia che possa tradirti? Guarda che il lupo perde il pelo ma mica il vizio, e lo sai.»

Diana avvertì un fiotto di rabbia ribollirle nello stomaco.
Strinse i pugni lungo i fianchi, ficcandosi le unghie nei palmi, e le nocche divennero bianche per la violenza che ci stava impiegando: avrebbe voluto zittirla con uno schiaffo, perché faceva dannatamente male quel fiume di parole che le aveva riversato addosso, ma la verità era che avesse perfettamente ragione.

Era tremendamente spaventata da un possibile tradimento: non aveva mai avuto relazioni importanti, era passata dalla vita di single diciottenne all'essere l'amante di Paulo Dybala, calciatore della Juventus, promettente attaccante della Serie A e della nazionale argentina, il successore di sua maestà Lionel Messi.
Era terrorizzata che potesse solo usarla, che potesse stancarsi di lei da un momento all'altro: cos'aveva da offrirgli, in fin dei conti?

Non era abituata al suo mondo, non sapeva come comportarsi né di cosa avesse bisogno uno come lui.
Avrebbe dovuto rinunciare al suo stile di vita, alle sue passioni e al suo orgoglio per seguirlo ovunque e supportarlo?
Avrebbe dovuto ingoiare bocconi amari, stare zitta davanti gli articoli di gossip e sorridere, negando l'evidenza e calpestando la sua dignità di donna, ogniqualvolta Paulo avesse combinato qualche stronzata delle sue, come in quella serata?

Non c'era riuscita Antonella a tenerlo a bada, figuriamoci lei, che era solo una ragazzina.

«Sono tutti uguali, Didi» Bianca la distolse dai suoi pensieri. «Non fare il mio stesso errore, non pensare che possano cambiare per te.»

«Io ti ho già vista da qualche parte» asserì Miralem incerto. «E nemmeno il tuo nome mi suona nuov-oddio! Adesso ho capito!» quasi urlò di sorpresa, spalancando gli occhi.

«Non so a che ti riferisci» tentò di cavarsi d'impiccio Bianca, evitando di guardarlo. «Stai sbagliando persona.»

«Non ci provare, mi ricordo di te» cantilenò, puntandole un dito contro. «Adesso mi sono chiare molte cose!»

«Ma di che cazzo state parlando?» Diana era esasperata, non riusciva più a capire nulla.

Come se quella situazione non fosse già abbastanza critica e paradossale, Gonzalo Higuaín sbucò dietro di loro, sorreggendo Paulo per la vita.

«Él está borracho» [È ubriaco] affermò, mentre il più piccolo si dimenava per potersi liberare dalla sua stretta. «Lo dobbiamo portare via adesso» rivolse uno sguardo supplicante a Diana, che aveva un'espressione disgustata per le condizioni in cui riversava Dybala.

Si sarebbe messa a piangere, non le veniva di comportarsi altrimenti: era visibilmente ubriaco, aveva passato l'ultima ora a dare spettacolo con un'altra ragazza e non le aveva rivolto un solo sguardo per tutta la serata – al contrario, stava facendo il possibile per evitare di incontrare le sue iridi.
Inoltre, la sua migliore amica e compagna di banco, con cui condivideva ogni singolo segreto da anni, le stava nascondendo qualcosa di enorme e che riguardava alcuni calciatori della Juventus, probabilmente pure lo stesso Paulo.

«Puoi pensarci tu a loro tre?» pregò Miralem. «L'autista di Paulo dovrebbe essere qui fuori, assicurati che tornino in albergo, per favore.»

«Ci penso io, stai tranquilla» il bosniaco annuì, avvicinandosi abbastanza per non farsi sentire dagli altri. «Non lasciarlo solo, quello ci tiene davvero a te.»

Diana si morse ferocemente il labbro inferiore e fece appello a quel briciolo di buon senso rimasto dentro di lei, voltandosi in direzione di Gonzalo.

«Andiamo via.»

***

Il viaggio in macchina fu il più travagliato che avesse mai dovuto affrontare.

Paulo rideva continuamente come un ossesso, biascicando frasi sconnesse in spagnolo e qualche parola in italiano, sciorinando aneddoti dello spogliatoio e apprezzamenti poco casti sulla ragazza con cui si era intrattenuto per tutta la serata.

Gonzalo non aveva mai smesso di ammonirlo sia con le parole che con gli sguardi, intimandogli di starsene in silenzio tramite lo specchietto retrovisore, mentre Diana teneva gli occhi fuori dal finestrino pur di scacciare la fastidiosa sensazione che la presenza di Dybala – seduto con lei nei sedili posteriori – le stava dando.

Sentiva il fuoco delle sue iridi acquamarina bruciarle addosso mentre la fissava di soppiatto, pensando di non essere scoperto: avrebbe voluto urlargli contro di smetterla di comportarsi come un bambino, che la stava riducendo in tanti minuscoli coriandoli di dolore e delusione, che lo odiava e si pentiva sempre di più di averlo incontrato. Che se fosse tornata indietro, non gli avrebbe mai scritto, non lo avrebbe mai cercato.

Ma era consapevole di mentire a se stessa e che fosse solo tanto, tantissimo, incazzata con lui. E bramava che continuasse a fissarla come la luce splendente di un faro in piena notte, che le si aggrappasse nell'animo come se fosse stata la sua unica àncora.

Tirò un sospiro di sollievo quando Higuaín accostò l'auto nei pressi di una villa: l'argentino si fiondò a trascinare fuori dal veicolo Paulo, che minacciava scherzosamente di rigettare seduta stante, mentre la sua risata isterica continuava a rimbombare nel silenzio notturno. Diana li seguì, precipitandosi ad aiutarlo.

«Le chiavi di casa sono dentro la giacca, prendile, por favor» la sollecitò, impegnato a tenere in piedi il suo migliore amico.

Diana infilò le mani nelle tasche interne del cappotto di Paulo, che non si risparmiò le battutine anche su di lei, mentre gli tastava imbarazzata e adirata il suo torace tonico.

«Vuoi spogliarmi delante de Gonzalo, niña?» le chiese provocante, scoccandole uno sguardo sornione. «Pero antes te pusiste tímida porque non vuoi che ti bacio frente a los otros.»

«Paulo, cállate, eres ridículo» la voce di Gonzalo era glaciale, mentre lo strattonava per zittirlo.

Diana avvertì le lacrime di frustrazione spingere per uscirle dagli occhi, ma si costrinse a ricacciarle dentro.
Afferrò tremante le chiavi e aprì il cancello automatico: si affrettarono a entrare nell'immensa casa di Paulo, mentre quest'ultimo aveva preso a lamentarsi dei dolori lancinanti allo stomaco.

Gonzalo lo accompagnò direttamente in bagno e ordinò a Diana di preparare un bicchiere d'acqua e un'aspirina; si diresse subito nella cucina, che fortunatamente era adiacente all'ingresso, imprecando per la modernità degli scaffali: ce n'erano talmente tanti che non sapeva da dove diamine cominciare.
Frugò a lungo nei cassetti e nelle dispense nuovi di zecca, impiegandoci più tempo del necessario.
Quando ebbe preparato tutto, aguzzò l'udito e sentì gli insulti e i piagnucolii di Paulo, così si incamminò verso la direzione del bagno.

La scena che le si presentò davanti le provocò il disgusto più totale: Dybala era inginocchiato davanti al water, intento a rimettere qualsiasi goccia di alcool avesse ingerito, e si aggrappava con veemenza alla tavoletta; Higuaín gli sollevava di poco la fronte quando un conato cessava, lo sguardo infuriato ma compassionevole, come se fosse abituato a vederlo così.

Quante volte si era ridotto in quello stato?
Quante volte era stato così stronzo?
Quante volte aveva costretto Gonzalo a subirsi tutto questo?

Diana aveva un'innata fobia del vomito, solo a pensarci ne percepiva l'odore acido nella gola e nel naso; non poche volte le era capitato di avere dei veri e propri attacchi di ansia, persino quando era toccato a lei stare male.
Sospirò provata e si soffermò poco dopo l'entrata del bagno: avvertì una sorta di piacere perverso nel vedere Paulo ridotto in quello stato.

Lo vedi che succede a fare il coglione?
Lo vedi che sto facendo pur di starti vicino?
E hai pure il coraggio di dire che non ci tengo a te, stronzo.

«Levantáte» Gonzalo lo aiutò ad alzarsi, tirando lo sciacquone, e lo trascinò verso il lavandino.

Diana intravide qualche macchia di vomito sul colletto della camicia bianca di Paulo e dovette trattenersi per non avere una crisi di pianto.

«Mi prendi quell'asciugamano?» le chiese il più grande, mentre apriva l'acqua e passava lo spazzolino al suo compagno di squadra.

La biondina annuì e afferrò il telo bianco accanto all'immensa doccia, avvicinandosi ai due: Higuaín gettò l'acqua gelata in faccia a Dybala, tentando di non farlo crollare in piedi e intimandogli di sciacquarsi la bocca.

«Sono stanco, quiero dormir» mugugnò Paulo, mettendo su un broncio che Diana, anche in quel momento così critico, trovò adorabile: le goccioline d'acqua gli scendevano lungo il volto, le guance erano leggermente arrossate e il labbro inferiore all'infuori.

Era così letale e deleterio eppure così curativo e necessario, non riusciva a fermare l'impulso di scostargli i capelli da davanti gli occhi.

Scacciò subito quei pensieri e percepì di nuovo la rabbia scorrerle nelle vene.

Non ti meriti niente.

Gonzalo gli asciugò frettoloso il viso, per poi sospingerlo verso la camera da letto, mentre Diana li seguiva in silenzio, cercando di memorizzare quanto più possibile di quella casa enorme e che mai si sarebbe aspettata di sentire così fredda e vuota.

Aveva proiettato innumerevoli volte nella sua mente il momento in cui Paulo le avrebbe fatto spazio nella sua quotidianità: si aspettava tutto quel lusso e quelle sciccherie, ma non quella solitudine, né una situazione così drammatica.

Una parte di lei era convinta che fosse solo colpa sua: se fosse stata più permissiva, se non avesse prestato ascolto alle sue paranoie, avrebbero evitato tutta quella sceneggiata e si sarebbero goduti di più i loro momenti insieme; ma un'altra parte, quella razionale e orgogliosa, continuava a ripeterle che non c'entrasse assolutamente nulla, che gli unici ad avere colpe erano Dybala e la sua maledetta testardaggine, troppo abituato ad avere tutto e subito, a non sentirsi dire mai di no.

Si riscosse dai suoi pensieri quando udì le parole scurrili di quest'ultimo contro Gonzalo, il quale tentava in tutti i modi di mantenere il controllo e non spaccargli la faccia contro il muro.

«Tienes que cambiarte, estás lleno de vómito.» [Ti devi cambiare, sei sporco di vomito.]

«Sal de aquí, imbécil! Quiero estar sólo.» [Togliti, stronzo! Voglio stare da solo.]

Paulo si lagnava come un bambino capriccioso, scuotendo la testa e fissando il pavimento senza mai alzare lo sguardo; sembrava indifeso e faceva quasi tenerezza, ma Diana era consapevole che con un solo passo falso avrebbe potuto mangiarsela viva – perché lo percepiva in ogni sua cellula che avrebbe voluto urlarle contro senza pensarci due volte, anche a costo di vomitare nuovamente.

Era per lei che si stava comportando così.

Higuaín le rivolse uno sguardo nervoso, poggiando le mani sui fianchi e sospirando.

«Lascia fare a me» gli sussurrò, annuendo debolmente. «Ci penso io.»

Gonzalo scoccò un'ultima occhiata incerta a entrambi e uscì, lasciando la porta socchiusa.

Tutta l'attenzione di Diana si spostò sulla figura rannicchiata al bordo del letto: Paulo teneva i gomiti puntati sulle ginocchia e aveva il respiro affannoso.
Sarebbe rimasta lì inerme a osservarlo per ore: come diamine faceva ad essere dannatamente bello anche in quello stato?

«Paulo» lo richiamò, talmente piano che temette che non l'avesse sentita.

Invece la testa dell'argentino si sollevò di scatto, le iridi acquamarina lucide risplendevano nella penombra della camera, rischiarata solo dalla luce del corridoio.
Ebbe un sussulto nel contemplare le occhiaie profonde, i capelli arruffati sulla fronte e le labbra schiuse, da cui uscivano respiri sconnessi: avrebbe voluto prenderlo a schiaffi e abbracciarlo subito dopo, urlargli contro che era uno stronzo e che non c'era la necessità di ridursi così, che potevano superare tutto insieme; che era stanca di giocare a rincorrersi e mai tenersi, dei baci a metà, delle notti passate con la paura di essere scoperti.

«Sei arrabbiata?» la voce era così roca da graffiare i timpani, l'accento spagnolo ancora più distinguibile.

Gli si avvicinò con lentezza, allungando una mano per accarezzargli le ciocche more; lo vide socchiudere le palpebre con un'espressione mansueta, come se fosse stato una bestia feroce e lei l'unica domatrice che riusciva ad acquietarlo.

Spalancò gli occhi quando le dita di Diana si arpionarono ai suoi capelli, con così tanta violenza che sembrava volesse strapparglieli: emise un gemito di dolore e Diana gli si accostò all'orecchio, spingendogli la testa all'indietro.

«Ti ammazzerei con le mie stesse mani.»

Ma mi sono innamorata di te, maledetto bastardo, e non riesco a farti del male, mi ammazzerei anch'io.

Se n'era resa conto perché, sebbene volesse farlo crollare in ginocchio per il dolore, trattarlo come una nullità esattamente come lui si era comportato con lei, il solo pensiero di vederlo soffrire la rendeva debole e addolorata: avrebbe sacrificato la sua vita, pur di tenerlo al sicuro da tutto.
Lo avrebbe sempre messo al primo posto.

Lo discostò irruente, rischiando di spingerlo a terra.
«Cambiati e mettiti a letto» gli comandò, la voce neutra come se non avesse giurato di ucciderlo fino a un istante prima.

Paulo percepì un tremito scuoterlo: non l'aveva mai vista così incazzata e sapeva di meritarseli tutti gli schiaffi che Diana si stava trattenendo dal dargli, tormentandosi le dita con fare isterico; non temeva il dolore fisico, si sarebbe fatto torturare pur di non vederla con quel cipiglio e quell'indifferenza che non le appartenevano.

Era piuttosto terrorizzato che se ne potesse andare: si immaginava già la scena, perché ormai la sbronza stava diminuendo e i sensi di colpa, che sussistevano già da quando aveva ordinato il primo cocktail, se lo stavano divorando vivo.
La vedeva girare i tacchi senza pentirsene, lasciandolo solo a combattere con ciò che lo attendeva fuori da quella stanza.

Con i suoi compagni furiosi, con i paparazzi che avrebbero messo bocca sulla sua rottura con Antonella e il suo teatrino in discoteca, con Gonzalo che avrebbe voluto prenderlo a calci in culo per come si era comportato.

Talmente soprappensiero, non si rese conto di essere rimasto in boxer davanti a Diana, che spostava lo sguardo freneticamente da una parte all'altra della camera, pur di non farlo cadere sul suo corpo.
Trattene un sorriso, perché aveva appena avuto la conferma di non nausearla del tutto, e in un'altra situazione si sarebbe divertito a stuzzicarla, a tentare in tutti i modi di instaurare un contatto visivo per il gusto di vederla in imbarazzo, con le pupille dilatate e la bocca arricciata in una smorfia di finta noncuranza.

Si ridestò quando gli porse una maglietta nera e un paio di pantaloncini che Gonzalo aveva precedentemente scovato dalla cabina armadio: li indossò senza fretta, sia per godersi lo sguardo famelico e incazzato di Diana, sia perché la testa gli doleva maledettamente.
Si sdraiò sul letto matrimoniale, pregando Dio di far cessare tutto quel dolore fisico ed emotivo.

«Non te ne andare» pregò anche la biondina, che si era già allontanata per uscire dalla stanza. «Non voglio stare da solo, ti prego, vieni qui.»

Teneva un braccio sopra gli occhi e non si accorse della lacrima che era sfuggita a Diana, mentre quest'ultima si torturava il labbro inferiore per non singhiozzare.
Sentì il rumore dei tacchi che cadevano a terra e il materasso abbassarsi, finché il profumo fruttato di lei non gli inebriò completamente i sensi, facendolo girare su un fianco alla ricerca di un contatto più profondo; la strinse tra le braccia, annusandole la pelle del collo e i capelli, cullato dal calore che i loro corpi emanavano vicini.

Diana si lasciò stringere e circondò il collo di Paulo con un braccio, avvinghiandosi a lui, il battito del cuore di entrambi che non smetteva di aumentare.

«Scusami, niña, scusami» mormorò, le labbra attaccate alla guancia di Diana. «Juro que eres la persona más importante de mi vida.» [Giuro che sei la persona più importante della mia vita.]

Avvertì gli occhi farsi pesanti e si abbandonò a un sonno profondo e irrequieto, mentre la biondina continuava a baciargli dolcemente la fronte, non riuscendo a far cessare le lacrime che scendevano copiose.

***

Diana restò per un po' in quella posizione, osservando Paulo dormire con un'espressione sempre più serena.

Lo aveva coccolato per tutto il tempo, facendo scorrere le dita sul naso leggermente a patata, sugli zigomi morbidi su cui poggiavano le ciglia lunghe, tra i ciuffi mori e setosi.
Era bello da stare male, e Diana non avrebbe potuto negarlo anche con tutta la volontà del mondo.

Senza accorgersene si era addormentata aggrappata a lui, risvegliandosi qualche ora dopo, alle cinque del mattino, madida di sudore: non riusciva a respirare a causa dell'incubo che aveva avuto.
Scansò con cura il corpo statuario di Paulo dal suo, sgusciando fuori dalle coperte, attenta a non compiere movimenti bruschi e svegliarlo.

Il pavimento gelido le instillò una cascata di brividi lungo la schiena, costringendola a strofinare le mani sulle braccia in cerca di calore.
Sebbene la casa fosse avvolta nel buio, le immense vetrate facevano passare la luce dei lampioni esterni, quel tanto che bastava affinché non cadesse a terra o inciampasse in qualche mobilio.

Si ricordò solo in quel momento di Gonzalo e, presa dal panico, corse ad afferrare la sua pochette – che aveva lanciato sul divano appena erano tornati dalla discoteca.
Il cellulare era quasi scarico e le chiamate da parte di Bianca e sua madre erano un'infinità: sentì tutte le sue certezze vacillare, non poteva nemmeno immaginare quale reazione avrebbe avuto se avesse saputo la verità.

Aprì WhatsApp con il cuore che sembrava volesse spezzarle la gabbia toracica e tirò un sospiro di sollievo quando lesse il messaggio della sua migliore amica.

Ti ho coperto con tua madre,
le ho detto che stavi dormendo e
che domani mattina l'avresti richiamata.
La prossima volta ti arrangi,
quando torni in albergo
facciamo i conti.
03:26

P.S. Clara e Angelica sono salve,
un po' meno sane.
03:27

Sbuffò una risata e la ringraziò con un semplice cuore rosso, tornando al menù principale per aprire la chat di un numero sconosciuto.

Sono Gonzalo.
Sono dovuto andare via.
Per qualsiasi cosa chiamami
e torno da voi.
03:34

Diana notò che l'orario d'invio dei due messaggi fosse quasi contemporaneo, e si rese conto di non aver mai dato il suo numero di telefono a Higuaín.

Cavolo, solo a pensarlo era una follia.

Rimase immobile al centro della stanza, l'iPhone stretto tra le mani e il sudore che ormai le si era freddato addosso.

C'era qualcosa di terribilmente banale e inusuale che non riusciva a cogliere nei gesti di Bianca e Gonzalo, qualcosa che le sfuggiva da sotto il naso e che invece gli altri avevano già capito e accettato. Qualcosa di cui era all'oscuro, perché nessuno l'aveva resa partecipe, nemmeno quella che considerava la sua migliore amica.

Qualcosa che, ne era certa, riguardasse proprio il suo rapporto con Paulo, di cui Bianca – nonostante all'inizio l'avesse incitata a farsi avanti – non era mai stata troppo favorevole, soprattutto nell'ultimo periodo.
E lo stesso Gonzalo le aveva palesato i suoi dubbi, quel pomeriggio all'Olimpico.
Probabilmente nessuno li avrebbe voluti insieme, e non era da sorprendersi se si fossero alleati per farli allontanare, per il bene di tutti.

Sobbalzò all'indietro quando una mano le si posò su un fianco, andando a sbattere contro qualcosa di duro e levigato.

«Ti ho messo paura?» ridacchiò Paulo, stringendola a sé.

«Sei un coglione» mugugnò, staccandosi dalla sua presa e voltandosi. «Perché ti sei svegliato?»

Il ragazzo assunse un'espressione colpevole e abbassò lo sguardo, grattandosi la nuca. «Mi sono girato nel letto e non c'eri, così sono venuto a cercarti» prese un profondo respiro, tentando di mettere ordine nella sua mente. «Avevo paura di non trovarti, che te n'eri andata e mi avevi lasciato solo.»

Diana si accomodò sul divano, deglutendo a vuoto. «Mi sono svegliata di soprassalto e avevo bisogno d'aria, dormire appiccicata a te non è esattamente il miglior modo per respirare.»

«Hai avuto un incubo» affermò Paulo, sedendosi accanto a lei. «Ti ho sentito che ti lamentavi mentre dormivi.»

La biondina trattenne il fiato, irrigidendosi: percepiva lo sguardo curioso del ragazzo su di sé, quasi a opprimerla pur di cacciarle fuori qualche parola, scalpitante di ascoltarla raccontare.
Girò di poco il capo verso di lui, constatando che si fosse tolto la maglietta e avesse solo una coperta di pile poggiata sulle spalle.

«Era un sogno stupido.»

«Dimmelo, por favor

«Ho sognato che te ne andavi con la ragazza di stasera» sputò fuori. «E c'era anche Antonella, e le altre con cui ti hanno visto, quelle con cui ti hanno fotografato. C'erano tutte, e io non ti potevo raggiungere, non ti potevo toccare» lo fissò negli occhi, la voce incrinata e ridotta a un sussurro. «Te ne andavi ogni volta che mi avvicinavo a te, non mi volevi più.»

Paulo congiunse le mani davanti al viso, scostando lo sguardo.
Per la prima volta riuscì ad afferrare con consapevolezza la più grande paura di Diana: il tradimento.
Per quanto fosse spaventata dal suo mondo e dal finire sui giornali e i blog di gossip, era terrorizzata da un suo possibile rifiuto, dal fatto che potesse preferire qualcun'altra.

Si rese conto di aver confermato le sue paranoie e i suoi dubbi quella sera stessa, perché non era stato capace di aprire bocca e gridarle di essere riuscito a prendere una decisione, di essersi liberato dalla zavorra del suo passato. Gli balenò in mente l'idea che fosse troppo tardi e che non lo volesse più, visti i suoi atteggiamenti e le stronzate che combinava, e che la facevano soffrire; sospirò amareggiato, fissando la televisione attaccata alla parete.

«Lo siento.» [Mi dispiace.]

«Forse è meglio se la chiudiamo qui» Diana si piegò in avanti, studiando il tavolinetto in vetro che aveva visto innumerevoli volte durante le loro videochiamate. «Non ci porterà da nessuna parte tutto questo, combiniamo solo casini.»

Io combino solo casini, avrebbe voluto ribattere Paulo.
Invece sorrise amareggiato, arricciando le labbra. «Quindi te ne stai andando tu.»

La ragazza scosse la testa e le ciocche bionde le ricaddero davanti al viso. «Adesso mi incolpi pure di questo, dopo quello che hai fatto stasera» constatò afflitta.

«Non ti sto incolpando, ho solo detto che te ne stai andando.»

«Mi sono rotta il cazzo di essere sempre trattata di merda!» sbottò inferocita, tornando in posizione eretta. «Mi sono rotta il cazzo di tutto questo Paulo: la ragazza da cui non ti sei staccato stasera, e chissà quante altre ne hai, i cambiamenti d'umore che hai da un giorno all'altro. E non voglio più essere l'altra di tante, tu sei fidanzato con Antonella.»

«L'ho lasciata.»

Diana si voltò di scatto come se qualcuno l'avesse colpita con uno schiaffo in pieno viso. «Che hai detto?»

«Che ho lasciato Antonella. Ci siamo lasciati, non stiamo più insieme» brontolò seccato. «Devo dirtelo in spagnolo?»

La vide indugiare per qualche secondo, sgranando gli occhi e fissandolo scettica, incapace di proferire una singola sillaba.

Possibile che avesse così poca fiducia in lui?

«Non posso stare con lei, se penso sempre a te. Non voglio stare con lei, se voglio te» confessò, la voce bassa come se fosse stato un segreto che solo loro due erano in grado di custodire, sancito dalle loro iridi che si mischiavano violente e che si fondevano fino a creare un unico, nuovo colore.

«Ero strano per questo» continuò, poggiandole una mano sulla coscia lasciata scoperta dal vestito. «Volevo... Non lo so che volevo, ma non mi andava di dirtelo per telefono. Volevo dirtelo subito ma non volevo stare in mezzo agli altri, per questo ti ho detto di andare via. E poi ho fatto un casino come al solito, perché hai ragione: sono un coglione» sogghignò divertito, disegnandole cerchi immaginari con il pollice sulla pelle lattea, per concentrarsi su qualcosa che non fosse il suo dannato cuore che pompava impazzito. «Sono un coglione e uno stronzo, ma voglio stare con te, non mi interessa del resto, non mi interessa delle altre. Io voglio te.»

Fu un attimo e Diana gli saltò letteralmente addosso, baciandolo con trasporto e schiudendogli le labbra con urgenza, fregandosene del gusto amarognolo che gli era rimasto in bocca.

Restò interdetto per qualche secondo, poi l'afferrò per i fianchi e la sistemò meglio sopra di sé: erano disperati, sembravano volersi mangiare la faccia a vicenda, leccarsi le ferite che si erano inferti fino a quel momento e infliggersene di nuove, in un circolo malato e vizioso.
Le abbassò la zip del vestito, sfilandoglielo dalla testa: vederla in intimo con le labbra lievemente arrossate per la passione dei suoi baci gli provocò un istinto selvaggio di eccitazione.

«Sei bellissima» il fiato caldo si infranse sul collo di Diana, mentre la riempiva di attenzioni e la venerava come se fosse una dea.

Una dea per cui avrebbe trascorso il resto della sua vita all'inferno, se era libero di potersi godere quel paradiso terrestre in cui lo stava attraendo.

Lei sospirò per il piacere, scostando la coperta e aggrappandosi alle sue spalle nude. «Ti odio.»

Paulo ghignò, scendendo a baciarle il petto.
In tutti quegli anni di frequentazione con ragazze a cui importava più del loro corpo che del resto del mondo, non aveva mai trovato una pelle morbida come quella di Diana: ne era dipendente, avrebbe potuto passare ore intere a baciarla, ad accarezzarla, a prendersene cura in tutti i modi possibili.
Era una bambola di porcellana e aveva la costante paura di poterla rompere e farsi male con le schegge che avrebbe rilasciato, una volta schiantatasi contro il suolo.

«Ah, mi odi?» domandò, retorico e sfacciato, mordendola poco sopra la coppa del reggiseno. La sentì ansimare e in risposta gli graffiò ferocemente la schiena, facendolo gemere. «A me non sembra, mi sa che mi adori come ti adoro io.»

Nonostante il mal di testa gli fosse tornato più prepotente di prima, la spogliò definitivamente su quel maledetto divano, lasciandosi toccare a sua volta.

Diana era la visione più afrodisiaca e celestiale che avesse mai visto: le pupille dilatate per il piacere, i capelli dorati sparsi sul bracciolo come una corona preziosissima, il suo nome ripetuto in una cantilena assidua ed erotica, mentre gli stringeva il bacino con le gambe per non farlo allontanare, per tenerlo stretto.

E Paulo non l'avrebbe mai lasciata andare, non ora che aveva capito di essere troppo preso da lei, non ora che aveva capito di volere non solo il suo corpo, ma anche la sua testa e il suo cuore.

Aveva bisogno di Diana.

Si fusero in un'unica persona e si sentirono completi come mai lo erano stati prima di allora: le barriere erano state abbassate, i muri erano stati abbattuti; insieme alla saliva e ai morsi si stavano mischiando le pelli e le anime, riversando nel loro amplesso tutto quello che non erano in grado di dirsi a voce.

Perché non sapevano comunicare con le parole, ma sapevano amarsi con i gesti.

E, per adesso, era abbastanza per entrambi.














***

{Qualcuno ha detto JUST EAT?🤪}

{Ammiro totalmente il giornalista perché io mi sarei sciolta davanti a uno sguardo così🫠}

HOLA!❤️

Definizione di questo capitolo: ✨MA CHE CAZZO STA A SUCCEDE?✨

Difficilmente ho visto così poca comunicazione tra due persone E COMUNQUE LA SCAMPANO SEMPRE tra un drama e l'altro.🤪
Spesso finendo nel miglior modo possibile e a noi va benissimo COSÌ.✨

Che dire, tante questioni che sono state aperte:
- Diana ammette a se stessa di essere innamorata
- Paulo si rende conto di non poter stare senza di lei
- Miralem riconosce Bianca

Chissà se nel prossimo capitolo verrà risolto qualcosa.🤐🤐🤐

Lascio a voi i commenti e, come sempre, vi abbraccio fortissimo e vi ringrazio INFINITAMENTE per i traguardi enormi che stiamo raggiungendo con la storia!🫶

Il prossimo aggiornamento, sarà DOMENICA 04/12 alle 11:30!
Vi consiglio di seguirmi su Twitter così da rimanere costantemente aggiornatə su tutto!❤️

¡Besitos!❤️

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