Aeternam II: Il Mistero della...

By cleliuz_

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Un nuovo anno è pronto a sorgere sulla scuola di Magia e Stregoneria di Aeternam e, fra luci e ombre, i nostr... More

GLOSSARIO DEI PERSONAGGI
PROLOGO
Capitolo 1: Ritrovarsi
Capitolo 2: Nuovi inizi
Capitolo 3: Vecchie ferite
Capitolo 4: Cronaca Nera e Cielo in Tempesta
Capitolo 5: Risposte
Capitolo 6: Qualcosa Che Ci Riguarda
Capitolo 7: Una Visita Attesa
Capitolo 8: Brancolando nel buio
Capitolo 9: Incertezze
Capitolo 10: Novità e Tradizioni
Capitolo 11: Fuoco e Tempesta
Capitolo 12: Antichità e dovere
Capitolo 13: La notte dei Sacri Misteri
Capitolo 14: Gli Innamorati
Capitolo 16: Resti
Capitolo 17: Il Mistero della Congrega
Capitolo 18: Maledizioni
Capitolo 19: Fiducia
Capitolo 20: La fine e l'inizio
Capitolo 21: Il ladro viaggiatore
Capitolo 22: Seconde occasioni
EPILOGO

Capitolo 15: L'Appeso e il Bagatto

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By cleliuz_

Altea bussò delicatamente, una volta, poi una seconda, poi una terza con più insistenza.

«Eccomi!»

La porta si aprì e dall'altra parte spuntò il viso pallido di suo fratello, crucciato come sempre.

«Stavi studiando?» chiese lei.

Armance si passò una mano sul viso poi annuì: «Ti serve qualcosa?»

«No» Altea alzò la lettera che teneva fra le mani: «Mamma ci scrive, è indirizzata ad entrambi, dovremmo leggerla insieme non credi?»

«Sì, certo» Armance aprì del tutto la porta e fece entrare sua sorella.

Lei aprì subito la lettera, era evidentemente impaziente: «Leggo io, va bene?»

Armance si limitò ad accomodarsi su una delle due poltroncine dell'area comune.

Altea si schiarì la voce e lesse: «Cari ragazzi, vi scrivo per informarvi di un'infausta notizia, vostra zia Eufemia, che forse non ricordate vividamente, è stata aggredita. È sopravvissuta per un soffio all'attacco, ma è in condizioni molto gravi e non si sa ancora se andrà tutto bene. Vi invito a non lasciare la scuola durante questi tempi infausti, evitate anche il Rione Lengheletto se potete e guardatevi sempre le spalle. Questi terribili eventi sono sintomo di un grande male che si sta allargando a macchia d'olio su tutti noi, non abbassate la guardia. Vi voglio bene e non vedo l'ora di riavervi fra le mura di casa. Mandate un corvo appena potete, desidero solo sapere che stiate bene»

Altea ripiegò la lettera, senza aggiungere altro, le sue mani tremavano leggermente.

«Eufemia è la cugina di papà giusto? Quella che vive a Torino?» disse semplicemente Armance.

Altea gli rivolse uno sguardo turbato.

«Credo sia la zia che ti aveva fatto quell'assurdo regalo di ammissione ad Aeternam, forse non te lo ricordi...»

«Armance»

Lui alzò la testa imperturbabile.

«Un altro attacco alle Creature della Notte, nella nostra famiglia, dopo...dopo quello che è successo a papà» la voce di Altea era incerta.

Armance si sistemò più comodamente sulla sua poltrona: «Già, un altro attacco e nessuno farà niente. Mamma si preoccupa, noi ci struggiamo, la zia Eufemia forse morirà e cosa cambierà? Nulla, niente» disse calmo.

«Perché ti comporti così?»

«Mi comporto come si comportano tutti, ci passo sopra, non è questo che dovremmo fare?» Armance inarcò un sopracciglio: «Puoi sempre andare ad indignarti al Club insieme a Duccio, magari qualcuno verserà anche qualche lacrima e poi, come sempre, non cambierà nulla»

«Armance...» Altea non sapeva cosa dire.

Lui si alzò con comodo, posò una mano sulla mensola del caminetto e guardò dritto nello specchio che la sovrastava: «Da quanti mesi quelli come noi vengono aggrediti, uccisi, trucidati in un susseguirsi di odio e scempiaggini? E come è stata risolta la cosa?»

Altea osservò la superficie immacolata dello specchio, non c'era nessun riflesso al suo interno: «Non hai preso la pozione corporeizzante

«No, ho smesso da un po', non noto effetti negativi e mi sento meglio»

«Armance, senza la pozione corporeizzante non puoi dosare bene la tua forza e verrai bombardato dai pensieri superficiali di tutti!» esclamò lei.

«Non è poi così male, riesco a non curarmi dei pensieri altrui, dopo un po' ci si fa l'abitudine»

Altea si avvicinò e afferrò il fratello per un braccio: «Da quanto tempo hai smesso di prenderla!?»

Armance fece spallucce: «Dai Saturnalia, su per giù»

Altea sgranò gli occhi: «Almeno stai usando ancora l'unguento solare

Lui annuì: «Solo per comodità...perché sei tanto sconvolta? Papà era notoriamente contrario perfino all'unguento solare»

«Papà era un vampiro secolare in grado di controllarsi ed era molto ligio alle regole, prendeva le sue pozioni in relazione alla sua grande capacità di contegno»

Armance si divincolò dalla presa di Altea: «Magari sto imparando anche io, no? Non mi è forse concesso imparare, crescere e maturare?»

Lei fece un passo indietro: «Non lo so, ma tutto questo non mi piace, per niente»

«Stai tranquilla Altea, non devi preoccuparti»

«Sei diverso, ti comporti in modo strano anche con Duccio e sei assente ai tuoi doveri di Rappresentante, non prendi più la tua pozione e sembra che te ne stia infischiando di ciò che accade alle Creature della Notte, proprio tu, che sei sempre stato così agguerrito e deciso a cambiare le cose»

Armance accennò un sorriso: «Forse è giusto che il testimone passi a te, io sono così stanco di tutto questo Altea»

«Io vedo che qualcosa non va in te, parlamene, credi forse che sia troppo stupida per capire? O troppo impegnata per ascoltare? Non c'è nulla che richieda la mia attenzione, sono sola, perché non possiamo contare l'uno sull'altra? Sei mio fratello Armance...parla con me»

«Apprezzo molto le tue parole, ma sono stufo di lottare a vuoto, di combattere per una causa fatta di fumo e aria, ho cambiato prospettive»

Altea sospirò: «Allora parlamene! Confidati con me, dammi retta! Andiamo a mensa insieme, raccontami un po' di come ti senti»

Armance guardò l'orologio a pendolo nell'angolo: «Oh no, questa sera ho da fare, in realtà sono già in ritardo»

«Per cosa?» domandò lei confusa.

«Ho un rigido piano degli argomenti da studiare per l'A.R.C.A.N.U.M. diviso in giorni, stasera devo affrontare i tre argomenti che mi sono prefissato, non posso restare indietro, devo finire ancora la tabella del pomeriggio»

Altea non replicò, non voleva essere scacciata con insofferenza: «Allora magari un altro giorno, no?»

Armance si allontanò dal caminetto: «Ma certo»

Altea se ne andò salutando a testa bassa, si chiuse la porta alle spalle stringendo ancora la lettera di sua madre fra le mani, poteva scriverle a nome di tutti e due, sarebbe stato di compagnia, non aveva altro da fare in fondo e nessun altro con cui parlare.

Appena Atea chiuse la porta Armance corse in camera sua, era in ritardo.

Aprì l'armadio e prese la sua scatola blindata. L'unico luogo davvero sicuro che conoscesse. Pronunciò la formula e sollevò il coperchio, dentro, accanto alle fiale inutilizzate di pozione corporeizzante, c'era la Bussola Magica di Susanna da Selinunte. Era il momento di utilizzarla.

Aveva poco tempo, non dovevano scattare le sei di sera o sarebbe stato troppo tardi.

Prese la Bussola e il suo cappotto, in cui infilò una rivista arrotolata, non poteva sparire per materializzarsi altrove, tuti gli spostamenti magici erano tracciabili dal Consiglio, aprì la finestra e si tramutò in un pipistrello, lanciandosi a picco giù dalle grandi finestre del Palazzo Eterno.

Ormai conosceva bene la strada, si era abituato ai Portali e sapeva cosa dire a chi era di guardia per accedere senza problemi.

«Un po' tardi per uno studente» osservò il Sorvegliante al cunicolo di arrivo.

«L'orario è dalle sei alle sette o sbaglio?»

L'agente scrollò le spalle: «Sì, ma la gente preferisce venire nell'orario mattutino, dicono che la Rocca col buio risulti troppo sinistra»

Armance finse di essere concorde: «Di mattina ho molte lezioni, gli esami si avvicinano. D'ora in poi verrò di pomeriggio»

L'uomo timbrò il lasciapassare e salutò Armance con un cenno della testa.

Oltre le scale sbeccate che portavano fuori dal cunicolo, si stagliava la sagoma scura e imponente di Rocca Tartara avvolta dalle ombre della sera.

Armance si fermò appena fuori il cunicolo, piegandosi a riallacciare uno dei suoi stivali. Stringendosi nel cappotto contro il forte vento, lasciò scivolare a terra la Bussola, spingendola con un piede dietro uno sperone di roccia, mentre si rialzava.

Il cammino fra i corridoi di pietra, accompagnato da spifferi,dalle luci dei sensori che si accendevano al passaggio della guardia e dalle distanti urla di alcuni detenuti, fu più breve del previsto.

Armance aveva imparato a conoscere la Rocca e orientarsi non sembrava più impossibile come all'inizio.

Ovviamente venne perquisito e la sua bacchetta venne sequestrata momentaneamente insieme ai suoi oggetti personali. Il sensore di presenza rimase spento al suo passaggio, come sempre. La sentinella tirò fuori il Tracciatore, che brillò della solita luce giallina, percepiva l'unguento solare.

«Tutto regolare, anche quella direi» disse la sentinella indicando la copia di Ars Occulta che Armance teneva arrotolata sottobraccio.

La porta blindata si aprì e Armance sentì il mondo cadere in completo silenzio alle sue spalle. Varcata quella soglia, non esisteva nient'atro. La porta si richiuse con un tonfo pesante.

«Non ti aspettavo» disse Virgilio, immobile oltre il vetro, il suo tono non era sincero.

«Potrò venire solo la sera d'ora in poi, le lezioni non mi danno tregua» rispose Armance.

«E come mai tanta fretta di venire?»

Armance sventolò la copia di Ars Occulta: «Oggi è uscita l'edizione speciale, ho pensato che potesse farti piacere»

Virgilio si illuminò: «Ricordavi che colleziono le pagine degli...speciali di Ars Occulta?»

Armance alzò un sopracciglio: «Non eri tu che in Salotto ti vantavi di conoscere già le risposte al test di Ritualismo perché le avevi lette nello speciale Ars Occulta? Pagina trentasette se non sbaglio»

Virgilio sorrise: «Era un rituale complicato»

«No era uno sciocco rituale desueto e il tuo feticcio era ridicolo»

«Oh, proprio quel rituale, ne ho visti di migliori»

Armance gli passò la copia della rivista dall'apertura nel vetro: «Non lo metto in dubbio»

Virgilio posò la sua mano su quella di Armance e strinse leggermente, un breve, impercettibile segno d'intesa: «Ti ringrazio Armance»

«Figurati»

Armance ritrasse lentamente la mano e nel farlo lanciò uno sguardo fugace verso l'alto soffitto, c'erano ragnatele ovunque, il vetro del lucernario era così sporco e opaco da non lasciar vedere neppure il nero del cielo.

«Non leggerlo tutto stasera» sussurrò Armance indicando la rivista.

Virgilio la strinse fra le mani: «No, ci metterò almeno...una settimana»

«Straordinario» disse tutto d'un fiato Armance, senza riuscire a trattenersi.

Virgilio piegò la testa di lato con finta modestia, ma non disse nulla.

«Oggi non posso trattenermi molto, devo studiare e non vorrei iniziare a mezzanotte» Armance guardò Virgilio dritto negli occhi, in cerca di un segno.

Lui non disse nulla, ma sorrise e i suoi occhi si illuminarono di un'espressione nuova, sinistra e incredibilmente confortante.

Armance se ne andò senza aggiungere altro. Riprese le sue cose, salutò cordialmente l'Agente, ripercorse tutti i corridoi fino all'ingresso, si lasciò alle spalle il cancello e si diresse verso il cunicolo.

Al momento opportuno lasciò cadere il suo lasciapassare, maledicendo il vento e affrettandosi a chinarsi per riprenderlo.

Nel buio crescente della sera, riuscì ad allungare velocemente una mano e a recuperare metà della Bussola Magica. L'atra metà era ancora nascosta fra l'erba e le rocce.

Infilò in tasca la sua parte e procedette verso la scalinata, Rocca Tartara era ubicata in un luogo sconosciuto a tutti, ma per Armance quel segreto stava per essere svelato.

Dietro il vetro e la spessa coltre di incantesimo difensivo della sua cella, Virgilio Levanzio si sentiva di nuovo vivo dopo molto, molto tempo.

Gli era stata promessa una soluzione e quella era arrivata, esattamente come previsto. Erano appena le sette e mezza, avrebbe dovuto aspettare ancora.

Non vorrei iniziare a mezzanotte.

Armance non era per niente bravo con le sottigliezze, Virgilio sorrise fra sé e sé, era stato quasi divertente vederlo inciampare sulle sue stesse frasi per riuscire a di inserire le informazioni adatte.

Sfogliò la copia di Ars Occulta fino a pagina trentasette, c'erano tre lunghi fili di paglia compressi fra le pagine.

Uno sciocco rituale desueto.

Il professor La Mitra non sarebbe stato felice di sentir dire una cosa del genere sulla sua materia, ma Armance non aveva evidentemente abbastanza inventiva per farsi capire meglio.

Virgilio alzò lo sguardo verso la porta blindata, di certo le Sentinelle avevano avuto modo di ascoltarli, se avessero voluto, ma non di trattenere quella conversazione, né le precedenti. La grande falla dell'isolamento a Rocca Tartara, considerato troppo sicuro, troppo sorvegliato, per necessitare di continua osservazione.

Farsi spostare in isolamento era stato il consiglio giusto, i suoi sforzi e la sua attesa stavano fruttando.

Virgilio prese i tre fili di paglia e se li rigirò fra le dita, non aveva intenzione di strapparsi una ciocca di capelli dalla testa a mani nude, così si portò il pollice sinistro alla bocca e morse il polpastrello fino a sanguinare, sarebbe stato più che sufficiente, di carta ne aveva abbastanza, di tempo anche.

Iniziò a intrecciare la paglia lentamente, osservando la piccola treccia macchiarsi del suo sangue, sottovoce ripeté ancora e ancora le formule celebrative che aveva appreso dalle lezioni di Ritualismo.

Visualizzare sé stessi. Trasmettere la propria energia. Scegliere tre azioni, tre frasi e tre parole. Infondere il più possibile la propria essenza per un risultato più duraturo. Il sangue era già un ottimo punto di partenza.

Virgilio strappò due pagine dalla rivista e iniziò ad accartocciarle e modellarle, poi ne strappò un'altra e un'altra ancora. Infine, strappò l'angolo di una pagina completamente nera e iniziò a masticarlo. Il sapore dell'inchiostro e della carta non erano piacevoli, ma doveva concentrarsi e attivare le sue energie.

L'orologio sulla porta blindata segnò le otto. Virgilio smise di masticare la carta e tirò fuori la piccola pallina nera che aveva creato. Mancava ancora qualche ora e doveva restare lucido, aveva un feticcio da assemblare.

Armance tornò in tempo per passare dalla mensa, prendere la sua bottiglia di plasma e dire che avrebbe cenato in camera sua per poter studiare.

Uscì dalla mensa in fretta, cercando di non incrociare lo sguardo di Duccio che gli aveva chiesto di restare insieme agli altri R.A.N.A.

Si affrettò a tornare ai dormitori, ma fu bloccato sulla scala a chiocciola che portava alle stanze di quarto, quinto e sesto anno.

«Armance, attento!» Zeno Foschi si fermò prima di poter essere travolto.

«Scusa, vado di fretta»

«Lo vedo» Zeno si scostò da un lato per lasciarlo passare.

Armance cercò di passare nello stretto spazio della scala a chiocciola.

Zeno si schiacciò contro il muro: «Scusa forse dovrei risalire»

«No tranquillo» non c'era tempo da perdere.

Dove va così di fretta? Sarà successo qualcosa?

I pensieri superficiali di Zeno. Armance cercò di ignorarli.

Chissà se lui sa che fine abbia fatto Alvise, sembra come sparito nel nulla.

Armance si fermò di colpo.

Un pensiero superficiale, forse appena più profondo, ma comunque fugace. Era quello che le persone pensavano quando lo vedevano? Suo fratello, sua sorella, la sua natura, ciò che mangiava, come faceva a trasformarsi, contorni, contorni inutili a quello che nessuno si fermava mai a guardare. La sua persona.

Armance guardò Zeno negli occhi, qualcosa doveva essere cambiata nella sua espressione perché Zeno si appiattì ancora di più contro il muro.

«C'è qualcosa che vuoi chiedermi?»

«No»

Armance lo scrutò con attenzione: «Chiedimi di mio fratello su»

Zeno impallidì: «Che...»

«Chiedimelo»

Armance poteva sentire il sangue defluire dal viso di Zeno, il suo battito che accelerava, inquieto, teso.

Più Armance lo fissava dritto negli occhi, più il cuore di Zeno batteva concitato, sempre più veloce, sempre più spaventato. Si poteva perfino vedere la pelle muoversi e pulsare sul suo collo, proprio dove passava la carotide e i muscoli si tendevano per lo sforzo di mantenere un'espressione neutrale.

Armance pensò che fosse il suo sguardo a tradirlo, i suoi occhi scuri erano spalancati, immobili, come se Zeno avesse dimenticato come sbattere le palpebre.

Doveva essere l'assenza di pozione corporeizzante, ma Armance riusciva a sentire il sottile cambiamento nell'odore di Zeno, era più metallico, più corposo e non poteva che essere frutto della paura.

Armance aveva dimenticato che gli esseri umani avevano un odore diverso dal suo e da quello dei suoi simili. Gli umani avevano un odore caldo, dolciastro, così piacevole...così invitante.

«Armance...» Zeno lo spinse via posandogli una mano sul petto.

La bottiglia di plasma gli scivolò dalle mani e si schiantò al di sotto della scala, cadendo fra le aperture tra un gradino e l'altro.

Armance si riscosse, non si era accorto di essersi avvicinato tanto.

«Hai le iridi rosse» mormorò Zeno.

Armance abbassò la testa e riprese a salire le scale in fretta e furia. Era da un po' che aveva smesso di prendere la pozione corporeizzante, ma non aveva mai avuto incidenti. Forse era la tensione a giocargli brutti scherzi.

Si chiuse in camera sua per calmarsi. Respirò a fondo, non poteva controllare il suo aspetto nello specchio ovviamente, ma poteva rendersi facilmente conto del suo stato da un'altra imprevista reazione. I canini.

Si erano scoperti nello stesso momento in cui le sue iridi erano diventate rosse, non si era reso conto nemmeno di quello lì per lì, poi Zeno aveva parlato e lui era tornato in sé.

Possibile che fosse diventato così irascibile? Possibile che uno sciocco pensiero superficiale nella mente di un compagno qualunque lo avesse fatto adirare a tal punto da innescare una trasformazione?

Doveva imparare a regolarsi se voleva continuare senza assumere la pozione corporeizzante. In quel momento però non aveva tempo da perdere, avrebbe dovuto pensarci in seguito.

Prese la sua metà della bussola e studiò la superficie incantata, non c'era nessun ago che puntasse verso nord, solo una piccola nube di filamenti argentei che si addensavano al centro del cerchio di simboli incisi sul bordo della bussola.

Armance sfiorò con un dito quel bagliore argentato e i filamenti si sollevarono, prendendo la forma di una sottile corda lucente che levitava per qualche centimetro oltre la bussola. Sembrava che quel filo argenteo si allungasse lentamente.

Non sapendo dove si trovasse esattamente Rocca Tartara, Armance pensò che fosse meglio mettersi subito in viaggio, così aprì la finestra e posò la bussola sul davanzale.

Appena la lasciò andare quella si sollevò e il filo argentato si allungò a perdita d'occhio, molto probabilmente impossibile da vedere per chiunque che non avesse una vista sovrumana come quella di Armance.

Erano quasi le nove, il tempo stringeva, se voleva che tutto funzionasse alla perfezione doveva arrivare entro mezzanotte.

Armance si trasformò in un pipistrello e afferrò la bussola con le zampette, poi si alzò in volo nel cielo notturno, seguendo la traccia argentata fra le ombre e le nubi che popolavano l'oscurità.

Non era semplice capire dove si trovasse, la notte era senza luna ed era più scura che mai, l'unica traccia era il filo argentato, ma non presentava altre indicazioni se non la sua luce.

Quando anche i bagliori delle città sparirono sotto di lui, Armance iniziò ad accusare il freddo del cielo alto e la fatica del lungo volo.

Non aveva mai volato tanto a lungo nella sua forma animale e non capire chiaramente dove si trovasse rendeva le cose ancora più complicate. La voragine di buio che si apriva sopra e sotto di lui era immensa, il cammino interminabile.

Sotto di lui si estendeva il profilo frastagliato dell'Appennino, tra gole, valli e montagne. Alcuni picchi erano innevati, alcuni ricoperti da fitta boscaglia, ma era difficile discernere altro nel nero della notte.

Dopo quelle che dovevano essere diverse ore, lunghe e tenebrose, Armance notò dei picchi avvolti da nubi spesse e dense, dall'aspetto innaturale, il filo argenteo si tuffava proprio lì in mezzo. Planare fra la fitta coltre di nuvole fumose non fu facile, dovevano essere un incantesimo di occultamento agli occhi di chi non possedeva la magia ed erano fitte come fuliggine.

Quando riuscì a sbucare nel cielo aperto, Armance vide sotto di sé il profilo sinistro e austero di Rocca Tartara, il filo diventava più fioco e sbiadito nell'aria, la bussola tremava leggermente, richiamando il suo pezzo mancante.

Armance scese fino alla roccia dietro la quale aveva nascosto l'altra metà della bussola e lasciò che le due parti si ricongiungessero, poi, senza mai riprendere la sua forma umana, afferrò la bussola e la gettò nella gola interminabile che si apriva fra gli speroni di roccia, sperando che si frantumasse per sempre.

Non conosceva tutti i poteri della Bussola Magica e non poteva rischiare di tradirsi riportandola ad Aeternam.

Riprese il volo e puntò dritto ad uno dei torrioni posteriori, verso il tetto della Rocca.

L'orologio sulla porta blindata segnava mezzanotte precisa.

Virgilio guardò il lucernaio. Armance era in ritardo. Doveva iniziare il rituale, passata la mezzanotte non avrebbe più funzionato.

Prese il feticcio che aveva creato e gli legò attorno al collo la treccia di paglia, ripetendo a bassa voce le formule rituali.

Posò il feticcio sul letto e lo colpì tre volte con un dito, proprio sul petto, poi si avvicinò e soffiò delicatamente, facendo agitare l'estremità della treccia di paglia.

Il feticcio iniziò lentamente a crescere nelle dimensioni, intanto la treccia di paglia spariva nella piega fra la testa e il corpo.

Virgilio lanciò un'occhiata alla porta blindata, non si udiva nessun rumore, gli Agenti di guardia avevano cambiato turno circa un'ora prima e chiunque ci fosse in quel momento dall'altra parte del muro non poteva sospettare nulla.

Un lieve picchiettio gli fece alzare lo sguardo, un pipistrello era appollaiato sul lucernario.

Virgilio fece segno di fare silenzio.

Il lucernario poteva essere aperto dall'esterno, questo Virgilio lo sapeva, doveva essere una primordiale misura di sicurezza. Ma nessuno apriva quel lucernario da anni, secoli forse e di certo avrebbe fatto rumore.

Dall'interno Virgilio non poteva usare i suoi poteri di lamia, ma nemmeno poteva fare uso diretto dei poteri magici o sarebbero stati rilevati, con il rituale era stato diverso ma non poteva lanciare incantesimi diretti.

Armance doveva averlo capito perché riprese per un momento la sua forma umana e tirò fuori la bacchetta.
Virgilio gli fece subito cenno di non utilizzarla, la bacchetta era un catalizzatore troppo potente, non sapevano quali sistemi di sicurezza poteva far attivare.

Forse un incantesimo semplice poteva passare inosservato ma non se fatto da una bacchetta.

Armance capì, non era uno sprovveduto, forse non si era posto le stesse domande di Virgilio, ma era arrivato a comprendere che non poteva usare un catalizzatore così vicino ad una prigione di massima sicurezza.

Rinfoderò la bacchetta e si chinò sul lucernario.

Virgilio lo vide mormorare qualcosa, poi Armance afferrò l'anta del lucernario e lo aprì, con non poca fatica. Era completamente arrugginito e l'assenza di suoni, cigolii o scricchiolii era ovviamente dovuta all'incantesimo mormorato da Armance.

Quietum. Senza dubbio, incantesimo del primo anno, sciocco, semplice ed efficace solo sugli oggetti per massimo un'ora, proprio ciò che faceva al caso loro.

Armance si trasformò di nuovo in un pipistrello e planò nella cella.

«Abbiamo poco tempo» disse ritrasformandosi di colpo.

Virgilio gli posò una mano sulla spalla: «Il feticcio si è quasi trasformato, ma dobbiamo assicurarci che le sentinelle non sospettino nulla»

Armance non rispose, era strano, stare in presenza di Virgilio, senza un vetro o un incantesimo a dividerli, senza tensione, senza guardarsi in cagnesco. Vicini, a contatto, alleati...no, complici.

«Armance» sussurrò Virgilio: «Trasformati e nasconditi dietro il letto»

«Cosa vuoi fare?»

«Fidati di me»

Armance non capiva, ma non voleva rischiare di rovinare il piano, così si trasformò e si infilò fra la branda e il muro.

Virgilio lanciò le sue coperte sul feticcio che continuava ad espandersi, sotto le spesse e rigide coperte di lana non era visibile.

«Guardia!» esclamò a gran voce Virgilio.

Nessuno rispose.

«Guardia! Un momento!» disse ancora lui, gridando.

Poco dopo la porta blindata si aprì e un uomo dal viso appuntito si affacciò sulla soglia: «Non c'è bisogno di urlare così!»

«Scusi, è che sembrava non sentirmi...ho finito l'acqua, è possibile averne altra, l'avevo già chiesto prima del pasto, ma m hanno portato il solito bicchiere mezzo vuoto»

La sentinella sbuffò: «Chiederò di mandarne altra dalle cucine. Ma non so quanto ci vorrà»

«Mi trova qui» rispose sarcastico Virgilio.

La guardia sbuffò ancora e richiuse la porta.

Virgilio attese qualche momento, poi si voltò verso la sua branda e scostò le coperte: «Armance, vieni fuori»

Armance tornò in forma umana e osservò lo strano spettacolo che si stava materializzando sul letto di Virgilio. Il feticcio aveva perso il suo aspetto di bambola di carta e aveva preso le stesse esatte sembianze di Virgilio, era perfettamente uguale e sembrava dormire sereno.

«Tra pochi secondi si sveglierà, saprà dire si, no e grazie, saprà rispondere a tono alle sentinelle dicendo che non gli serve nulla o che non ha intenzione di esprimersi e soprattutto sarà in grado di chiedere altra acqua. Dovrebbe restare in piedi per cinque o sei giorni, ci metteranno tanto a capire che sono fuggito e non potranno risalire al giorno o al momento esatto»

«Quindi quando la guardia tornerà...»

«Sì, esatto» Virgilio sorrise soddisfatto, poi si voltò verso Armance: «Ce la fai a portarmi lassù?»

«Certo!»

«Non so, chiedo perché mi sembri pallido, più del solito intendo...»

Armance per tutta risposta si tramutò in un pipistrello e afferrò Virgilio per il maglione consunto, trascinandolo su fino al lucernario con non poca fatica.

In forma animale Armance aveva una forza straordinaria, ma era provato dal lungo volo e dalle numerose trasformazioni.

Sul tetto il vento era sferzante e gelido, Virgilio non sentiva l'aria sul viso da quando era stato portato in isolamento. Per quanto tagliente e ghiacciato, il vento della notte sembrava una carezza della natura.

Armance richiuse il lucernaio, di nuovo non emise alcun rumore.

Virgilio chiuse gli occhi contro il freddo della notte, inspirando a fondo.

«Dobbiamo trovare un posto sicuro per sparire» disse Armance: «Mi stai ascoltando?»

«Sì» Virgilio lo guardò sereno: «Se riusciamo a scavalcare la gola saremo fuori dal raggio d'azione degli incantesimi di difesa, ci penserò io a materializzarci, conosco un luogo sicuro in cui arrivare»

Armance annuì e si trasformò per l'ennesima volta quella notte, sollevando Virgilio e lanciandosi verso la gola vertiginosa, cercando di non precipitarci dentro.

Il peso di Virgilio sembrava essersi triplicato, Armance iniziava ad essere davvero senza forze, quella bottiglia di plasma finita in frantumi gli avrebbe fatto più che comodo. Le sue energie si stavano esaurendo, perfino sbattere le ali era un tormento.

Voleva salire fino al costone della montagna ma le sue forze lo abbandonarono sul primo sperone di roccia oltre la gola, facendoli cadere entrambi rovinosamente a terra.

Armance perse la sua forma animale a causa della stanchezza, faticava perfino a tenersi in piedi.

«Andiamo Armance, non mi puoi morire qui» Virgilio lo tirò su di peso, ancorandolo a sé: «Forza, ci siamo, ce l'abbiamo fatta. Ora ci penso io»

Le scintille della materializzazione si dispersero nel buio della notte.

«Ecco qua, vieni a prendere le tue cose» la sentinella aprì d nuovo la porta blindata ed entrò portando l'acqua e un bicchiere.

Non perse troppo tempo, passò tutto attraverso l'apertura nel vetro, cercando di fare in fretta, perché quel detenuto in particolare non gli piaceva per niente.

«Grazie» rispose dall'altra parte del vetro afferrando la brocca e il bicchiere.

La sentinella alzò lo sguardo solo per un momento. Non gli era mai piaciuta l'espressione beffarda e sicura di quel ragazzo dagli occhi di ghiaccio.

Il peso senza forze di Armance li fece cadere a terra non appena si materializzarono nella destinazione sicura scelta da Virgilio.

La stanza era anonima e semivuota, buia. Armance non la riconosceva e faceva fatica a ragionare in quel momento.

Virgilio voltò la testa e nella direzione in cui guardava un fuoco vivido e alto si accese in un caminetto annerito dal tempo.

La luce delle fiamme rendeva i contorni della stanza più definiti. Armance era così esausto che faceva fatica a vedere nel buio come al solito.

«Dove siamo?»

«Nel Rione Lengheletto, in una casa segreta, non possono trovarci qui, è sorvegliata dai nostri»

«I nostri?» chiese confuso Armance.

«Persone che stanno dalla nostra parte»

«E qual è esattamente...la nostra parte?» Armance si mise a sedere contro il muro, lo sforzo gli sembrò immane.

«Non è il momento di fare discorsi filosofici, stai male, dobbiamo rimediare, da quanto ti senti così?» Virgilio si inginocchiò di fronte ad Armance e gli tastò la fronte, era fredda, ma questo non lo stupiva. Non sembravano esserci segni di alterazioni visibili.

«Prima di venire da te, stasera, si è innescata una trasformazione»

«Cioè?»

Armance si strinse nelle spalle: «Parlavo con un mio compagno di scuola e mi sono...arrabbiato credo, così le mie iridi sono diventate rosse e i miei canini sono usciti fuori»

«Sì, a volte ti succede per la rabbia, me lo ricordo bene...ma perché eri tanto arrabbiato?» Virgilio gli prese la testa, cercando di capire se fosse ancora lucido o se la stanchezza stesse prendendo il sopravvento.

«Non ero così tanto arrabbiato ma...non lo so, il suo cuore batteva così forte e il suo odore era così intenso» Armance chiuse gli occhi per un momento: «È come se riuscissi a sentirlo ancora, quell'odore caldo, così vicino e così...»

Virgilio rise lievemente.

Armance lo guardò con occhi annebbiati: «Che c'è?»

«Le tue iridi stanno diventando rosse»

Armance si sentì mancare, subito cercò di alzarsi.

Virgilio lo fermò e gli posò una mano sull'addome: «Non è rabbia»

Armance percepì con chiarezza i suoi canini che si scoprivano.

«È fame» Virgilio osservò i suoi occhi diventare rossi: «E la fame ci fa provare dolori che nemmeno credevamo di conoscere, hai esaurito le tue energie, non ti era mai successo prima»

«Credi che morirò?»

Virgilio rise di gusto, poi prese di nuovo la testa di Armance fra le mani, delicatamente: «No, certo che no»

Lo sguardo di Virgilio era indecifrabile, ma diverso dal solito, la sua espressione sempre placida e calcolata era fratturata da un'ombra di dubbio, forse timore, ma i suoi occhi erano più vivi che mai.

Armance si sentì tirare lentamente in avanti: «Che fai?»

«Non ti lascio morire, semplice» Virgilio lo lasciò andare e posò la testa sulla sua spalla: «Tu non mi uccidere però»

Armance rimase congelato al suo posto: «Non posso bere il tuo sangue Virgilio...»

«Perché no? È un buon compromesso non credi? Non sono del tutto umano quindi bere il mio sangue non sarà irreparabile per te, ma di sicuro ti rimetterà in forze prima di un litro di plasma sintetico»

Armance non aveva mai morso niente e nessuno nella sua vita, nemmeno un animale, neppure per sbaglio. Aveva sempre e solo bevuto plasma. Sua sorella e suo fratello bevevano plasma, sua madre e suo padre, i loro parenti e non c'era un buon rapporto con i membri più anziani della famiglia che ancora cacciavano cervi e cinghiali per saziarsi di sangue animale.

Armance non era nemmeno sicuro di sapere come mordere qualcosa, o qualcuno, senza prosciugarli.

Come avrebbe fatto a capire quando fermarsi? E se bere del sangue non sintetico gli avesse provocato malessere? Non sapeva nulla di tutto ciò.

«Che aspetti?»

Virgilio non era del tutto umano, ma non era neppure del tutto una Creatura della Notte e da così vicino il suo odore era fin troppo simile a quello che aveva sentito nel Bosco Sacro durante i Saturnalia, troppo simile a quello che aveva sentito su Zeno quella stessa sera, l'odore che cercava di ignorare fra i corridoi e nelle aule da quando aveva smesso di prendere la sua pozione corporeizzante.

«Armance, non avere paura, in fondo so che non mi ucciderai» Virgilio alzò la testa e gli rivolse uno sguardo imperturbabile, disarmante.

Armance passò una mano sulla sua nuca, facendogli piegare leggermente la testa, come poteva farlo? Sarebbe riuscito a tornare indietro? Poteva essere solo per quel momento di emergenza?

Emergenza. Quella era la parola chiave. Non lo stava facendo per divertimento o curiosità o follia, era solo per recuperare le forze, per rimettersi in piedi.

Sua madre e suo padre avevano vissuto in tempi in cui i vampiri beavano sangue animale, sangue umano, eppure erano riusciti a rinunciarvi, cos'era quello in confronto? Una sola volta, una necessità, un'emergenza.

Armance non si rese nemmeno conto che aveva già affondato il naso nell'incavo del collo di Virgilio, l'odore era inebriante, denso, vivo.

Virgilio si aggrappò alle sue spalle, facendosi il più vicino possibile: «Sono certo che ti riprenderai subito» disse calmo.

Il suo tono era sereno, ma il suo cuore aveva accelerato i battiti, Armance lo sentiva come se fosse dentro il suo stesso petto e lo percepiva attraverso la pelle. Non era mai stato così vicino alla pelle di un essere umano.

Aprì la bocca, ma non aveva il coraggio di andare avanti, temeva davvero di non riuscire a fermarsi se avesse affondato di colpo i canini nella carne.

Inspirò profondamente, lasciando che quell'odore caldo lo sopraffacesse, che la vicinanza gli permettesse di abituarsi quanto bastava per non essere pericoloso.

«Fallo Armance» sussurrò Virgilio.

Voleva davvero assaggiare un essere umano, però non voleva ucciderlo nel procedimento. Era così vicino. Armance riusciva a sentire un'ombra di quel sapore ferroso sotto la lingua, sulla pelle, dove l'arteria pulsava sempre più velocemente.

Il corpo di Virgilio venne percorso da un brivido involontario e la sua pelle divenne elettrica per un secondo, Armance non riuscì a resistere e affondò i canini nel suo collo.

Virgilio lo strinse più forte, sicuramente per la sensazione inaspettata, provava dolore? Provava paura? Armance non lo sapeva più e non gli interessava.

L'unica cosa che riusciva a discernere era quel sapore dolciastro e caldo e l'energia che tornava nei suoi arti, che faceva riprendere le sue forze. Sentiva di nuovo tutte le parti del suo corpo, tutti gli angoli della sua mente e aveva la beata sensazione di essere sazio, soddisfatto, appagato.

Le ginocchia di Virgilio cedettero dopo un po' e Armance lo lasciò scivolare contro di lui, continuando a restare attaccato al suo collo.

Dopo poco tornò a sentire l'odore della stanza, il rumore del fuoco e alzò la testa, ansimando ma sentendosi di nuovo se stesso. Ripulì il collo di Virgilio fino all'ultima traccia di sangue, per non lasciarsi sfuggire nemmeno un briciolo di quel sapore meraviglioso.

Quando finì vide che la pelle di Virgilio iniziò a richiudersi sulla ferita e al posto dei fori d'entrata dei canini rimase solo un livido rossastro.

«Com'è possibile?» mormorò Armance.

Virgilio si tirò su tenendosi a lui: «Sono pur sempre per metà lamia, è una nostra specialità»

Armance si sentiva incredibilmente rinvigorito, non era certo di essersi mai sentito così bene, posò la fronte contro quella di Virgilio.

«Chi lo avrebbe mai detto eh Armance?»

«Di certo non io»

«L'anno scorso volevi quasi picchiarmi e invece eccoci qua»

Armance sorrise: «Hai detto che questo posto è sicuro ed è sorvegliato "dai nostri"...cosa fanno i nostri?»

Virgilio prese il suo viso fra le dita: «Cosa facciamo»

«E allora cosa facciamo

«Cambiamo il mondo Armance»

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