Game Of Titans. Ascesa al Par...

By cucchiaia

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0 - I fratelli
1 - La mela verde
2 - Mésa mou
3 - Complementari
4 - Castello di carte
5 - Tredici ore
6 - (H) Frammenti di vita
7 - Sonno profondo
8 - Il sole, la luna, la verità
9 - (A) Il Dio del Caos
10 - La natura umana
11 - Distrazione
12 - (H) Il male minore
13 - Scacco matto
14 - Imparare a ballare sotto la pioggia
14.5 - A H A H A
15 - Il giorno in cui...
16 - ...smise di contare le stelle
17 - (A) La lista di cose che mi pento di aver detto a voce alta
18 - (H) Blu
19 - Le piccole cose
20 - L'Impiccato
21 - (A & H) Tutte le cose che ho chiesto alla vita
21.5 - La Luna
22 - La persona che sei
23 - I ricordi che ci devono
25 (A) - Più grande dell'intero cielo
26 - Il nettare degli Dèi e il veleno degli uomini
27 - È stato incantevole incontrarti
28 (H&H) - Dódeka
29 (H&A) - Il mondo visto dall'alto
30 - (H&A) Ingannatore divino
31 - Tutto quello che accade prima delle tre di notte
32 - Tutto quello che accade dopo le tre di notte / Testa o Cuore?
33 - Se il gioco del labirinto vuoi fare, tre cose devi ricordare...
34 - Il gioco di Artemide
35 - Sette sacrifici
EPILOGO
🌸Game of Desire (Aphrodite Spin-Off)🌸
🍎GOT in libreria, firmacopie e gadget speciale

24 (H) - Il bambino che voleva una famiglia

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By cucchiaia


Nessuna citazione sulla mitologia.
Vorrei, invece, dedicare questo capitolo a tutti i figli che hanno sempre guardato le altre famiglie con invidia, chiedendosi perché non potessero avere anche loro dei genitori presenti. O dei genitori che li trattassero con amore.
A voi. A me.
E, in fine, a mia madre, che colma da anni ogni vuoto che continua a lasciare mio padre.


— I watch the fathers with their little girls
And wonder what I did to deserve this
How could you hurt a little kid?
I can't forget, I can't forgive you
'Cause now I'm scared that
everyone I love will leave me
I was a kid but I wasn't clueless
(Someone who loves you
wouldn't do this)

🍎
H A D E S '
P O V


Aristotele diceva che l'uomo saggio non persegue la felicità, ma l'assenza di dolore. Aristotele era un grandissimo coglione, eppure mi sento di dargli ragione.

La felicità dura poco e neanche te ne accorgi che l'hai provata, non fino a quando è già svanita. L'assenza di dolore la senti, eccome. Lo sai quando non stai soffrendo. Te ne rendi conto e speri con tutto il cuore di non provarlo più.

Se la felicità si trova in ogni angolo della terra, io sono bloccato dentro una rotonda, in un loop infinito.

Non sono mai stato felice, ma ho sempre agito in modo da non provare dolore. Ogni cosa che ho fatto, ogni cosa che ho detto, ogni scelta che ho intrapreso, è stata non per arrivare alla felicità, ma per non provare dolore.

A volte penso che essere stato abbandonato a poche ore dalla mia nascita, sia stato il regalo più generoso che la vita mi ha fatto. Perché è una sofferenza che non ricordo, al contrario di tutte le altre.

Ricordo fugaci momenti in orfanotrofio. Di come gli altri bambini mi stessero alla larga.

Ricordo un viso sfocato, appartenente a una bambina che, invece, giocava con me ed era una grande seccatura. Ricordo anche che non è rimasta a lungo.

Ricordo la prima volta in cui ho visto Crono insieme a Rea, di come mi hanno sorriso e detto: «La vuoi una famiglia, Malakai?»

Ricordo anche il momento in cui ho capito che non sarebbero mai stati la mamma e il papà che tanto desideravo.

Ricordo gli sculaccioni, le urla, i rimproveri, gli schiaffi e le punizioni.

Ricordo le notti passate a ideare piani per scappare da quella casa, per poi realizzare che, là fuori, nel mondo, non c'era posto per me. E forse era meglio appartenere una famiglia, piuttosto che stare da solo.

Ricordo il desiderio di venire abbracciato e accarezzato. Non avevo la pretesa che accadesse ogni giorno, mi bastava una carezza sul viso, di tanto in tanto. Una mano tra i capelli o un bacio sulla fronte.

Non volevo la felicità. Volevo solo meno dolore.

Che poi non provare dolore non significhi necessariamente anche essere felici, è un discorso a parte e una verità molto dura da mandare giù.

La prima cosa che faccio, dopo essermi messo seduto sul letto, è prendere il cellulare e aprire la chat con Heaven. Resto a guardarla per qualche istante di troppo, poi digito un messaggio. Buongiorno. Dormito bene?

Ce l'ho con lei. Ce l'ho a morte con lei per le cose che mi ha detto l'altra sera. Come può non voler andare a fondo della questione e scoprire se ci siamo già conosciuti?

La risposta arriva all'istante. Non pensavo che mi avresti scritto, stamattina. Sei arrabbiato con me?

Mi alzo in piedi, con il telefono in mano e digito veloce. Certo che lo sono. Sono incazzato a morte con te, Haven. Ciò non significa che non mi interessi di come stai.

Sto così, risponde. Passano pochi secondi prima che ne arrivi un altro. E tu?

Blocco lo schermo, non intenzionato ad aggiungere altro. La sua domanda non ha importanza. Cosa dovrei dirle, poi? Che la rabbia mi sta divorando dall'interno e vorrei prendere a pugni i muri?

Non appena metto piede nel mini-salotto e vedo Liam, seduto sul divano, alzo gli occhi al cielo e faccio dietrofront. Una mano mi afferra per la manica della felpa e mi tira, per non farmi andare via.

«Smettila di fare lo stronzo, Diva,» mi sgrida Hermes.

Come al solito, è nudo. Nudo e con la sua caffettiera in mano, fumante. Abbassando lo sguardo mi accorgo che ha il capezzolo sinistro gonfio e rosso come un pomodoro. Non serve che faccia domande.

Herm se lo indica, con una smorfia. «Mi si è rovesciato il caffè sul capezzolo. Ho mandato Athena a comprarmi una pomata in farmacia, dovrebbe essere di ritorno a breve.»

Se solo il mio umore fosse leggermente migliore, sorriderei. «Quando smetterai di bere il caffè dalla caffettiera, e soprattutto appena fatto, queste cose non ti accadranno più.»

Hermes resta immobile, l'espressione pensierosa. Dopodiché prende un sorso di caffè e scrolla le spalle. «Cosa vuoi che sia un'ustione superficiale al capezzolo. Niente di insopportabile.»

«Certo,» lo prendo in giro e lancio un'occhiata al suo petto. «Hai un capezzolo grande quanto una pallina da golf, ma presumo che sia sopportabilissimo.»

Ora anche Liam sta osservando il petto di Hermes, insieme al diretto interessato. «Herm, forse tuo fratello ha ragione. Dieci minuti fa non era così gonfio. Continua a crescere.»

Hermes lo sfiora. «Ho sempre avuto i capezzoli un po' grandi. Diciamo una moneta da mezzo dollaro, ecco.»

Mi fermo con la mano a mezz'aria, in direzione della mia tazza personale. «Ti prego, di nuovo la storia del capezzolo da mezzo dollaro? Basta,» protesto.

«Cosa significa?» Liam è già protesto verso Hermes, interessato come un cane a cui stai mostrando una grossa coscia di prosciutto.

Hermes sorride, felice che qualcuno mostri interesse per uno dei giochi più stupidi che gli abbia mai visto fare. Risale a quando aveva quattordici anni e passò una settimana intera a provare a convincerci a farlo.

Mio fratello raggiunge Liam e tiene la mano a palmo in su. «Dammi tutte le monete che hai. E poi togliti il maglione.»

Liam cerca aiuto in me, che per tutta risposta sollevo le braccia in aria e gli dico silenziosamente di cavarsela da solo. «Non capisco se è un tentativo di rapina o di seduzione. In ogni caso, sono etero, Hermy.»

Hermes sbuffa e agita le dita della mano. «Dammi le monete che hai nel portafoglio e togliti il maglione, coraggio. Ho già tutti i soldi di cui ho bisogno e in questo periodo sono stanco dei maschi.»

Liam esita solo un'ultima volta, dopodiché si solleva appena e fruga nella tasca posteriore dei jeans. Rovescia nel palmo di Hermes tutte le monetine che ha, e con un sospiro si leva il maglione verde acido.

Non pensavo che sarei stato costretto a frequentare Liam Baker così a lungo da arrivare al giorno in cui lo avrei trovato a petto nudo sul mio divano.

In cuor mio, speravo ce lo saremmo levato dalle palle molto prima. Speravo si sarebbe spaventato davanti ai giochi della mia famiglia e ai problemi in cui si è trovato a fare da spettatore. Invece, Liam non demorde. Non ha paura di nulla. Oppure non si è reso conto della gravità della situazione.

«Io misuro i capezzoli con le monete,» annuncia Hermes. Ne prende una da mezzo dollaro e se la poggia sul capezzolo non ustionato. «Vedi? Rientra nel diametro della moneta. Il mio è un capezzolo da mezzo dollaro. Ora vediamo il tuo.»

Ricordo ancora la faccia di Apollo quando entrò in salotto, l'estate di tanti anni fa, e Hermes gli andò incontro dicendogli che voleva scoprire quanto fossero grandi i suoi capezzoli con delle monete in mano. L'unica ad averlo assecondato, ai tempi, è stata Aphrodite.

«La moneta da mezzo dollaro è la più grande, infatti,» continua a dire Hermes, mentre fruga tra le monetine e studia i capezzoli di Liam per trovare la misura corretta. «Trenta millimetri, circa. Tu dovresti essere un... nickel, quasi sicuramente. Ventun millimetri. Proviamo.»

Liam si poggia la moneta sul capezzolo. Non sembra turbato da questa storia, anzi, è più divertito che altro. «È perfetto, direi. Quindi ho un capezzolo da cinque centesimi?»

Hermes lo studia con occhio critico. La sua parola è quella definitiva. Alla fine, annuisce. «Esatto, Liam. La moneta da cinque centesimi racchiude in modo sublime il tuo capezzolo.»

Liam ha ancora la moneta premuta contro la pelle. Sorride. Per quale motivo, poi, non lo so. Ma sono contento che qualcuno di noi riesca a trovare degli attimi di serenità, anche se sono dovuti a stronzate colossali.

«E tu, Hades? Da quanto è il tuo...» le parole gli muoiono in bocca non appena nota l'occhiataccia che gli sto scoccando. «Come non detto, scusa.»

Hermes si rivolge a me, con un'espressione che non promette nulla di buono. «Vogliamo misurare quelli di Piccolo Paradiso?»

L'immagine delle tette di Heaven fa irruzione nella mia testa con prepotenza, e per un po' mi distrae dal risentimento che provo nei suoi confronti.

«Oh, oh,» continua Hermes, fastidioso come sabbia nelle mutande. «A me si gonfia il capezzolo, ma a te si sta per gonfiare altro mi sa...»

Prendo la prima cosa che mi capita sottomano, una bottiglietta d'acqua, e gliela lancio contro. L'oggetto in plastica lo colpisce proprio in testa e rotola a terra, mentre Hermes fa una faccia offesa ed esclama un lamento.

Non ho il tempo di rispondergli a tono, perché la porta della stanza si apre e Athena fa il suo ingresso. In mano ha una busta con il logo della farmacia. Ne estrae una scatoletta rettangolare e bianca, e la agita per aria. «Ecco la tua poma...» Si blocca quando vede Liam a petto nudo. «Dio, ancora questa storia del misurare i capezzoli con le monete?»

Liam è paonazzo in viso. All'inizio penso che sia dovuto all'imbarazzo, poi mi accorgo che sta tenendo in dentro la pancia così tanto da far spuntare il profilo delle costole. «Liam, respira,» gli dico, annoiato. «Anche se avessi gli addominali, a mia sorella piacciono le ragazze.»

Lui si lascia andare e butta fuori un fiotto d'aria. Athena sta sorridendo sotto i baffi, nonostante tutto, e prende posto sulla poltrona. Hermes si spalma la pomata, creando una montagnetta bianca e solida.

Un telefono squilla alle mie spalle; poggiato sul bancone c'è il cellulare di Hermes, inconfondibile vista la cover gialla e in gomma che lo protegge. Poseidon lo sta chiamando, e io non ho la forza di sopportare anche lui stamattina. Così lo porgo a Hermes, che si libera delle monetine restituendole a Liam.

«Ehi, Posy! Che si dice?»

Lo ha messo in vivavoce. «Ciao, Herm. Noi stiamo andando in caffetteria per fare colazione. Ci raggiungete?»

Non ne ho la minima voglia. Ma poi sento la risata di Heaven in sottofondo.
Faccio un cenno d'assenso e Liam mi imita.

«Sì. Stiamo finendo un attimo di misurarci i capezzoli con le monete. Ma poi arriviamo.»

Mi sbatto la mano sulla fronte, prima di ricordarmi che è pur sempre Poseidon la persona a cui lo sta raccontando. Non credo che si scandalizzerà. È lo stesso ragazzo che ha dato un nome a tutti i pesci dell'acquario in Grecia. A quanto pare ha lasciato una nota per Crono e Rea, illustrandogli i nomi che ha scelto. Non l'hanno presa sul ridere, questo è certo. Ma, stando al racconto di mia madre, Crono ha fatto un microscopico sorriso quando ha letto del pesce Robert Plattynson.

«Che cosa? E lo fate senza di me?» esclama Poseidon, neanche gli fosse stato fatto un torto gravissimo. «Zeus, hai delle monete? Devo misurarmi i capezzoli...»

La voce di Zeus arriva più distante. «...piantala con queste puttanate!» E la chiamata si chiude.

Hermes resta a fissare lo schermo, le labbra corrucciate.

Nel momento di confusione, Liam ne approfitta per recuperare i suoi soldi e allungare il braccio verso Athena. «Vuoi misurare il tuo? Giuro che non guardo. Ecco.» Lascia cadere le monete e mette le mani davanti al viso. Poi allarga una piccola fessura tra indice e medio.

Athena sbuffa e accavalla le lunghissime gambe, fasciate da un paio di collant neri. Ai piedi ha dei tacchi vertiginosi, in vernice. «Liam, qualcuno ti ha mai detto che, di questo passo, non conquisterai mai alcuna ragazza? Le tue tecniche di approccio fanno schifo, dici cose inopportune, sei invadente e superi di tanto il limite della decenza. O sei scemo e non lo capisci da solo, o hai paura e lo fai apposta.»

La brutalità del suo discorso, così improvviso e sincero, mi lascia a bocca aperta. Hermes ha la mia stessa identica espressione. «Thena,» la richiama. «Forse non era questo il modo migliore per dirglielo...»

Lei fa sbattere la mano sul bracciolo della poltrona. «Ah, no? Perché quando gliel'ho detto con le buone, non è servito a nulla. Cosa dovrei fare, dunque? Sorridere e annuire mentre mi fissa in attesa che mi misuri i capezzoli davanti a lui?»

Nessuno sa cosa dire. In fondo, ha ragione. Liam è fastidioso. La maggior parte delle volte, il modo in cui si approccia a mia sorella, è divertente. Ma ci sono quelle occasioni in cui mi verrebbe voglia di riempirlo di pugni.

«Posso farvi una confessione?» sussurra Liam, improvvisamente timido.

Hermes si siede accanto a lui. Athena fa un cenno al suo inguine nudo e mio fratello accavalla le gambe per nascondere le sue parti intime.

«Certo,» lo incoraggia, mettendogli una mano sulla spalla.

«Forse vi risulterà difficile da credere, ma io sono... vergine.»

Io e i miei fratelli ci scambiamo degli sguardi rapidi e complici. Athena si schiarisce la gola. «Faremo uno sforzo per crederci, Liam. E quindi?»

«Non ho mai avuto una ragazza,» prosegue, il capo chino come se si vergognasse.

Non ne vedo il motivo. Sono altre le cose per cui dovrebbe imbarazzarsi. Tra queste, l'avere ancora la moneta premuta sul capezzolo.

«Non ho mai avuto nemmeno un primo appuntamento, capite?» Liam sospira e si lascia andare contro lo schienale del divano. «E lo so cosa state pensando. Che è normale, visto il modo in cui mi approccio a loro. Vi do ragione. Ma io sono fatto così, e non posso cambiare. Non voglio cambiare, in realtà. Mi ripeto sempre che prima o poi qualcuno mi apprezzerà per come sono, ma quel qualcuno non arriva mai.»

«Liam, non devi cambiare chi sei, ma solo... contenerlo,» gli dice Athena, più gentile di prima.

«Io non voglio contenermi,» ripete, una nota di fastidio. «È così che le persone si spengono e vivono una vita che non gli appartiene. È così che si muore infelici: fingendo di essere qualcun altro, solo per piacere agli altri. Perché sì, a volte sto male e penso che mi manca avere qualcuno che mi prende per mano e mi dice che mi ama. Ma la maggior parte delle volte penso che io, invece, mi piaccio come sono. E non è forse meglio guardarsi allo specchio e riconoscersi, pur essendo soli, piuttosto che avere qualcuno accanto ma non sapere chi sei diventato?»

«Hai ragione,» bisbiglia Hermes. Nei suoi occhi c'è lo stesso stupore che sono sicuro avere nei miei.

Liam fa spallucce. «D'accordo, può sembrare strano qualche mio comportamento. Scrivo poesie sulle ragazze che mi piacciono. Amo le donne. Al punto che potrei innamorarmi di chiunque, ma non perché sono disperato e mi accontenterei di tutto. Vedo un po' di bellezza in ogni donna che incontro. Bastano delle belle labbra, un taglio particolare degli occhi o anche il banale modo in cui camminano, e per me non esiste alcun difetto su cui dovermi concentrare.»

Segue una smorfia buffa. «Sì, okay, poi magari gioca un ruolo anche l'essere vergine da una vita e non vedere l'ora di scopare, ma...»

La tensione si allenta subito. Ecco il grande pregio di Liam. Inopportuno? Quasi sempre. Sarebbe l'unico capace di risollevare il morale? Molto spesso. Che poi ci provi anche quando non è richiesto e ti fa venir voglia di incollargli le labbra con la colla, è un altro conto.

«Lo so che non ti piaccio e non ti piacerò mai, Athena,» riprende, di nuovo serio. La guarda dritta negli occhi e lei ricambia. «Io scherzo. E mi dispiace se per te sia solo una grande seccatura, per questo ti chiedo scusa. Ma la realtà dei fatti è che ti ammiro tanto, anche se non avrò mai tutto questo amore indietro. Sei bella, così bella che ti starebbe benissimo anche il nome Aphrodite. Sei intelligente, così intelligente che ti lascerei prendere decisioni anche sulla mia vita, certo che faresti la cosa migliore. Hai la corazza inscalfibile, ma il cuore tenero. Sei un blocco di cemento con dentro della gomma piuma.»

Athena inarca un sopracciglio, forse divertita dall'ultima frase. In effetti, il discorso era molto tenero prima che utilizzasse quella metafora.

«Sono strano, imbarazzante, inadeguato, dico spesso cazzate e forse è più probabile che riesca a vendere uno shampoo a un pelato che riesca a conquistare una ragazza, ma... Sono così,» conclude.

Athena fa cenno a Hermes di alzarsi, e lui obbedisce all'istante. Si scambiano di posto, e lei rivolge il corpo in direzione di Liam, in un chiaro trucco psicologico volto a mostrargli apertura. «Posso chiederti di leggermi almeno una o due delle poesie che hai scritto per me? So che ci hai già provato, in passato, ma non ti ho mai prestato attenzione. Tendevo a cancellare il suono della tua voce e concentrarmi su altro.»

Liam arretra. «Questo mi ferisce, un po'.»

«Me le leggi, allora? Le sai a memoria?»

«Cavoli, no, sono tantissime.» Liam si gratta il capo e poi estrae il cellulare. «Per tua fortuna, però, me le porto sempre dietro. Ne ho una copia su un file qui dentro.»

Non vorrei essere indelicato, ma mi viene da chiedere se posso andarmene e risparmiarmi questo spettacolo. Al contrario di Athena, quando Liam si presentava al nostro tavolo e le leggeva le sue poesie, io le ascoltavo. Non erano ciò che si definirebbe un'esperienza piacevole.

Liam traffica con il cellulare per qualche secondo, poi si blocca e tendiamo tutti le orecchie, in ascolto. «Dolce Athena, di certo non ti paragonerei a una balena. Sicuramente, nemmeno a una iena. Ma neanche a una bellissima sirena, perché non avresti le gambe. E allora come farei a...»

«Liam,» lo interrompe Hermes. «Stiamo provando a difenderti. Non ci rendi il compito facile, così.»

Athena non sembra infastidita. Anzi, gli posa una mano sul braccio e lo richiama all'attenzione. «Non voglio quelle stupide. E so che sono tante. Ma so anche che ce n'è qualcuna seria, o sbaglio? Leggimene una. Solo una, Liam. Mostrami che, in fondo, ho fatto bene a non averti mai dato un pugno, convinta che ci fosse molto di più in te.»

Avrei da ribattere, ma oggi decido di concedermi il beneficio del dubbio. Perciò attendo, insieme ai miei fratelli. Liam scorre con il dito e si ferma a un punto preciso. Ora sembra molto più a disagio. È proprio strano questo ragazzo. Si imbarazza per le cose sbagliate.

«"Se mi chiedessero di inventare una nuova nota musicale, le darei il suono della tua voce. Se mi chiedessero di inventare un nuovo colore, sceglierei quello delle tue iridi quando vengono illuminate dal sole. Se mi chiedessero di inventare un nuovo profumo, non saprei cosa fare, perché non mi sei mai stata abbastanza vicina da permettermi di sentire l'odore della tua pelle."»

«Cazzo,» mi sfugge.

«Sottoscrivo le sagge parole della Diva,» commenta Hermes.

Liam blocca lo schermo del telefono e lo nasconde tra il lato della coscia e il divano. «Sì, insomma, ennesima volta in cui mi rendo ridicolo e...»

Athena gli afferra la mano, gesto che zittisce lui e fa trattenere il respiro a me. Hermes si gode la scena come se fosse la puntata di una serie tv. «Vuoi saperli due segreti, Liam?»

Lui annuisce, inespressivo, forse spaventato da quello che sentirà.

«Quest'ultima poesia era bellissima,» gli dice con dolcezza. Ma poi si avvicina a lui, fino ad accostare la bocca al suo orecchio. Mette la mano davanti, per evitare che Hermes legga il labiale, e gli sussurra qualcosa a me inudibile. Qualunque cosa sia, fa spuntare sul viso di Liam un sorriso enorme.

«Davvero?» le chiede.

Athena scioglie la presa e si stacca da lui. «Sono sincera, Liam, ma non montarti la testa. E soprattutto non dirlo mai a nessuno. Nessuno,» calca sulla parola con tono minaccioso.

Io conosco Athena e so che non sta scherzando, cosa che Liam non può sapere, invece. Ridacchia e le dà una gomitata amichevole. «Altrimenti?»

Lei rimane seria. «Ti smonto gambe e braccia e te le scambio di posto.»

Liam sbianca e scivola fino all'estremo del divano. «Okay, scusa.»

🍎

Sono le otto e un quarto quando faccio strisciare la sedia sul pavimento e attiro l'attenzione di tutti i presenti, al tavolo della caffetteria. Raccatto il borsone da terra e lo metto in spalla. Di un solo paio di occhi mi interessa, però. Non sono dello stesso colore e appartengono alla ragazza che sto cercando in ogni modo di non guardare.

«Te ne vai già?» A chiedermelo non è Heaven. È Hera, incuriosita e con un boccone di pollo a mezz'aria.

«È venerdì. E ci sono i giochi di Athena,» le spiega Hermes a bocca piena. «La Diva deve prepararsi. Anche quando scazzotta ha bisogno di truccarsi e vestirsi bene.»

I giochi iniziano alle dieci, in una delle palestre del piano di sotto. Mi sembra passata un'infinità di tempo dall'ultima volta in cui ho giocato. E, in effetti, è così. L'ultima volta che si sono tenuti i giochi di Athena, ho dovuto lottare con Heaven. L'ho aiutata a vincere e poi mi sono preso un bel po' di pugni da Apollo.

«Possiamo venire ad assistere?» chiede Poseidon.
Mi stringo nelle spalle. «Fate come vi pare.»

«È di buon umore, oggi, eh? Cosa gli è successo? Commenti negativi sul blog tumblr?» Poseidon si rivolge a bassa voce a Hermes, non credo si renda conto che posso sentirlo chiaro e forte.

Hermes è scemo quanto lui. Mi guarda negli occhi mentre risponde. «Non lo so. L'altra sera gli ho lasciato tre preservativi. Stamattina ho visto che ne è avanzato uno. Forse le cose con Haven non vanno benissimo.»

Al sentire il suo nome, il mio sguardo vola proprio su di lei. Ha i capelli legati con la sua solita matita, acconciatura che mi ha fatto impazzire dal primo momento in cui gliel'ho vista. Due ciuffi le ricadono davanti, sfuggendo al resto della chioma, ben saldo dietro la nuca. Non ha un filo di trucco e le occhiaie sono ben evidenti, segno che forse ha passato una notte di merda come me.

Anche lei mi guarda. E le sue labbra si dischiudono, forse per dirmi qualcosa, o forse mi sto facendo troppi viaggi mentali io. Alla fine, non esce alcun suono.

Non abbiamo avuto ancora l'occasione di stare soli e parlare con calma. Conto sul mettere ko gli invitati ai giochi in un'ora massimo, così da poter andare da lei e urlarle contro e baciarla. L'ordine è casuale.

«Anche voi vi state chiedendo se hanno litigato?» irrompe la voce di Liam.

Qualcuno borbotta. Haven abbassa il capo e persino io mi sento in imbarazzo per la sua osservazione troppo invadente. Mi volto in direzione di Ares, perché so già che ne approfitterà per fare qualche battuta di merda. "Certo che hanno litigato: Hades non la sculaccia a letto."

Invece, Ares non ci sta prestando attenzione. Almeno credo. Ha il capo rivolto a sinistra e lo sguardo fisso su qualcosa. Forse... qualcuno? Cerco di seguirne la traiettoria, e dopo un ragionamento veloce, escludo tutti i tavoli tranne uno. Quello in cui, tra le varie persone, è seduta la loro vicina di stanza. Hel. In una marea di volti anonimi, lei spicca come un piccolo diamante, con i suoi capelli cortissimi e sbarazzini, che oggi deve aver rinunciato a pettinare. Ride di buon gusto, con la testa piegata all'indietro.

Sorrido sotto i baffi. Sono felice che cominci a guardare ragazze che non siano la mia. Sia perché Ares è come me, e so cosa prova, sia perché Heaven è affare mio e se lo avessi sentito ancora una volta proporle di sculacciarla, lo avrei appeso al muro.

Heaven non mi guarda più. Controlla qualcosa sul telefono, ma la conosco abbastanza da sapere che è solo finzione. Perciò me ne vado, senza salutare, e mi fermo accanto alle porte d'uscita. Da qui, riesco ancora a vederla.

Le scrivo un messaggio. Vieni con me.

Mi accorgo del momento preciso in cui lo legge. È stupita. Crede che ce l'abbia così tanto con lei da non volerle nemmeno parlare. Se solo non avessi deciso di non fare il sottone, questa volta, attraverserei di nuovo tutta la sala e la bacerei.

Sorride guardando lo schermo.

Sei un po' ridicola, lì seduta a sorridere al telefono, aggiungo.

Heaven si imbroncia e solleva la testa di scatto. Probabilmente era convinta che me ne fossi già andato. Mi cerca per tutta la caffetteria gremita di studenti. Quando mi trova, fa una smorfia di fastidio per il mio messaggio.

Nell'istante in cui si alza, decido di uscire. So che mi raggiungerà senza problemi. Inizio a camminare, e a metà corridoio volto il capo per accertarmi che sia dietro di me. Vedo le sue scarpe a qualche metro di distanza e trattengo il compiacimento.

Per quanto mi fossi ripromesso di non fare il sottone, non riesco a non rallentare fino a fermarmi. La aspetto, e quando mi è accanto adeguo il mio passo al suo. Sono ancora arrabbiato e ferito, ma non mi piace starle davanti.

Non parliamo. C'è un pizzico di tensione tra di noi e fin troppa distanza tra i nostri corpi; tengo i denti serrati per tutto il tragitto fino al piano di sotto, per gli atleti. Procediamo fino in fondo al corridoio e spalanco l'ultima porta, facendo entrare prima lei.

Le luci sono già accese e il ring è pronto. Le sedie sono ancora da sistemare, ma è un lavoro di cui si occupano gli altri, non io. Prima che Heaven possa andare a sedersi lì, le circondo il polso e la dirotto verso una porta all'angolo sinistro della stanza. Gli spogliatoi.

Lascio cadere il borsone a terra e mi chino per far scorrere la zip. Heaven si siede su una panca, e resta a fissarmi. Quando mi tolgo il maglione e resto a petto nudo, i suoi occhi si spalancano per un breve istante. Calcio via anche le scarpe e sbottono i pantaloni. Ripiego i vestiti e recupero dalla borsa quelli con cui lotto. Un semplice pantalone nero e delle scarpe più comode.

Per ultime, prendo solo due cose. La trousse con i miei trucchi e una scatolina nera. Heaven si protende in avanti, con la fronte corrugata. O non vede bene o ha visto e non si capacita di cosa mi sia portato dietro.

«Una tinta per capelli...» mormora. «Rossa?»

Abbozzo un sorriso e agito la scatola. «Sono stanco dei capelli bianchi. E tu stessa mi avevi consigliato di farli rossi. Perciò...» Vado a sistemarmi in corrispondenza dello specchio rettangolare e indico la panca sotto la quale è seduta. «Ti dispiace spostare il culetto da lì così che possa portarla davanti allo specchio?»

Heaven quasi fa un balzo mettendosi in piedi. Quando prova a sollevare la panca da sola, emette un verso di fatica e comincia a trascinarla nella mia direzione. La scena è buffa, e per quanto vorrei restare a godermela, le vado incontro. Aggancio le mani al centro della panca e gliela tolgo di mano, sollevandola da terra senza sforzo. La sistemo davanti allo specchio e mi ci siedo.

Batto con la mano sul posto accanto a me. «Vieni?»

Heaven annuisce. Si sistema in ginocchio sulla panca, davanti a me, e attende che io apra la scatola della tinta e prepari il flaconcino. Mentre lo agito per miscelare il decolorante e il colore, lei si infila i guanti e inforca la spatolina. Per dieci minuti restiamo in silenzio; Heaven stende il rosso sui miei capelli, con una precisione e una cura che osservo di tanto in tanto nel riflesso sullo specchio.

Il suo corpo, così vicino al mio, emana calore e il suo tipico profumo che mi fa impazzire. Continuo a ripetermi di non fare il sottone, continuo a ripetere la conversazione dell'altra notte, e cerco di andare avanti senza toccarla. Ma poi lei mi fa piegare il capo di lato e si morde il labbro, e io non resisto più. La afferro per la vita e affondo le dita sulla pelle morbida dei suoi fianchi, sotto la maglia. Heaven sussulta, ma non dice nulla. Sfrego i polpastrelli su di lei e la guardo dal basso, conscio di avere l'espressione di un idiota.

«Ti stai godendo la visione dei miei doppi menti, da quell'angolazione?» mi domanda. Ha quasi finito di stendere il colore.

Non ci avevo fatto caso, ma ora che li ha nominati, li vedo. Mi trattengo dal ridere. Libero una mano dal suo corpo e vado a toccargliene uno. Heaven non si ritrae ma rotea gli occhi al cielo.

«Sei davvero bellissima,» le dico.

«Quindi non ce l'hai più con me?»

Mi inumidisco le labbra. Lo sguardo mi cade sul suo petto, così vicino al mio collo e a portata della mia bocca. «Mi fai incazzare tanto quanto mi fai venir voglia di farti sdraiare su questa panca a gambe aperte.»

«Ottimo,» commenta. Si allontana per darmi un'occhiata generale. «Ho finito. Dovrebbe restare in posa mezz'ora.»

Si toglie i guanti e li ripone dentro la confezione della tinta, insieme alla spatolina. Dopodiché si siede davanti a me, a gambe divaricate.

Allungo le mani fino alle sue ginocchia, e a palmo aperto le faccio scorrere per tutta la lunghezza delle sue cosce. Mi fermo a pochi millimetri dal basso ventre. «Sto aspettando che tu ti scusi per le frasi del cazzo che mi hai detto ieri, Heaven.»

Lei trasalisce sotto il mio tocco. «Hades.»

Rimango in attesa, prima di capire che non aggiungerà altro. «Sì, è il mio nome, grazie per l'informazione inutile. Ora puoi pure andare avanti.»

Serra la mascella e volta il capo di lato, verso lo specchio. Mi giro anche io, solo per catturare i suoi occhi nel riflesso. Non può sfuggirmi, e non le permetterò di farlo. Dovessi restare chiuso dentro questo spogliatoio fino a domattina.

«Possibile che sia così importante, per te, sapere se ci siamo già conosciuti da bambini?» sussurra. «Lo è, Hades? Cambia qualcosa nel nostro rapporto? Mi ameresti di più?»

Dio. Ora la faccio alzare, uscire dalla stanza e poi lancio la panca contro lo specchio.

Stringo le mani in due pugni, sopra le sue cosce e conto fino a venti prima di prendere un respiro profondo e parlare.

«Quando avevo undici anni, rubai una tavoletta di cioccolato dalla cucina, nonostante i miei genitori ci raccomandassero sempre di non prendere il cibo fuori dai pasti. Soprattutto quelli con tanti zuccheri. Ma io adoravo il cioccolato. Pensa che non lo avevo mai provato prima di andare a vivere con loro. In orfanotrofio non ce lo davano mica,» mi fermo e deglutisco il groppo che mi si è già formato in gola. «Crono lo scoprì, ovviamente. Non l'avevo ancora toccata, in realtà, ma lui mi fece rimanere in piedi, nel corridoio, e mi intimò di mangiarla tutta. Un'intera tavoletta in pochi minuti. Quando la finì, mi prese per il gomito e mi portò nella mia stanza. Mi diede uno schiaffo così forte che caddi a terra, sbattei la testa e persi i sensi. Mi risvegliai ore dopo. Ero chiuso a chiave dentro la mia camera da letto. Bussai con i pugni, chiamai i miei fratelli, ma nemmeno loro potevano fare qualcosa. Crono mi lasciò chiuso lì dentro per quasi un giorno, senza darmi cibo. Potevo sopravvivere con l'acqua del rubinetto nel mio bagno. Non ho più mangiato cioccolata.»

Il volto di Heaven è distorto in un'espressione di dolore. Vorrei non averglielo raccontato. Vorrei non raccontarle nulla della miseria che è stata la mia vita, perché la rattrista sempre e io non voglio che stia male per me.

«Lo ricordo bene. Così come ricordo tanti altri episodi, dall'infanzia all'adolescenza, in cui i miei genitori mi hanno punito e maltrattato, in nome di una buona educazione e dell'amore. Ogni cosa brutta, la ricordo come se l'avessi vissuta ieri.»

«Una persona che ti ama non ti farebbe mai questo,» mormora lei.

Annuisco. Ci ho messo davvero tanto a capirlo. All'inizio credevo che fossero fatti così, che esistessero tanti tipi di genitori e che, forse, quelli che ti amano come nei film sono, appunto, solo finzione.

«Ho pochi ricordi felici, piccoli momenti di pace con i miei fratelli,» riprendo. È doveroso saper riconoscere anche le cose belle che mi sono successe, seppur poche e in mezzo a tanto dolore. «Ma non riesco mai a concentrarmi più su quelli che sugli altri.»

Heaven porta una mano sul mio viso, nella parte sinistra con la cicatrice. La accarezza per un po', dopodiché aggiunge una seconda mano, nel lato destro, come se non volesse trascurare niente.

«È importante, per me, sapere se ho dei ricordi con te che mi hanno portato via, sì. Cambia tutto, Heaven. Perché ho solo ricordi brutti della mia vita passata, e scoprire se ti ho conosciuta in orfanotrofio mi farebbe provare meno rabbia nei confronti della vita. Mi farebbe realizzare che qualcosa di bello me lo ha dato. Perché sono certo che i ricordi con te siano felici. Lo sono, Heaven, e io li voglio. Voglio pensare alla mia infanzia e poter dire "almeno c'era lei, non è stato tutto brutto. Non ho vissuto solo tra un'assenza di dolore e l'altra, ma sono passato anche per fugaci intervalli di felicità". Ecco perché ci tengo. Ecco perché sentirti dire che ci penseremo più avanti fa più male di tutti i colpi che ho preso.»

I suoi occhi eterocromi sono lucidi. Mi sento uno schifo. Sto per farla piangere. Trattiene le lacrime, come se avesse capito che mi farebbe sentire in colpa.

Nonostante la tinta fresca sui capelli, poggia la sua fronte contro la mia. «Un giorno capirai, Hades, te lo prometto.»

«Anche tu un giorno capirai che puoi essere egoista, ogni tanto,» ribatto, la rabbia che cerca di farsi spazio in me. «Se, per qualche giorno, non ti tormenti con i sensi di colpa per tuo fratello in coma o non pensi a un modo per aiutare tuo padre con i debiti, non crolla il mondo.»

Heaven non risponde, ma scuote la testa, ancora poggiata contro la mia. Si tortura il labbro, i denti affondano nella carne con una forza che temo inizierà a uscire del sangue.

«Non ti renderebbe felice sapere la verità?» insisto.

«Sì,» risponde senza esitazione. «Ma proteggere te viene prima,» aggiunge in un sussurro così flebile che non sono sicuro abbia davvero detto queste parole.

Non ce la faccio più a tentare di convincerla. Più ci provo, più lei oppone resistenza e più il mio risentimento cresce. Mi alzo dalla panca ed entro nello stanzino adiacente, con i lavandini e le docce. Non sono sicuro che sia passata mezz'ora dall'applicazione della tinta, e non me ne frega un cazzo. Apro il getto dell'acqua e mi sciacquo via il colore. Essendo bianchi e decolorati, la tinta ha attaccato comunque.

Mi osservo per qualche secondo sul piccolo specchio e faccio una smorfia. Mi stanno davvero bene tutti i colori, è incredibile.

Heaven è ancora seduta sulla panca. Non ho voglia di discutere ancora. Ma vorrei parlare con lei. Non riesco a guardarla in faccia, per quanto mi sta ferendo. Ma non voglio nemmeno che se ne vada.

Indico la trousse. «Lì ci sono i miei trucchi.»

Lei segue il punto che sto indicando. Aggrotta la fronte. «E...?»

Riprendo posto, seduto. «Vorrei che mi truccassi tu per l'incontro.»

La lascio senza parole. Non ne capisco il motivo. Forse non si è ancora resa conto di quanto sia un patetico sottone per lei.

«Credevo che...»

«Sono arrabbiato con te, sì,» la precedo. «Ma vorrei che mi truccassi. Siediti qui, in braccio a me, e disegna quello che vuoi sul mio viso. Mi fido di te.»
Sempre e comunque.

Forse c'è un motivo per il quale non vuole indagare sul nostro passato. Qualcuno la minaccia? Ma perché dargli retta? L'ho vista affrontare cose peggiori, opporsi a situazioni molto più gravi. Quale ricatto, questa volta, è così grande da farla retrocedere?

Heaven estrae tutti i miei trucchi dalla trousse e li studia con attenzione, prima di prendere i pennelli e iniziare con il suo operato. Decido di tenere gli occhi chiusi per tutto il tempo, perché se vedessi i colori che sta usando riuscirei a capire quale look ha scelto per me. Voglio che sia una sorpresa. Come lo è stato scoprire, davanti allo specchio, che sa disegnare bene.

Dopo un po', sento una spugnetta picchiettare sulle mie clavicole e spostarsi sulla spalla. Abbasso il capo, troppo curioso. Heaven sta applicando dei brillantini argentati e azzurri su alcune zone chiave del mio addome. Mi fa girare di fianco, quello sinistro, per coprirci anche la cicatrice, che ora è una lunga linea brillante. Come ultimo step, mi spruzza addosso il fissante per il trucco.

«Finito.»

Mi guardo allo specchio. La prima reazione che ho è quella di sorridere. Heaven non si trucca mai, ma da quello che ha disegnato sul mio viso sembra che lo faccia di nascosto ogni giorno.

La base è bianca e pallida, come quella di un teschio.Le zone che dovrebbero essere nere, sono blu cobalto e brillantinate. Si è ricordata che il blu è il mio colore preferito e ha ricreato un teschio bianco e blu. Con l'aggiunta di brillantini.

«Ti piace? Sei in silenzio da troppo e non capisco...» dice lei, una punta di nervosismo nella voce. «Posso toglierti tutto e rifare una cosa più semplice.»

Mi alzo in piedi e la afferro di slancio per i fianchi, facendo aderire i nostri corpi. Lei emette un verso di sorpresa e piega il collo all'indietro, in modo da potermi guardare negli occhi. «Smettila,» la sgrido. «Mi piace tantissimo. Grazie.»

Heaven sorride, il primo sorriso felice che le vedo fare da stamattina. Il mio cuore singhiozza dall'emozione.

Le afferro il viso e la attiro a me, fermandomi però a pochi millimetri dalla sua bocca. «Sappi che ti bacerei, se solo non avessi rispetto del lavoro che hai fatto con il trucco nel mio viso.»

«Ho messo il fissante,» mormora, gli occhi fermi sulla mia bocca, segno che lo vuole tanto quanto me. «Baciami comunque. Se va via, te lo ritocco.»

Ghigno e le faccio una finta. Mi avvicino per baciarla, ma poi mi sposto e mi riallontano, lasciandola con un'espressione sconvolta. «C'è un altro motivo per cui non lo faccio: oggi mi sono ripromesso di non fare il sottone, con te. Quindi, niente baci.»

Mi stacco definitivamente da lei, che è troppo sorpresa per opporre resistenza e riavvicinarmi a sé. «Be', posso essere io la sottona, allora?»

Le do le spalle per nasconderle una risata silenziosa, mentre rimetto a posto le palette di ombretti e gli altri trucchi che ha usato. Lancio la trousse dentro il borsone, centrandolo. I capelli sono ancora bagnati, ma non mi interessa. Questione di altri minuti e saranno a posto.

«No. Te l'ho detto: oggi ho questa regola.»

Heaven fa per ribattere, ma qualcuno compare sulla soglia della porta. Athena, anche lei con abiti diversi e più formali, ci studia per qualche secondo prima di parlare. «I giochi cominciano tra cinque minuti. Haven, vai tra il pubblico con Herm e gli altri. Hades...»

Annuisco. Non c'è bisogno che mi dica altro. So come funziona.

Athena fissa i miei capelli. «Perché ti sei... Lasciamo stare. Ho smesso di fare domande ai membri di questa famiglia.»

Ci volte le spalle e se ne va, tanto veloce quanto era comparsa. L'unico rumore che ci giunge è quello della porta che si apre e del pubblico di studenti che si riversa dentro la palestra.

Cammino fino all'ingresso dello spogliatoio e mi poggio al muro, a braccia conserte. Con il capo le indico di uscire. «Fai il tifo per me, mi raccomando.»

Heaven mi raggiunge e si ferma davanti a me, in punta di piedi. Io abbasso il capo, con una vaga idea di cosa voglia fare. Mi lascia un bacio sulla fronte, a fior di labbra, così dolce che ho la tentazione di ricambiarlo. Di annullare i giochi e portarmela in stanza, per poi buttarla nel mio letto e chiudere la porta a chiave. E magari bloccare la porta d'ingresso, per non far entrare quegli scassacoglioni di Hermes e Liam.

«In bocca al lupo, Diva.»

Alzo gli occhi al cielo e mi concedo di darle una pacca sul sedere. «Vattene ora, peste rompicoglioni.»

Gli invitati ai giochi di Athena sono solo tre ragazzi, cosa che mi lascia stupito. Athena ne ha sempre invitati tredici, da tradizione. Non ha mai avuto problemi a trovare studenti che le stessero sul cazzo o che avessero fatto qualcosa di sbagliato.

Il primo è uno studente al terzo anno di filosofia, con i capelli ricci e neri, smilzo. Metterlo al tappeto è così semplice che provo io imbarazzo per lui. Devono portarlo giù dal ring di peso, con il naso sanguinante e mezzo incosciente. Il secondo è uno studente del primo anno, basso quanto Heaven, ma con il corpo tozzo e muscoloso. Riesce a darmi un pugno sullo stomaco, ma non a farmi male. Lo ribalto per aria e lo faccio sbattere con la schiena contro il pavimento del ring. Potrebbe rialzarsi, lo so, ma sceglie di arrendersi e restare immobile mentre Athena conta fino a tre e mi dichiara vincitore.

Heaven è in prima fila, alla mia sinistra, seduta tra Hermes e Poseidon. Zeus sta dietro di loro, con Hera. Ha l'espressione di chi vorrebbe essere da tutt'altra parte. Non è il tipo che apprezza gli sport così fisici o i giochi che non richiedano l'uso del cervello. Questo perché non capisce che la lotta non è solo movimenti corporei, ma anche ragionamento. Senza quello, non sopravvivi. Non basta la forza bruta.

Liam, accanto a Hermes, si mangia le unghie, spaventato. Ogni tanto mio fratello gli dà qualche pacca per rassicurarlo.

Mi concedo un'ultima occhiata a Heaven. Non ha più l'espressione trionfante, anzi, sembra... preoccupata. Guarda il ring, ma non me. Mi giro, confuso, e mi ritrovo davanti due contendenti, non uno.

«Che significa?» domando. «Ce n'erano tre.»

Li osservo meglio. Sono due gemelli. Identici. Entrambi con i capelli rasati e gli occhi neri. Anche loro, come me, non portano alcuna maglia. Hanno decisamente più muscoli, ma non è nulla di cui preoccuparsi. In genere, i bestioni muscolosi sono i più inoffensivi perché non usano la testa.

Athena prova a intervenire. «Ho invitato solo Igor, non anche il gemello. Devi andartene, tu.»

Il diretto interessato sorride, provocatorio. «Ah, sì? Tuo fratello non è abbastanza forte da affrontare entrambi?»

«Hades...»

La zittisco. «Scendi dal ring. Me la cavo con entrambi.» Non voglio che stia qui, in mezzo alla lotta con due scimmioni pompati di steroidi, probabilmente. Rischierebbe di farsi male. Per quanto Athena sia agile, non ha la stessa forza di noi.

L'incontro inizia. E inizia bene, per me. Nonostante siano in due, riesco a buttare a terra l'imbucato in modo da poter servire una successione rapida di pugni, in faccia a Igor. Quando l'altro si è ripreso, mi allontano con un balzo e mi stanzio dalla parte opposta alla loro.

Ho il fiatone e i muscoli delle braccia doloranti. La faccia di Igor sembra fatta di cemento, non di carne e ossa come quella di un comune mortale. Mentre riprendo fiato e li osservo avanzare, capisco la loro tattica. Fare in modo di essere ultimi e sfinirmi con qualche colpo, per poi attaccare e fottermi.

Mi accorgo di una cosa ancora più importante. Sono sotto effetto di droghe. Non esiste che riesca a batterli. Mi sfiniranno.

Cazzo. Cazzo. E porca puttana.

È Igor a fare il primo scatto. Il suo pugno mi manca per pochissimo, sento l'aria sibilare accanto al mio viso. Scivolo di lato, ma il calcio del gemello mi colpisce lo stinco. Gemo dal dolore, cercando di farlo a voce non troppo alta, e rotolo il più lontano possibile da loro.

Balzo in piedi e mi tuffo in mezzo ai gemelli. Do una gomitata a uno, e uso lo slancio per colpire con un pugno l'altro. Non li manco, ma i miei colpi hanno perso efficacia. Non lotto da molto e sono già sfinito. E loro sono sovreccitati dalle sostanze stupefacenti.

Igor mi mette una mano attorno al collo e stringe, facendomi mancare l'aria. Gli assesto un calcio sul basso ventre e lui allenta la presa. Ma il gemello è già pronto a compensare.

Mi volto in tempo per vederlo caricare il pugno. E per notare una figura salire sul ring, alle sue spalle. Non ho il tempo di urlare "no", in preda al terrore.

Heaven preme le mani sulle spalle del gemello e lo fa girare, preso in contropiede. Lo usa per darsi lo slancio necessario ad assestargli una ginocchiata sull'osso sacro. Lui urla di dolore e cade in avanti; Heaven gli dà un'ulteriore spinta, e il bestione crolla sul ring, con metà corpo dentro e metà fuori, in mezzo ai cordoni elastici.

«Scendi subito da qui!» le ordino, furioso. «Ti farai male!»

E, neanche a farlo apposta, mi arriva un pugno sulla schiena. Mi fa piegare in avanti e quasi crollare addosso a Heaven. Si scansa in tempo, e mi mormora delle scuse. Sbatto la guancia contro il pavimento del ring e mi giro all'istante.

Non importa quanto senta dolore, devo lottare io con Igor. Non posso permettere che metta le sue manone addosso alla mia ragazza.

Quando mi volto, però, rimango a bocca aperta. Athena è seduta sulle spalle di Igor e gli stringe il viso con le mani, in una morsa che lo rende cieco, mentre Heaven lo tempesta di pugni sulla pancia.

Le due fanno una pausa, che deduco sia solo per comunicare con una sola occhiata la loro prossima mossa. Athena si tuffa, letteralmente, dalle spalle di Igor e atterra accanto a Heaven. Lui ha pochi secondi per metterle a fuoco e comprendere chi gli stia dando una bella lezione.

Athena, più agile, lo colpisce con un calcio al petto e in contemporanea Heaven gliene dà uno agli stinchi, facendolo crollare in ginocchio e all'indietro. Lui, al contrario del fratello, finisce fuori dal ring, in mezzo agli studenti.

Nessuno dei due si rialza.

Il pubblico esulta. Invece che gridare il mio nome, come sono abituato, urla quelli di Heaven e di Athena. Le due si prendono la mano e sollevano le braccia in aria, autoproclamandosi vincitrici a vicenda.

Mi ritrovo a sorridere, ancora mezzo dolorante. Le mie donne.

È Heaven a farmi accorgere di essere ancora steso per terra. Mi raggiunge e mi tende la mano, che accetto volentieri. Mi alzo comunque da solo, senza far affidamento sul suo corpo.

La attiro a me, sfruttando le nostre dita intrecciate. «Mi hai salvato il culo.»

Sorride, soddisfatta, e il modo in cui è così fiera di sé mi fa sciogliere il cuore. «Un altro giorno, li avresti battuti senza problemi. Si vedeva che eri stanco e anche un po' assente.»

«Ciò non toglie che sei stata bravissima. Non trovare giustificazioni.»

Gli studenti, attorno a noi, schiamazzano e spostano le sedie, pronti ad andarsene. Non mi preoccupo di guardare cosa stiano facendo i miei fratelli e i miei cugini. Ho occhi solo per Heaven.

E sto per infrangere la mia regola del non essere sottone, troppo attirato dalla sua bocca rosea e dal ricordo di quanto sia morbida e dolce. Lei sembra capirlo e si avvicina, per tentarmi ancora di più. Si mette in punta di piedi e accosta le labbra al mio orecchio. «Vai a cambiarti. Ti aspetto qui fuori.»

Non so se sia una promessa o solo un modo per prendermi in giro, ma lo faccio. Tutta la famiglia Lively più Liam è sul ring, adesso. Zeus è sempre più disgustato dai nostri giochi, Ares invece solleva entrambe le sopracciglia e so già che sta per farmi incazzare.

«Con tutti quei glitter sembri Lady Gaga.»

«Scommetti che se ti affronto adesso, le prendi tu?»

Ares fa un passo indietro. «Calmo. Ti stavo solo prendendo per il culo. Non volevo sfidarti.»

Gli passo accanto, divertito. Non so se saremo mai amici, ma forse un giorno riusciremo ad andare d'accordo. Sono pronto a mettere da parte tutte le battute e i tentativi di rimorchio nei confronti di Heaven, per avere un rapporto decente. Soprattutto perché qualcosa mi dice che non tornerà a Stanford. Nemmeno quando la situazione del labirinto con Crono si sarà risolta.

Mi precipito dentro lo spogliatoio. C'è ancora la luce accesa. Dovrei struccarmi, come minimo, e togliermi tutti i glitter di dosso, ma ho bisogno di raggiungere Heaven il prima possibile. Forse ha cambiato idea e vuole scoprire tutto: cosa ci hanno tenuto nascosto e se abbiamo dei ricordi soppressi.

Perso tra le mie speranze, noto in ritardo un nuovo oggetto, adagiato sulla panca. È una tavoletta di cioccolato fondente, intatta. C'è un bigliettino accanto. Per il bambino che ama la cioccolata.

Sorrido così forte che quasi mi fanno male i muscoli facciali.

Quella ragazza. La amo da morire.

☁️☁️☁️☁️

Mi è piaciuto tanto scrivere questo capitolo. Credo che sia uno dei miei preferiti. Sia perché sono sensibile quando si parla di genitori assenti, sia perché Athena e Haven che scazzottano e salvano Hades mi ha gasata un b8

Il prossimo sarà un pov di Ares 🙆🏻‍♀️

E posso anticiparvi che scopriremo presto cosa nasconde Newt dentro la mano. Non mi sono dimenticata di lui. Semplicemente vi evito scene noiose di Haven che va a trovarlo in ospedale 😂

Grazie, come sempre, per leggere GoT. Spero tantissimo che il capitolo vi sia piaciuto 🥹❤️
Have a nice life🍎

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