Se fossimo dei suoni, sarebbe...

By Whatsername_4

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Ma chi cazzo ha avuto l'idea di andare a una serata karaoke? Come se il vero problema fosse la serata karaoke... More

E Fuori È Buio

Minuetto

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By Whatsername_4

[Tw: blanda presenza di smut]



«Oh, carcola che a 'na certa i vicini stavano a chiama 'a polizia, poi sò sceso io a parlà...»

Simone si sforza di accennare un sorriso, come se stesse davvero prestando attenzione alle parole di Matteo.
Ci prova, ad ascoltarlo, a seguire il filo della storia che ha catturato l'interesse degli altri, che lo seguono attenti - vuoi per reale coinvolgimento, vuoi per non perdere l'occasione di prenderlo in giro al momento giusto.
Ci prova, ma non ci riesce. I suoi racconti di sbronze colossali e figure di merda indimenticabili non sono abbastanza divertenti, non sono abbastanza originali, semplicemente non sono abbastanza per tenere impegnata la mente di Simone e impedirgli di pensare a lui, sempre a lui, costantemente a lui.

Così, cerca di concentrarsi sulle due ragazze in piedi su quella sorta di palchetto che ha davanti, che altro non è che una porzione del locale rialzata su due gradini, su cui si trovano una piccola consolle, un pianoforte a muro, qualche chitarra, un paio di sgabelli - l'occorrente per una postazione adibita a musica live di diverso genere.
Le due ragazze, entrambe more con lunghi capelli che svolazzano seguendo i loro movimenti, stanno cantando insieme, sorridenti e spensierate. Sono un po' stonate, certo, ma riescono ugualmente a coinvolgere nella canzone parte dei clienti del locale, in particolar modo i quattro ragazzi seduti a un tavolo in prima fila, davanti al palco, che, neanche fossero a un vero concerto, agitano le mani a tempo di musica, si abbracciano e intonano insieme «Se guardandoti negli occhi sapessi dirti basta, ti guarderei...»

Ma chi cazzo ha avuto l'idea di andare a una serata karaoke?

Come se il vero problema fosse la serata karaoke.

O i racconti di Matteo.

O le ragazze stonate sul palco.

O il fatto che tutti riescano a divertirsi tranne lui.

No, il vero problema gli sta seduto di fronte.

E non gli ha rivolto la parola da quando sono arrivati al locale.

Manuel si porta il boccale di birra alle labbra, ne beve un piccolo sorso e, nel farlo, poggia distrattamente lo sguardo su Simone. I loro occhi si incrociano per una frazione di secondo, che Simone vorrebbe durasse di più, infinitamente di più, perché non succedeva da quasi un'ora e gli mancava.

Manuel gli manca sempre, quando sono insieme in pubblico.

Sì, perché davanti agli altri gli sembra di essere un estraneo.
Manuel, di norma, non lo ignora del tutto, altrimenti le persone intorno a loro noterebbero la differenza rispetto a prima e farebbero domande a cui lui non ha nessuna intenzione di rispondere.
Domande che, forse, una risposta neanche ce l'hanno.

Si limita a guardarlo di sfuggita ogni tanto, senza mai soffermarsi troppo su di lui.
Ogni volta che sente lo sguardo dell'altro su di sé, a Simone sembra di tornare a respirare, ogni volta si concede la ridicola speranza che quel giorno Manuel non si volterà immediatamente, che quegli occhi si poggeranno su di lui con dolcezza, per istanti che sembrano sempre interminabili, come quando sono da soli, ma puntualmente quella speranza risulta vana.

Ride alle sue battute, Manuel, e talvolta gli risponde anche a tono, ma le risposte sono vuote, distanti, come quelle che potrebbero dargli Matteo o Giulio. Non c'è mai traccia di quella complicità che appartiene soltanto a loro due, quella che hanno sempre avuto anche quando erano solo amici.

Perché, adesso cosa sareste, scusa?

La differenza è impercettibile, probabilmente nessuno oltre a lui può notarla, ma nella testa e nel cuore di Simone rimbomba come il rumore di decine di tuoni che si infrangono sulla città durante un violento temporale estivo.

Spesso vanno insieme a scuola, quando Manuel resta a dormire da lui. Sempre sul letto a scomparsa accanto al suo, non sia mai che dormano nello stesso, ché «Poi te parte er multisala, per carità». E poi, a pensarci bene, Dante potrebbe aprire la porta senza bussare e trovarli abbracciati su un letto e non sarebbe opportuno.

Simone adora i viaggi in moto o sulla sua Vespa. Quando abbraccia Manuel stretto, per non cadere, gli sembra quasi di essere una coppia normale.
Talvolta, in un impeto di coraggio, appoggia timidamente i palmi delle mani sul busto dell'altro, li fa scorrere sullo stomaco, porta su la mano destra fino ad arrivare al suo petto per lasciargli brevi carezze, disegnando dei piccoli cerchi coi polpastrelli. E Manuel non lo scansa con fastidio, anzi.
Qualche volta, quando è Simone a guidare sulla Vespa, è lo stesso Manuel ad accarezzarlo e stringersi forte a lui. Anche se le mani di Manuel non salgono sul suo petto, ma dallo stomaco scendono giù, a provocarlo, mentre sicuramente in volto gli si disegna quel sorriso strafottente che Simone ama, sebbene ami di più toglierglielo con un bacio violento e passionale, di quelli che finiscono per trasformarsi in morsi sulle labbra, sul collo, sui fianchi, dappertutto.

Questi momenti in moto sono speciali per Simone, perché tecnicamente sono in un luogo pubblico e chiunque potrebbe vederli. Ma chi mai dovrebbe vederli mentre sfrecciano per le strade di Roma? Chi presterebbe attenzione a due adolescenti qualunque che girano in moto, quando sono tutti indaffarati coi propri cellulari o impegnati a imprecare contro gli altri automobilisti imbottigliati nel traffico, preoccupati di fare tardi a chissà quale appuntamento importantissimo? Forse neanche i piccioni sui cornicioni, intenti a scrutare la città in cerca di cibo.

E Simone lo sa che è solo per questo che Manuel non lo allontana, lo sa benissimo, ma preferisce illudersi ogni singola volta che qualcosa finalmente stia cambiando, che le acque si stiano smuovendo e che Manuel si sentirà pronto a uscire da quel guscio invalicabile in cui è nascosto il loro vero rapporto.
Che poi, neanche lui saprebbe dire quale sia il loro vero rapporto.
"Scopamicizia", dovrebbe essere il termine corretto.

Quella sera, però, sembravano tutto fuorché amici, visto che Manuel stava facendo finta che lui non esistesse. E Simone non riusciva a capire il perché.

Erano arrivati al locale insieme, sulla moto di Manuel, leggermente in ritardo come sempre.
E fin lì, tutto sembrava normale.
«Te sta bene 'sta camicia» gli aveva persino detto Manuel una volta scesi dalla moto. Per poi avvicinarsi al suo orecchio, dopo aver dato una rapida occhiata in giro nella viuzza in cui avevano parcheggiato, mordicchiargli il lobo e sussurrargli «Così bene che te lascerei solo questa addosso», finendo col passare le mani sul suo colletto bianco, per sistemarlo.
Simone era rimasto immobile, con le guance che improvvisamente si erano colorate e le sopracciglia leggermente aggrottate, stupito da quell'apprezzamento di Manuel.

Ma di che ti stupisci? Te la sei messa apposta, questa camicia.

Comunque, non aveva neanche fatto in tempo a elaborare una risposta di senso compiuto e altrettanto provocatoria, perché Manuel si era allontanato bruscamente, emettendo un piccolo colpo di tosse, gli aveva voltato le spalle con un «Muoviamoci ché è tardi» e si era incamminato verso il locale dove avrebbero incontrato gli altri.

La voce dell'uomo che stava cantando Ricominciamo al karaoke, col microfono chiaramente troppo vicino alle labbra, aveva intontito per un attimo Simone non appena varcata la soglia del pub. Non ci aveva comunque messo troppo a individuare i suoi amici, perché, se possibile, Matteo con la sua risata riusciva a sovrastare persino il rumore provocato dal cantante di turno. Si era avvicinato, quindi, al tavolo, scusandosi per il ritardo.

«Tranquillo, tanto 'o sappiamo che è colpa de Manuel» era stata la risposta immediata di Chicca, che le era valsa un dito medio da parte del ragazzo.

Simone aveva dato una rapida occhiata ai suoi amici, un po' stretti in quella postazione improvvisata dall'unione di due tavolini da quattro, cercando di capire dove sedersi.
Manuel si era già posizionato accanto a Matteo, alla cui sinistra sedeva Chicca, seguita da Luna, Aureliano e un ragazzo sconosciuto.
Gli unici posti liberi erano dunque quello accanto allo sconosciuto e quello a capotavola accanto a Manuel. E proprio lì si era istintivamente diretto Simone, come un magnete attratto dal suo polo opposto, per poi tentennare in preda alle paranoie.

Posso sedergli accanto o lo considera uno di quei contatti ravvicinati da evitare in pubblico?

Però il posto è a capotavola, quindi non sarei proprio accanto a lui.

Mi sto facendo troppe pare per un posto a sedere?


Alla fine, aveva optato per il posto accanto allo sconosciuto, di fronte a Manuel, beccandosi un'occhiataccia da quest'ultimo.

«Piacere, Alessandro. Sono un cugino de Chicca» si era presentato il ragazzo, rivolgendogli un ampio sorriso e rivelando così uno spazietto tra gli incisivi, unico difetto in una dentatura altrimenti perfetta. Quel sorriso si estendeva fino agli occhi, di un azzurro intenso, che lo fissavano gentili e al contempo incuriositi - avevano la forma un po' a palla, in realtà, per un effetto creato probabilmente anche dalle borse abbastanza evidenti sotto di essi, ma erano comunque dei bellissimi occhi. Il ragazzo portava i suoi ricci color biondo cenere abbastanza corti, un po' più rasati ai lati. La barba era curata, leggermente più lunga e folta di quella di Manuel.

Ma perché stai pensando a Manuel adesso?

A primo impatto, nonostante potesse vederlo solo da seduto, sembrava discretamente in forma, ben piazzato - non era eccessivamente palestrato, ma Simone riusciva comunque a intravedere il contorno dei bicipiti delineato dalla maglia a maniche lunghe blu scuro che indossava.
Doveva avere all'incirca la loro stessa età, forse era giusto qualche anno più grande.
Nel complesso, un gran figo, doveva ammettere Simone.
Un gran figo che non gli aveva staccato gli occhi di dosso da quando si era avvicinato al tavolo.

Grazie al cazzo, sei arrivato dopo e stavi là in piedi come uno stoccafisso, tutti ti fissavano.

Però, Alessandro per tutta la serata aveva continuato a cercare di intrattenere una conversazione con lui, riempiendolo di domande, battutine, e posandogli di tanto in tanto una mano sull'avambraccio con spavalda nonchalance.

Ma ci sta provando?

Un altro tocco sul braccio per richiamare la sua attenzione, mentre gli si avvicina fin troppo all'orecchio per lasciare un commento sul signore di mezza età che si è avvicendato al karaoke. E ok che c'è un po' di confusione, ma non stanno mica in una discoteca, non c'è bisogno di urlarsi nelle orecchie per farsi sentire.
Tra l'altro, Alessandro non aveva neanche urlato, quanto piuttosto sussurrato.

Ok, ci sta provando.

All'improvviso, un lampo attraversa la mente di Simone.

Non è che Manuel è geloso?

Effettivamente, ripensandoci adesso, Manuel era stato più distante del solito proprio a partire da quando Simone si era seduto accanto ad Alessandro. Non aveva dato neanche particolare confidenza al ragazzo, limitandosi a tirar fuori qualche risata dal tono quasi sarcastico a un paio di sue battute.

Ma figurati se Manuel è geloso, mica ci pensa a te.

No, non poteva essere quello. Probabilmente si era infastidito perché Simone stava per sedersi accanto a lui, perché «Mica dovemo stà sempre appiccicati, Simò», o perché prima di entrare si erano avvicinati e qualcuno poteva averli visti, o perché Alessandro gli stava antipatico a pelle, o per qualunque altra cazzata gli passasse per la testa.

«Simone, tu?»

Eh?

La voce squillante di Matteo lo ridesta dai pensieri in cui si era perso per l'ennesima volta, quella sera.

«Scusa, non ho sentito» dice allora, sperando di non essersi imbambolato troppo a lungo.

«Matteo ci ha proposto di salire a cantare qualcosa, ma nessuno si è offerto per fare questa figura di merda» gli spiega subito Luna.

Simone esita, perché l'idea di cantare davanti a tutti non lo alletta minimamente, e allora Chicca si intromette: «Ma 'nvece de chiede all'artri, perché nun sali te a cantamme 'na canzone?»

«Ma che sei matta? Nun ce penso proprio.»

«Facciamo una scommessa io e te: ce scoliamo un Negroni sbagliato tutto d'un fiato, chi finisce dopo, deve cantà 'na canzone all'altro» lo sfida lei avvicinandoglisi e sollevando le sopracciglia in un'espressione sfrontata.

Matteo non se lo fa ripetere due volte e «Ordina 'sti Negroni, va'» ribatte in tono calmo, con la presunzione di chi sa che non perderà.

E infatti, qualche minuto dopo, una sconsolata Chicca cerca un compagno per scontare quella penitenza. «Ale, vieni te che sai cantà?» si rivolge al cugino.

«Eh, Ale, vai te che sai cantà.»

Cosa?

Manuel era intervenuto all'improvviso, con una nota di velato fastidio nella voce.

Era fastidio?

Ma è geloso sul serio allora?

No, non è possibile.

O sì?


Alessandro sembra non far caso alla frase di Manuel ed esclama un «So cantà, è vero, ma la scommessa l'hai persa te, che voi? E poi non me va de fà 'na dichiarazione a Matteo, senza offesa» abbozzando una risata e mostrando i palmi alzati con fare innocente.

«Be', veramente un po' m'offendo. Scusa, che me vorresti dì?» è la piccata risposta di Matteo, mentre si alza e si indica da capo a piedi con la mano destra, un'espressione decisamente poco modesta stampata in volto.

«Niente, è che... preferisco i mori» si giustifica Alessandro con una risatina finto-imbarazzata che sembra più una presa in giro.

«Vabbè, m'avete rotto er cazzo, salgo da sola»­ sbotta Chicca spazientita, per poi alzarsi di scatto e dirigersi con passo veloce verso la zona sotto il palco dove ci si può prenotare per il karaoke.

Mentre sente borbottare a Matteo un «Però manco a fà così, oh», Simone continua a rimuginare su quella frase di Manuel.
Possibile che fosse davvero geloso di Alessandro, del fatto che si fosse avvicinato a lui quella sera? Gli sembrava surreale, continuava a rivedere nella sua testa tutte le volte in cui l'altro gli aveva reso chiaro che il loro rapporto non fosse che un divertimento, senza sentimenti romantici di alcun tipo.
Eppure, non aveva del tutto senso neanche questo astio nei confronti di Alessandro, che in realtà sembrava anche un gran bravo ragazzo, spiritoso e alla mano, a tratti pure un po' coattello... la classica persona con cui Manuel sarebbe andato sicuramente d'accordo.
Forse era davvero geloso, forse era solo estremamente possessivo e il pensiero che qualcun altro potesse avvicinarsi a qualcosa di suo lo infastidiva nell'orgoglio.

Che poi, mi considera davvero suo?

Che poi, avrebbe diritto a considerarmi suo?


No, non ne avrebbe avuto alcun diritto, in realtà.
Non avrebbe avuto il diritto neanche di essere geloso di lui, visto che sosteneva di non provare nulla. Se inizialmente il pensiero di un Manuel geloso lo aveva lusingato e reso addirittura felice, adesso, ragionandoci sopra, lo faceva incazzare da morire. Probabilmente si stava sbagliando, probabilmente a Manuel stava soltanto antipatico Alessandro, ma se era geloso, be'... come si permetteva?

E una parte di Simone era fermamente convinta che Manuel fosse geloso.
Che i suoi sentimenti li ricambiasse, in qualche modo.
Forse non con la stessa intensità e consapevolezza, ma comunque li ricambiava.

Ne era convinto, Simone, lo sentiva.

Lo sentiva quando, nei pomeriggi passati insieme a studiare, Manuel lo prendeva in giro per quelle due rughette che gli si formavano tra le sopracciglia mentre si sforzava per capire un concetto di filosofia, piazzandoci sempre il dito indice in mezzo, o quando lo spintonava leggermente con la spalla mentre scendevano le scale per fare colazione al mattino, come se un contatto fisico costante fosse indispensabile per Manuel tanto quanto lo era per lui.

Lo sentiva in quella sfumatura leggermente preoccupata che gli si accendeva nello sguardo non appena lo spogliava, scoprendogli così il torace costellato da lividi violacei, conseguenze degli allenamenti di rugby, sui quali passava poi con dolcezza i polpastrelli, a definirne i contorni.

Lo sentiva nell'apprensione con cui, prima di mettere in moto, rivolgeva un'occhiata fugace al laccetto del suo casco, per assicurarsi che fosse fissato correttamente.

Lo sentiva nel ricordo di quel tardo pomeriggio in cui Manuel era andato a casa sua per studiare e Simone era tormentato da un'emicrania che non accennava a diminuire, però l'altro era rimasto lì, anche se quella sera non avrebbero fatto nulla, si era sdraiato sul suo letto a scomparsa e gli aveva accarezzato delicatamente le tempie finché Simone non si era addormentato.

Lo sentiva ogni volta che si rabbuiava perché a scuola aveva notato Manuel scherzare con qualche ragazza e questo lo lasciava innervosito e scontroso per il resto della giornata, senza che potesse rivelarne il motivo - non avendo nessun diritto sull'altro - e Manuel non faceva mai troppe domande, forse perché conosceva già le risposte e non voleva ascoltarle, però lo tirava a sé sussurrandogli un «Viè qua», cercando di vincere la sua resistenza per togliergli quel broncio con un bacio - che poi finiva sempre per essere approfondito e trasformarsi in altro.

Lo sentiva nelle volte in cui discutevano per qualche stupidaggine, ma poi era sempre Manuel a mandargli un messaggio per vedersi. E un po' Simone lo sapeva che quello era il suo modo di chiedere scusa e andare oltre quel litigio inutile.

Lo sentiva in quella sera in cui, stesi sul bordo della sua piscina a guardare le stelle, Manuel gli aveva confessato che una piccola parte di sé avrebbe voluto conoscere suo padre, anche se un'altra gli urlava che avrebbe dovuto solo odiarlo per aver fatto soffrire sua madre e averli abbandonati.

Lo sentiva nelle mattine in cui arrivavano tardi a colazione e Manuel gli lasciava sempre quelle poche gocce di caffè rimasto, perché sapeva che lui amava metterlo nel latte, e finiva per prendere il suo direttamente a scuola.

Questa convinzione era forte, sì, ma veniva spesso sopraffatta dall'insicurezza che lo pervadeva ogni volta che Manuel si innervosiva di fronte a un «Mi sei mancato ieri», bloccando subito ogni possibile sentimentalismo a suon di «Ahò, Simo, hai rotto er cazzo a fà la mogliettina».
Ogni volta che Manuel non si faceva sentire per giorni e sembrava non sopportare neanche la sua presenza in classe, nel banco accanto.
Ogni volta che lo sentiva rispondere a Matteo su come fosse andata la serata precedente, con quella bionda di terza C o la rossa di quarta E.

E Simone, ciascuna di quelle volte, si chiedeva se valesse la pena di andare avanti, se aspettare sarebbe servito, se sarebbe mai cambiato qualcosa, se un giorno Manuel avrebbe risposto alle sue domande.

Ed era stanco di tormentarsi, stanco di vivere in quest'incertezza, stanco di essere al settimo cielo un giorno e all'inferno quello successivo, stanco di non fidarsi più neanche del proprio istinto perché le paranoie prendevano il sopravvento, stanco di non poter neanche porre quelle mille domande che gli vagavano in testa, ché tanto Manuel non solo non avrebbe risposto, ma avrebbe finito pure per mandarlo a quel paese.

E allora no, non aveva nessun diritto di essere geloso adesso.

Comunque non è detto che lo sia, eh.

Vabbè, se lo è non ne ha il diritto.

Innervosito dai suoi stessi pensieri, Simone afferra il Long Island ordinato quella sera - forse non un'ottima idea, visto che l'alcol non lo regge poi troppo - e lo finisce tutto d'un fiato.

Non si è neanche accorto di Chicca salita sul palco, finché non sente quelle prime note inconfondibili e, come un pupazzo a molla liberato dal peso del coperchio che chiude la sua scatola, si alza in piedi e si dirige velocemente verso il palco, perché, anche se non ne è minimamente capace, quella canzone deve cantarla, è sua, è tutto ciò che sente e in qualche modo ha bisogno di tirarlo fuori.

Raccatta in fretta l'altro microfono, riposto momentaneamente da parte sulla sinistra, e si avvicina all'amica per unirsi a lei, che ha già iniziato a intonare i primi versi...


È un'incognita ogni sera mia
Un'attesa, pari a un'agonia


"La causa dell'infelicità umana è indicata nel rapporto tra il bisogno dell'individuo di essere felice e le possibilità di soddisfacimento oggettivo. Nasce a questo proposito quella che Leopardi chiama "teoria del piacere". L'uomo aspira naturalmente al piacere. Ma il piacere desiderato è sempre superiore al piacere effettivamente conseguito e conseguibile. Deluso dagli insufficienti appagamenti reali, l'uomo ne cerca di illusori, sperando sempre di raggiungere la felicità nel futuro, oppure accontentandosi di raggiungerla solo nell'immaginazione."

Simone rilegge per l'ennesima volta quel paragrafo senza riuscire a memorizzarne una virgola, perché la sua testa è occupata dalla conta dei minuti di ritardo che Manuel sta accumulando.
19:47, legge sul cellulare prima di sbuffare e poggiarlo con lo schermo in giù, sperando di avere questa volta la forza di non ricontrollare l'orario entro i successivi due minuti.

Avrebbero dovuto vedersi nel pomeriggio per studiare insieme per la verifica di italiano del giorno successivo, ma Manuel gli aveva ben presto inviato un messaggio per comunicargli che avrebbe ritardato leggermente.

Leggermente.

Quattro ore non rientrano mica nella definizione di "leggermente".

Ritorna con lo sguardo sul libro, perché qualcosa dovrà pur riuscire a ripassare, non vuole prendere un'insufficienza per colpa di Manuel.

"Sicuramente sarà con quella Veronica - o era Valeria? Vanessa? - di quinta C con cui è uscito anche qualche sera fa" pensa Simone.

Certo, perché ovviamente per Manuel è più importante uscire con una ragazza piuttosto che studiare con lui per una verifica. O passare del tempo con lui in generale.


Troppe volte vorrei dirti "no"
E poi ti vedo e tanta forza non ce l'ho
Il mio cuore si ribella a te, ma il mio corpo no


Quando finalmente suona il campanello, sono le 20:42. Dal divano del salotto, su cui si era spostato per cercare di leggere un libro, Simone si alza svogliatamente, ciabatta verso la porta e la apre senza nemmeno chiedere chi sia, tanto è sicuramente lui.

E infatti davanti gli si presenta la figura di Manuel, con una felpa grigio chiaro che lui crede di non aver mai visto, dei jeans neri non troppo aderenti e le solite Dr Martens nere ormai un po' sbiadite. Gli sorride, come se non si fosse fatto attendere per ore senza neanche una spiegazione.

«Meno male che dovevi ritardare leggermente» borbotta Simone mentre gli volta le spalle e si dirige di nuovo verso il divano.

Manuel chiude l'ingresso e lo segue, giustificandosi immediatamente con un misero «Vabbè, scusa, c'ho avuto da fà.»

«E che dovevi fà?» chiede Simone voltandosi e fermandosi in piedi in mezzo al salotto.

«Lavori al box.»

Simone sbuffa, mentre annuisce lievemente, gli angoli della bocca che si piegano all'ingiù, e «Lavori al box» ripete con tono poco convinto.

«Sì, Simò, lavori al box, non cominciare...»

«Dovevamo studiare, Manuel, c'è la verifica domani. A quest'ora che vorresti fare?»

«Vabbè tanto avrei preso 'n'insufficienza lo stesso, almeno ho fatto qualcosa de utile.»

«Seh, immagino» afferma Simone tornando a sedersi.

Manuel si disfà del giubbotto, lo ripone distrattamente sulla poltroncina bianca lì affianco e si avvicina a Simone con un provocatorio «E che immagini? Sentiamo».

«Immagino che te bocciano pure quest'anno» è la risposta piccata.

Non vuole certo dargli soddisfazione.
Il Simone nella sua testa sta distruggendo la moto di Manuel a sprangate, ma il Simone che gli risponde è solo arrabbiato perché come al solito l'altro non prende seriamente la propria carriera scolastica.
All'incirca.

«Vabbè, mo andiamo de sopra e me spieghi qualcosa te.»

Manuel prova ad avvicinarsi a lui sul divano, ma Simone si alza di scatto infastidito.

«Ma col cazzo. Io ho già studiato nel pomeriggio, ora te la sbrighi da solo.»

Non è vero, non hai studiato un cazzo nel pomeriggio perché pensavi a lui.

Sì, ma questo lui non deve saperlo.

Comincia a dirigersi verso la cucina, ché non ha ancora mangiato perché come uno scemo stava aspettando l'altro.

«Ce sta qualcuno in casa?» chiede Manuel andandogli dietro.

«Devi studiare, Manuel.»

«Ho solo chiesto se ce sta qualcuno in casa, lo vedi che sei te che pensi sempre male?»

Stai scherzando col fuoco.

«Non c'è nessuno» risponde secco Simone, mentre osserva il frigo appena aperto alla ricerca di qualcosa da arrangiare per la cena.

«Hai mangiato?»

Che te frega?

«No, secondo te che sto a fà col frigo aperto?»

La finta noncuranza di Manuel non sta per niente contribuendo a migliorare l'umore di Simone.

«Levate, te faccio 'na frittata ché te non sei capace» si sente dire in risposta, mentre l'altro lo fa sposare all'indietro spingendolo delicatamente con una mano poggiata sul suo petto.

E in effetti, Simone adorava la frittata ma non era in grado di prepararla, perché finiva sempre per romperla tutta al momento di doverla girare.
Un po', il pensiero che Manuel sappia anche questo dettaglio di lui, che lo ricordi e che abbia deciso di cucinargliela, lo fa sciogliere.

Ma non eri arrabbiato con lui?

Giusto.

Tanto cerca solo di fare il ruffiano perché sa che è in torto marcio, Simone ne è consapevole.
Cerca allora di tenere il punto, concentrandosi su un altro dettaglio che ha catturato la sua attenzione.

«Me fai? E tu?»

«Ho già mangiato.»

Forse avrebbe dovuto riflettere due secondi prima di rispondere.

«Ah. Questo perché stavi al box» fa infatti subito due più due l'altro ragazzo, alzando gli occhi al cielo.

«A Simò, 'a voi 'sta frittata o no?» chiede Manuel con le mani poggiate sui fianchi.

«No.»

«Vabbè, te la faccio lo stesso» gli risponde, ché lo sa che Simone è incazzato nero, e non ha neanche tutti i torti, e un modo per rimediare lo deve trovare.

Prova a coinvolgerlo con un «Me aiuti a taglià le patate?» e Simone si mette ad aiutarlo, ma continua a guardarlo storto e a rispondere astioso quando Manuel cerca di scherzare su qualcosa.
La preparazione del piatto procede quindi perlopiù nel silenzio, fin quando non arriva il momento di girare la frittata.

«Afferra er manico, te faccio vedè come se fa» esclama Manuel mentre prende un piatto pulito dalla lavastoviglie.

Il ragazzo fa come gli è stato detto, mentre il maggiore poggia il piatto a testa in giù sulla padella e poi gli si posiziona dietro, facendo aderire i loro corpi e mettendo la sua mano destra esattamente sopra quella di Simone.
Quest'ultimo si irrigidisce all'istante, un po' perché il contatto con Manuel genera sempre una scarica di brividi immediata nel suo corpo, un po' perché vorrebbe non avere questa reazione e cerca di camuffarla. Del resto, adesso è incazzato nero, non può cedere così.
E quindi il risultato è che diventa una sorta di statua di marmo.
Manuel se ne accorge e sbuffa una risatina, che fa innervosire ulteriormente Simone.

«Metti una mano sul piatto e segui il mio movimento» gli sussurra con voce roca vicino all'orecchio, alzandosi sulle punte.

Il movimento delle mani è però accompagnato anche da un movimento di bacino, che Manuel fa ondeggiare sinuosamente contro quello di Simone, provocando un immediato rossore sul suo volto, oltre a mozzargli letteralmente il respiro.

Cerca di concentrarti, ricordati che sei arrabbiato, un po' di dignità.

Eh, provaci te con questo dietro.

Simone cerca di impegnarsi il più possibile con la padella e il piatto, ma alla fine anche i movimenti di Manuel risultano impacciati e quindi più di metà della frittata non può che cadere rovinosamente sul piano cottura, tra le risate soddisfatte del più grande e l'indisposizione ormai alle stelle di Simone, che allontana bruscamente l'altro e fa per prendere dello Scottex per ripulire il danno.

«Coglione, guarda che hai combinato, te la dovrei tirà in testa, 'sta padella» sbotta.

«Eh, perché t'è dispiaciuto, no?» ghigna l'altro.

«Ma vaffanculo, mo pulisci te.»


Le mani tue, strumenti su di me,
Che dirigi da maestro esperto quale sei


No, il piano della frittata decisamente non ha funzionato, perché adesso Simone, seduto al tavolo, sta mangiando in silenzio quel poco che erano riusciti a salvare ed è ancora più arrabbiato di prima, a giudicare dalla sua espressione indispettita.
Manuel è esasperato e si accanisce su quella povera padella che sta cercando di lavare, strofinandola con una foga non necessaria.
Quando l'altro si avvicina al lavandino poggiandovi dentro piatto e forchetta, Manuel gli circonda rapidamente il polso con la mano sinistra e lo attira a sé facendolo voltare.
Simone è colto alla sprovvista da questo contatto, spalanca gli occhi e schiude leggermente le labbra per la sorpresa, trattenendo un respiro, mentre la velocità dei suoi battiti subisce un'impennata.

Eccallà! Calma e sangue freddo, Simone.

Non può cedere, però, non vuole dargliela vinta così. Pertanto, cerca di opporre un briciolo di resistenza.

Prova, infatti, ad allontanarlo, spingendolo sul petto con la mano libera, ma Manuel gli poggia la sua destra, ancora insaponata, sulla mascella e fa scontrare le loro labbra, non prima di averci soffiato sopra un «E dai, Simò, basta».
Istintivamente, la mano sinistra di Simone si porta dietro la nuca dell'altro, come a volerlo avvicinare ancora di più, mentre Manuel lo bacia piano, con dolcezza, in antitesi con la frustrazione che pervade entrambi.

Perché quello è il suo modo di chiedere scusa.
Perché lo sa che si è comportato da stronzo.
Lo sa che non doveva piantarlo da solo per tutto il pomeriggio, che è stato un coglione a uscire di nuovo con quella Vanessa, tanto a Simone non riesce a smettere di pensare comunque, quindi perché si ostina a provarci? Non ha una risposta.

Una parte di sé lo spinge a cercare altri corpi, altre mani, altri occhi, nella speranza di trovare un minimo di tregua da quel groviglio inestricabile di pensieri che lo tormentano, un minimo di pace.
E poi, invece, la pace la trova solo attaccato al corpo di Simone, stretto tra le mani di Simone, perso negli occhi di Simone.

E allora lo bacia piano, cerca di restituirgliela così, un po' di quella pace.
Anche se sa che rovinerà tutto di nuovo, è inevitabile, perché quel groviglio che ha in testa non sa ancora come scioglierlo.
Però, per qualche istante, può ignorarne l'esistenza.

Manuel lascia il polso di Simone e, con la mano adesso libera, gli solleva di poco la maglietta, per poi fermarsi sul suo fianco, dove posa qualche delicata carezza.
È immediata la risposta del corpo di Simone, che si riempie di brividi sotto quel tocco leggero.
Tocco che si intensifica man mano che si sposta sulla sua schiena, risalendola lentamente, vertebra dopo vertebra, e lasciando una scia di detersivo lungo tutto il tragitto.
Manuel porta poi la sinistra sulla sua nuca e col pollice comincia ad accarezzargli il collo proprio dietro l'orecchio. Risale lento verso i capelli, per poi ritornare giù vicino all'orecchio. E poi ancora tra i capelli e di nuovo giù, in un movimento lento e regolare.
A Simone sfugge un mugolio di piacere e comincia a rilassarsi, perché quello è il suo punto debole e Manuel ormai lo sa.

Cazzo, mi conosce troppo bene.

Le mani insaponate di Manuel sono fredde mentre si muovono dappertutto su di lui, ma non gli importa.
Non gli importa perché, per quanto ci provi con tutto se stesso, non riesce a resistere al tocco dell'altro, è un'impresa impossibile.
Vorrebbe mantenere il punto, riuscire a dirgli di no una volta tanto, ma, quando Manuel lo sfiora, quando le loro labbra si uniscono, i buoni propositi vanno a farsi benedire.

E allora Simone cede.
Cede perché Manuel lo sta baciando con tutta la calma del mondo, come se non dovessero staccarsi mai.
Cede perché il tocco delle sue mani è deciso ma al tempo stesso delicato, come se volesse lasciargli la sensazione di avere i suoi polpastrelli addosso anche dopo il suo passaggio, ma senza fargli male.
Cede perché le sue carezze sono piene di attenzione e cura e Simone si sente in pace.

Ecco, bravo scemo, ci sei cascato.

Ma a Simone non sembra di esserci cascato.
Gli sembra semplicemente di trovarsi nel posto giusto, di fare la cosa giusta, di essere a casa.
E quindi chi se ne frega se era arrabbiato, chi se ne frega se Manuel gli ha mentito, chi se ne frega se prima era con un'altra, chi se ne frega se ha mangiato solo un quarto di frittata e fra qualche ora avrà un buco nello stomaco, chi se ne frega del freddo.
Adesso sono lì, insieme, e tutto il resto diventa sfocato, irrilevante.
E il piatto e la forchetta possono lavarli domani.


Ricordi dei loro momenti attraversano i pensieri di Simone mentre canta insieme a Chicca, un braccio a circondare le spalle della ragazza, che ondeggia con lui a ritmo di musica.
Dal tavolo dei loro amici provengono i fischi di approvazione - o di scherno? Non saprebbe dirlo con certezza - di Matteo e gli urletti di incoraggiamento di Aureliano. Luna e Alessandro li seguono intonando anche loro la canzone.
Aureliano stava anche per accendere una fiamma con l'accendino di Matteo, come si faceva un tempo ai concerti, prima di beccarsi uno scappellotto da Luna che aveva fatto ridere tutto il gruppo.

L'unico a non partecipare è Manuel.
Sorseggia la sua birra con fare indifferente, senza guardare i due sul palco.

Non distrarti con Manuel adesso, pensa alla canzone.

Simone ritorna allora con lo sguardo sullo schermo che ha davanti, dove scorrono i versi successivi di Minuetto, provando addirittura a concentrarsi per steccare il meno possibile.


E vieni a casa mia, quando vuoi, nelle notti più che mai
Dormi qui, te ne vai, sono sempre fatti tuoi
Tanto sai che quassù male che ti vada avrai
Tutta me, se ti andrà per una notte

Na, na, na
Na, na, na, na, na, na
Na, na, na, na, na, na


Il cellulare che vibra incessantemente sul comodino accanto al letto sveglia Simone di soprassalto, dopo qualche minuto passato nella convinzione che quel rumore fastidioso appartenesse al martello pneumatico usato dagli operai che stavano costruendo la piscina nel salone al piano di sotto - No, ok, quello era solo un sogno.

Manuel gli sta telefonando alle 3:23.

Se è ubriaco e vuole essere recuperato da qualche parte, guarda...

«Pronto?»

La sua voce vorrebbe essere irritata, perché è stato svegliato in piena notte, invece fuoriesce arricchita da una punta di preoccupazione.

«Ahò, Bella Addormentata, finalmente! Me apri? Sto qua sotto» si sente rispondere da un Manuel che non sembra nemmeno ubriaco.

Strano.

«Ma sono le tre e mezza di notte, cosa ti apro? Che ci fai qua?»

«Dai, sto a congelà qua sotto» lo esorta il ragazzo dall'altro capo del telefono.

Pochi secondi dopo, Simone sta aprendo la portafinestra dell'ingresso per far entrare l'altro, cercando poi di richiuderla il più lentamente possibile così da non fare troppo rumore.

«Ma si può sapere che ci fai qui a quest'ora?» chiede sottovoce.

Manuel gli si piazza davanti e fa vagare lo sguardo su di lui da capo a piedi più volte, con lentezza: Simone è scalzo e indossa dei boxer larghi a righe bianche e azzurre e una T-shirt blu a maniche corte. Ha i ricci arruffati, sulla guancia destra i segni lasciati del cuscino, gli occhi gonfi e arrossati per il sonno.

Quello sguardo profondo sembra quasi trapassare lo strato leggero di cotone che lo ricopre e costringe Simone a incrociare le braccia al petto imbarazzato, come se volesse coprirsi, mentre alle orecchie gli arriva un «Te volevo vedè».
La voce di Manuel è ferma, priva di esitazione e, sebbene sia uscita a un volume basso dalle sue labbra, genera nella testa e nel petto di Simone un frastuono mostruoso, che sembra rimbombare da una parete all'altra del suo corpo, amplificandosi sempre di più e lasciandolo in uno stato di confusione.

Ma ti puoi ridurre così per mezza frase?

Cerca di riprendersi scuotendo la testa, per poi alzare gli occhi al cielo, nel tentativo di mascherare la reazione avuta con una finta indifferenza, pregando che l'altro non si sia accorto di nulla.

Sei solo rimasto imbambolato per dieci minuti, perché avrebbe dovuto accorgersene?

«Fai piano ché dormono tutti» gli intima dirigendosi verso le scale.

Manuel lo segue a ruota, soffocando una risatina.

Se n'è accorto, te pareva.

Dopo aver chiuso la porta, dando anche un giro di chiave, Simone fa per incamminarsi verso il letto, ma l'altro ragazzo gli si avventa addosso di getto, racchiudendogli il volto tra le mani e coinvolgendolo in un bacio violento, impetuoso. Le lingue si scontrano come se stessero lottando su un campo di battaglia, i respiri di uno si perdono nella bocca dell'altro.

Simone libera in fretta Manuel della sua giacca, poi col braccio sinistro gli cinge la vita, mentre la mano destra si sposta tra i suoi ricci. Li tira senza troppa forza, in modo tale da fargli inclinare la testa all'indietro scoprendo il collo, su cui si fionda avidamente lasciando una scia di baci umidi che va dalla mascella alla clavicola.
Subito dopo, la mano che era tra i ricci finisce sul braccio di Manuel e, facendo forza su questo, Simone ribalta le loro posizioni per poi spingere l'altro con la schiena contro la porta, il che produce un rumore sordo che rimbomba nel silenzio in cui è immersa la villa a quell'ora.

«Meno male che dovevo fà piano» lo schernisce Manuel con un ghigno soddisfatto.

«Appunto, stai zitto» lo rimprovera l'altro.

Dopodiché gli afferra i polsi con una stretta decisa e gli tira su le braccia, bloccandole contro il legno sopra la sua testa.
Adesso, quindi, il ragazzo più grande si ritrova schiacciato tra la porta della camera e il corpo dell'altro che preme su di lui, immobilizzato.
Presto le labbra di Simone sono di nuovo contro le sue, fameliche e irruenti, la lingua che si fa strada nella sua bocca come ne fosse proprietaria, e poi un morso sul labbro inferiore che gli strappa un gemito soffocato.
Una scarica di adrenalina mista a piacere lo attraversa, parte dalle radici dei capelli per poi scendere verso lo stomaco e ancora più giù, giù, giù, fino ad arrivare alle dita dei piedi.

Ha assunto il suo atteggiamento autoritario, Simone, come succede quasi sempre.
Di norma è in balìa dell'umore altalenante di Manuel, delle sue decisioni, dei suoi tempi, ma, quando arrivano a quel punto, il controllo se lo prende tutto lui.
Ha bisogno di prenderselo, è il suo modo di affermare che sono alla pari in questo rapporto, che non c'è uno che guida, sceglie, decide e l'altro completamente alla sua mercé sotto ogni punto di vista.

Se Simone segue Manuel e la direzione da lui imposta al loro legame giorno per giorno, rispettandone regole e tempistiche, distanze e riavvicinamenti, perché comprende quanto l'altro abbia necessità di sentirsi padrone di una situazione che lo spaventa, Manuel segue Simone nell'intimità, si abbandona alla guida dalle sue mani esperte che dettano i ritmi della loro unione, perché sa di potersi fidare, sa che può abbassare le difese e lasciare all'altro un po' di quel controllo che gli sembra sempre così irrinunciabile, sa di essere al sicuro.

Simone interrompe quel bacio violento e lascia liberi i polsi di Manuel, solo per farlo staccare dalla porta quanto basta per potergli togliere la polo a righe blu e bordeaux che gli cade un po' larga.

Un attimo, ma questa è la mia, ecco dov'era finita.

Si ferma poi a osservare l'altro rimasto a torso nudo, con le braccia lungo i fianchi e il petto che gli sale su e giù rapidamente per l'affanno, le labbra dischiuse per far entrare più aria.

Dio mio, quant'è bello.

Con un movimento lento, allunga la mano verso il viso di Manuel e ne sfiora con le nocche la guancia, ricoperta da un leggero strato di barba, e l'altro chiude gli occhi beandosi di questo delicato contatto.
Da qui Simone scende giù sul suo collo e poi sul petto, tracciandovi una linea immaginaria proprio al centro, fino ad arrivare all'elastico dei pantaloni, dove si blocca per incastrarvi dentro l'indice e usarlo per tirare di nuovo il ragazzo a sé. Comincia così a camminare all'indietro, trascinando l'altro, finché non finisce a sbattere col bordo del letto. È a questo punto che ribalta ancora le loro posizioni spingendo Manuel sul letto e, mentre quest'ultimo vi si stende meglio sopra, allungando le gambe, Simone vi sale con le ginocchia, sistemandole ai lati dell'altro in modo da potersi sedere a cavalcioni sul suo bacino.

Il rigonfiamento nei pantaloni del ragazzo steso sotto di sé già gli preme contro e Simone, un sorriso sornione stampato in viso, inizia a ondeggiare lentamente sul suo corpo, sentendo subito dopo un «Simò» soffocato uscire dalle labbra di Manuel, che nel frattempo ha portato le mani sui suoi fianchi e adesso sta cercando di sfilargli la maglietta del pigiama con fin troppa frenesia.
Simone si lascia spogliare dell'indumento, che viene lanciato senza attenzione sul pavimento, poi si stende su di lui e torna ad avventarsi sulla sua bocca, dapprima delicatamente, lasciando qualche bacio all'angolo sinistro, poi con sempre maggiore intensità, approfondendo quel contatto.

Gli piace baciarlo, le labbra di Manuel sono morbide e carnose, si muovono decise, nonostante il loro tocco sia delicato come seta, e Simone giura che potrebbe riconoscerle tra mille, gli sembra che siano state fatte precisamente per incastrarsi con le sue.
Sa sempre un po' di tabacco, Manuel, e lui vorrebbe che smettesse di fumare, ma sa che può avanzare pretese solo fino a un certo punto prima che parta qualche «Ma che sei, mi madre?», quindi non insiste mai più di tanto sull'argomento.

Quando interrompono quel bacio per riprendere fiato, con Simone che si scosta di pochi centimetri, le punte dei loro nasi che quasi si sfiorano e il respiro di uno che si infrange su quello dell'altro, lasciano che i loro sguardi si incrocino per qualche secondo.
Simone ci si perderebbe per sempre in quegli occhi scuri, che a volte, come adesso, lo guardano così dolci che a lui sembra di leggervi dentro esattamente quello stesso sentimento che trasmettono i suoi, di occhi, quando guardano Manuel.

Amore.

No, non può illudersi ancora, ha perso il conto delle volte che l'altro gli ha ripetuto di non provare nulla; e allora Simone spezza quel contatto divenuto troppo intenso: distoglie lo sguardo e prende a baciare minuziosamente il petto dell'altro, centimetro per centimetro.
Arrivato al tatuaggio del serpente, ne comincia a tracciare i contorni con la lingua, con calma, mentre sente Manuel rilassarsi sempre di più sotto di lui, la sua mano destra che gli si infila tra i ricci per accarezzarli delicatamente.
Dopo aver fatto lo stesso col tatuaggio dell'occhio, continua a spostarsi verso il basso lasciando una scia di baci sul ventre del ragazzo, finché non raggiunge l'elastico dei pantaloni e si ferma per sfilarglieli, con Manuel che contemporaneamente si disfà da solo delle scarpe spingendole via con i suoi stessi piedi.

Simone gli abbassa di poco i boxer, in modo tale da poter continuare l'attività di prima: si sofferma sulla rondine disegnata sul suo fianco destro, per poi passare a quella speculare sul fianco sinistro, mantenendo una lentezza disarmante nei suoi movimenti. È sempre stato incuriosito da quelle rondini, vorrebbe conoscerne il significato - anche se forse può immaginarlo.

Dopodiché si sposta più giù col corpo, fino ad arrivare all'altezza del ginocchio sinistro di Manuel, sul quale inizia a lasciare dei piccoli baci, per poi risalire pian piano la sua gamba mentre si sposta verso l'interno coscia, alternando ai baci anche qualche piccolo morso.
Si ferma poi immediatamente sotto la linea dei boxer e comincia a succhiare la pelle dell'altro fino a crearvi un segno rossastro, sul quale poi deposita qualche bacio leggero.

Non ama lasciargli segni su parti visibili del corpo, sia perché in realtà li trova un po' imbarazzanti, sia perché poi dovrebbe sorbirsi tutta le battute stupide in merito fatte dai loro compagni: sicuramente li considererebbero opera della ragazza di turno e lui dovrebbe star zitto a incassare, sopportando che i propri segni sulla pelle di Manuel vengano attribuiti a qualcun'altra.
Quindi, se proprio deve lasciargli dei succhiotti, preferisce farlo dove può vederli solo lui... o chiunque altra lo veda nudo, che resterebbe con la consapevolezza di non esserne l'artefice.
Sì, un po' infantile e possessivo, ma tant'è.

Ormai sente anche la propria erezione premere contro il tessuto di cotone dei boxer, perciò si tira su leggermente così da poterli sfilare, per poi finire di spogliare completamente anche Manuel.
Si concede qualche secondo per osservarlo ancora e, di nuovo, non può fare a meno di pensare che sia di una bellezza senza paragoni. Forse non ha un fisico che si definirebbe scolpito, ma agli occhi di Simone appare perfetto e lui si ritiene il ragazzo più fortunato del mondo sapendo di poterlo vedere così e addirittura, per qualche breve istante, di poterlo considerare suo.

Ok, possiamo andare avanti?

Sbatte le palpebre un paio di volte per ridestarsi dai propri pensieri, poi, biascicando un «Arrivo», scende rapidamente dal letto e si dirige in bagno per prendere un profilattico e il lubrificante alla fragola.

Ma un comodino con dei cassetti non potevi comprartelo?

Gattona nuovamente sul letto, insinuandosi tra le gambe divaricate dell'altro per raggiungere di nuovo il suo viso e scambiarsi reciprocamente tanti altri rapidi baci a stampo sulle labbra, sugli zigomi, sulla mascella.
Manuel gli intreccia le gambe intorno, spingendolo coi piedi sulle sue natiche per tirarselo ancora di più addosso, poi gli prende il volto con entrambe le mani, fermandone i movimenti, e unisce le loro labbra in un bacio intenso e passionale che, però, non risulta impetuoso ma soltanto dolce, delicato; è uno di quei baci che sanno di casa, di complicità, di fiducia, uno di quei baci che sembrano trasmettere tutti quei sentimenti di cui Manuel non vuole parlare, uno di quei baci che sembrano dire "Sono qui, non me ne vado".
Tanto poi lui se ne va sempre, perciò, di nuovo, è inutile sperare in qualcosa che non esiste.

Cercando di non staccarsi troppo bruscamente, Simone fa leva con le braccia per potersi rialzare sulle ginocchia e comincia a prepararlo, dopo essersi versato un'abbondante quantità di lubrificante sulla mano. Mantiene il contatto visivo per tutto il tempo, la mano libera ad accarezzare dolcemente la coscia dell'altro, che si gode in silenzio quelle attenzioni.

È Manuel stesso che, una volta pronto, apre l'involucro di plastica del preservativo, abbandonato sul letto vicino al suo fianco, per poi porgerlo all'altro, che lo inserisce con attenzione. A quel punto, Simone si porta la gamba sinistra di Manuel sulla spalla e lo penetra con cautela, cercando di non fargli male. Le sue spinte si fanno via via più ritmate e regolari ed è lo stesso ritmo che imprime alla propria mano nel dare piacere anche al ragazzo sotto di lui.

Si sorprende sempre un po' nel vedere come Manuel si abbandoni completamente a lui, seguendolo nei movimenti, nei ritmi da lui stabiliti momento dopo momento.
Le prime volte era più rigido, impacciato, tentava anche lì di imporre il proprio controllo, solitamente muovendosi con troppa irruenza, poi, pian piano, aveva cominciato a lasciarsi guidare sempre più da Simone, affidandosi a lui, fino a farsi plasmare come creta tra le sue mani.
In quegli istanti, con Manuel del tutto vulnerabile tra le braccia, a Simone sembra quasi di vedere tutti i muri che l'altro ha eretto attorno a sé sgretolarsi davanti ai propri occhi.
Il problema è che Manuel è sempre troppo veloce a ricostruirli.

Raggiungono l'orgasmo insieme, Simone che cerca di soffocare un grido mordendosi le labbra e Manuel che tira fuori un «Cazzo, Simò» a mezza voce.
Delicatamente, Simone si separa dall'altro, sfilandosi poi il profilattico, che getta a terra dopo avergli fatto un nodo. Ancora ansimante, si sdraia sul letto a pancia in su per riprendere fiato, posizionandosi accanto a Manuel, a cui lascia anche un piccolo bacio sulla spalla destra.

Non ha ancora ripreso fiato del tutto, quando vede Manuel dirigersi verso il bagno e poi, di ritorno, raccattare i suoi indumenti sparsi per la stanza per potersi vestire.

«Preparo il letto» si affretta a dire Simone.

Manuel quasi non gli lascia terminare la frase ché ha già risposto con un «No, me ne sto andando».

«Ma come te ne stai andando? Saranno le quattro di notte.»

Neanche ci prova a controllare l'orario sul cellulare, non è poi così rilevante adesso.

«Non posso restà, poi tu padre domani se ne accorge che sò venuto di notte» è la scusa che arriva immediatamente da Manuel, senza che debba rifletterci sopra.

«E allora la prossima volta evita.»

Significa che dovrebbe andare prima, a un orario decente? O che non dovrebbe andare affatto? Non lo sa nemmeno lui.

A quelle parole, Manuel si volta di scatto per guardarlo, sul viso un'espressione confusa e...

Amareggiata?

«Vabbè, come vuoi» replica in modo distaccato.

Simone ha l'impressione che voglia dire qualcos'altro, magari chiedergli cosa intendesse o rispondergli a tono e avviare così l'ennesima discussione, ma il ragazzo non aggiunge niente, finisce di rivestirsi in silenzio e se ne va, mentre Simone sussurra un «Buonanotte» alla porta che si richiude senza far rumore.


E cresce sempre più la solitudine
Nei grandi vuoti che mi lasci tu


Non si è rivestito, Simone.

Sta ancora sdraiato sul letto a pancia in su, una mano sull'addome a seguirne i movimenti dettati dal respiro.

Nudo.

No, spogliato.

È così che si sente fuori e dentro.

Vorrebbe arrabbiarsi con Manuel perché è spuntato a casa sua nel cuore della notte, sapendo perfettamente che avrebbe ottenuto ciò che voleva, per poi andarsene di soppiatto come un ladro con la sua refurtiva, lasciandolo lì con lo sguardo perso sul soffitto.
Perché l'ha svegliato alle tre e mezza e domani c'è scuola, ma lui ora non riesce più a prendere sonno.
Perché non è rimasto a dormire inventandosi una scusa ridicola su Dante.
Perché la sua risposta l'ha stranito ma non ha detto nulla, dato che lui non parla mai di quello che prova sul serio e finge che niente lo scalfisca.

Vorrebbe arrabbiarsi con Manuel per mille motivi, per quelli che gli passano per la testa adesso e per quelli che non gli sovvengono al momento ma sa che esistono, eppure non ci riesce.

Non ci riesce perché è arrabbiato soltanto con se stesso.

Avrebbe potuto chiudergli il telefono in faccia e non scendere ad aprirgli.
Avrebbe potuto rispedirlo a casa sua invece di farlo salire in camera.
Avrebbe potuto respingerlo e rimettersi a dormire.
Avrebbe potuto convincerlo a restare in qualche modo.

Ma non ha fatto niente di tutto ciò, quindi è colpa sua se adesso si sente così, non può recriminare alcunché a Manuel.

Perché non sai manco tenertelo nei pantaloni quando lo vedi.

Simone scuote la testa come a scacciare quel pensiero intrusivo, perché non è quello il motivo se cede sempre a Manuel. Non è soltanto mero istinto e passione, è anche necessità di creare una connessione, di essere desiderato, di sentirsi amato e amare.

Povero ingenuo.

Nemmeno si è accorto delle lacrime che, prepotenti, si sono fatte strada fino al cuscino.

È la storia della sua vita, non rendersi conto delle cose che succedono finché non è troppo tardi.

Non si rende conto che sta cominciando a illudersi finché non si ritrova già a pensare che l'altro lo ricambi, non si rende conto di essere ridicolo finché non vede Manuel ghignare di fronte alle sue espressioni inebetite, non si rende conto di essere geloso finché non stanno già litigando per le sue scenate.

Non si rende conto di essere solo finché non si ritrova nudo su un letto senza nessuno accanto.

Ma solo, di fatto, lo è sempre, perché percepisce Manuel perennemente distante, come se ci fosse un velo opaco tra loro che gli permette di vederlo ma non di definire perfettamente i contorni della sua figura.
Anche quando si sente più vicino che mai a lui, quando gli sembra di capirlo perfettamente e di vedere oltre tutte le sue barriere, qualcosa rimane celato ai suoi occhi. E quel qualcosa potrebbe rivelare che in realtà non ha capito nulla del loro rapporto.

È una continua lotta, nel suo cervello; tra l'istinto, che gli suggerisce quello che Manuel non dice a parole ma dimostra spesso coi fatti, e la ragione - o insicurezza? - che lo convince di essere solo un illuso che si sta costruendo mille castelli in aria e che, visto da fuori, risulta talmente disperato nel suo bisogno di amore da accontentarsi delle briciole che gli vengono lanciate per tenerlo buono.

Questi pensieri si accavallano incessanti, cercano di imporsi l'uno sull'altro, così forti che lo isolano da tutto il resto.

Il confine tra sentirsi amato, come è successo in quei brevi attimi tra le braccia di Manuel, e sentirsi usato come un oggetto per soddisfare il desiderio dell'altro risulta estremamente sottile.

E il caos prende il sopravvento.


Manuel adesso lo sta fissando con uno sguardo torvo che non promette nulla di buono.
È nervoso, Simone se ne accorge dalla sua gamba destra che non smette di fare su e giù, dalle braccia incrociate al petto, dai denti che continuano a martoriare il suo labbro inferiore, dalle narici che si dilatano a ogni respiro pesante che butta fuori.

Cerca di non guardarlo troppo, ma al contempo di non evitarlo apertamente, perché non vuole attirare l'attenzione su loro due in alcun modo.
È soltanto un ragazzo che sta cantando una canzone al karaoke insieme a una sua amica, nulla di più.
Tuttavia, a giudicare dall'aspetto, Manuel non sembra pensarla così.

Ma avrò il diritto di esprimere quello che provo in qualche modo?


Di nuovo, prova a focalizzarsi sui versi da cantare e lascia che i ricordi e le sensazioni dei mesi precedenti lo attraversino...


Rinnegare una passione no
Ma non posso dirti sempre sì e sentirmi piccola così
Tutte le volte che mi trovo qui di fronte a te, eh


Sono le 19:38 quando il campanello di casa suona.
Simone è da poco rientrato da un pomeriggio passato a studiare con Aureliano, non ha neanche fatto in tempo a cambiarsi prima che il padre lo invitasse poco cordialmente a dare una mano alla nonna nella preparazione della cena.
È proprio mentre sta per raggiungerla in cucina, scorrendo distrattamente la home di Instagram sul cellulare, che viene costretto a tornare sui propri passi per andare ad aprire.

Ma chi è che spunta in casa della gente a quest'ora?

Come prevedibile, si ritrova davanti Manuel, nonostante non si fossero organizzati per vedersi. Indossa la sua solita giacca verde militare, che tiene aperta lasciando intravedere una felpa nera, e dei jeans chiari fin troppo stretti per i suoi standard. Ha i ricci ancora arruffati dal casco della moto, le guance leggermente arrossate per il freddo - ché, nonostante sia già aprile, le temperature non si sono ancora alzate - e sorride sornione con una mano appoggiata allo stipite della porta.
Simone potrebbe giurare di non averlo mai visto più bello di così.

Lo pensi ogni volta.

«Me fai entrà?» gli domanda Manuel, indicando con un cenno del capo un punto non ben definito alle sue spalle.

«Veramente stavo uscendo.»

Eh?

«Eh?» ribatte lui, aggrottando le sopracciglia per la confusione.

«Devo uscire con uno.»

Ma che stai dicendo?

Neanche lo sa cosa stia dicendo, le parole gli escono di bocca in automatico prima che riesca a ragionarci sopra.

«Co' uno?»

Simone si schiarisce la voce e riprende: «Eh, un ragazzo».

Vede Manuel raddrizzare la schiena e incrociare le braccia al petto, per poi deglutire prima di chiedergli «E chi è questo ragazzo?».

Gli sembra di sentire una punta di fastidio nella sua voce, ma si convince che probabilmente il nervosismo di Manuel sia dovuto al fatto che gli sta dando buca, cosa che succede raramente - anzi, a dir la verità, mai.

«Uno della squadra di rugby, non lo conosci.»

Non ti si fila nessuno nella squadra.

Ormai le frottole si impilano l'una sull'altra sfuggendo al suo controllo.
Ad aver preso il sopravvento è, con molta probabilità, la parte più rancorosa della sua anima, quella che gli urla senza sosta che non può continuare a farsi trattare così, che non può scattare sempre sull'attenti ogniqualvolta Manuel si ricorda della sua esistenza; soprattutto se l'altro nemmeno lo avvisa quando sta per arrivare, come se desse per scontato che Simone stia ad aspettarlo senza fare nulla, senza prendere impegni, ai suoi comodi.

Ma no, Simone non è ai suoi comodi.
E dunque, quella sera non lo farà entrare, non gli dirà di sì.
Anche a costo di inventarsi un appuntamento con un compagno di squadra inesistente.

«Uno della squadra di rugby» ripete Manuel, col sopracciglio destro che si alza in un'espressione indagatrice.

«Ti sei mangiato un pappagallo?»
Adesso Simone si sta davvero innervosendo, Manuel non ha nessun diritto di fargli quella sorta di interrogatorio, non è né suo padre né tantomeno il suo fidanzato, come gli piace sottolineare.

L'altro ragazzo non sembra intenzionato a rispondergli, continua a scrutarlo con gli occhi ridotti a due fessure, e allora Simone ne approfitta per aggiungere «Vado a recuperare il cellulare e il giubbotto ché sto facendo tardi», per poi rientrare in casa e avvisare velocemente la nonna dell'improvviso cambio di piani.
Quando ritorna all'ingresso, giubbotto indosso e telefono in tasca, trova Manuel ancora lì.

Non appena lo vede, quest'ultimo sbuffa un sospiro incredulo: «Me stai seriamente a piscià pe' uno della squadra de rugby?»

«Puoi cenare con mio padre e mia nonna, se vuoi» fa spallucce Simone.

Manuel scuote la testa, trattenendo una risata isterica e limitandosi a rispondere con un «Passo, grazie».

«Vabbè, buona serata» esclama a quel punto Simone, mentre si chiude la porta alle spalle, per poi incamminarsi verso la sua Vespa parcheggiata poco distante, lasciando l'altro a guardarlo andare via.


Troppo cara la felicità per la mia ingenuità
Continuo ad aspettarti nelle sere per elemosinare amore


Poco dopo aver piantato Manuel, Simone aveva chiamato Laura nella speranza di poter passare la serata con lei, dato che ormai era uscito e doveva pur fare qualcosa.
Così, era finito sul letto a una piazza e mezza della ragazza a guardare 27 volte in bianco con lei e Chicca.
E, per quanto gli piacessero le commedie romantiche e si divertisse con le ragazze, si era decisamente pentito della sua scelta. Perché di Manuel era innamorato, e non sfruttare quei momenti che potevano passare da soli gli sembrava un affronto a quel sentimento.

E così, adesso si ritrova sotto casa sua ad aspettarlo, seduto sul terzo gradino di quella scala così familiare - ché sono già le 23:40 e non ha voluto suonare per non rischiare di svegliare Anita, nell'eventualità fosse in casa e non con Dante, e la moto di Manuel non c'è, ha guardato anche nel garage.

Coglione, patetico, imbarazzante, ridicolo.

Vorrebbe sotterrarsi nello stesso posto in cui evidentemente è sotterrata la sua dignità.
Si sente un idiota, perché si è inventato un appuntamento pur di dimostrare all'altro che non è il suo burattino e invece adesso sta lì in attesa che ritorni, come un cane abbandonato sull'autostrada che attende il ritorno del padrone.
Riesce persino a immaginare la faccia che farà Manuel vedendolo e le battutine sarcastiche che gli rivolgerà e pensa che se le merita pure, considerando che si è reso ridicolo in questo modo.

Non passano neanche dieci minuti prima che arrivi alle sue orecchie il rumore inconfondibile di un motore, seguito dalla moto a cui appartiene che svolta l'angolo.
Manuel parcheggia davanti al garage e, levatosi il casco, guarda Simone per un istante e poi gli sorride.

Gli sorride perché, se è lì, forse la sua serata è stata noiosa e triste come la propria; perché magari il ragazzo con cui è uscito era insopportabile o forse gli piaceva anche, ma sentiva gli mancasse qualcosa; perché comprende la necessità di Simone di allontanarsi da lui e l'incapacità di riuscirci veramente - perché prova lo stesso quando cerca altre compagnie, spaventato da un qualcosa che gli sembra tremendamente sbagliato e giusto allo stesso tempo, e poi torna sempre da lui, come se ci fosse una specie di forza di gravità tra loro due che gli impedisce di stare lontani.
Gli sorride perché gli è mancato, quella sera.

Tutto questo Simone non può saperlo, eppure, forse perché è buio e la strada è poco illuminata, si dice, in quel sorriso non scorge né derisione né compassione, soltanto voglia di vederlo.

E all'improvviso, quel senso di inadeguatezza e vergogna che prova da ore svanisce e Simone gli sorride a sua volta, perché, quella sera, il sorriso di Manuel gli sembra esattamente lo specchio del suo.


Il secondo ritornello lo lascia cantare solo a Chicca, ché con gli ultimi versi a lui è iniziata a tremare la voce e teme di poter scoppiare in lacrime da un momento all'altro lì davanti a tutti.
La ragazza nel frattempo si è slegata dal suo abbraccio e adesso si dimena con enfasi mentre segue le note, come se stesse cantando a San Siro davanti a 60.000 persone.

Simone scuote la testa divertito davanti alla scena e approfitta di questo momento, in cui tutti gli occhi sono sicuramente puntati sull'amica, per lanciare una breve occhiata a Manuel.
La gamba gli sta ancora tremando, ma adesso è intento a finire la sua birra con lo sguardo perso su un punto imprecisato della sala e non gli presta più attenzione.

Simone non ha voglia di litigarci un'altra volta, sa che Manuel si è infastidito per la canzone, ma lui non crede di aver fatto qualcosa di male, quindi spera che l'altro non la renda una questione più grande del dovuto.
Del resto, nessuno potrebbe mai immaginare che quello che Simone sta cantando parli esattamente di loro due, quindi non c'è pericolo.
È stato solo uno sfogo impulsivo dettato dal momento e da mesi di sentimenti urlanti soffocati e ridotti al silenzio, ma questo nessuno lo saprà mai.

Si ridesta dai propri pensieri giusto in tempo per cantare degli altri versi in cui si rispecchia fin troppo...


E continuo sulla stessa via, sempre ubriaca di malinconia
Ora ammetto che la colpa forse è solo mia
Avrei dovuto perderti, invece ti ho cercato


Il rombo fragoroso di un tuono fa svegliare Simone di soprassalto, spaventato da quel rumore improvviso. Dopo una frazione di secondo necessaria a riconoscerne la provenienza e tranquillizzarsi, si passa una mano sul volto stanco. Gli occhi gli bruciano tanto da non riuscire a tenerli aperti, ha la bocca secca e un cerchio alla testa che lo rende più intontito di quanto non sia di solito al risveglio.
Sbatte le palpebre un paio di volte, cercando di mettere a fuoco la realtà attorno a lui, anche se la stanza è parecchio buia. Non sa che ore siano, ma col temporale che si sta scatenando sulla città sicuramente non ci sarebbe chissà che luce neanche se fosse già mattina. A peggiorare la situazione, ci sono le pareti scure della camera.

Ma camera tua non ha le pareti scure.

Sbigottito e anche un po' preoccupato, perché si trova in una camera da letto che chiaramente non è la sua, si volta di scatto alla sua sinistra e vede una testa riccioluta spuntare da sotto le lenzuola. Seppur frastornato dalla combo micidiale di mal di testa, scroscio incessante della pioggia e confusione di chi si è appena svegliato, la riconosce all'istante.
Quella testa la riconoscerebbe sempre e comunque.
Cerca di fare mente locale sulle ultime ore per capire come mai si trovi in quello che, a questo punto, presume sia il letto di Manuel, con l'altro ragazzo ancora addormentato accanto a lui.

Cazzo.

Simone sbarra gli occhi mentre le immagini della serata precedente gli iniziano a scorrere alla rinfusa nella mente.

Cazzo, cazzo, cazzo.

«No, non è possibile» pensa.

Solleva un po' il lenzuolo e, trovandosi nudo, constata che, sì, a quanto pare è successo proprio quello che il suo cervello gli sta suggerendo.

Lui e Manuel hanno fatto sesso.

Per la seconda volta.

Da ubriachi.

Non era più successo nulla, dopo la sua festa di compleanno. Manuel si era scusato per le brutte parole urlategli addosso, avevano chiarito ed erano rimasti amici, sorvolando sulla questione più spinosa. Simone non aveva fatto domande e Manuel non aveva offerto risposte di sua spontanea volontà.

Evidentemente, però, qualcosa era cambiato in quella sera di giugno.

Non riesce ancora a riordinare di preciso tutti gli avvenimenti, ricorda che sono andati a ballare con dei compagni di scuola, ricorda la pioggia che li ha sorpresi all'uscita del locale, il passaggio in macchina dell'amico di Matteo, la corsa su per le scale verso casa di Manuel.
E poi le risate senza motivo, i vestiti bagnati buttati alla rinfusa sul pavimento, i ricci di Manuel appiccicati sulla sua fronte.
E infine i baci impazienti, le mani che si insinuano ovunque, i gemiti soffocati sulla pelle dell'altro.

Aveva sognato così tante volte questo momento, ma di certo non voleva accadesse da ubriachi. Almeno lo ricordava, però.

Eh, pensa che culo.

Chissà se lo ricordava anche Manuel. Magari avrebbe fatto finta di non ricordare nulla così da evitare il discorso senza problemi.

Con la confusione ancora in testa, Simone allunga un braccio verso il comodino per recuperare il cellulare e controllare l'ora sul display: le 11:37.
Anita è fuori con Dante per il fine settimana, quindi, per fortuna, non rischiano di essere scoperti.
Una volta individuati i propri boxer sul pavimento grazie alla torcia del cellulare, si alza lentamente, cercando di muoversi il meno possibile per non svegliare l'altro. Mentre li indossa, però, perde l'equilibrio e finisce a sbattere contro la scrivania, facendo anche cadere un portapenne che vi era poggiato sopra.

Ma sarai cretino?

«A ma', che è?» la voce roca di Manuel si diffonde per la stanza e il ragazzo si tira a sedere sul letto all'istante, strofinandosi un occhio con la mano.

Ma guarda questo, non s'è svegliato col diluvio universale fuori e si sveglia col portapenne.

Simone vede il suo sguardo assonnato posarsi prima su di lui, poi sul resto dei vestiti sparsi per la stanza e poi di nuovo su di lui.
Gli bastano pochi secondi per realizzare quanto successo, Simone gliela legge subito negli occhi quella consapevolezza.

Gli attimi che trascorrono a fissarsi, avvolti da un silenzio imbarazzante, sembrano interminabili, finché non è Simone a spezzare quella bolla schiarendosi la gola e pronunciando un cauto «Buongiorno» con un sorriso appena accennato sulle labbra.

«Scusa ho... ho urtato la scrivania ed è caduto il portapenne» riprende, mentre si affretta ad abbassarsi sulle ginocchia per recuperare gli oggetti caduti, con movimenti fin troppo impacciati.

«Mado', c'ho 'na sete che manco dopo 'na maratona.»

Manuel sembra ignorare la sua presenza; si alza dal letto, ritrova i boxer e, dopo averli indossati, si dirige in cucina aprendo il frigorifero, il tutto sotto lo sguardo perplesso di Simone.
Dopo aver finito di bere direttamente dalla bottiglia, muove quest'ultima nella sua direzione con un «Vuoi?».

Simone scuote piano la testa, sebbene in realtà stia morendo di sete anche lui.

«Me sa che è 'n po' tardi pe' fà colazione, ma possiamo preparà qualcosa per pranzo dopo che me faccio 'na doccia» continua, dopo aver riposto la bottiglia nel frigo e aver dato una rapida occhiata all'orologio attaccato alla parete.

Non ci posso credere.

Un fulmine illumina la cucina in penombra, seguito da un tuono che squarcia il silenzio tra loro.

«Quindi pure questa volta facciamo finta di niente? Come se non fosse mai successo?» sbotta Simone infastidito, alzando la voce e incrociando le braccia al petto, mentre continua a fissarlo appoggiato allo stipite della porta.

Manuel assume un'espressione confusa, aggrotta le sopracciglia e comincia a pronunciare un «Ma veramente non...» che però viene interrotto subito dalla pronta risposta di Simone, ormai sull'orlo di una crisi di nervi per l'indifferenza dell'altro.

«Non ci provare, lo so che te lo ricordi, te l'ho letto in faccia.»

No, questa volta non sorvoleranno sull'argomento.

«Ahò, Simo, stai a fà tutto te, me fai parlà?» adesso anche lui ha alzato un po' la voce.
«Me ricordo, ancora non ce l'ho l'Alzheimer.»

Ah.

«E quindi?» chiede Simone spazientito.

«Quindi che?» è la risposta dell'altro, che si porta le mani sui fianchi e fa qualche passo verso di lui.

«Che pensi?»

«Che devo pensà, è stato divertente, no?»

«L'ho già sentita, questa», il nervosismo di prima comincia a trasformarsi in un'amara sensazione di dejà vu.

«Perché è vero. Ed era vero pure l'altra volta.»

«Quindi l'altra volta... era vero pure che non esistevo?»

Simone abbassa lo sguardo sul pavimento, la voce tremolante gli esce come un sussurro, al punto che l'altro quasi non lo sente.
Ché Manuel si è scusato, hanno chiarito, però il ricordo di quella lite in garage gli fa ancora male e le insicurezze che vi sono legate teme non andranno mai via.

«Simò...»

Manuel pronuncia il suo nome come una carezza, con un velo di tristezza nella voce.
Sa di averlo ferito tanto, forse troppo, e ha paura che non riuscirà mai a rimediare.

Il suo sguardo si addolcisce, fa qualche altro passo verso di lui e istintivamente gli viene da allungare una mano per posarla sulla guancia dell'altro e tirargli su il viso, in modo da incontrare i suoi occhi, ma non lo fa, la mano resta a mezz'aria per un istante e poi ricade lungo il fianco.

«Quello non era vero, se serve me scuso un'altra volta.»

«Lo so, lascia stare.»

Simone sventola una mano davanti al viso, come a scacciare quell'argomento, e cerca di riportare la conversazione sui binari di prima, asserendo «Quindi ti sei divertito» con la voce che risulta un po' incerta, perché non sa bene se sia una cosa positiva o meno.

«Eh, te no? Ieri me sembrava de sì», un sorrisetto sghembo gli si dipinge in volto.

Immediato è il calore che Simone sente alle guance, immagina gli siano diventate color porpora e questa consapevolezza lo imbarazza ancora di più. Non riesce a reggere lo sguardo dell'altro né a formulare una risposta di senso compiuto almeno nella propria testa.
Non è la prima volta che si ritrovano a fare una conversazione simile e, se è per questo, si sono ritrovati in situazioni ben più intime, ma non si aspettava certo tutta questa spavalderia da parte di Manuel e la cosa lo inebetisce più del dovuto.

«Ma... cioè, sì, ma...» si ritrova a balbettare, le fughe tra le mattonelle del pavimento diventate tutt'a un tratto interessantissime ai suoi occhi.

«Ecco, io me so divertito, te pure, che altro ce sta da dì?»

Non sa dove trovi, per l'ennesima volta, il coraggio per porre una domanda simile quando chiede: «Sì, ma... che significa?».

«Deve significà per forza qualcosa, Simò? Perché fai tutte 'ste domande, ogni volta? In teoria sò io il filosofo dei due» ridacchia Manuel, nel tentativo di alleggerire l'atmosfera.

Simone resta in silenzio, continua a evitare lo sguardo di Manuel perché, sì, per lui significa qualcosa eccome, ma non ha intenzione di esporsi un'altra volta.

«Non può esse 'na cosa divertente e basta, senza domande?»

«Senza domande» ripete Simone, quasi ad assicurarsi di aver sentito bene.

«Che potrebbe pure ricapità spesso... senza domande.»

A quelle parole, Simone sgrana gli occhi e volta fulmineo il capo per guardarlo in faccia. "Non può averlo detto davvero" pensa.

Figurati, avrai capito male.

«Ma sei ancora ubriaco?»

«Guarda che non ero così tanto ubriaco manco ieri, Simò» risponde Manuel sbuffando una mezza risata e grattandosi il capo, la sfacciataggine di prima che inizia pian piano a venir meno.

Simone non pensava di poter spalancare gli occhi più di così, eppure il suo corpo lo smentisce, al punto che teme gli possano uscire dalle orbite da un momento all'altro come se fosse il personaggio di un cartone animato.
Il cuore gli martella nel petto a una velocità fuori dal normale, le orecchie gli fischiano e comincia a sudare pur avendo addosso solo i boxer.

Cerca di non svenire adesso.

Si sporge in avanti per afferrare una sedia, non crede di potersi reggere in piedi ancora a lungo. Non sta capendo assolutamente niente.
Con quel poco di lucidità che gli rimane, prova a unire i puntini di quella conversazione: Manuel gli ha appena proposto di andare a letto insieme senza impegno?

Ma che cazzo di proposta è?

Tu sei innamorato e quello ti propone una scopamicizia, ma è scemo?

Cerca di regolarizzare il respiro a occhi chiusi, mentre la rabbia inizia gradualmente a prendere il posto della confusione.
I suoi lineamenti si induriscono, le mani si stringono a pugno sulle sue cosce.
No, non può accettare di farsi trattare così.

Rialza di nuovo il capo verso Manuel, che adesso lo sta osservando un po' preoccupato, anche perché lo sta chiamando da qualche minuto senza ricevere risposta.

Pure lo sguardo di pietà no.

Simone si rimette in piedi e, colmo di ostilità, gli sputa contro un «Vaffanculo», dirigendosi poi a passo spedito verso la camera dell'altro per recuperare i propri vestiti.

Oh, ancora un deja vù.

Manuel gli va subito dietro cercando di porre rimedio al disastro creato.

«Vabbè, dai, manco a fà così. Facciamo che non t'ho detto niente e restiamo amici come prima» cerca di minimizzare, ma Simone è categorico.

«Mi sa che non siamo in grado di essere amici.»

Lo dice guardandolo negli occhi, senza nessuna esitazione.

«Che vor dì, Simò?» chiede l'altro con la voce incrinata dal panico.

Riceve in risposta un muro di silenzio.

«Simò, me rispondi? Che stai a dì?»

Simone lo supera senza degnarlo di uno sguardo, esce dalla camera e si dirige verso l'ingresso.

«Ahò, ma 'ndo vai? Ce sta er diluvio fuori, aspetta...»

Manuel gli afferra un braccio per fermarlo, ma Simone si divincola senza difficoltà, intimandogli un «Lasciami stare», ed esce di casa sbattendosi la porta alle spalle con un rumore secco.

Non si parlano da due settimane.

Manuel ha più volte provato a scrivergli, ma lui l'ha ignorato.

Mentre galleggia a pancia in su in piscina, con i raggi del sole puntati in faccia che lo costringono a tenere gli occhi chiusi, si chiede se non sia stato troppo precipitoso a chiudere i ponti così drasticamente.

Perché Manuel gli manca terribilmente. Non sono mai stati così tanto tempo lontani, per di più con la consapevolezza che quel rapporto sia finito, e a Simone sembra di impazzire.
Rivuole il suo migliore amico.

Eppure, al tempo stesso, sente che non riuscirebbe più a essergli soltanto amico. Non dopo quello che è successo e, soprattutto, non ora che Manuel non l'ha respinto come l'altra volta, non ora che sa che anche lui è stato bene, che anche lui prova lo stesso desiderio - perlomeno dal punto di vista fisico - che prova lui.

No, non potrebbe mai fare tutti quei passi indietro, impossibile.

Ma dovete per forza tornare solo amici?

Forse, tutto sommato, l'idea di Manuel non è davvero così terribile.
Del resto, con lui ci sta bene - per usare l'eufemismo dell'anno. E chi dice che una "scopamicizia" non possa trasformarsi in altro? Magari anche Manuel prova dei sentimenti più profondi che non è pronto a esternare e vivere, questo per lui potrebbe essere stato un modo per avvicinarsi, darsi tempo.

Adesso non esageriamo.

In ogni caso, è un modo per potergli stare vicino. E se l'alternativa è non averlo del tutto, come in queste settimane...

Mezzora dopo, Simone entra nel garage di Manuel senza nemmeno bussare, trovandolo ad armeggiare con la sella di una moto. Chiusa la porta dietro di sé, si dirige a grandi falcate verso l'altro, gli afferra il volto tra le mani e fa scontrare le loro labbra con forza.
Manuel, però, si tira istintivamente indietro, facendo leva sulle braccia dell'altro per distaccarsi.

«Che stai a fà, Simò?» gli chiede stupito, scuotendo leggermente il capo.

Cretino, che cazzo hai fatto?

«Non... cioè... mi avevi detto quella cosa, forse ho capito male io, lascia perd...» comincia a balbettare a raffica, in preda all'ansia di aver frainteso tutto ed essersi messo in ridicolo come sempre.

Manuel lo interrompe subito con un divertito «Ahò, frena, stai di nuovo a fà tutto te» pronunciato mentre stringe la presa sulle sue braccia per tranquillizzarlo.

«Non hai capito male, è che ...» fa un sospiro prima di riprendere a parlare «Prima te sei incazzato, mo arrivi qua come un treno, boh, cioè... sei sicuro?»

Il viso di Simone si apre in un sorriso malizioso.

«Perché fai tutte 'ste domande, ogni volta?» è l'unica cosa che gli risponde, prima di afferrare la cerniera della sua tuta da meccanico per tirarlo a sé e approfondire quel bacio interrotto.


È proprio mentre canta quell'ultimo verso che vede Manuel poggiare il boccale appena svuotato sul tavolino davanti a sé, allontanandolo verso il centro, per poi bisbigliare qualcosa all'orecchio di Matteo e alzarsi, dirigendosi da solo verso l'uscita del locale.

Il primo istinto di Simone è quello di seguirlo, ma questo desterebbe troppi sospetti, quindi si costringe a restare sul palco e portare a termine la canzone, lottando contro ogni cellula del proprio corpo per non mollare Chicca lì e andare a parlare con Manuel, e al diavolo i sospetti.

Alla fine, riesce a cantare gli ultimi versi abbracciato a Chicca, stampandosi sul volto un finto sorriso spensierato che spera nasconda l'ansia che gli sta montando in petto.

Scendono dal palco tra gli applausi e i fischi della clientela e fanno ritorno al loro tavolo, subito accolti da Matteo che esclama «Certo che potevi pure sceglie 'na canzone migliore» rivolto alla sua ragazza.
Chicca gli rifila uno scappellotto non particolarmente delicato, mentre lo apostrofa con un «Che ignorante che sei», scatenando le risate di tutto il gruppo.
Simone si sforza di partecipare, ma la sua mente è altrove, tanto che quasi non sente Alessandro dirgli: «Non te la cavi male, però, eh».
Sforza un sorriso in risposta, per poi rivolgersi distrattamente al gruppo, biascicando uno «Scusate, sto morendo di caldo, vado a prendere una boccata d'aria», e dileguarsi fuori.

Prende un respiro profondo prima di abbassare la maniglia della porta e tirarla a sé per uscire, venendo subito investito dall'aria fresca della sera che, a contatto con le goccioline di sudore che gli ricoprono il viso e il collo, lo fa rabbrividire.
Dopo una rapida occhiata nei dintorni, si rende conto che Manuel davanti al locale non c'è e l'ansia che già sentiva comincia a trasformarsi in panico.
Cerca di respirare in modo regolare per tranquillizzarsi, mentre si incammina per le stradine che circondano il pub, sperando che Manuel non se ne sia già andato.

Lo trova proprio sul retro, in un vicolo scarsamente illuminato da un lampione che va a intermittenza e dalle poche luci provenienti dalle finestre dei palazzi adiacenti.
Sta appoggiato con la schiena e il capo al muro dietro di lui, una sigaretta tra le labbra e gli occhi chiusi, mentre un piede continua a martellare contro l'asfalto.

«Manuel» lo richiama con un filo di voce.

Per qualche secondo, teme di non essere stato sentito, perché l'altro ragazzo non si muove di un millimetro.
Poi, però, lo vede sfilarsi la sigaretta dalle labbra e soffiare via il fumo.
Dopodiché, Manuel apre gli occhi lentamente, senza voltarsi a guardarlo: si limita a fissare l'altro muro davanti a sé.

«Hai finito Sanremo, dellà?» butta fuori sprezzante.

«Era solo una canzone.»

«Mmh» è l'unica risposta che gli concede Manuel, per poi gettare la sigaretta a terra e schiacciarla col piede per spegnerla.

Continua a non guardarlo, con le braccia adesso incrociate al petto.

«Che c'hai?» prova a chiedere cauto Simone, avvicinandosi di un altro passo con le mani in tasca, anche se lo immagina benissimo cos'abbia.
Spera, però, di riuscire a parlarci, per una volta.

Manuel fa spallucce e replica con un «Niente, che dovrei avè?», nonostante il suo tono di voce alterato tradisca che qualcosa ce l'ha eccome.

«Te ne sei andato prima che finissimo.»

«Il pubblico c'era lo stesso, me pare, no? Alessandro sembrava molto partecipe», la sua voce sale di un tono mentre pronuncia la seconda frase con fare canzonatorio.

«Che c'entra mo Alessandro?» gli chiede accigliato Simone.

«No, infatti non c'entra un cazzo» taglia corto l'altro.

La piega presa dalla conversazione stranisce Simone, non si aspettava affatto di poter sentire tali parole e pronunciate in quel modo, considerato che a lui sembrano far trasparire soltanto gelosia, non riuscirebbe a interpretarle diversamente. E allora azzarda:

«Sei geloso?»

Sì, adesso te lo conferma, fidate.

Manuel esplode in una risata isterica e scuote leggermente il capo, coi ricci che ne seguono il movimento, poi si volta finalmente a guardarlo e risponde «Te piacerebbe», un sorrisetto derisorio ancora dipinto sulle labbra.

Simone sta iniziando a innervosirsi, non sopporta di essere sbeffeggiato così quando, con molta probabilità, ha persino ragione.

«E allora perché lo metti in mezzo?»

«Perché è 'n pariolino der cazzo, me fa antipatia.»

«Ma se neanche lo conosci!» sbotta Simone, alzando un po' la voce - forse troppo, considerando che si sta parlando di uno sconosciuto anche per lui.
«E poi non mi pare proprio un pariolino» conclude incrociando le braccia al petto, sul volto un'espressione imbronciata.

«Guarda come se lo difende!» ridacchia l'altro, alzando a mezz'aria una mano col palmo rivolto verso l'alto e indicando Simone. «Ha fatto colpo er pariolino.»

«Manuel...»

«Vabbè, così la prossima volta gliela canti a lui la canzone e me lasci 'n pace» è la conclusione che Manuel pronuncia con ostentata noncuranza.

«Non l'ho cantata per te.»

Simone vorrebbe riuscire a dirlo con fermezza e risultare convincente, ma la voce gli esce tremolante e bassa, quasi un sussurro.
Alla fine, le bugie non le sa proprio dire. Men che meno alla persona che ama.

Manuel solleva le sopracciglia e, con un lieve cenno di assenso del capo, si limita a commentare con «Mmh».

«Chicca voleva qualcuno con cui cantare e sono salito io» è la misera giustificazione dell'altro ragazzo.

Ci stiamo credendo tutti.


«Mmh.»

«Ma poi, se anche fosse, che cazzo te frega, scusa?» esplode allora Simone, perché non ne può più di quelle risposte inconsistenti.

Al sentire quelle parole, però, Manuel perde il controllo: si stacca dal muro e raggiunge l'altro a grandi falcate, in modo da poterlo afferrare per il colletto della camicia mentre gli urla in faccia: «Che cazzo me frega? Canti quella roba davanti a tutti e mi chiedi che cazzo me frega? Ma sei scemo?»

Simone si divincola con facilità dalla presa del ragazzo di fronte a sé, rimettendo qualche passo di distanza tra di loro, il tutto esclamando: «Ma se l'ha scelta Chicca per Matteo! Io l'ho solo accompagnata, nessuno ha pensato ad altro».

«E te a che hai pensato, mh?»

«Forse a quello a cui hai pensato te, a 'sto punto.»

Si porta le mani sui fianchi, Manuel, e riprende a ridacchiare tra sé e sé, frattanto che scuote il capo chinato a guardare i suoi piedi.

«Se pò sapè che voi da me, Simò?» gli dice infine, incastrando gli occhi nei suoi.

Simone abbassa lo sguardo, è avvilito di fronte a quella domanda e non vuole che gli si legga negli occhi. Manuel sa benissimo cosa vuole da lui e sa anche che Simone non può dirglielo perché è lui a non volerlo ascoltare, quindi quella domanda sembra una beffa bella e buona.

Sconfortato, risponde a bassa voce: «Niente, non voglio niente».

«No, mo me dici che voi. Perché hai cantato quella canzone?»

L'altro si rifiuta di rispondere, continua piuttosto a guardare per terra.

«Parla!» e gli si avvicina di nuovo, spintonandolo.

«Perché? Perché, Simò?», un'altra spinta.

Simone a quel punto non ne può più; lo spintona a sua volta per allontanarlo ed esplode: «Perché sì! Era solo uno sfogo del cazzo! Non posso confidarmi con nessuno perché nessuno deve sapere, con te non posso parlare perché guai a fare certi discorsi, mo non posso manco cantare a un karaoke di merda?!»

«E de che vorresti parlà, Simò?»

«La smetti?»

Sa che l'altro cerca solo un pretesto per sfogare la sua frustrazione e non ha intenzione di prestarsi a questo gioco più di quanto non abbia già fatto.

«No, dimme, te ascolto. È il momento "Posta del cuore", vai» lo provoca ancora Manuel.

Simone alza gli occhi al cielo e «Ma vaffanculo» risponde.

«No, sò serio. Ce dobbiamo scrive 'e lettere d'amore? Voi annà in giro co' la manina? Chiedi ad Alessandro, secondo me sarebbe contento.»

«Ma perché devi dì 'ste cazzate?» lo rimbecca l'altro, ormai esasperato.

«Perché sei te che le voi, 'ste cazzate, no?» è la pronta risposta.

Simone non ci sta.
Questo non può accettarlo, perché Manuel non sa un bel niente di quello che vuole lui.
Non gli ha mai dato modo di parlarne, anche se Simone ci ha provato più volte, sempre per essere fermato immediatamente.
E allora no, la presunzione di avere la verità in tasca che sta dimostrando adesso l'altro ragazzo non la può tollerare.

«No! Non voglio che camminiamo mano nella mano per strada o che ci baciamo davanti al portone della scuola, non me ne frega un cazzo! Voglio solo sapere che non è tutto nella mia testa, che non è solo sesso, che questa cosa tra noi...» esita un secondo per prendere fiato e incatena i propri occhi a quelli di Manuel prima di concludere, con una risolutezza nella voce che non credeva di poter trovare in quel momento, dicendo: «Esiste anche per te, qualunque cosa sia».

Manuel comincia a camminare su e giù per il vicolo nel tentativo di smaltire un po' di nervosismo, con scarsi risultati.

«Ero stato chiaro, me pare, o no? Te l'ho sempre detto che era solo 'na roba divertente, e t'è sempre andata bene, mo che cazzo voi?»

«Non mi è sempre andata bene, me la sono fatta andar bene. Per te. Per non perderti. Perché pensavo ti servisse tempo e volevo aiutarti.»

Ormai stanno urlando entrambi, col rischio che qualcuno li senta - cosa che, in teoria, dovrebbe essere la principale preoccupazione di Manuel. Lui, però, non sembra curarsene e continua a gridare.

«Pensavi male» gli sbraita contro infatti, lapidario, dopo essersi fermato a guardarlo.

«Pensavo male?»

«Sì, pensavi male. Ma poi come volevi aiutarmi, scusa? Sputtanandomi con la canzone davanti a tutti?»

«Non volevo sputtanarti» ribadisce Simone.

È perfettamente conscio del fatto che nessuno possa aver capito qualcosa da una stupida canzone, ma al tempo stesso comprende la paura irrazionale dell'altro e non riesce a fargliene davvero una colpa, pertanto cerca di rassicurarlo.

«Ah, no?», Manuel solleva un sopracciglio mentre pone la domanda a suo dire retorica.

«No, io... mi sono solo lasciato andare per un momento.»

Simone inizia addirittura a pensare di aver sbagliato a salire sul quel palco: se non lo avesse fatto, adesso non starebbe in quel vicolo semibuio a urlare contro qualcuno che vorrebbe solo stringere tra le proprie braccia, invece.

«Ho visto.»

«Nessuno sospetta di niente, Manuel, erano tutti tranquilli.»

L'altro ragazzo non dice nulla; piuttosto, riprende a fare avanti e indietro di fronte a lui.

È allora che Simone torna a concentrarsi sulla parte del discorso che ha cercato di ignorare fino a quel momento e, con voce titubante, chiede: «Quindi per te è sempre 'na roba divertente e basta?».

«Te l'ho detto» lo sente rispondere mentre gli dà le spalle.

«Me l'hai detto» ripete Simone, con un tono piatto e monocorde. «Sò tutti castelli in aria miei, perciò? Ho frainteso tutto?»

«Ma tutto che?» si gira a fissarlo, agitando le mani giunte davanti a sé, sul viso un'espressione a metà tra la commiserazione e l'incredulità, mentre la voce tradisce il suo stato di allerta.

«Tutto, Manuel, tutto!» sbraita Simone allargando le braccia, ormai al limite.

«Come mi guardi quando siamo da soli, il caffè che mi lasci sempre a colazione, le confidenze, i messaggi dopo che litighiamo, le carezze quando sto male, le battute acide su Alessandro. Mi sono immaginato tutto?»

Manuel sobbalza a quel discorso. Ogni singola parola sembra conficcarsi nella sua pelle come una freccia avvelenata, la cui tossina si diffonde rapidamente ovunque tramite il sangue, pompato a una velocità eccessiva dal cuore che batte frenetico, e raggiunge tutti gli organi del corpo.
Non è più in grado di reggere lo sguardo di Simone, che sembra vedere ben oltre quello che lui si sente pronto a mostrargli, quindi si ritrova a fissare un cassonetto verde dietro di lui.

«Rispondimi, Manuel», la voce che arriva ovattata alle sue orecchie.

Fa fatica persino a respirare, adesso, figuriamoci ad articolare una risposta di senso compiuto. Resta in silenzio, allora, con l'altro ragazzo che continua a guardarlo e ad aspettare una risposta.
Lo aspetta sempre, Simone, forse molto più di quanto dovrebbe.
Ma Manuel non è ancora pronto a raggiungerlo.
E allora, fa l'unica cosa che gli riesce bene ogni volta.

«Me sa che è meglio se la chiudiamo qua.»

Scappare.

«In che senso la chiudiamo qua?» mormora Simone, quasi spaventato di pronunciare quelle parole a voce alta. Cerca di incrociare lo sguardo dell'altro, per provare a leggere la verità dietro quelle parole, ma Manuel continua a sfuggirgli.

«Stai male in questa situazione, no? L'hai reso abbastanza chiaro. Quindi chiudiamola qua.»

«Non starei male se mi parlassi.»

È deciso, adesso, la sua voce non mostra alcun tentennamento. Quelle parole le aveva dentro da troppo tempo perché potessero uscire titubanti.

Manuel, però, non prende bene questa rinnovata sicurezza dell'altro, si sente attaccato, punto sul vivo, e non può far altro che reagire attaccando a sua volta. È per questo che gli si avvicina a un palmo dal naso, frattanto che gli urla contro: «A Simò m'hai rotto il cazzo. Sei te che l'hai voluta 'sta cosa, t'o ricordi? Eh? T'o ricordi che te l'ho chiesto se eri sicuro? Se non te sta più bene così chiudiamola e basta».

Finalmente ricambia il suo sguardo, ma adesso Manuel ha il fuoco negli occhi, sembra quasi volerlo sfidare.
Come se potesse esserci un vincitore, in quella discussione che sta solo ferendo entrambi.

Simone prova allora ad abbassare i toni, prima che la situazione precipiti di nuovo: «Manuel, per favore, possiamo parlare con cal...­»

«Non hai capito, non ho niente da dirti» lo interrompe secco l'altro, allontanandosi con le mani sui fianchi, prendendo poi a mordersi l'interno di una guancia.

«Non è vero, lo so che non è vero» ribatte Simone scuotendo leggermente il capo, con ancora quella sicurezza di prima nella voce.

«Te non sai proprio un cazzo.»

Simone cerca di stabilire un contatto, muove qualche passo verso di lui e allunga una mano per accarezzargli una guancia, ma Manuel gliela sposta bruscamente e ripristina la distanza tra loro.

Tuttavia, lui non demorde, perché mai come adesso è stato tanto sicuro di non essersi immaginato tutto.
Lo conosce bene, capisce quando è nervoso, quando sta mentendo, quando è la rabbia a parlare per lui, e non è possibile che stia fraintendendo tutta quella discussione folle che non avrebbe avuto motivo di esistere, se non ci fosse stato altro dietro.
E Simone immagina che dietro ci siano paura, confusione, insicurezza, negazione, affetto - vorrebbe pensare al termine "amore", ma la sua incontrollabile razionalità gli àncora i piedi all'asfalto - e chissà quante altre emozioni a cui non saprebbe neanche dare un nome. È tutto ciò che ha provato lui per mesi, prima di riuscire ad accettarsi, quindi sa come affrontarlo.

«Lo so, invece. Ci sono passato, ti posso aiuta...»

«Ancora co' 'sto aiutare! Che sei, la Caritas? Non me serve nessun aiuto!» per l'ennesima volta, Manuel non gli permette neanche di terminare la frase e gli urla contro pieno di frustrazione.

A quel punto, Simone alza le mani coi palmi rivolti verso di lui, arreso. Per quanto vorrebbe dargli una mano, si rende conto che Manuel probabilmente non è pronto a lasciarsi aiutare, dunque non può far altro che mettere sotto il tappetto tutto quello che è saltato fuori quella sera, come ha sempre fatto con ogni loro discussione, e dargli altro tempo.

Sotterra l'orgoglio, raccoglie tutta la pazienza di cui dispone e, con la rassegnazione in volto e un groppo in gola, sceglie di porre fine a quell'interminabile lite: «Va bene, come vuoi. Possiamo andare a casa e basta? Sono stanco».

«Trovate un passaggio, io c'ho da fà.»

Vabbè che avete litigato, ma ti lascia pure a piedi?

«Che devi fare a quest'ora?» gli chiede accigliato, la sicurezza dimostrata poco prima che inizia a scemare rapidamente.

«Non sò cazzi tua.»

Il «Non mi tagliare fuori» che Simone pronuncia in risposta suona quasi come una supplica.

Ancora una volta va alla ricerca di un contatto con Manuel avvicinandosi, nel tentativo di sfiorargli un braccio, e ancora una volta viene scansato.

«Ahò, ma me lasci stà? Ho detto che è chiusa» e incatena di nuovo i loro occhi, con una sfumatura ora terribilmente decisa nello sguardo.

«Ma io non voglio chiuderla qui» prova ancora Simone.

«Io sì.»

È perentorio, il suo tono non lascia spazio a repliche.
Non c'è traccia di insicurezza nella voce, neanche un minimo tentennamento, una vibrazione diversa che possa far trapelare un'intenzione discordante con quelle parole.
Non c'è la rabbia che ha guidato le urla scagliategli addosso in precedenza.
Il suo sguardo è un muro di cemento inscalfibile, non c'è una crepa all'interno della quale Simone potrebbe insinuarsi e scovare pentimento.

Simone credeva che quello fosse l'ennesimo litigio tra loro da accantonare poco dopo senza mai chiarire per bene, ma adesso Manuel sembra maledettamente serio e forse lui davvero non sa un cazzo e ha frainteso tutto.
Sente crollare la terra sotto i piedi, quelle ultime due parole di Manuel rimbombano nella sua testa, si ripetono in loop, accavallandosi e incatenandosi alle altre frasi che hanno fatto parte di quella lite insensata, fino a mischiarsi in uno stridio assordante.

Per più di un anno ha accettato quel loro rapporto non ben definito che gli stava sempre stretto, come quella felpa che Manuel aveva dimenticato a casa sua mesi prima e con cui ogni tanto Simone dormiva per sentirlo più vicino, nonostante fosse tremendamente scomoda.
Eppure, si è accartocciato su se stesso giorno dopo giorno, per farsi sempre un po' più piccolo e poterci entrare, in quella felpa, e l'ha fatto in modo così naturale che spesso gli sembravano sbagliati quei momenti in cui si permetteva di stiracchiarsi e tentare di riconquistare i propri spazi.

Ha fatto tutto questo per non perdere Manuel e adesso lo sta perdendo comunque.

«E quindi che significa? Torniamo amici come se quest'anno non fosse mai esistito?»

Manuel risponde soltanto «No, non torniamo proprio un cazzo» con lo sguardo duro e risoluto ancora incatenato a quello dell'altro ragazzo.

No, no, no, no, no.

Simone sgrana gli occhi e inizia a scuotere ripetutamente il capo per rifiutare quella realtà.

Un anno fa pensava di non poter più mantenere una semplice amicizia con Manuel, non con tutti i sentimenti che si portava dietro, ma adesso l'idea di vederlo scomparire definitivamente dalla propria vita, dopo tutto quello che hanno condiviso, è insopportabile.

«Manu...» è con un filo di voce che pronuncia il suo nome, mentre l'altro l'ha già superato e si sta incamminando verso l'uscita di quel vicolo. Simone lo vede voltarsi a guardarlo per un istante, la testa leggermente inclinata e un sorriso amaro che si forma sulle sue labbra.

«L'hai detto te che non siamo in grado di essere amici.»

Non dice altro, Manuel, si limita a dargli le spalle e andare via.

Simone rimane pietrificato.
Vorrebbe seguirlo, strattonarlo da un braccio per costringerlo a voltarsi e guardarlo negli occhi, vorrebbe tenerlo stretto a sé, vorrebbe urlargli tutto quello che prova in questo momento.
Eppure, non riesce a muoversi. Resta lì a fissare la schiena dell'altro che si allontana, finché non svolta l'angolo e sparisce dal suo campo visivo.

Non sa quanto tempo sia rimasto lì con lo sguardo perso nel vuoto e le braccia lungo i fianchi, prima di riscuotersi quel tanto necessario per realizzare di essere sparito da un sacco, lasciando gli altri dentro.

Vabbè, manco se ne saranno accorti.

Vuole soltanto andare a casa e concedersi di piangere protetto dal buio della sua camera, così si decide a muovere qualche passo per rientrare e pagare almeno il proprio conto prima di andarsene.
È proprio quando si ritrova davanti all'ingresso che vede Alessandro uscire e andargli incontro.

«Oh, ce stavamo a preoccupà, non siete più rientrati» gli dice sorridente, ma si fa immediatamente serio quando vede l'espressione sconvolta di Simone.

«Tutto ok? Dov'è Manuel?» chiede con lo sguardo corrucciato.

«Sì, è... Devo...» riesce solo a balbettare Simone.

L'altro ragazzo continua a guardarlo interrogativo, aspettando che sia lui a proseguire.

«Devo andare a casa.»

Allora Alessandro gli sorride di nuovo, comprensivo, non ha intenzione di indagare oltre.
È una sola la domanda che si permette di porgli:

«Vuoi un passaggio?»




Se siete arrivat* fino a qui, intanto grazie mille per esservi sorbit* questo sproloquio infinito, e poi, sì, ci sarà una seconda parte (che non so quando arriverà, visti i miei tempi da lumaca, ma arriverà).
Mi prendo anche un attimo per ringraziare Ester, senza la quale questa fanfiction non l'avrei mai scritta, Eleonora, che è la mia consulente esperta di fiducia ed Emma per la bellissima copertina 


A presto!

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