Amber

Da coopercroft

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James Emory è un giovane avvocato di successo, ma la sua vita personale è in frantumi. Il suo matrimonio sta... Altro

Prologo: La diagnosi
Amber
Margot
James Emory
Lo studio Wallace & Roberts
Benedict e Gabe
Ossessione
Una notte tranquilla
Chiarimenti dolorosi
L'incidente di Benedict
La rabbia di Gabe
Dov'è James
L'incontro con Margot.
Benedict è la mia famiglia.
Rapporti complicati
Prendersi cura
Amber è in pericolo
Il passato è il nostro segreto.
La scelta di Benedict
La parte nascosta di James
Ricucire gli strappi
Riportare a casa Gabe.
Il filo rosso del destino
Lise
Nuove responsabilità
Il dolore
Fine di un incubo
Une jolie petite fille
Giorni di tristezza e di desiderio
Siamo dei lussuriosi...degni dell'inferno dantesco
La nostra famiglia.

La collera

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Da coopercroft

James uscì dallo Stoddard con la promessa di rivedere il fratello più spesso.

La serata era stata piacevole anche se, Benedict, percepì la sua irrequietezza per la situazione difficile in cui si trovava. Di certo non voleva pesargli, sperava di risolvere da solo la questione con la moglie.

Guidò verso la villa con i pensieri che gli galoppavano in testa.

Come tutti gli Emory erano originari dello Oxfordshire, abitavano in una villetta immersa nella campagna inglese placida e rigogliosa.

La vita di adolescente era stata serena e spensierata, fino a quel giorno devastante quando tutto precipitò. I suoi genitori spesso andavano in città per delle commissioni e fu durante uno di quei viaggi che l'auto uscì di strada per la nebbia, uccidendoli sul colpo.

Aveva quattordici anni, Benedict dieci di più. Senza esitazione, si caricò sulle spalle il peso di quel ragazzino piagnucoloso e insicuro che era. Per lui, fu un periodo oscuro e confuso dove perse lucidità. Ben fu costretto a vendere la casa per portarlo con sé a Londra, e lo iscrisse nello stesso college in cui vinse una cattedra.

Accanto a lui maturò, trovando il sostegno di cui aveva bisogno. Quella situazione difficile, li unì di più, creando un legame speciale che li accompagnò per sempre.

Ben si scoprì innamorato di Gabe, quel dottore simpatico e maturo dalla chioma rossa, e per un po' faticò ad accettare la sua omosessualità.

Presto, si rese conto del sorriso che illuminava il suo volto, finalmente sereno.

Comprese che, non c'entrava nulla che si fosse dichiarato gay, era solo geloso di perderlo.

E Gabe, avvertì l'inquietudine che lo avvolgeva, si sentì responsabile e lo accolse come un fratello minore.

Fu un periodo tranquillo, prese sicurezza in sé stesso e si laureò in legge, mentre Ben già insegnava giurisprudenza a Oxford. Fu in quei mesi che iniziò a frequentare Margot.

Scorse le luci ancora accese, era arrivato alla villa perso nei ricordi del passato.

Vide l'auto blu della moglie con la fiancata sfregiata, sussultò.

Si precipitò dentro, con il cuore in gola.

Buttò le chiavi sul tavolino in ingresso. La casa era avvolta nella penombra, solo al piano superiore la luce del corridoio sembrava accesa, cercò di salire la rampa di scale, ma incontrò il suocero che scendeva scarmigliato e furente.

"Dov'eri, imbecille?" Lo aggredì Wallace con la mascella stretta dalla rabia.

"È successo qualcosa a Margot?" chiese con la mano aggrappata alla balaustra.

"Ha avuto un incidente, l'hanno dimessa un'ora fa. Dovresti tenere il cellulare acceso."

Il giovane lo estrasse dalla tasca, e tentò di giustificarsi.

"Le avevo mandato un messaggio che ero allo Stoddard con Benedict. Non ha risposto e io non ho più guardato." Era rammaricato, fissò intimidito il vecchio suocero.

Henry scese gli ultimi due gradini e si avvicinò.

"Fammi il piacere di stare zitto. Ti abbiamo chiamato, è pur sempre tua moglie e dovevi esserci." Sibilò facendo pochi passi in più.

Sentendosi colpevole cercò di essere gentile per sciogliere la sua furia.

"Lo sai dei nostri problemi. Non ci parliamo più."

Wallace lo guardò e replicò secco.

"Te lo ripeto, è tua moglie, fino al momento che non si stancherà di vederti intorno, le devi rispetto."

Non ci sarebbe stato verso di farlo ragionare, era la figlia, e la sosteneva in tutto, ma questo lo sapeva da tempo.

James aggirò il tavolo del soggiorno per mettere dello spazio tra di loro.

"Vi ricordate di me solo quando sono il consorte idiota da mostrare come stasera." Sibilò risentito.

L'anziano grugnì, batté il pugno sullo schienale della sedia.

"Non fare l'offeso e comportati da uomo, se mai lo sei stato."

La presa in giro lo fece avvampare.

"Non siamo più una coppia da tempo e tu lo sai bene."

Il suocero, minaccioso, lo raggiunse con un paio di falcate e gli fu a pochi centimetri dal volto.

"Scopa con chi vuoi, ma mantieni la dignità che la famiglia e la sua reputazione richiede."

Il giovane si tirò indietro, non voleva lo scontro con Henry.

"Quindi posso fottermi chi voglio, basta che non mi faccia scoprire. E non ti importa di Margot?"

"Lascia perdere mia figlia e tieni il tuo uccello lontano da lei. L'hai sposata sapendo di essere sterile, giuda bastardo!"

Continuava a ribadire che lo sapesse, oramai era la sua arma contro di lui. Erano troppo vicini, si sentì rompere dentro ma non poteva diventare aggressivo e cadere nella trappola che gli aveva imbastito. Si difese ancora una volta.

"Non lo sapevo! Non avrei mai taciuto un fatto così importante per la nostra vita futura." Ribadì con forza, sentendo la rabbia ribollire per quelle offese così personali.

"Davvero James? Senza eredi una parte del patrimonio va alla tua famiglia." sbuffò e sollevò il braccio in aria. "una coppia ben assortita di gay."

"Sono mille volte meglio di te, non ho mai mirato ai tuoi soldi." Si morse le labbra per tenere a freno la voglia di urlare.

"Però ti godi il lusso, piccolo pezzente! Non vedo l'ora di toglierti mia figlia dalle grinfie e darle la serenità che merita. Un uomo che sia tale e un erede da crescere."

Il suocero gli gridò contro, senza più controllo. "Sei una delusione, razza di ingrato."

Sapeva di essere una pedina nelle sue mani e reagì incattivito.

"Quando ero il giovane e promettente avvocato uscito da Oxford, fosti orgoglioso che la sposassi!"

Henry sibilò sprezzante.

"Eri! Hai detto bene! Ora sei inutile, non puoi avere figli! Il tuo uccello spara a salve, sei un mezzo uomo impotente."

James scioccato, con gli occhi offuscati per quell'offesa così devastante, rimase impietrito.

L'anziano lo fissò per un breve attimo, sollevò lo sguardo verso il piano superiore dove c'era la figlia. Fece una smorfia e mise fine alla discussione.

Afferrò il cappotto, ma prima di uscire si girò.

"Prenditi cura di lei, idiota. Continua a fare il tuo dovere finché non sarai divorziato. Poi, vattene al diavolo!" James, incapace di reagire, si ritirò nell'ombra della stanza per nascondere il volto.

Si accasciò sul divano. Le parole di Henry gli bruciavano dentro come il fuoco. Si chiese per quale motivo lo odiasse così tanto e cosa fosse, in realtà, il suo matrimonio. Lui, l'avvocato brillante, era stato il capriccio di una ragazza viziata che ora, per un problema fisico, non poteva accontentare.

La parola sterile gli martellava nella testa nel silenzio del soggiorno, al ritmo del respiro affannato.

Andò in cucina e si bagnò la nuca.

Era inutile aspettare, doveva salire di sopra, e affrontare la moglie, almeno tentare di scusarsi per averla abbandonata. Si diresse nella stanza matrimoniale, per assicurarsi che stesse bene.

Dormiva, ma nella fronte si intravvedeva un ematoma e qualche graffio sulla guancia. La mano destra, fasciata, posata sul lenzuolo.

Per un istante sperò di mettere fine al dolore della separazione, ritornare un marito premuroso e prendersi cura di lei. Si avvicinò e si sedette sul letto.

Margot avvertì la sua presenza, si svegliò, lo guardò sospettosa.

Lui sorrise ripensando a quando, novelli sposi, la consolava e la rassicurava stringendola a sé.

Con la voce che gli tremava cercò di aprirsi.

"Mi dispiace non ho visto la chiamata, ero preso dai discorsi di Ben e Gabriel." Sospirò cercando di essere accomodante. "Stai bene? Hai bisogno di qualcosa?"

Allungò la mano per accarezzarle la fronte, ma si ritrasse infastidita e girò la testa di lato chiudendo l'approccio.

Quel gesto lo gelò, sentì il respiro accorciarsi. Nemmeno nelle condizioni in cui si trovava, gli dimostrava un minimo di comprensione.

Non si girò e rabbiosa esplose.

"Va via, non voglio niente. Immagino che sia stato papà a mandarti."

"Sì, ne abbiamo discusso." Replicò con calma con il cuore che si spezzava.

Lei si voltò e sembrò esaminarlo.

"All'ospedale ti cercavano, visto che sei ancora mio marito. Ma tu non rispondevi, così hanno chiamato papà."

"Mi dispiace." mormorò, cercando di accarezzarle la guancia. Voleva rimediare per la sua assenza, ma lei si irritò di più e gli spinse via il braccio.

"Non toccarmi. Sto bene lo stesso."

Sentì la rabbia montargli dentro, le tempie gli doloravano per quel rifiuto al suo gesto di riconciliazione.

"Era solo un modo affettuoso per dirti che mi sento in colpa." sbottò seccato. "Tuo padre vuole salvare le apparenze per il buon nome dei Wallace. Non preoccuparti manterrò la promessa. So che non mi vuoi."

Margot si sollevò dai cuscini.

"Visto che lo sai, non provare ad avvicinarti."

Lo spinse sul petto con entrambe le mani, la bocca stretta in una smorfia disgustata.

Non riuscì a sopportare quel volto stizzito, perse il controllo, devastato da quei rifiuti continui, ed esplose.

"Ti piaceva farti toccare mesi fa! È per la mia sterilità vero? Però mi aprivi le gambe quando ti sbattevo su questo letto e ti facevo urlare per quanto godevi. "

Lo assalì piena di risentimento.

"Sei solo volgare James! Non sei capace di darmi un figlio! Sei un uomo inutile e sterile. Nessuna donna può volerti vicino."

"Davvero?" Ringhiò afferrandole il mento e imponendole un bacio, le infilò la lingua con forza in quella bocca calda che tanto desiderava e amava.

Lei reagì con un morso feroce.

"Stronza!" gridò passandosi la mano sulle labbra insanguinate.

Si ritrovò allo sbando, non c'era più nulla del loro amore e di quel rispetto reciproco che si erano giurati.

Con la mente offuscata, le afferrò il volto con entrambe le mani, la baciò ancora, forzandola. Il sangue e la saliva si mischiarono, Margot, spaventata, iniziò a urlare spingendolo via.

Una fitta lacerante allo stomaco lo fermò in tempo, capì quello che stava per fare.

Si alzò devastato, si allontanò barcollando, mentre lei urlava in lacrime.

"Vattene! Ha ragione mio padre. Fuori da questa casa! Sei solo un sudicio impotente!"

Urlò così forte che si strinse le orecchie per non sentirla e corse di sotto.

Il sapore appiccicoso e ferroso in bocca e il dolore per il morso erano nulla a confronto delle offese che gli gridò contro. Si agitò, sconvolto per quello che stava per fare.

La mente non governava il corpo, avvertì la lussuria prudergli e crescere dentro al cavallo dei calzoni. La voglia prepotente di dimostrare quanto fosse un uomo virile.

Scese i gradini delle scale a due per volta. Afferrò la giacca appesa in ingresso e le chiavi della Ford, non pensando all'ora tarda.

Aveva in testa il bisogno incontrollato di fare sesso.

Salì in auto e si diresse nell'unico posto dove poteva sfogare la sua libidine repressa: da Amber.

Arrivò a Main street all'una di notte.

Prese il cellulare e la chiamò. Sperava che fosse da sola, senza quel vecchio citrullo intorno. 

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