I Ritratti di Samsara

By Liside93

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(NB: una nuova descrizione completa ed esaustiva la potrete trovare nel 1° Capitolo della storia! Va oltre i... More

Sinossi
Cartina regionale
Prologo
1. Le memorie delle pareti
2. Un ciondolo dal passato
3. Sangue
4. Il Dipinto
5. La Guardiola
6. Occhi negli occhi
7. L'Unico luogo sicuro
8.1 Dietro la porta - Parte 1
8.2 Dietro la porta - Parte 2
9. Il Mastino
11. Nagloth
12. L'Iniziazione
13. I Corpi
14. Si, grazie.
15. Troppi "perché"
16. Questioni di fede
17. Sussurri
18. Il Viaggio
19. La Triade
20. Profumo di Bergamotto
21. Torpore
22. Sangue e Terra
23. Fuoco e Acqua
24. Pergamene e sospetti
25. Papavero rosso
26. La Radura
27. Fiducia
28. Testa di Lince
29. Rovine del passato
30. Squarci nella roccia
31. Il cuore delle cripte
32. Segreti di famiglia
33.1 La Cripta di Luce - Parte 1
33.2 La Cripta di Luce - Parte 2
34. Presentimenti
35. Apri gli occhi
36. Brucia, sangue
37. Il Memoriale di Rahan
38. Hasla
39. Venite con me
40. Un firmamento fatto di anime
41. Quando la luce incontra la notte
42. Particolari mancanti
43. Prigionia
44. Buio
45. Jens Lauward
46. Kimrah
47. Formicolio
48.1 La sala di Reidar - Parte 1
48.2 La Sala di Reidar - Parte 2
49. Nebbia e Fango
50. Dissidi
51. Rohn

10. Lo Specchio infranto

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By Liside93

Tenuta dei Johnmark - Notte del 15° giorno del 7° mese dell'anno 842° - Era Waruliam


Sentì qualcosa di soffice sotto di sé. Era terra mista a erba incolta, poté capirlo dal tocco leggero delle sue dita. Gli steli più sottili di festuca le accarezzavano delicatamente le guance, mentre l'aria limpida della sera le riempiva i polmoni. Di nuovo quella pace. Di nuovo la leggerezza di poter aprire gli occhi senza il timore di rivedere la sua vita, mentre il cielo serale si faceva abbracciare dai primi richiami della notte. Solitaria, nel silenzio pacifico di un terreno che non vedeva orizzonte. Non come l'incubo ricacciato nei meandri più occulti della sua memoria. Il profumo della natura era tinto dalla nota fresca e fragrante dell'erba. Si, poteva richiudere gli occhi, continuare a bearsi della quiete che non osava desiderare ad alta voce. Poi giunse un lampo improvviso, e quel riflesso luminoso le fece stringere le palpebre poco prima di azzardare un'occhiata curiosa. Si sedette, posando le mani dietro di sé e inclinando la schiena. Incurante di qualsivoglia traccia di sterpaglia che potesse essersi fatta avviluppare dai suoi capelli bruni. Sebbene i sensi fossero ovattati dall'abulia, il placarsi improvviso degli spiragli d'aria fresca le diedero l'impulso di guardare il cielo. Nubi immobili e fitte implodevano di lampi dorati che non s'azzardavano ad abbandonare la coltre. Vedeva solo un lucore pulsante, a tratti. Un ritmo incalzante e in crescendo che gonfiava il nugolo attraendo altri nembi. Aveva sempre pensato fosse il vento a trascinare gli strati candidi che obnubilavano il Sole, ma l'aria era ferma. L'erba, immobile. Non c'era nulla da temere nella visione che si dipanava davanti ai suoi occhi, questo fino all'istante in cui un boato non vide incendiare l'ellissi che si stava formando nel cielo. I lampi s'arrossarono come tizzoni ardenti, e al centro di quella forma innaturale qualcosa squarciò il candore delle nubi. L'incognita si schiantò nel terreno di fronte a lei, talmente distante da farle ammirare con curiosa apatia una cupola d'aria, terra e polvere, protendersi al cielo. Il lampo di luce le fece distogliere lo sguardo chiudendo gli occhi, e fu talmente rapido da ricordarle il monito del lampo prima del tuono. Tutto tacque. Azzardò un'occhiata mentre il buio calava come un'alitata bollente durante l'estate. Nella calma d'improvviso avvertì tremare la terra. Quel rombo cavalcante la raggiunse con una violenta sferzata d'aria che la fece ripiombare distesa, imponendole di rotolare su un fianco a rannicchiarsi, proteggendosi in posizione fetale.

«Samsara...»

Aprì a fatica gli occhi per poi richiuderli di scatto. Anche la minima fonte di luce, per quanto tremula provenendo da dei candelabri, le urtava la vista. S'accorse di tenere la testa fra le braccia, avvoltolata nella morbidezza di coperte troppo pregiate per lei. Aveva la bocca impastata. Le tempie pulsavano come sempre dopo i suoi incubi. Il suo piccolo paradiso di pace era stato innaturalmente violentato dai lampi e dai tuoni, ma non riusciva ancora a scindere la realtà dal sogno. Avvertiva ancora il rombo. Sentiva le orecchie fischiare, tramutando la voce femminile che l'aveva appena chiamata in un sottotono fastidioso. Mugolò, infastidita.

«Come ti senti?» Sussurrò Hilde.

Un movimento sotto di sé, nella morbidezza del materasso, le fece avvertire l'impressione che qualcuno le si fosse seduto accanto. Pian piano osò riaprire gli occhi per cercare di individuarla. Rimase a palpebre socchiuse facendo lentamente scivolare le mani verso il basso. La moglie del Langravio la osservava dall'alto, con la luce soffusa delle candele che enfatizzavano la crespina dorata attorno ai suoi capelli. Il volto era parzialmente in ombra, tanto da darle la possibilità di riconoscerla soltanto da voce e occhi.

La sentì accarezzarle il viso con il dorso delle dita, ma avvertì altrettanto intensamente il freddo metallo degli anelli che gliele cingevano.

«Mi hai fatto spaventare».

Samsara mandò giù quel groppone che le si era formato in gola al risveglio, quando ancora aveva difficoltà a fuoriuscire dallo stato di dormiveglia. S'accorse che c'erano veramente dei lampi, ma provenivano dal di là della finestra chiusa della stanza in cui si trovava.

«Piove...» biascicò con voce impastata.

Hilde si girò a guardare lo stesso punto su cui si era soffermata lei, ed emise un basso sospiro immediatamente seguito da una risata più sommessa. «Si, ha iniziato questa notte, un paio d'ore dopo che ve n'eravate andati» le spiegò.

La testa le faceva un po' meno male. Sentì di poter cercare di muoversi, rendendosi gradualmente conto sia di dove si trovasse, sia al cospetto di chi, ancora una volta, fosse piombata. Si mosse posizionandosi sulla schiena per poi richiamare le gambe e mettersi seduta. Appoggiò la schiena contro la testata del letto, approfittando beatamente della morbidezza dei cuscini. Avvertiva una sensazione di comodità stranamente consolatoria.

«Hai avuto un incubo?» La moglie di Johnmark tornò a guardarla.

Ora poteva distinguere meglio sia i particolari del suo viso, sia ciò che la circondava. «Non è una novità» annuì pigramente lei. Per quanto fosse ancora annebbiata dal sonno, riuscì comunque a stupirsi della bellezza di ciò che la circondava. Il letto su cui si era risvegliata era a baldacchino, e le colonnine pregevolmente intagliate tramite motivi vegetali, a spirale, si facevano sfiorare da panneggi di velluto dorato. Il soffitto era alto, ma il lampadario non emetteva bagliori. Giaceva semplicemente lì, inerme, spento, come lei. Comò, bauli, tavolini, specchi. Cornici in foglia d'oro, superfici che in quel momento non riusciva a comprendere se fossero laccate o in pietra viva.

Vide poi Hilde sorriderle pacatamente, con un garbo che non immaginava potesse provenire dalla stessa algida donna che aveva risposto a quel modo a... com'è che si chiamava? Ah, si, Rohn.

«Quando...» provò ad azzardare, combattendo la confusione.

«Quando siete tornati?» la interpretò l'altra.

Samsara annuì svogliatamente, iniziando a massaggiarsi le tempie. Si era appena svegliata, eppure era esausta.

«Ieri notte. Hai dormito tutto il giorno, cara».

Piegò le ginocchia ma non se le portò al petto. Doveva ancora mettere in ordine i pensieri e, per quanto ci provasse, sentì che la diga emozionale eretta in circostanze a lei ancora non troppo chiare stesse iniziando a cedere. Chiuse gli occhi, approfittando sia della pazienza di Hilde che della propria stanchezza.

C'erano particolari che ancora non riusciva a elaborare come avrebbe voluto, ma sapeva perfettamente si trattasse del familiare senso di ottundimento post risveglio. Avvertiva un formicolio e un intenso dolore alla schiena. Forse aveva dormito in una posizione non esattamente comoda, o forse era talmente tanto abituata a un letto rigido da non ritrovarsi su un materasso così morbido. Respirò a fondo gonfiando il petto, cercando di scacciare la confusione e il fastidioso brusio dei suoi pensieri ancora annebbiati. Il suo battito fu regolare sino all'istante in cui il primo ricordo non affiorò.

«Fahnem...» sussurrò con il respiro che le raspava in gola. Sgranò lo sguardo, iniziando a guardarsi intorno.

La donna si protese verso di lei, posandole una mano su un ginocchio «sta bene, non preoccuparti. Ha dovuto riposare un po' anche lui...»

Iniziò a fissare Hilde senza pudore, senza la minima remora all'idea di poter osare troppo. Era stanca e frustrata, e più si lasciava sonno e sogni alle spalle, più iniziava a sentire sete di risposte e chiarimenti.

«Cosa ricordi di ieri notte?»

Strinse le labbra smettendo di guardarla. Fissò gli occhi ambrati e stanchi sulla snella silhouette della lampada a olio in ceramica, svettante sul comò accanto al letto. Fiamme. Fece sfarfallare le ciglia e deglutì, abbozzando un cenno all'inizio esitante. «Qualcosa, credo...»

«Dimmi pure» disse Hilde, posandosi le mani in grembo.

«Siamo tornati a casa. Era buio, non c'erano luci. Credevo che mio padre e i bambini mi aspettassero lì» gracchiò a bassa voce. «Così siamo entrati. Fahnem ha detto che forse erano rimasti in paese. Sono andata a togliermi di dosso il sangue, e...» cosa? Iniziò a sbattere rapidamente le palpebre mentre un nugolo d'immagini iniziavano a farle pulsare ancora di più la testa. Il proprio riflesso nello specchio della sala da bagno, il profumo di lavanda, la ferita alla spalla che le bruciava mentre s'immergeva. La lesione! Per un momento il cuore perse un battito mentre faceva schizzare lo sguardo in basso, verso il punto in cui ricordava di essersi tolta le bende. Si trascinò giù il lino increspato, passando il pollice sulla cicatrice rosea all'altezza della clavicola.

Sentì Hilde sospirare, e avvertì a sua volta l'impulso di cercare di risposte sul suo viso. Non vide sorpresa né stranezze, se non la consapevolezza seminascosta con cui l'altra saettava dal suo volto alla spalla.

«Va avanti» disse la moglie di Johnmark, come se in verità stesse prendendo appunti mentali.

«E... il fuoco. Ricordo il fuoco. Ero andata a rivestirmi. Avevo sentito degli scricchiolii quando Fahnem è entrato di colpo dicendomi di stare zitta» pian piano gli eventi stavano tornando a galla, assieme alla chiarezza di ciò che era accaduto. «Sono arrivati degli uomini, credo fossero entrati dal retro. Lui mi ha detto di andarmene, ma non potevo» annuì con enfasi.

«Ti avevano fermata?» le domandò Hilde.

«No, no» fece ampiamente segno di diniego. «Non volevo andarmene. Non potevo lasciarlo lì. E... uno di loro, lo conoscevo...» ammise, arrochendo di nuovo la voce.

Hilde incrociò le dita all'altezza del grembo. Chinò il viso, continuando a cercare di mantenere contatto visivo con lei. Sembrava incalzarla delicatamente, senza imporsi, senza alterigia. Era una domanda silenziosa ma ovvia che lei colse senza dubbio.

«Erik» ammise in un sussurro. «Lui è... era, l'apprendista di mio padre. Non capisco, era sempre così silenzioso, solare. Aveva perso entrambi i suoi genitori soltanto un anno fa, era rimasto con niente. Gli avevamo dato un tetto sulla testa, e lui in cambio avrebbe aiutato in bottega. Aveva molto talento».

«Ne hai riconosciuti altri?»

«No».

Non che avesse visto chissà quanti altri volti, ma quei pochi che era riuscita ad adocchiare non gli ricordavano niente e nessuno. Nemmeno Richber, ora che ci pensava. Serrò la mandibola.

«E' scoppiato un incendio. Siamo riusciti a scappare dalla finestra, ma ci stavano aspettando fuori».

La donna cercò di posarle una mano sulla sua, ma lei la ritrasse senza sgarbo. Non voleva incoraggiamenti né compassione, soprattutto nell'esatto istante in cui stava avvertendo riaffiorare tutto quanto.

«Hanno colpito Fahnem. L'uomo che zoppicava...»

«Chi?» Hilde la interruppe.

«Non so chi fosse, ve l'ho detto. Io... io ricordo soltanto che sembrava ingobbito. Disse di smettere. Volevano che mi consegnasse a loro, o a lui, non ne ho idea. Lo aveva chiamato "figlio di nessuno"» alzò lo sguardo cercando quello di Hilde. «Perché? Perché lo ha chiamato così?»

La donna abbassò lo sguardo, ma non con vergogna. Sembrava pensare, sembrava cercare le parole. «Non lo so» sussurrò, mettendosi a guardare a sua volta la lampada sul comò.

«E' per i suoi occhi?» Azzardò. Voleva sapere, era suo diritto sapere.

A quel suo incalzarla la donna tornò a guardarla. Per un momento si accorse di un guizzo che aveva scalfito lo stoicismo della sua posa. «Ci sono molte cose che ti dovrò spiegare, soprattutto ora. Anche se forse sarebbe più corretto che sia lui a parlartene» annuì, con ritrovata calma. Si porse di nuovo verso di lei. «Come vi siete salvati, Samsara? Cos'è successo? E' importante che tu me lo dica» la sollecitò, celando debolmente una certa urgenza nel tono della voce. Era calma, ma il suo sguardo era febbrile tanto da farle scintillare gli occhi. Sembrava aspettarsi qualcosa di specifico, e lei non sapeva se sarebbe stata in grado di darle ciò che voleva. Sentì tracimare ancora una volta la frustrazione.

«No. Ora basta...» scosse la testa. Strinse i denti. «Sono stanca di questo teatrino. Sono stanca di dover essere l'unica a dare delle risposte!»

La rabbia saliva. Rotolò su un fianco, cercando di sfuggire a braccia che poi si accorse non avrebbero cercato di fermarla. Posò i piedi nudi a terra. Aveva bisogno di alzarsi. Aveva bisogno di camminare. Aveva bisogno di spiegazioni. Così, mentre le immagini trasbordavano nella sua mente, lo sguardo ricominciava a cercare un disperato appiglio con la realtà. Si portò le mani al viso e si gettò i capelli scarmigliati indietro.

Hilde era stranamente calma, e tutta quella sua compostezza sembrava alimentare ancora di più la sua frustrazione. Samsara si bloccò, fissandola di profilo «allora?!»

«Hai finito?» La donna sfarfallò le ciglia raddrizzando la schiena. Le teneva testa senza scomporsi.

Non sapeva cosa risponderle. Apriva la bocca ma non c'era niente che riuscisse a formulare per controbattere, all'inizio. Si girò iniziando a camminare attorno al letto, non cessando nemmeno per un istante di guardarla.

«Tu sai. Tu SAI che cos'è successo...» non aveva più voglia di darle del "voi", e quel sospetto che riuscì a formulare tracimava dalle sue labbra in un respiro spezzato. Sembrava aver realizzato qualcosa, ma non riusciva ancora a mettere tutti i tasselli di quel mosaico al proprio posto.

Hilde annuì, e poi fece segno di diniego tentennando la testa «li hai uccisi tu, giusto?» Domandò finalmente.

Sentì il sangue gelarsi nelle vene. Impietrita, la fissò a malapena un metro dalla sua posizione seduta, mentre il rombo dei tuoni riempiva quel silenzio. Con la sua splendida gonna color crema e la gamurre di velluto dorata, nemmeno un capello corvino sfuggiva alla perfezione della posa ideale per un ritratto. Due poli opposti fra rabbia e immobilità, mentre il profilo snello e pieno delle sue spalle candide rifletteva il baluginio della luce calda. Sembrava una statua, ma il suo sguardo era più vivo che mai mentre la fissava. Soltanto allora si alzò in tutta calma. Il ticchettio delle sue scarpe rimbombò ovattato sul legno del pavimento, mentre le mani si stringevano in grembo, a dita incrociate.

«Gli uomini che vi hanno attaccato stanno cercando qualcosa, e tu sei la chiave per trovarla» iniziò a snocciolare con voce bassa. Una strana tristezza invase i suoi occhi chiari, mentre dal suo viso faceva scivolare l'attenzione, ancora una volta, in direzione del petto di Samsara.

La bruna non si mosse, rimanendo a fissarla priva di parole. Si sentiva sull'orlo di un precipizio, e l'unica mano tesa era quella della donna di fronte a lei. Che ci fosse riuscita? Che finalmente delle risposte stessero iniziando ad affiorare?

Hilde allungò le dita scostandole l'orlo superiore dell'abito. Sembrò giocare con la catenina d'argento che Samsara portava al collo, sino a svelare il ciondolo ovale, a specchio. Lo afferrò con delicatezza posandoselo sul palmo. Lei abbassò lo sguardo, osservando il suo piccolo "tesoro": una crepa spezzava in una diagonale la superficie limpida e argentata, creando una cicatrice che mal ricomponeva il riflesso del volto della signora della residenza.

«Sapevi che lo specchio è un simbolo dell'immaginazione? Della coscienza, ma anche della fantasia. Questo, perché ha la capacità di imprigionare e rimandarci i riflessi del mondo visibile. Una realtà formale messa anticamente in correlazione con il pensiero» iniziò a dirle, con il soffice tono non di una madre, ma di una maestra. Passò il pollice sulla crepatura e poi cercò i suoi occhi ambrati. «Come l'acqua, talvolta associata alla mutabilità della coscienza. Chiunque di noi tuttavia sbaglia: a cambiare non è il riflesso, ma il mondo, vincolato alla legge del mutamento e della sostituzione. Lo specchio contiene e assorbe ciò che ha incontrato, assoggettandosi inoltre a simbolo della molteplicità dell'anima» snocciolò, per poi sospirare. Perse la presa dal ciondolo, lasciandoglielo ricadere fra i seni. Le sue mani tornarono a congiungersi in grembo. «Quindi dimmi, Samsara, cosa pensi accadrebbe se si rompesse?» Accennò a un sorriso stranamente divertito, ma che non contagiò lo sguardo «oltre ai sette anni di sfortuna, s'intende».

Ipnotizzata da quelle parole, le risucchiò nella propria coscienza sia per il significato che per la cadenza a dir poco melodica. Si portò una mano alla collana soltanto sfiorandola, avvertendo riaffiorare la reminiscenza della notte precedente: un riflesso che, anziché immobile come lo era lei nel momento ancor prima di immergersi, le parve vedersi muovere. In quell'istante ricordava di aver scacciato l'impressione, ma in quella frazione d'attimo si stava rendendo conto che forse non era una coincidenza né una sua illusione. Non aveva mai avuto una preparazione letteraria o filosofica adatta a un genere di dialettica simile, ma stranamente sembrava comprenderne il significato. Non era così chiaro da poterlo rielaborare immediatamente a sue parole, né limpido, ma soltanto il barlume di un'ombra come quelle che danzavano informi nella stanza. Poteva supporre e ipotizzare, e esattamente come le iniziò ad accadere durante l'infanzia, forse sarebbe stata in grado di snocciolarne il significato, ma soltanto con i suoi tempi. E questi furono i secondi se non i minuti che le servirono per distogliere lo sguardo da Hilde e voltarle le spalle.

Si mosse verso l'alta finestra circondata da tende arabescate, mettendosi a fissare al di là di vetri poco spessi e trasparenti. Di luci quasi non ce n'era traccia, ma le gocce di pioggia s'inseguivano sulla superficie liscia riflettendo il baluginio dei lampi. Se fuori era buio, e dentro la stanza i candelabri erano accesi, il riflesso di sé stessa contro la finestra ricambiava il suo sguardo. L'aria con veemenza faceva tremare gli infissi, e assieme a essi il rumore del vetro creava un'onda sonora di fragilità. Immaginò per un istante che un ramo d'albero si abbattesse durante il temporale, mandandolo in frantumi. Immaginò l'aria umida schiaffeggiarla mentre le schegge si spargevano ai suoi piedi. Pensò alla sé stessa che cercava di non calpestarli scalza. Si immerse nuovamente nella sensazione più che concreta dell'onda d'urto che l'aveva travolta in sogno. Ed ebbe la sua risposta.

Samsara chinò il viso e girò leggermente la testa verso destra. Sbirciò Hilde immobile dietro di lei. Forse s'era avvicinata? No, le aveva concesso i suoi spazi. «Finirei in balia del temporale...»

La donna sorrise, e annuì compiaciuta «esattamente, Samsara, esattamente».

La frustrazione si acquietò. Forse stava veramente avvicinandosi alla verità di tutti gli eventi che avevano iniziato a scuotere sia Vellald che la sua vita. Avvertì i passi della signora della residenza avvicinarsi, sino a che non sentì il tocco della mano sulla sua spalla destra. «Come ti dicevo, ci sono molte cose che devi sapere. Altrettante che dovrai imparare. Ma sii certa che potrò darti le risposte che cerchi... devi soltanto avere pazienza».

«E mio padre? I bambini?» esitò, ma si sentiva stanca.

«Staranno bene. Li metteresti soltanto in pericolo, ora lo sai».

Samsara annuì prima di sospirare. Non aveva le forze per domandarsi come mai quella donna sembrasse sapere di lei più di quanto sapesse lei stessa.

«Vieni, è venuto il momento che inizi a capire. Lascia che ti faccia vedere...»

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