11. Nagloth

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Hilde le fece ben presto strada attraverso la stanza, ma prima le diede il tempo di indossare un paio di basse scarpe di tela. Era strana come sensazione, aveva passato quanto, due giornate? Forse una mezza, a correre e a combattere per la propria vita a piedi nudi. Non era ironico come destino? Ora che ci pensava non aveva nemmeno toccato cibo, eppure l'unico pensiero era quello legato alla necessità di nutrirsi di qualcosa che sapeva le avrebbe dato più soddisfazione. Forse era per quel motivo che si sentiva così stanca, ragionandoci un po' su.

S'immisero in un corridoio largo, piuttosto simile a quello da cui soltanto la notte prima era giunta per la prima volta al vero e proprio cospetto di Hilde. Mezzibusti e volti ritratti a olio le sbirciarono di sottecchi, sembrando accompagnarle nella semi-oscurità di un labirinto rischiarato soltanto da qualche candelabro issato. C'era un incredibile silenzio per essere una residenza così prestigiosa, ma era notte, cos'altro si sarebbe potuta aspettare? Soltanto camminando si accorse di indossare un abito che non le apparteneva: il lino increspato era dorato, le stava stretto all'altezza del seno, ma era talmente tanto arioso con le sue leggere maniche a sbuffo da darle l'impressione di annegarci dentro. Si sentiva elegante, questo era certo, e in qualche modo celata da una maschera in grado di omologarla alla foglia d'oro e d'argento delle cornici di quadri, specchi, e vetrine. Quei muti e silenziosi testimoni di epoche attuali e passate forse erano addirittura infestati da tarli, ma quando mai nello sfarzo e nello splendore un insetto si sarebbe potuto vergognare? Così si sentiva lei, per certi versi. Un'intrusa agghindata a festa. Una straniera in terra sconosciuta, attraversante stipiti di porte e ampie pareti di pietra scura come fossero ponti fra una dimensione e l'altra.

Svoltarono a destra e immediatamente dopo a sinistra. Lì, un corridoio si fece più stretto e angusto sfociando in un'apertura su di una striminzita scala a chiocciola dai gradini piuttosto alti ed erosi.

«Quando fu costruita?»

Hilde non decelerò. La vide sollevare leggermente le spalle e poi sospirare mentre afferrava delicatamente un corrimano di freddo metallo. «La costruzione della residenza fu iniziata circa seicento o cinquecentocinquanta anni fa, ma s'interruppe all'epoca degli scompigli fra Clana e Marniel» iniziò a raccontarle mentre saliva. «Le mura fortunatamente erano già state erette, quindi per qualche mese ospitarono parte dell'accampamento di Eirik Hescon Waruliam. La conosci la storia, no?» Si fermò per un attimo, scoccandole un'occhiata di sguincio poco prima di ricominciare a salire.

«Qualcosa, si. Ma non molto...» scosse leggermente la testa, imitandola nella salita. «A dire la verità, fin da quando ci siamo trasferiti a Vellald, ho notato che non si è mai parlato molto del suo passato. Provai a chiedere qualche volta, ma dovetti adeguarmi...» si scrollò le spalle.

La donna davanti a lei soffocò un riso basso. «E' tipico» mormorò. «Saprai che Marniel, oltre che essere conosciuta come la regione di Nord-Ovest, ha da sempre avuto confini piuttosto, come dire...» sembrò cercare le parole «labili» annuì, terminando la salita delle scale e fermandosi su un pianerottolo in sua attesa. «Le sue terre erano quasi completamente fagocitate da Clana. Furono i Waruliam a separarle, fondando Marniel e assieme a essa Ordfred, sua capitale».

Samsara l'affiancò con il respiro fattosi leggermente più ansante per via della salita. Continuava a osservarla, ad ascoltarla, ad attingere a una serie di conoscenze che fino a quel momento non aveva mai avuto modo di ascoltare, figurarsi toccare con mano. Un cenno e uno sguardo sembrarono essere un motivo sufficiente a Hilde per continuare.

«E questo avvenne ottocentoquarantadue anni fa, l'epoca a cui si fa risalire l'inizio dell'Era dei Waruliam con il loro capostipite, Aleksander Geir. Prima d'allora erano i Nanmes a detenere il potere, e vennero completamente ribaltati dopo ben quasi due millenni di controllo incontrastato». La signora della residenza fece riecheggiare la sua voce bassa e cristallina all'interno di un corridoio più largo che alto. I passi di entrambe vennero ovattati da un tappeto soffice, color porpora, che percorreva longitudinalmente il pavimento di pietra liscia.

I Ritratti di SamsaraWhere stories live. Discover now