Domani sarò alba

By CuoreAdElica

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𝗖𝗼𝗺𝗽𝗹𝗲𝘁𝗮 ✔️ 𝙽𝚎𝚠 𝙰𝚍𝚞𝚕𝚝 💋 1/2 Alba ha il tramonto stampato in faccia. Capelli rossi, occhi ver... More

Cast
Albero genealogico
Chi sono Elia e Isabella?
MP3 di Alba
Prologo
Alba odia i capelloni - Parte Uno
1. L'isola dell'Amore
2. Uno sconosciuto nella Villa
3. Favori e debiti
4. Ottimo ascoltatore, pessimo argomentatore
5. La briscola è uno strumento di difesa
6. Ad ogni uomo il vestito che si merita
7. La Libera
8. Il pescatore e la monaca - Pt. 1
9. Il pescatore e la monaca - Pt. 2
10. A caccia di fiori e pranzi stravaganti
11. Il monolocale
12. Sole, spiaggia, sesso
13. Di mare e di stelle - Pt. 1
14. Di mare e di stelle - Pt. 2
15. Ne vale la pena?
16. Una canzone tua, nostra
17. Essere visti per chi siamo davvero
18. Sei dove non sono io
19. Le scritte sui muri rimangono in eterno
20. Ci viviamo
21. Sii prudente con questo tuo cuore
22. Musica jazz, sigarette e amici di famiglia
23. Notti d'agosto al sapore di mare
24. Ciao amore, ciao
Non è mai abbastanza - Parte due
25. Il tempo passa
26. Bisnonna Silvia, sei eterna
27. Resta
28. E basta
29. All'ombra di un tramonto
30. Luce dei miei occhi
31. Ne è valsa la pena
32. Nuovo inizio
Epilogo
Ringraziamenti
Sogno - EXTRA
Scappare - EXTRA

33. Roma, Amor

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By CuoreAdElica





ALBA
Roma, primavera.





"Il vero amore non smetterà mai di legare coloro che ha legato una volta"
— Seneca.















Bollino rosso.
🔴



















SEI MESI DOPO





A Roma, quella mattina che ricorderò per sempre, c'era un cielo terso, di un blu cobalto etereo.

La primavera stava per finire, il caldo asfissiava il cuore della città e l'estate era imminente.

Avevo aperto le finestre per far prendere aria all'appartamento. Avevo appena finito l'ultimo corso di aggiornamento, a settembre avrei saputo a quale scuola mi avrebbero assegnato. Accarezzai Luce, mi accomodai sul divano e mi portai una mano sulla fronte.

Le cose tra me e Riccardo continuavano.

Era stato assegnato a Latina, a qualche ora di macchina da Roma, partiva di casa il mattino presto e tornava prima di cena. Avevamo intenzione di cambiare casa dopo aver saputo la mia città, la mia zona lavorativa, così da non far faticare troppo nessuno. Non era stato complicato per lui ambientarsi, mi aveva confessato che gli ero stata molto d'aiuto.

Dopo la mia laurea, lo portai con me in ogni angolo di Roma, che conoscevo a memoria. Gli avevo anche detto che avevo espresso un desiderio alla Fontana di Trevi, anni prima.

Il desiderio prometteva: "Voglio vivere con Riccardo"

E lui mi aveva detto che ne voleva esprimere uno, così lo trascinai con me, nel freddo febbraio, in una sera tranquilla, fino alla fontana. Gli avevo chiuso gli occhi, mettendo le mie mani sulle sue palpebre, lui mi aveva suggerito di baciarlo, e così lo feci. Lanciò la monetina di dieci centesimi.

Tra i vicoli di Roma gli avevo stretto la mano, lui mi aveva baciata di sfuggita, lo guardavo e pensavo che la mia città lo rendesse ancora più bello.

Eravamo andati a cena fuori, proprio come una coppia normalissima. Avevamo cantato in macchina, ci eravamo sfiorati le mani sul tavolo, avevamo condiviso il dolce. Usciti dal ristorante mi aveva dato la sua giacca e poi, d'un tratto, mi aveva trascinata dietro ad un portone aperto di una palazzina ed io avevo riso, lo avevo ammonito dicendogli che sarebbe potuto passare qualcuno, chiunque, ma il tempo di farlo che già mi aveva incollata al muro, le mani sulle mie cosce e le sue labbra planarono sulle mie, baciandomi con una potenza che mi spaventò e mi rese felice allo stesso tempo.

«Dimmi che desiderio hai espresso», gli avevo chiesto una volta tornati a casa mia, casa nostra, quando eravamo sotto le coperte nel letto matrimoniale, attaccati.

Io sul suo petto e il suo respiro a cullarmi, le fusa di Luce rannicchiata ai nostri piedi erano l'unica cosa che udivo chiaramente.

Riccardo aveva sfiorato il mio naso con le sue labbra, aveva sorriso appena e negò col viso, «Non si può dire.»

Io sbuffai, «Però io te l'ho detto il mio.»

«Ma lo hai espresso anni fa», disse, «E poi a me pare che si sia avverato, o sbaglio?»

«Dai, dammi un indizio!»

Lui ridacchiò, «Riguarda te.»

«Riguarda me?», ripetetti, «Mh, posso indovinarlo?»

«No, piccola», rise ancora, «Quando si avvererà te lo dirò.»

Mi accontentai, «Okay», mi diede un bacio sulla fronte.

I giorni in cui lui stava di festa, li passavamo assieme, dalla mattina alla sera. A volte andavamo a trovare i miei, ma non c'era momento che ci perdevamo, non c'era occasione che non sfruttavamo per starcene insieme.

Con le serrande chiuse e il Sole alto nel cielo, ci spogliavamo, facevamo l'amore, ed io, da quando eravamo a Roma, avevo deciso di riprendere — per il momento — quattro volte i miei ricordi.

Avevo battezzato quella macchina fotografica: macchina dei ricordi.

La prima volta che ci registrammo fu la prima notte con lui, a Roma, nel mio appartamento, nella mia camera che poi diventò la nostra. Lui non lo sapeva quando registravo, in quel modo avrei reso tutto più naturale, più intimo. Più reale.

La seconda volta fu quando gli volli fare una sorpresa dopo una giornata di lavoro stressante e lunga.

La terza volta fu quando ritornammo dal concerto di Cremonini, a tarda notte, mezzi sudici e su di giri; quella notte pure fare l'amore fu divertente, fu spensierato, fu stupido.

La quarta volta, me lo suggerì l'istinto: dovevo ricordarmi quella notte, dovevo ricordarmi che sensazioni avevo provato. E quindi registrai l'amore che facemmo al buio, tra risate e baci.

I fine settimana, invece, li passavamo come una semplice coppia.

Avevo fatto conoscere Riccardo alle mie due amiche del corso, Rebecca e Cristina con i loro rispettivi fidanzati Niccolò e Paolo, era la prima volta che lo vedevo alle prese con nuove conoscenze e mi aveva stupita come in realtà si fosse subito integrato, ci andava d'accordo, ma sapevo che nessuno avrebbe preso il posto di Angelo.

Lo chiamava ogni santissima sera. Si parlavano in un minimo di un'ora, di cosa? Non lo so, so solo che parlavano a lungo, e a me non dispiaceva affatto. Era l'unico che, probabilmente, poteva capirlo, era l'unico che riuscisse a comprendere i suoi sforzi o la sua meraviglia in una città che, per anni, era stata un punto indefinito sulla cartina della sua vita.

In una serata semplice, uguale a un'altra, ci organizzammo per andare a cenare fuori e poi bere qualcosa in un bar al Trastevere.

Più i mesi passavano e più sembravamo abituarci a quella vita. Ci andava bene. Lavoro, casa nuova, amici, cene fuori, mattine in cui mi svegliavo col profumo di caffè e serate tutte nostre tra film, cioccolata e baci dati anche senza motivo.

Riccardo aveva fatto così tanto amicizia con Niccolò e Paolo che si divertiva ad andare a giocare a calcetto nel campo del padre del primo. Inizialmente era un po' scettico, mangiato dai pregiudizi, mi aveva risposto: «Non lo so, penseranno che sia uno stupido», quando gli avevo chiesto che cosa ne pensasse.

Io avevo ridacchiato, gli avevo preso il viso tra le braccia, seduti sul divano, «Ma non è vero, amore.»

La realtà dei fatti era che Riccardo, senza volerlo, col tempo, aveva fatto della sua impossibilità di studio un'insicurezza, e temeva che quei due ragazzi nuovi potessero giudicarlo per questo. Ma io sapevo che non lo avrebbero fatto, sapevo che Riccardo non gli avrebbe dato modo di pensare una cosa del genere.

Poche settimane dopo, si erano ritrovati a prendersi in giro a vicenda senza manco sapere come. Scherzavano e ridevano come un gruppetto di amici che si conoscevano dalle medie. Lui era di fronte a me, stringeva la mia mano sulla superficie del tavolo, me la accarezzava piano senza darci molto peso, lo faceva e basta, come se fosse una cosa abituale.

Dopo aver pagato, ci incamminammo per le strade del Trastevere, il suo braccio sulle mie spalle e il mio a circondargli i fianchi: «Non osare bere ancora esageratamente», mi aveva avvisato, divertito, puntandomi il dito contro.

«Io lo so reggere l'alcol», gli risposi, alzando il viso e guardandolo male.

«Certo, ma ti ricordi chi ti ha dovuto portare in braccio per tutta la rampa di scale del palazzo, fino al letto?», chiese, accarezzandomi una ciocca di capelli.

«Tu», mormorai, «Ma solo perché avevo dei tacchi scomodi, e poi avevo bevuto il Negroni...», mi giustificai.

Lui scosse il capo, mi diede un bacio tra i capelli e continuammo a passeggiare per le viuzze costellate da ristoranti e bar e, appese ai muri, vi erano delle piccolissime lanterne che parevano tante stelle vicine.

Eravamo entrati nel locale che ci aveva suggerito Paolo, ridendo e scherzando ci eravamo presi da bere, Riccardo mi aveva baciata ed io gli avevo messo le braccia attorno al collo. «Alba! Eddai, vieni!», mi chiamò Rebecca, ridendo col suo drink in mano e ancheggiando sul posto.

Le guardai e risi, presi un sorso del mio drink, «Vado con loro», lo avvisai, sfiorandogli le labbra.

Lui mi aveva presa per il mento, «Fai la brava», avvertii la sua voce nello stomaco. Mi alzai sulle punte e lo baciai ancora, egli ricambiò prontamente, affondando tra le mie labbra come se non volesse fare altro che prendermi là, davanti a tutti.

Dopo avermi stretto una natica tra le dita, mi aveva lasciata andare. Avevo raggiunto le mie amiche che mi stavano aspettando per andare a ballare. Ci trascinammo nella melma di gente, ballammo a ritmo di una canzone travolgente, il drink a salirmi lentamente alla testa fino a farmi percepire le luci blu come un gioco di figure e ombre.

Ballammo a lungo, finché non sentii le tempie scoppiarmi. Decisi di uscire dalla pista e andare cercare Riccardo. Mi feci spazio tra le spalle e schiene, poi qualcuno mi prese per il polso, talmente forte da farmi girare prepotentemente. «Ma che cazzo fai?», sbottai prima di vedere chi fosse.

«Alba? Sei tu?»

Alzai lo sguardo, senza capire.

Cercai di decifrare tutti quei lineamenti che avevo davanti, tutte quelle connotazioni.

Gli occhi azzurri, aveva gli occhi azzurri e affilati.

Il mio cuore venne travolto da una fitta.

Aveva i capelli castano chiaro, i suoi capelli. Rischiai di strozzarmi col respiro.

Mi dimenai dalla sua presa, mi presi il polso tra le dita.

«Manuel...?», mormorai.

«Sono Manuel», disse, forse non mi aveva sentita. E dalla mia espressione avrà visto confusione, tanto da pensare non lo avessi riconosciuto. «Ti ricordi?»

Io annuii, feci un passo all'indietro rischiando di inciampare in una scarpa. Manuel aguzzò un sorriso, un sorriso che sapeva di cattiveria. Io ci avrei sempre e solo visto cattiveria.

«Sei cambiata 'na cifra», aveva asserito, quasi urlando per la musica.

Avrei voluto tapparmi le orecchie.

Non sentivo quella voce da anni, e, seppure fosse cambiata, il tono era uguale. Era stato l'incubo a tenermi sveglia le notti, non poteva rivenire a galla dal nulla, proprio quando me l'ero dimenticata.

«Devo andare», farfugliai frettolosamente.

Manuel si accigliò, «Dove devi andare?»

«In bagno», dissi la prima cosa che mi venne in mente.

«Hai bevuto?», rise. Rideva di me.

«No, non ho bevuto», risposi, con più forza. Avrei voluto strapparglielo quel sorriso irriverente, «Ho bisogno di rinfrescarmi.»

«Ti accompagno», disse, vedendomi già camminare verso una porta a caso.

«No, grazie», lo scansai.

«No?», ripetette, «Hai bevuto, nevvero?», ridacchiò.

«No, vattene, lasciami stare», sbottai, «Che vuoi?»

Lui alzò le mani, spocchioso, «E come stiamo messe male», alzò un angolo della bocca, «Volevo solo parlare. Tutto 'sto caratterino nun ce lo avevi quanno stavamo assieme.»

«È stato più di sette anni fa, non c'ho più quindici anni», ribattei.

«A me pare de sì», mi guardò dall'alto verso al basso.

Lo ignorai, feci per andarmene di nuovo, ma lo sentii venirmi dietro.

Andai nel panico.

Mi fermai di nuovo, «Mi spieghi che cazzo vuoi?», gridai, davanti a noi passò una coppia di ragazzi sfranti, la musica la avvertito ovattata e i miei vestiti cominciavano a starmi stretti. «Abbiamo parlato, ora devi andartene.»

«Perché?», si avvicinò.

No. No. No.

Non mi ero resa conto che dietro di me c'era una colonna.

Dovevo andarmene, all'istante.

«Perché sì, coglione.»

Lui alzò le sopracciglia, sorpreso dal mio atteggiamento, «Non ti ricordavo così sboccata. Lo sai che mi ecciti di più se rispondi a tono?»

«E tu sei rimasto un malato pervertito di merda.»

«Ah, quindi te le ricordi le mie scopate?»

«Sì, e ricordo anche le tue dimensioni pietose.»

«Sei diventata proprio una puttana», mi offese. Tipica tattica di un uomo colpito nell'orgoglio, colpito nel profondo della sua mascolinità, «Te non eri brava manco a fare quello.»

«Alba?», sentii la voce di Riccardo cercarmi, io sbarrai gli occhi, mi voltai, ma, nel momento esatto in cui lo feci, Riccardo mi notò e mi stava già venendo incontro.

Non lo aveva notato Manuel.

Quando, poi, lo vide, si accigliò piano.

Alternò le iridi tra me e lui, intravide i miei occhi acquosi. Scrutò la situazione con attenzione, voleva capire cosa accadesse.

Incrociò le braccia al petto, chinò il mento, si finse amichevole: «Ciao», strinse le labbra in un sorriso finto, «Ci sono problemi?»

«No», dissi subito, mi nascosi dietro di lui, misi il braccio attorno al suo e lo strinsi con urgenza, «Andiamo, ti prego.»

Manuel ammiccò un sorriso, guardando quel nostro contatto.

«Non ti ho mai visto da queste parti», disse Manuel, con una gentilezza così falsa da farmi ingoiare un urlo.

«Non sono di queste parti», rispose sùbito Riccardo, con le sopracciglia arcuate.

«E di dove sei?», chiese curioso.

Non sapevo dove volesse andare a parare.

«Ischia. Ma di solito le conversazioni iniziano con una presentazione. Tu sei?»

«Ma guarda te», mi guardò, Manuel, «Te lo sei trovato pure in quel cesso di isola?», rise, come se fosse una barzelletta.

«Prego?», Riccardo serrò la mandibola.

«Sono Manuel», rispose.

Merda.

Trattenni il respiro.

Pregai Riccardo di andarcene, tirandolo un po' verso di me. Sperai mi capisse, sperai avvertisse il mio cuore piangere. Riccardo si incupì, divenne una lastra di pietra, si sfilò dalla mia presa.

«Manuel?», ripetette

«Sì, piacere», allungò il braccio, «Ora tocca a te.»

«Riccardo», sorrise, falso, «Il piacere è tutto mio.»

Manuel strinse le labbra, «Sei un amico di università, scommetto», lo indicò come se fosse ovvio.

Riccardo alzò le sopracciglia, divertito, «No, prova di nuovo.»

«Allora sarai tipo suo cugino, quella tiene parenti ovunque», quella, come se non ci fossi davanti a lui.

Riccardo scoccò la lingua sul palato. «No, mi spiace, però ci sei, eh, riprova», lo incitò con un colpo di mento.

«Guarda non saprei. Non mi viene in mente nulla.»

«Ma dai, mi stavo divertendo», sospirò, «Sono il fidanzato.»

Manuel spalancò leggermente la bocca, alternò lo sguardo fra me e lui, «Fidanzato?», disse di nuovo, «Quindi le apri ancora le gambe, ma guarda un po'.»

Riccardo si mordicchiò l'interno guancia.

«Andiamocene, dài», dissi a Riccardo, che adesso fissava oltre il muro di ragazzi al bancone, quasi come se stesse controllando che non ci fosse alcun bodyguard nei paraggi.

«Sì, ce ne andiamo sùbito, finisco un attimo di parlare con Manuel», calcò il suo nome. «Tu sei il suo ex, giusto?», si schiarì la gola.

Manuel sorrise di più, con contentezza. «T'ha parlato di me? Non esserne geloso, sono stato importante per lei.»

«Mh, sì, ci credo» sospirò, «Pezzi di merda come te non si scordano facilmente.»

Manuel si accigliò, confuso. «Come?»

Riccardo sorrise, amaramente, «Niente.»

«Sai, è merito mio se sa come prenderlo in bocca.»

Chiusi gli occhi e la sensazione di nausea, vomito mi fece trasalire. Mi venne da piangere. Sentii come una miriade di pezzi di vetro ficcarsi nella carne della schiena e della gola, tanto da mozzarmi il respiro.

Riccardo strinse la mano in pugno, le nocche a divenire bianche, «Sì?»

«Sì», rispose con leggerezza, con quel sorriso orrendo sulla faccia, «Quella si fa fare di tutto, e pure se si oppone basta che le metti una mano in bocca e tutto si risolve.»

Quella.

«Sì?», continuò Riccardo con le sopracciglia alzate, non batteva ciglio.

«Sì», rise Manuel, «Che, non lo sai? Non la scopi?»

«Tu che dici?», piegò il viso.

«Io dico di—»

La sua voce fu attutita dal rumore sordo del pugno contro la sua faccia. Non ebbi il tempo di capirlo, di fermarlo, di prenderlo, di impedirglielo che lo aveva già tirato su, lo avevo sbattuto contro il muro davanti sé.

Manuel si teneva il naso sanguinante, frastornato esalò un: «M'hai rotto er naso, stronzo.»

«Ascoltami, inutile pezzo di merda», gli puntò il dito contro, «La vedi 'sta faccia?», chiese, indicandosi, Manuel si lamentò, Riccardo gli prese il colletto della camicia tra le dita, «Rispondimi!», ringhiò, «La vedi 'sta cazzo di faccia?»

«Sì», mugugnò sofferente. «Sì!»

Con gli occhi sgranati, le dita tremanti, mi guardai attorno per controllare se qualcuno avesse visto.

«Bene, adesso memorizzala alla perfezione che te la devi ricordare fino alla fine dei tuoi giorni di merda», minacciò, «Devi lasciarla in pace. Tu non lo sai che vuol dire stare con lei, non lo saprai mai. Credi davvero io sia geloso di te?» Sollevò il sopracciglia, «Credi male. Quella ragazza lì non è mai stata tua, che ti piaccia o meno. Non m'hai mai visto, ma se continui a ronzare da queste parti, giuro che sarò il tuo incubo. Lei non ti ha mai amato, mettitelo in testa. Questa faccia qua è quella che ti devi ricordare ogni volta che provi a immaginarti a lei. Adesso vedi dove cazzo te ne devi andare, perché non ci esci vivo da qua dentro.
Sono stato chiaro, schifoso pezzo di merda?»

Manuel non rispose. Riccardo gli assestò un pugno nello stomaco. «Mi hai capito?» Lo tenne fermo, impedendogli di contorcersi. Lui annuì, gli occhi stretti e le mani rigide sui fianchi.

Riccardo lo mollò lì. Manuel strisciò per terra e sbarrò gli occhi come se avesse avuto un dolore lancinante da qualche parte, quando alzai lo sguardo Riccardo lo aveva già superato e stava per sparire tra la marmaglia.

«Merda», mormorai, camminai a passo svelto per raggiungerlo e, quando lo feci, eravamo fuori dal locale. «Puoi calmarti un attimo?», gli toccai il braccio che stava pronto a prendere le chiavi della macchina.

«Calmarmi?», si girò di scatto, «Vuoi che mi calmi?»

«Sì. Per favore...», provai a prendergli la mano, provai a tenerlo vicino.

«Non chiedermi di calmarmi», si accigliò, «Non mi calmo manco per il cazzo, Alba», si avvicinò guardandomi dritto negli occhi, «Lo hai sentito quel coglione? O no

Osservai le sue pozze di miele incastonate sotto le ciglia, mi ci vidi riflessa e fu come vedere tutti i miei peccati in una sola volta.

Mi si riempirono gli occhi di lacrime, singhiozzai e abbassai il viso.

Riccardo rimase fermo, «... ti ha toccata? Alba, ti ha toccata? Dimmelo adesso. Ti ha toccata?», mi prese le guance in mezzo alle mani, alzandomi il capo per guardarlo. «Guarda che basta che me lo dici, io entro e lo ammazzo, chiaro?»

Mi tenni ai suoi polsi, chiusi gli occhi e una decina di lacrime mi solcarono le gote. «No...», mormorai, «No, ma avrebbe potuto se non fossi arrivato», dissi, con la voce spezzata.

«Che ti ha detto? Ti ha detto altro?»

«No», negai, velocemente, «Ti prego, Riccardo. Andiamocene via. Voglio andarmene, ti prego, portami via... ti prego, ti prego.» Mi tremarono le dita, chiusi gli occhi con la gola chiusa dalle lacrime in arrivo.

Riccardo sospirò, con l'intenzione di rientrare dentro, di ucciderlo veramente stavolta. Ma non lo fece. Mi circondò le spalle con il braccio, mi chiuse attorno al suo petto, dandomi poi un bacio sulla fronte, «Ce ne andiamo», mormorò.

In macchina nessuno dei due proferì parola.

Mi ero adagiata sul finestrino mentre lo sentivo respirare piano, la mano a tamburellare sul volante, febbricitante, e i suoi occhi a scivolare su di me ogni paio di minuti per controllarmi. Io mi rinchiusi nelle spalle, i capelli incollati allo zigomo e il freddo umido a infiltrarsi nelle ossa.

Parcheggiò l'auto nel garage del condominio e scesi in fretta dall'auto. Aprii il portone di casa, buttai le chiavi sul divano e mi rifugiai in camera da letto, chiudendomici dentro. Lo avevo sentito sospirare mentre richiudeva il portone.

«Possiamo parlare?», si poggiò alla superficie della porta, la sua voce giunse ovattata, pacata. «Mi sono calmato», premise.

Mi asciugai le lacrime con le mani, rannicchiandomi di più sul cuscino, «Parlare di cosa? Di come sono stata una stupida? Vuoi prendermi in giro?», bofonchiai, che, per quanto silenzio c'era in camera, mi si sentiva pure il cuore battere.

«Ma di cosa parli?», mormorò, «Aprimi la porta», continuò vedendo che non rispondessi.

«Voglio stare da sola.»

«Sola... certo», sospirò, rumorosamente, «Okay... se hai bisogno mi trovi sul divano.»

Rimasi nel letto per quasi un'ora, dal salotto non si sentiva alcun rumore. Decisi di spogliarmi e andare in doccia, mi lavai tutto lo sporco, tutto l'amaro che Manuel mi aveva sputato addosso. Mi lavai bene il viso, restai con la schiena poggiata alle piastrelle per più di dieci minuti, lasciai che l'acqua mi ricoprisse come un velo.

Indossai l'accappatoio e uscii, passando una mano sulla guancia. Quella notte in particolare faceva più caldo a Roma, si vedeva che ci stavamo per inoltrare nell'estate a capofitto.

Riportai lo sguardo sulla porta di camera quando socchiusi le finestre per far passare un po' d'aria. Con i piedi scalzi e ancora grondanti di acqua, decisi di aprirla e affacciarmi. Di Riccardo non c'era ombra. Accigliata, m'introdussi verso il salotto, illuminato dal display del computer acceso nel bel mezzo del tavolino di vetro.

Riccardo giaceva sul divano, un braccio sotto la testa e il viso a penzolare di lato, gli occhi chiusi e un'espressione assorta a vagabondare sulla sua faccia. Si era tolto la camicia, l'aveva appallottolata malamente e l'aveva incastrata sotto i cuscini del divano. Strinsi le labbra, chiusi il computer e il buio divenne pesto.

Quando mi voltai per riguardarlo, Riccardo aveva gli occhi socchiusi. «Sei arrabbiata con me perché l'ho picchiato?»

Io negai.

Riccardo allungò il braccio per raggiungere la mia mano. «Allora perché?»

«Perché mi sento ancora una ragazzina di quindici anni, stupida e indifesa. A me non piace quella ragazzina.»

Egli si sollevò, sedendosi di fronte a me. Lo guardai negli occhi, come lui fece con me. Mi prese per il fianco e mi trascinò un passo più vicino a lui. «Io non conosco quella ragazzina», mormorò, scendendo con lo sguardo lungo le mie curve, «Ma conosco te, Alba.»

«Poteva succedermi qualcosa, e io non ho saputo fare altro che rimanere immobilizzata...», sussurrai, «E sono arrabbiata con te perché avrei voluto conoscerti quando ero ancora quella stupida e indifesa ragazzina.»

«Anch'io vorrei tornare indietro nel tempo, principessa», sussurrò, dolcemente, la sua mano sull'incavo del mio ginocchio, «Ma non possiamo.»

«Io sono stata ad Ischia ogni estate della mia vita», ribattetti, rabbiosa, «Perché non ti sei mai fatto vivo? Perché

«Non lo so.»

«Sarebbero cambiate tante cose...»

«È inutile rimuginare sul passato», Riccardo cercò di tranquillizzarmi, accarezzandomi piano il polpaccio, il suo mento a sfiorarmi la pancia. «Devi solo pensare che, adesso, nel presente, lui non può più toccarti. Capito?»

Io respirai a stento. «Sì, ma tu non capisci», mormorai, iniziando a sentire di nuovo le lacrime pizzicare gli occhi, «Tu non capisci come io mi sia sentita vedendolo, lì...», una lacrima scese sulla gota, «Erano anni che non lo vedevo, anni in cui io sono cambiata. E non appena appare lui, io ricado, ho il coraggio di ricadere», piansi, «E lo so che non mi toccherà più, lo so. Ma guarda, guarda...», velocemente mi sciolsi il laccio dell'accappatoio, afferrai la manica e gli feci vedere la cicatrice sotto al gomito, troppo nascosta per essere vista davvero, «Io il suo tocco lo sento ancora», gliela indicai, «Io lo sento ancora il dolore delle sue mani addosso... mi sento ancora sporca, nonostante tutto», tirai su col naso, «Mi ha rotto il braccio, Riccardo, mi ha presa e mi ha sbattuta per terra, per che cosa?», chiesi amaramente, «Perché indossavo un vestito troppo scollato», borbottai, «Non importa quanto tempo passa. Io me ne dimentico pure, ma rimarrà sempre impresso nella mia mente, ogni singola violenza, ogni singolo pianto, ogni singola corsa nel cesso per vomitare, ogni grida di mia madre e ogni scazzatura di mio padre. Tu non hai nemmeno idea di come mi trattava, e forse sono felice che tu non lo sappia, ma io ero terrorizzata di stare nel letto con lui... avevo solo quindici anni, Riccardo... ero praticamente una bambina, e a lui non è mai importato, non gli è mai importato quanto piangessi, quando gli dicevo che non volevo, che non ero pronta», le lacrime si confusero alla mia voce, si mischiarono fino a diventare un grumolo che mi impedì di respirare regolarmente, «L'ho superata... pensavo di averla superata, ma evidentemente non è così... ho avuto una paura tremenda, Riccardo... tremenda, e per quanto possa provare a dimenticare, non riuscirò mai a farlo del tutto. Quando l'ho avuto davanti mi sono sentita male, forse come se stessi per morire.»

Riccardo non mi rivolse parola. Piegò lentamente il viso, poggiò la fronte sulla mia pancia, il suo respiro a mettermi i brividi, «Non potrò mai capirti quanto meriti, ma posso essere arrabbiato quanto te, Alba», mormorò, dandomi un bacio sulla pelle attorno all'ombelico, «Tu sei l'amore della mia vita», sussurrò, delicatamente, trattenni il respiro quando sentii la sua leggera barbetta sfiorarmi la carne, «Al solo pensiero che c'è un altro uomo che ti tormenta, mi fa uscire di testa. Però, ti prometto che ti resto vicino, cadesse il mondo, esplodesse il Sole, io ti resto vicino fino a quando non muoio», alzò il viso, mi guardò dal basso con un piccolo sorrisetto, «Non ho mai odiato nessuno come sto odiando lui.»

Spostai la mano sulla sua guancia, «L'unico uomo che voglio al mio fianco sei tu», risposi, «Mi dispiace per quello che è successo oggi, è che mi sono spaventata. Per me, per te, per... noi», gli accarezzai la mandibola con il pollice, «Non ho mai voluto che questo accadesse.»

Riccardo sospirò, pianissimo, «Ricordi cosa ti dissi, quando mi raccontasti per la prima volta di Manuel?»

Lo guardai negli occhi.

Come potevo non ricordarmi la prima volta che ebbi le farfalle nello stomaco vicino a lui? «Sì», dissi flebilmente, «Che se mi avessi conosciuta prima, mi avresti fatto capire che quello non era vero amore», risposi.

«Come te lo avrei fatto capire?»

«Facendo l'amore con me.»

Riccardo sorrise, poggiò il mento sulla pancia, di nuovo, «Io non mi rimangio niente», sussurrò, scuotendo il capo, «Farei l'amore con te tutti i giorni della mia vita, non mi stanchi mai. E pur di fartelo dimenticare, quello stronzo, ti concederei ogni parte di me, ti insegnerei altri mille modi per farlo e ti rispetterò ogni qualvolta non vorrai», infilò le mani sotto l'accappatoio per prendermi i fianchi, «Questo è solo l'inizio, Alba. Siamo io e te», fece spallucce, «E basta.»

Annuii, «E basta.»

La sua mano scese, ripercorrendo la linea dei miei fianchi nudi fino a raggiungere la mia coscia, la sua bocca a chiudersi sul mio ventre, «Non permetterò a nessuno di farti del male», sussurrò, roco, «L'unica volta che ti farai male sarà quando mi avrai dentro, quando il dolore che avrai non sarà altro che piacere. Ti farà così male che tu vorrai ancora di più, vorrai sempre di più», mi scostò lentamente l'accappatoio, il suo respiro bollente a farmi trasalire, i suoi baci scendevano, scendevano, fino al monte di Venere, «Ed io ti darò tutto ciò che possiedo», sussurrò di nuovo, mi tremò il respiro nello sterno, schiusi le labbra. «Sai perché?», sollevò gli occhi per guardarmi da sotto le ciglia lunghe.

«No», dissi, «Perché?».

«Perché ogni cosa che è mia, è tua», un altro bacio, sempre più giù, da farmi socchiudere gli occhi, «E il mio corpo è tutto tuo», le mie braccia si posarono sulle sue spalle, ansimai lentamente quando i suoi polpastrelli freddi circumnavigarono il mio interno coscia, le sue ginocchia a spingersi sui miei polpacci, «Ti faccio dimenticare ogni cosa, quanto è vero Dio».»

Riccardo osò, sfiorando con le dita le prossimità della mia intimità, nuda e pulsante sotto i suoi occhi. Per un momento pensai si stesse per ritrarre, quando poi alzò lo sguardo su di me, con gli occhi lucidi di lussuria, «Posso?»

Velocemente, gli presi il viso tra le mani mentre egli continuava a osservarmi, lo baciai come se fosse l'ultima volta. Soffocai il respiro contro la sua bocca, «Sì», ansimai, sentii il cuore precipitare nello stomaco, «, ti prego», continuai, infilando le dita nei suoi capelli.

Riccardo, allora, non se lo fece ripetere due volte. Mi divaricò le gambe, il suo pollice a raggiungere la mia intimità così velocemente da farmi sussultare, un dito a strofinarsi sull'entrata. Schiuse le labbra, assorbendo il mio respiro affannato, l'altra mano a prendermi una natica, a spingermi verso di lui.

Mi penetrò con le dita, gemetti a denti stretti e lui ansimò baciandomi il ventre, leccandomi i fianchi e indebolendomi le ginocchia. Intraprese un ritmo costante, roteò le dita dentro di me e chinai la testa con le labbra aperte. Il suo pollice lasciò spazio alla sua bocca, che mi divorò con baci lesti.

La sua lingua giocò con il mio piacere, mi stuzzicò con la punta di essa, mi tremò la voce e le sue dita andarono più a fondo. Ne introdusse un'altra. Gli graffiai le spalle, gli tenni la nuca e lui si spostò più verso di me, reclamò la mia intimità, la baciò e la leccò con ardore. Ansimai, gemetti, sussurrai il suo nome, con il respiro che mi vibrava nella gola.

Riccardo mi baciò lentamente, facendomi intorpidire le caviglie, mi vorticò la testa, mi morsi il labbro e lui continuò. Continuò fino a quando non sentì l'umidità tra le mie cosce aumentare, farsi più vischiosa e insidiosa. Si fermò, si alzò infilandomi la mano tra le cosce e l'altra a prendermi la nuca.

La sua lingua mi accarezzò la bocca, avidamente, sentii il sapore del mio piacere, mischiato alla sua saliva, in bocca; gli presi il mento tra le dita, come per dirgli di volerne ancora, di baciarmi ancora.

«Devi dirmi quello che vuoi», grugnì sulla mia bocca mentre gli baciavo l'angolo di essa, «Devi dirlo», velocemente mi liberò dall'accappatoio, facendolo cadere sul tappeto del salotto.

«Sai quello che voglio», le mie mani armeggiarono con la sua cintura.

Mi prese i polsi, senza farmi male, me li bloccò dietro la schiena, «Voglio sentirlo», esalò con voce profonda, che mi scese dritta nello stomaco, guardandomi le labbra, guardandomi il seno, i fianchi.

E, mentre mi teneva i polsi stretti dietro la schiena con una mano e l'altra a testare il mio volere, posizionata sulla mia intimità, io mi avvicinai alle sue labbra, gliele sfiorai, gli lasciai un piccolo bacio sulla mandibola, sul collo, lo guardai negli occhi, dal basso, «Voglio dimenticarmi di lui per sempre.»

Riccardo mi lasciò i polsi per afferrarmi le cosce e avvinghiarmi a lui, mi sollevò, gli circondai le spalle e lo baciai. Riccardo mi mantenne per le natiche, si diresse in camera da letto e chiuse la porta con un calcio. Mi fece cadere sul letto, mi tolsi i capelli bagnati dal viso e lui si tolse il pantalone in un batter d'occhio.

Si inginocchiò sul materasso, mi prese per le caviglie e ci lascio dei baci tutt'intorno. Dopo essersi piegato sulla mia pancia per assestare dei baci languidi, si avvicinò alla mia guancia, infilò una mano tra le ciocche bagnate, «Dopo stanotte, tutte le altre scopate non saranno niente a confronto.»

Strofinai la guancia sulla sua, le mie cosce e stringergli i fianchi, a spremerlo, «Dovrai mantenere alta l'asticella, poi. Non dovrai mai fare prestazioni deludenti», gli mordicchiai il lobo dell'orecchio.

Riccardo passò il pollice sul mio collo, mi alzò il mento e mi guardò con un'ironia affascinante, «Come puoi mai pensare che il mio cazzo possa fare prestazioni deludenti

Ridacchiai a occhi chiusi mentre lo sentii sfilarsi la cintura, mi baciò il sorriso, ripetutamente, fino a farmi sospirare e ricambiare i suoi baci. Mi alzò leggermente il bacino, me lo strinse tra le dita ed io gemetti quando mi strusciò contro la sua erezione, mi aggrappai con una mano alle lenzuola e l'altra alla sua schiena.

Indugiò prima di entrare, infilò prima la punta, ed un brivido mi attraversò dovunque. Trattenni il respiro e ansimai, uscì e si spinse dentro, facendomi allargare di più le gambe per accoglierlo, mi mancò l'ossigeno nei polmoni, piagnucolai e lui mi baciò il seno, «Oh, mio Dio», gemetti quando uscì ancora, mi entrò dentro più forte, con più insistenza, lo sentii tutto, «Riccardo!», piegai il capo all'indietro incurvando la schiena, gridai.

«Sì, così, amore», si tenne ai miei fianchi, si posizionò meglio sopra di me.

Le sue spinte mi fecero gemere più e più volte, sentii le mie cosce fremere attorno ai suoi fianchi. Mi tenne le gambe ben spalancate mentre affondava sempre di più, in un andamento così veloce da farmi perdere il senso dell'orientamento, il mio respiro si perse quando lui mi baciò, mi rubò l'ossigeno e me lo restituì in pochi secondi. Gli morsi il labbro e lui mi tenne la testa fra le mani.

Allungai la mano sui suoi fianchi, glieli graffiai, «Più piano... ti prego, rallenta», lo pregai cercando il suo sguardo, «Non riesco... non riesco a...»

«A parole tue, principessa», rispose, con il respiro affannato, «Non riesci a...?»

«A starti dietro.»

Ma Riccardo ammiccò un sorriso, mi accarezzò le labbra con il pollice prima di affondarci un bacio, «Sono sicuro che ci riuscirai. O no, bambina?», un'altra spinta mi fece irrigidire.

«Sta' zitto e continua», borbottai, prendendolo per i capelli e baciandolo.

«Così ti voglio», mi prese per i fianchi e mi portò a cavalcioni sopra di lui, «Fammi vedere come ti muovi», mi afferrò le mani e mi spinse sopra di lui, il suo petto duro contro la morbidezza del mio seno.

I miei capelli caddero davanti al viso, mi accasciai per baciarlo ancora e ancora. Le sue mani a spingersi sulle mie natiche ed io mossi il bacino avanti e indietro sopra di lui.

«Ti amo», dissi, a seguito di un gemito.

«Dillo di nuovo», mi prese per le cosce e cominciò a muoversi sotto di me, strinsi gli occhi e mi tenni alla sbarra del letto, mi baciò un capezzolo, lo morse e lo leccò.

«Ti amo», mi trattenni.

«Non ti ho sentita. Devi urlare», Riccardo infilò una mano tra la nostra unione e mi stuzzicò lentamente, al contrario del ritmo con cui il mio bacino si contraeva sul suo, imprecai e una lacrima mi percorse la guancia.

Sentivo che stavo per raggiungere l'orgasmo, le mie gambe fremettero, si indolenzirono, «Ti amo, ho detto che ti amo!», poggiai la fronte sulla sua e Riccardo sorrise, ansimando, l'altra mano a sfiorarmi la schiena, mi prese i capelli in un pugno e attutì i miei gemiti sulla sua bocca.

«Brava, continua così», si accigliò, mordendosi le labbra.

Il suo viso mangiato dal piacere, dalla libidine, mi offuscò il cervello. Respirai a stento mentre sentivo il corpo esplodere internamente, mi spinsi sopra di lui, incollandomi al suo petto, esalai l'ultimo respiro e, con il viso premuto sulla sua spalla, riempii la camera con un orgasmo sentito, forte, che proveniva dall'angolo più recondito della mia anima.

Le mie braccia scivolarono sul suo petto. Il mio respiro mi percosse, ero tutta un brivido. Nonostante ciò, dalla mia bocca continuarono ad uscire dei gemiti, come per far uscire tutta la pressione che avevo nella bocca dello stomaco. Portai una mano tra i capelli, per togliermeli dal viso, sollevai il mento e lo baciai distrattamente.

«Non abbiamo finito», mormorò lui, prendendomi per le gambe e riportandomi con la schiena sul letto, si posizionò tra le mie cosce, «Preparati, principessa.»

Il letto era completamente sfatto.

Le luci dell'alba si avvicinavano e io mi portai una mano sul petto per regolarizzare il respiro, scossa da una piccola risata.

I capelli erano incollati al collo madido di sudore e sentivo la pelle andarmi a fuoco, ogni muscolo del corpo era flaccido, sentivo le gambe stanche e il cuore mi martellava il torace.

Riccardo era ancora accasciato sul cuscino di fronte a me, le mani tra i capelli e le braccia, cosparse di tatuaggi, gonfie di muscoli guizzanti, aveva il fiato frenetico, il petto ingolfato di respiro ansimante. «Com'è andata?», domandai, facendo uscire un sospiro, lo guardai.

Riccardo alzò un dito per dirmi di aspettare, io ridacchiai, alzandomi sul gomito con uno sforzo e poggiando la guancia sul palmo della mano. Abbassò le braccia e sospirò anche lui, alzò il mento per guardarmi.

«Per capire com'è andata avresti dovuto sentire il mio cuore.»

Ci guardammo per lunghi minuti, senza dirci nulla.

La stanza si acquietò dopo aver inglobato ore di ansiti, gemiti e orgasmi. Lentamente, lui sorrise, un sorriso che mi levò fiato, ritornai ad avere il respiro irregolare. Era incredibile come quel ragazzo possedeva le mie emozioni in un pugno.

«Che c'è?», mi contagiò: sorrisi.

Riccardo scosse il capo, parve ragionare, guardò il soffitto. «Se quello ti ha insegnato a fare i pompini, io ti ho insegnato a scopare», disse.

Farfalle nello stomaco.

«Sei sempre così volgare.»

«Però, quando sono dentro di te, non ti dispiace se sono volgare.»

«Pensavo stessi per farmi una dichiarazione di amore eterno... e tu te ne esci con queste cose.»

«Dopo tutto quello che abbiamo combinato, vuoi ancora una dichiarazione di amore eterno?», chiese, con ironia.

«La proposta di matrimonio non me la vuoi fare, scusa?», mi accigliai, divertita.

Lui alzò gli occhi al cielo, «Ancora co' 'sto matrimonio?»

«Sì», risposi, «Vedi che me l'hai promesso quando me ne sono andata da Ischia, sei anni fa.»

«Te lo ricordi?»

«Ovvio», feci spallucce, «Voglio che mia figlia o mio figlio sappia che i suoi genitori sono sposati.»

«Sempre se l'avremo una figlia o un figlio...»

«Sì che li avremo», gli diedi un pizzicotto sul polpaccio vicino a me. «Io voglio una famiglia mia e tua.»

«Anch'io», accordò.

«E allora perché dici così? Cosa c'è di sbagliato nell'avere un figlio con me?»

Lui fece per ribattere, ma poi ingoiò le parole e negò col capo. «Nulla, amore, ne parliamo una prossima volta, mh?»

«Sempre una prossima volta... usi sempre questa scusa quando metto in mezzo l'argomento», borbottai, concentrandomi sulle mie unghie.

«Scusami», mi lasciò un bacio sulla coscia, «Ti prometto che ne riparliamo sul serio, ma non oggi. Perdonami», mi accarezzò il perimetro delle natiche.

Annuii, sbuffando. Lui, quindi, si voltò verso l'orologio, che segnava le cinque e quaranta del mattino. «È tardi, devo andare a lavoro.»

Io aggrottai la fronte e lo guardai, «A lavoro?», chiesi, «No», m'imposi.

«Come no?», rise, piano, della mia espressione corrucciata.

«Tu oggi non vai a lavoro», obiettai.

«No?»

Io mi rivoltai sul letto, gattonai verso di lui e gli lasciai una scia di baci sul petto, «Tu oggi rimani con me», mormorai, avvicinandomi alle sue labbra per un bacio dolce, «Non vai da nessunissima parte.»

Riccardo poggiò una mano tra i miei capelli e sorrise, «Lo chiami tu il comandante?», domandò, sarcastico.

«Sì», un altro bacio, lo guardai negli occhi.

«E che giustifica gli dai?», chiese curioso, mantenendo il mio mento con il pollice e l'indice.

Sospirai, senza allontanarmi dalle sue labbra: «Riccardo Sorrentino è troppo stanco per la sfiancante nottata passata con la sua fantasmagorica fidanzata», mormorai, e lui ridacchiò riservandomi un altro bacio imperfetto.

«E che è successo durante questa sfiancante nottata?»

Feci spallucce, «Mah, niente... ha solo scopato per quasi tre ore», minimizzai.

«Oh, wow» sussurrò, «'Sto fidanzato tuo c'ha proprio un cazzo grande un metro.»

«Io non esagererei così tanto.» Arricciai il naso.

Riccardo si morse il labbro e alzò le sopracciglia, compiaciuto dalla mia sfrontatezza.

Continuai: «È affetto da narcisismo seriale... non lo farei pavoneggiare maggiormente.»

«Tu mi vuoi sfidare, non è così?»

«Chi, io?», mi indicai, fingendomi sorpresa, «Comandante, non oserei mai. Sono fidanzata, gliel'ho appena finito di dire... quello, il mio ragazzo, è un tipo geloso, eh, non le conviene provarci con me.»

«Vorrà dire che me ne andrò a lavoro», sospirò, fece per alzarsi.

«No, eddai», ridacchiai prendendolo per il braccio e incollandomi a lui, impedendogli di muoversi. «Resta, solo per oggi», lo pregai.

«In cambio cos'ho?»

«Non ti basto io?»

Riccardo mi guardò. Sorrise, e mi guardò.

«Sì, mi basti tu.»












Note d'autore.

Bene.

Ci siamo.

Siamo alla fine.

Prima di pubblicarvi l'epilogo, penso che lo farò stasera, vi voglio chiedere: cosa credete accadrà nell'epilogo? Cosa credete cambierà? Cosa credete possa succedere nella vita di Alba e Riccardo?

Scrivetemi ogni vostra idea, quello che vi aspettate, insomma! 🤍

Sono curiosa di sapere cosa sperate per il loro futuro.

Inoltre, mi era venuta in mente un'idea un po' assurda, ovvero quella di scrivere qualche capitolo extra. Non so ancora su che cosa, ma vorrei. Magari anche qualche Pov in più, qualche alternativa, qualche punto di vista in più.

Fatemi sapere cosa ne pensate! 🫀

P.S.: questo capitolo ha tutto il mio cuore! Ho amato scriverlo.

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questa storia sarà sempre su sangio e giulia,fuori ad amici,spero vi piacerà come l'altra.🤍