Domani sarรฒ alba

By CuoreAdElica

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๐—–๐—ผ๐—บ๐—ฝ๐—น๐—ฒ๐˜๐—ฎ โœ”๏ธ ๐™ฝ๐šŽ๐š  ๐™ฐ๐š๐šž๐š•๐š ๐Ÿ’‹ 1/2 Alba ha il tramonto stampato in faccia. Capelli rossi, occhi ver... More

Cast
Albero genealogico
Chi sono Elia e Isabella?
MP3 di Alba
Prologo
Alba odia i capelloni - Parte Uno
1. L'isola dell'Amore
2. Uno sconosciuto nella Villa
3. Favori e debiti
4. Ottimo ascoltatore, pessimo argomentatore
5. La briscola รจ uno strumento di difesa
6. Ad ogni uomo il vestito che si merita
7. La Libera
8. Il pescatore e la monaca - Pt. 1
9. Il pescatore e la monaca - Pt. 2
10. A caccia di fiori e pranzi stravaganti
11. Il monolocale
12. Sole, spiaggia, sesso
13. Di mare e di stelle - Pt. 1
14. Di mare e di stelle - Pt. 2
15. Ne vale la pena?
16. Una canzone tua, nostra
17. Essere visti per chi siamo davvero
18. Sei dove non sono io
19. Le scritte sui muri rimangono in eterno
20. Ci viviamo
21. Sii prudente con questo tuo cuore
22. Musica jazz, sigarette e amici di famiglia
23. Notti d'agosto al sapore di mare
24. Ciao amore, ciao
Non รจ mai abbastanza - Parte due
25. Il tempo passa
26. Bisnonna Silvia, sei eterna
28. E basta
29. All'ombra di un tramonto
30. Luce dei miei occhi
31. Ne รจ valsa la pena
32. Nuovo inizio
33. Roma, Amor
Epilogo
Ringraziamenti
Sogno - EXTRA
Scappare - EXTRA

27. Resta

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By CuoreAdElica



ALBA
Ischia, inverno.







And when you are young, they assume you know nothing
But I knew you'd linger like a tattoo kiss
I knew you'd haunt all of my what-ifs
The smell of smoke would hang around this long
'Cause I knew everything when I was young
I knew I'd curse you for the longest time
Chasin' shadows in the grocery line
I knew you'd miss me once the thrill expired
And you'd be standin' in my front porch light
And I knew you'd come back to me
— Cardigan di Taylor Swift.

















Avrei dovuto saperlo che rientrare in quella Villa mi avrebbe trascinata in un baratro di ricordi.

Anche se il freddo autunnale riempiva il giardino di foglie giallastre e la piscina era svuotata e impolverata, quell'imponente casa custodiva delle storie che s'intrecciavano indissolubilmente nel tempo.

Trascinai la mia valigia su per le scale che portavano al portone di legno.

Il vento smuoveva l'erba, un fischio sordo incombeva tra le imposte.

L'assenza della nonna mi lasciava un vuoto nello stomaco incolmabile.

Tonio ci fece strada, la Villa era rimasta la stessa, solo più vacua. Nel salotto c'era ancora un vinile sgusciato e messo sul giradischi, girava a vuoto.

Papà si guardò attorno, si rifugiò nel suo studio, senza nessuno, senza dire niente. Mamma andò in camera della nonna per sistemare i suoi abiti e svuotare gli arredi.

Io salii le scale, le percorsi così piano che potei rivedermi lì a due anni, a otto, a quindici e a diciotto. Tutta la mia adolescenza passata tra quelle mura, con musica e amore, cibo e famiglia.

Era quella la mia formula di vita. E ora tutto era congelato in un attimo sconosciuto, guardavo quella Villa da quelle scale come se non mi appartenesse.

Non mi era rimasto niente di quei ricordi. 

Solo amarezza e nostalgia.

Arrivata nella mia vecchia camera, ormai tutta impolverata e scheggiata dal tempo, decisi di scovare tutte quelle cose che avevo lasciato lì, a partire dai libri alle fotografie. 

Dopo ore rinchiusa in quella camera, qualcuno bussò tre volte. Non una, ma tre. Una sequenza docile e musicale.

Io mi asciugai le lacrime dalle guance, «Chi è?», tirai su col naso, alzandomi in piedi dal pavimento cosparso di foto. 

«Ehi... sono io, volevo solo sapere se fosse tutto okay», disse la voce familiare di Riccardo da fuori alla porta. 

Mi guardai allo specchio e controllai se si notasse troppo che avevo pianto, «Sì», schiarii la gola, «Puoi entrare.»

Riccardo comparve da dietro la superficie spigolosa, mi cercò tra tutto quel baccano, «Che stai facendo?», indicò il casino. 

«Stavo facendo un po' di pulizie, però ho solo combinato più guai», mormorai, guardandomi attorno. 

«Posso darti una mano se ti va. Ho finito con tuo padre, ero passato a controllare, però posso comunque dartela una mano.»

Io annuii, «Sì, certo, perché no... sono seduta per terra da quasi due ore e non ho combinato nulla», sospirai, facendogli spazio tra tutti quei volti e scatti rubati. 

Lo sentii ridere sottovoce, alzai il viso per guardarlo.

Si accomodò a pochi passi da me. «Non mi avevi mai fatto vedere tutte queste fotografie», ne prese una tra quelle che aveva davanti. Era una di mamma e Gioele qualche anno prima, prima che andassi a Ischia, prima di conoscerlo.

«Invece ti accennai che mi piaceva fotografare», obiettai, scartando vecchie foto di me da piccola. 

«E quali sono i tuoi soggetti preferiti?», chiese, rovistò altre foto. 

Sorrisi a quella domanda. Mi erano mancate le sue domande, quelle un po' strane che dubiti qualcuno ti faccia ad alta voce. Quelle domande a cui devi pensare un paio di secondi prima di rispondere. «Le persone che amo, i luoghi che amo...», elencai, «Tutti quei dettagli per cui vale la pena avere un ricordo.»

Riccardo annuì. Si umettò le labbra. Notai si fosse slacciato qualche bottone sul petto, probabilmente dato dal caldo che emanava il camino che mamma accese in salotto. 

Tuttavia, parve soddisfatto dalla mia risposta.

Con la punta dell'occhio, intravidi che avesse preso una fotografia in particolare. Assottigliò le palpebre, e, sorridendo, la osservò curioso. «Quanti anni avevi?», se la rigirò bene, nascondendo una risata.

Le sue iridi andavano ovunque su quell'attimo congelato. 

La voltò, facendomela vedere. «Dio, no... questa è la più brutta», mi vergognai, «Ne ho una copia a Roma, mamma l'ha stampata in grande e l'ha appesa nel salotto, è un incubo.»

«Ma dài, non è vero...», ridacchiò, fissandola ancora. 

«Fabio mi ha presa in giro per tre giorni su 'sta foto», borbottai. 

Mi guardò con un'espressione che seppi riconoscere immediatamente: fastidio. Le sopracciglia tese e la mandibola stretta.

Strinsi le labbra e scossi il capo. La presi dalle sue mani e la guardai. Arricciai il naso inorridita e la scartai. Lo sentii sospirare e prendere un'altra fotografia, restammo in silenzio per qualche minuto, si sentiva solo il rumore della carta sul pavimento. 

Riportò l'attenzione su un'altra foto in particolare. «Questa la ricordo», sorrise, facendomela vedere. 

Io sorrisi, «Certo, perché me la facesti tu.»

«Me lo ricordo. Eri un sacco bella.»

«Perché adesso non lo sono?», mi finsi offesa, poi ridacchiai. 

Lui sorrise piano. «Mi astengo dal rispondere», sfogliò altre fotografie, decine di foto. 

Ne prese un'altra. Io sbarrai gli occhi e pensai a come diavolo ci fosse finita lì.

«No, questa no!» , gliela tolsi di mano, «È personalissima.»

Lui alzò le sopracciglia, senza capire, «Ma se è una mia foto...?»

«Sì, ma c'è scritta una cosa troppo personale.» Puntai lo sguardo sulle mie dita, dove giaceva la foto di Riccardo sulla spiaggia.

Era una delle ultime foto che avevo di lui, in uno degli ultimi tramonti che vedemmo assieme. Aveva il viso sereno, sorrideva come uno scemo  con il capo sulla sabbia ed i suoi capelli ricci e biondi a sembrar fatti d'oro. 

«Perché non posso leggerla?»

«Perché è una cosa mia», me la portai al petto come un gesto di protezione, vicino al cuore.

Lui parve sorpreso da quell'azione, come quando i bambini nascondono qualcosa dietro la schiena per paura che gliela rubino. Ma capii che quell'espressione folgorata che aveva in volto non era solo per quel gesto, fu anche perché notò un dettaglio sulla mia mano. 

Abbassai lo sguardo sulle mie dita, ancora, e trattenni il respiro.

Me ne ero completamente dimenticata: portavo ancora il suo anello al dito, quello che mi aveva dato la notte prima di partire. Io mi morsi il labbro, maledicendomi per non averlo tolto subito. 

Dal salotto, mamma fece partire un disco di Vasco. Sentii l'inizio calzante di Albachiara. 

«Scusa», sussurrò, scuotendo il capo, si grattò la nuca e sospirò. 

«No... scusami tu, avrei dovuto toglierlo, avrei dovuto intuirlo che ti avrebbe dato fastidio.»

Riccardo si accigliò. «Che? Fastidio? No, non è vero», scrollò le spalle, «È che non mi aspettavo lo portassi ancora, ecco tutto.»

«Perché avrei dovuto levarlo?», chiesi, guardandolo per poi sorridere tristemente, «Sai...», riflettei prima di parlare, mi decisi a non badare alle intrepidezze e mi lasciai andare ai sentimenti. «Quando sentivo il tempo passare velocemente e non ti sentivo da ancor più tempo, tendevo a cambiargli posto, cambiare dito... pensavo che così avrei potuto cambiare lo scorrere del tempo, che forse qualcosa sarebbe cambiato», confessa. «Ma mi sbagliavo, e il tempo ha cambiato me.»

«Lo sai perché non potevo rifarmi vivo», mormorò, poggiò il capo alla testiera del letto dietro di sé, il ginocchio alzato con il braccio poggiatoci sopra, «Sarebbe stato da stupidi. Per quale motivo avrei dovuto farlo? Per rovinarti la vita?»

«Chi ha detto che mi avresti rovinato la vita?»

«Andiamo... Alba...», rise, sarcasticamente, «Avrei dovuto scombussolarti i piani solo perché mi mancavi? Per una volta nella vita non sono stato egoista, pensavo ti facessi un favore. E fidati che, secondo me, è stato meglio così», ammiccò un sorriso, anche se poco convinto, «Almeno ti sei concentrata sul futuro e non al passato. Non me lo sarei mai perdonato se ti avessi distratto dai tuoi studi.»

Io sbuffai, stanca di continuare a ripeterlo, anche dopo anni. «Che me ne faccio di una carriera perfetta, dei miei sogni, se poi mi sento sola?»

Riccardo si mordicchiò il labbro nervoso. «Sola? Sei circondata da persone che ti amano, più di quanto avrei fatto io

«Bugiardo», lo guardai con il cuore a mille, spaventata di scoppiare a piangere. «Sei un cazzo di bugiardo.»

«Ti avrei deluso, Alba.»

«Non è vero», socchiusi gli occhi, «Non voglio sentirti dire queste cose. Lo sai che ci avrei provato, che avrei fatto di tutto per farla funzionare... lo sai...», sussurrai, con la voce a spezzarsi, incrinarsi come il mio cuore in quel momento. «Hai preferito rovinare tutto... tutte quelle cose che ci eravamo detti, tutte le promesse, sia quelle che ti avevo fatto io che le tue. Sei stato tu, perché io ti avrei capito, fino alla fine, ti avrei dato tempo, spazio, ma non ti avrei fatto quello che tu hai fatto a me», mi tremò il labbro, mi passai il polso sugli occhi, «Ma a te non è importato. "È stato meglio così", un corno, Riccardo. Meglio così, un corno», borbottai. 

«Tu credi sempre che gli altri non soffrano quanto te. Cristo, non sei cambiata sotto questo punto di vista», si accigliò, «Tu credi che io non mi sia chiuso in casa per settimane, che non mi sia addormentato con la tua chat davanti, con migliaia di messaggi da voler inviarti, ma nessuno che ne fosse all'altezza? Tu credi sul serio che io l'abbia superata immediatamente? Come se nulla fosse?», borbottò, nervoso. «Cos'avevi a Roma? Mh? Cosa avevi di me a Roma?», s'indicò. 

«Tutto, Riccardo», risposi, senza esitazione, «Avevo il cuore, che credo basti per tutta Roma.»

«Nulla a confronto di tutti i posti di Ischia, Alba», mormorò amaramente. «Ti ho portata in ogni fottuto angolo di merda di quest'isola. Ogni angolo, ti rendi conto? Non c'era strada che non mi parlasse di te», strinse il pugno, come se volesse reprimere qualcosa, «Pure a casa mia... casa mia, Alba. Che cazzo. Come pretendi che io stessi? 'Na favola!»

Abbassai lo sguardo.

Presi la fotografia che avevo poggiato sulle ginocchia e tirai su con il naso.

Fissai l'immagine di Riccardo e mi si riempirono gli occhi di lacrime. Girai la foto, guardai le macchie di parole sullo sfondo bianco. 

«"Mi hai portata su una spiaggia. Ed io sulle spiagge ci son sempre stata, ma nessuna mi ha mai fatto sentire così a casa come lo sono stata con te.
Non ero mai stata stesa sulla sabbia fredda alle tre di notte, con le stelle addosso, eppure tu mi ci hai portata, e mi hai riscaldata.
Non ero mai stata catturata dalle onde, non mi ero mai fatta trasportare fino a sentirmi nello stomaco dell'oceano, eppure tu mi ci hai portata, mi hai trascinata, mi hai tenuta per mano e tutta quella vastità, quell'immensità non mi ha fatto paura. Anzi. Sapevo che mi sarei fidata di te, anche se dico il contrario. Io ti seguirei ovunque, anche all'Inferno.
Mi hai portata nei posti più scomodi, più angusti e spaesati, ma non c'è mai stato momento in cui io non mi sia sentita fuori posto. Neppure quando avevo tutti i motivi per odiarti, io non l'ho fatto, mai, anche se dico il contrario.
Hai soffiato il vento sulle vele della mia barca, che di vento non ne vedeva da anni. Ed io spero di averti portato il Sole in quella bufera in cui la tua barca sgangherata si trovava.
Sono certa di poche cose al mondo, dubito di qualsiasi cosa, anche di me stessa, ma non tentennerò mai su quello che provo per te. Non dirò mai il contrario, non mi sbaglierò mai. Perché ne sono certa che, quando mi chiederanno chi ho amato tanto, alla follia, io penserò a te, anche tra cent'anni, anche sotto la terra di 'sto mondo infame, io penserò a te quando mi chiederanno se ho amato tanto da diventare matta. Perché è vero. Non sono mai stata così felice come lo sono stata con te in pochi mesi, ed io ti ringrazio, ti ringrazierò a vita con tutto il mio cuore. Sono felice che tu mi abbia portata con te, anche se a volte sono stata ingestibile, ma conserverò questi posti nel cuore, credo per tutta la vita, ed Ischia non sarà mai bella quanto te, ma questi ricordi la renderanno unica e inestimabile.
Non so cosa saremo, non so cosa diventeremo e se saremo o diventeremo qualcosa, ma sono certa che non mi dimenticherò di amarti, neanche un secondo.
E mi sembra persino assurdo scrivere queste parole, perché, se tre anni fa mi avessero detto che mi sarei trovata a provare queste emozioni per davvero, con una persona che riusciva ad amarmi come meglio poteva, senza violenza e illusioni, io non ci avrei creduto.  
Se mi chiedessero qual è il mio sogno, non parlerei di Università, di lavoro, ma parlerei di questo, di te. Del Paradiso che sento con te. Della pace che provo nel vederti nel mio letto. Se mi chiedessero di un sogno, io risponderei che sei tu, non lo so esattamente, ma tu sei un sogno. E spero che, in qualche stranissimo e assurdo modo, diventi realtà

Sospirai non appena finii di leggere quella lettera scritta sul retro della fotografia.

Non alzai lo sguardo, osservai solo quelle parole, che non ricordavo manco quando avevo scritto e a quale scopo. Tutto, nei miei occhi, si sbiadì per via delle lacrime che, adesso, colavano senza fine, arrivando pure su alcune parole, che si sbiadirono di conseguenza.

Restai ferma, cristallizzata nell'attimo in cui il respiro si fece più pesante e un'altra lacrima mi colò sul labbro.

Quelle parole mi avevano riportato indietro, come non ero riuscita a fare in tutti quei cinque anni. Avevo sperato di vederlo varcare la porta di casa mia almeno duecentomila volte, ma era un desiderio troppo infantile e immaturo da parte mia. Ma lo desideravo così tanto... e, quando capii della gravità di quelle emozioni, di come mi istillassero ancora dei turbamenti, sensazioni strane dritte nel petto e per tutto il corpo, decisi di alzarmi. Barcollai.

«Alba...», sussurrò lui, provando fermarmi per le braccia, a farmi ragionare.

Ma, se io avessi ragionato, non sarei arrivata a nessuna conclusione, nemmeno una che mi salvasse da quella disgrazia di essermi innamorata. 

«Non... non toccarmi», farneticai col fiato corto, uscii in fretta dalla camera, lo sentii sbuffare. Scesi le scale di corsa, e, senza rispondere alla domanda di mia mamma, mi precipitai fuori al portone, scalza, attraversai il prato e mi infilai nei vigneti. 

Avevo raggiunto lo spiazzale, il nucleo del labirinto. Lì dove il Sole picchiava forte, dove il freddo arrivava come pugnalate, dove si poteva scegliere quale strada prendere, come se fosse l'epicentro di una stella. Ed io osservavo quei vicoletti che portavano ai giardini, ai vigneti, ai frutteti e altro, da sopra il muretto della fontana piena d'acqua, decorata con schizzi di pittura a formare fiori e qualche pesciolino viola e blu all'interno che scodinzolava veloce.

Piansi a lungo. Mi schiarii le idee.

Non era mia intenzione arrivare ad Ischia per ritornare nel passato, non volevo e non dovevo piangere per Riccardo. Ero fidanzata, mi ero fatta una vita, non potevo mandare tutto all'aria solo perché i miei sentimenti giocavano brutti scherzi. "Non sono più innamorata di lui, non sono più innamorata di lui...", mi ripetevo più volte, sottovoce, fino a tentare di convincermi. 

Mentre mi asciugavo le lacrime e il Sole cominciava a diventare una palla di luce fredda, guardando i pesciolini muovere le code e abboccare, sentii uno scricchiolio proveniente da lontano.

Mi passai il polsi sulle guance e mi sistemai i capelli dietro le orecchie. Tirai su col naso, poi la voce di Geppa rinvenì da lontano. «Eccoti qui», sospirò, «Ti ho cercata per dieci minuti...», mi venne vicino, «Proprio qua in mezzo dovevi nasconderti?»

Io sorrisi flebilmente. Geppa mi osservò cambiando l'espressione del viso, si concentrò sui miei occhi e sulle mie guance rosse. Mi fece cenno di farle spazio, così io mi feci più in là, si sistemò il vestito sulle ginocchia e si guardò attorno. 

Ridacchiò con voce bassa, non facendomi capire il motivo. «Tua nonna ci teneva molto a questo posto. Sono felice che lo abbiamo finito prima che se ne andasse...», mi confessò. Capì che non fossi in vena di chiacchierare o di parlare della nonna, che sarei scoppiata in un pianto isterico, quello che trattenevo da giorni ormai. Mi accarezzò la guancia con un dito, sorridendo piano, «Allora... cos'è che hai, fiorellino mio

Io scossi il capo, chiudendomi nelle spalle. «Pensieri.»

«Non mentirmi che ti conosco da molto tempo. Lo riconosco questo faccino triste», mormorò, mi guardò come se fossi una bambina ferita. Fissò, poi, il profilo della Villa, illuminato lievemente dal Sole, «Lo so cos'hai. Però vorrei che me lo dicesti tu.»

Abbassai lo sguardo. Una lacrima cadde sulla pelle della mia gamba. «Non è niente. Mi è passato.»

Ma Geppa era una donna perseverante, cocciuta. «C'entra, per caso, quel biondino con la faccia da schiaffi?», disse piano, come se temesse mi spaccassi in due da un momento all'altro. 

Io mi grattai il polso, mi mordicchiai il labbro. Mi passai una mano sulla bocca, deglutii e cercai le parole. Alzai il mento e la guardai, sapendo mi stesse fissando, ed il suo sguardo era proprio come lo immaginavo: mi diceva "non c'è bisogno che rispondi, che tanto lo so già che ho ragione". 

«È così evidente?»

«Se n'è andato qualche minuto dopo di te. Mi ha dato questo, mi ha detto di dartelo senza che lo leggessi...», mi allungò la mano, facendo spuntare un foglio giallino, lo prese sicuramente dalla mia scrivania. «Sapevo che sarebbe stato difficile per entrambi. So che è stato complicato per tutti e due durante questi cinque anni. Eravate, forse, troppo piccoli per un amore come quello che vi lega. E lo so che Riccardo ti ama, lo so che ti amava all'epoca e ti ama tuttora, lo so perché non l'ho mai visto stare così male per una ragazza, una che aveva visto per soli tre mesi. E so che ti ama ancora perché quando ha scoperto, anzi, capito che saresti venuta qui, ad Ischia, lui si è ammutolito come un pesce. È entrato in uno stato di blackout», ridacchiò, pronunciando quell'anglicismo con una cadenza napoletana biascicata. «C'è rimasto solo un anno qui, dopo che avete smesso di sentirvi. Poi ci ha messo poco a decidere di voler cambiare aria. Usava una scusa dietro l'altra... parole come: indipendenza, futuro, instabilità economica... roba che manco sapevo che significasse», mi fece ridere, lei rise assieme a me, «Ma io sapevo, lo sapevamo tutti. Lo avevamo capito. Quando stava qua, evitava di stare in casa, se ne stava sempre qua e in giardino. Non sia mai gli chiedessi di prendere qualcosa da dentro casa... si ammalava. Pure l'aria che respirava gli ricordava te. Perciò, anche per lui era diventata ingestibile. È partito col primo traghetto, sapevo stesse architettando qualcosa, mi aveva accennato mezza cosa, ma senza mai dirmi tutto... sai com'è fatto», sospirò. Mi chiesi se realmente sapessi com'era fatto, com'era ancora fatto. «Quest'anno è il suo ultimo anno all'Accademia. Chissà dove lo metteranno dopo, già so che lo vedrò poco. Ma forse gli farà bene. Magari vedrà quel mondo che si costringeva a nun veré» — «[...] non vedere.» Sospirò nostalgica. «Eppure lo sapeva anche lui che se ti avesse vista oggi, qualcosa sarebbe cambiato», mi rigirai il foglietto tra le dita. «Tua nonna, quando le capitava di star tutto il giorno in camera ed io le facevo compagnia stirando col sottofondo della D'Urso, mi parlava solo di te e di Riccardo. "Ah, spero che quei due si ritrovino...", diceva, fissava il vuoto, sai? E io le dicevo: "Ma chi?", pensavo si riferisse al programma, e lei rideva, come se fossi io la scema. "Eh, Riccardo e Alba", rispondeva sorridendo. Ci vedeva lungo, quella mia cara amica, e sapeva molte cose su molte persone. Soprattutto su quelle che amava. Mi parlava di quanto sarebbe stata contenta di vedervi di nuovo insieme, come quell'estate, mi diceva che avrebbe fatto di tutto per riaverti con lei, qui, a casa sua. Negli ultimi tempi si metteva a osservare tutti gli album di famiglia. In quelle foto c'era chiunque. Tuo nonno, il caro vecchio Gioele e la loro storia d'amore. Poi un altro album di fotografie in cui c'erano solo foto di Elia ed Isabella, ogni tanto la sentivo ridere nel guardare qualche foto. Mi fece vedere la foto del loro matrimonio, qui a Ischia, con te che ti arrampicavi come una scimmietta a soli due anni sulle spalle di tuo padre, e tua madre, raggiante, che rideva irradiando ogni cosa. Mi fece vedere un'altra foto, una più precedente. È una foto bellissima, forse la più bella dell'album, per me. Raffigurava tua madre e tuo padre, lei era incinta di te, era qualche mese prima del parto, la pancia era bella evidente. Entrambi seduti sul divano, entrambi sorridenti, entrambi giovani e innamorati. E tua nonna non smetteva di accarezzare gli angoli della foto come per paura sbiadisse tutto. E mi confessò: "Spero che anche la mia piccola Alba sia così felice. Se solo io potessi respirare un po' di più li farei incontrare anche adesso"», lei si asciugò una lacrima, sospirando, «Tua nonna Silvia era una donna fantastica perché pensava prima alla sua famiglia e poi a se stessa. Le dava valore. E, come una brava nonna, voleva che la sua nipotina trovasse ciò che merita: amore. Quell'amore che lei non le avrebbe più potuto dare. E ha ragione. Anche io la vedo così. Se un giorno io dovessi andarmene, vorrei che Riccardo riempisse la mia mancanza con una persona che riesca a colmarla, anche più di me. Ed io ti confesso che sarei più tranquilla se sapessi che al suo fianco ci fossi tu. Un pensiero egoista, ma a volte fa bene», finì, lasciando che il silenzio invadesse nuovamente i miei pensieri, il vento freddo a ghiacciarmi le guance. 

Pensai. Pensai fino a farmi girare la testa, un vortice di parole nella mente, nelle orecchie. Scoppiai, arrivata a un certo punto, non ce la feci più e sputai tutto fuori, con una rabbia repressa enorme.

«Sai cos'è, Geppa?», mormorai, quasi arrabbiata, «È che io in questi cinque anni ho provato a costruirmi una strada lontana da lui. Lontana dai ricordi che ho di lui... e, adesso, mi ritrovo qui», sussurrai, guardando il cielo, infinito, «Qui. Proprio qui. Dove tutto è iniziato. Ed io pensavo di farcela, almeno per un attimo ci ho creduto... ma poi ho capito che non potevo mai farcela. Mai. E questa cosa mi fa infuriare, perché sono stata cinque anni a trattenere l'impulso di venire qui, di prendermi quello che volevo, una vita con lui, e poi mando tutto all'aria in sole poche ore», risi sarcasticamente, «Io non lo so. Io più ci penso più mi faccio male, ci sono tante cose... troppe. Io non sono più quella ragazzina che ha conosciuto lui. Tra una settimana discuto la tesi, devo prendere cattedra da qualche parte, ho un appartamento, una relazione di un anno con un altro ragazzo... e qui che ho?», chiesi, guardandola.

Lei strinse le labbra. «Magari hai qualcosa che lì non hai trovato ancora.»

«Se pure fosse, ne vale la pena?», inclinai il mento, sospirando. «Se io lasciassi tutto per lui, poi ne varrebbe la pena?»

«Non per forza devi lasciare tutto... forse non c'è n'è neanche il bisogno», mi prese la mano, poggiando il palmo sul mio dorso, «Tu pensi di provare ancora qualcosa per lui?»

Io la guardai con un sarcasmo triste. «Non ho manco mai smesso, Geppa. Ho solo cercato di reprimere, spingere dentro, zittire. Ma io non ho mai smesso di provare qualcosa per lui, è ovvio.»

«Dovreste solo parlare.»

Lo disse con così tanta semplicità da farmi ridere. «Parlare?», alzai le sopracciglia, «Non riesco a guardarlo negli occhi per più di due secondi. Ho paura persino di stargli a un centimetro...»

«Pensi che lui non abbia gli stessi problemi?»

Io sorrisi, guardai verso la Villa. «Parlare con lui è complicato. Lo è sempre stato. Finiva sempre male, finiva sempre che ci urlassimo addosso», ricordai. 

«Tu provaci. Non demordere», mi strinse più forte la mano. «Anche lui è cambiato, stellina, magari ti sbalordisci nel vedere quanto adesso sia più un uomo che un ragazzo.»

«Ho paura», avevo ammesso a malincuore. «Ho paura di tutto quando c'entra Riccardo», sussurrai.

Lei mi diede un bacio sulla tempia. «Sono sicura che le cose si possano sistemare. Non è una situazione ingestibile», si alzò. «Ora meglio che vada. Hanno parlato molto lui e tuo padre, mi chiedo di cosa abbiano mai discusso...», ridacchiò, facendomi un occhiolino.

Io scossi il capo. La guardai camminare piano verso la Villa, tra l'erba alta, le piante curate e gli alberi cupi. 

Sospirai.

Ragionai.

I miei piedi scricchiolarono sulla ghiaia, quando poi mi resi conto di star stringendo ancora il bigliettino tra le dita.

Nel momento in cui lo scartai, il cuore mi si accese in una morsa di battiti irregolari: "Domattina presto dovrò partire per Caserta. Ma prima vorrei parlare con te, non posso andarmene lontano da te, di nuovo, senza aver chiarito almeno un po' le cose. Se sei propensa, sai dove trovarmi, non ti obbligo a perdonarmi o a parlarmi, lo capirò, ma vorrei che mi ascoltassi."

Riccardo sarebbe partito l'indomani. Quanto tempo avevo per ragionarci su? Quanto tempo avevo per schiarirmi le idee prima di andare da lui? Poco. La risposta sarebbe sempre stata quella, con lui il tempo era sempre poco.

Mi sarei fatta bastare l'ora di pranzo e il primo pomeriggio. Difatti, lo passai in completo silenzio, tra pensieri e ragionamenti. E più vedevo le prime ore passare, più mi tremava il respiro. 

Papà mi aveva avvisata che avremo prolungato il nostro soggiorno ad Ischia.

Mi disse che desiderava festeggiare il Natale lì. Non potevo non accontentarlo. E poi anch'io avevo bisogno di tempo per riprendermi, per riappropriarmi del mio equilibrio. Spostai tutti gli impegni, persino la tesi.

Successivamente, avevo passato il tempo a schiarirmi le idee tra musica e quel maledetto cellulare tra le mani, che finiva sempre da una sola parte: il profilo di Riccardo.

Era strano come tentassi di racimolare notizie su di lui e sul suo conto dalle foto degli ultimi anni. Scorrendo più giù, passandoci le ore, mi ritrovai tra le foto di quando era ragazzo, di quando io e lui ci frequentavamo.

Quell'estate. Quella dannata estate.

C'erano tante foto. Non esplicitamente mie, ma che ricordavano le giornate passate insieme.

C'erano spiagge, tramonti, albe, paesaggi marini, la Libera, Geppa e Tonio in una sera d'estate a sorseggiare del limoncello, c'era Greta, i suoi ricciolini biondi e il suo sorrisino sdentato. Poi c'era quel muro, quella parete. C'erano quelle frasi. Chiaro di Luna e quel "ti amo" detto male. Non sono bravo con le parole ma so dirti che ti amo. E nella didascalia c'era: "La prima dell'alfabeto". La lettera A. 

Poi c'erano altre foto. Foto mie. Foto di me accanto a lui, foto dei miei libri, della mia scrittura, dei miei capelli tra le lenzuola, delle mie lentiggini, una foto mossa di quando ridevo. A nessuna di questa foto vi era una descrizione, nulla che spiegasse qualcosa, solo l'immenso silenzio di ciò che eravamo. Una cosa nostra. C'era anche un video di me che danzavo buffamente in spiaggia, all'ombra di un tramonto porpora e il mare a scrosciare sulla mia risata, mischiata alla sua. E niente altro. Solo questo. Io e lui. Tutte quelle foto, erano foto dei miei dettagli, dei suoi ricordi. Stampati su quel social eternamente, la prova che io e lui c'eravamo amati.

Mi ero ritrovata a sorridere e piangere. Era così che mi faceva sentire. Emozioni contrastanti. Ciel sereno e mare in burrasca.

Mi alzai.

Infilai delle ciabatte, presi dei vestiti, i primi che avevo messo in valigia. Mi ero infilata in doccia e mi ero tolta di dosso quella sensazione di tensione che mi spingeva quasi sul pavimento. 

Mi asciugai i capelli, feci la mia piega preferita. Indossai dei jeans larghi, un maglietta in lana leggera bianca. Misi delle converse e un blazer rosato. Mi ero truccata per coprire le occhiaie degli ultimi giorni, il mascara mi faceva sembrare gli occhi solo più affilati e più verdi. 

Presi le chiavi della macchina. Il Sole era ormai tramontato, il vento soffiava pesante sulle foglie, incombendo col suo fischiare permanente. Mi guardai per l'ennesima volta allo specchio. Scesi le scale. 

«Vado a farmi un giro», dissi monocorde, dando una carezza a Gioele.

Mamma e papà mi guardarono e annuirono. «Non farci preoccupare», disse semplicemente mio padre. 

Annuii.

Salii in auto, accesi la radio per mettere una voce nella testa che non fosse la mia. Per la prima volta non m'importò di cosa risuonasse, di che musica fosse. Guidai lentamente tra le strade mezze spaesate di Ischia, gelide e invernali.

Arrivata a destinazione, mi parcheggiai lontano da tutto. Da tutto quello che mi ricordava di lui. Avevo guardato tutto. Osservai tutto. L'insegna neon, la luce fioca e accogliente, la clientela vivace a cuore leggero e imbacuccata in cappotti caldi che sorseggiavano qualcosa per riscaldarsi da quel freddo.

Mi decisi a scendere dalla macchina solo quando una canzone finì. Spensi la radio, il silenzio portuale, fatto di mare e gabbiani inferociti, mi invase i pensieri.

Mi strinsi nelle spalle, infreddolita dall'umidità. L'odore di salsedine mischiata al vento aveva un qualcosa di pacificamente bello. Lessi l'orario sul cellulare, segnava le sei meno un quarto, il cielo cominciava a riempirsi di stelle. 

Portai lo sguardo sul molo. Si ergeva sulla sommità di esso un'alta figura. Il mare scuro, blu cobalto e un po' grigio, si mischiava al cielo. Guardando meglio, mi resi conto fosse Riccardo. 

Aveva le mani nelle tasche e il viso lievemente alzato verso l'alto, come a contemplare un qualcosa d'infinito. Col cuore che andava a mille, mi incamminai verso di lui. 

Il vento salmastro mi colpì in pieno viso, «Ciao», sussurrai flebilmente, senza guardarlo. 

Riccardo voltò il mento, di scatto, come se non se lo aspettasse, «Ehi», bofonchiò, fissandomi dall'alto.

Il suo petto aveva spirato. L'avevo guardato brevemente, senza riuscir a mantenere un contatto visivo con lui.

Incrociai le braccia al petto, volsi lo sguardo lontano, oltre ciò che potevo vedere.

L'orizzonte era di una sfumatura tenebrosa, il mare si increspava malamente e i suoi fondali erano blu scuro, la scogliera pareva una mostruosa creatura serpeggiante ai lati del porto.

Lui dondolò impacciato sui suoi talloni, percepii il suo sguardo addosso, forse per controllare se fosse il caso di iniziare quella lunga discussione. 

«Quindi domani vai via», dissi, passarono minuti prima che io parlassi. 

Riccardo annuì, ma capì che un cenno non fosse abbastanza. Proseguì: «Dovrei. Non posso restare qui a lungo. Almeno a Caserta ho un alloggio», disse, con ironia amara, «Tuo padre mi ha detto che resterete ad Ischia anche per Natale.»

«Il tempo di rammendare la Villa», parlai con freddezza, «Ho dovuto spostare la discussione della tesi a dopo le vacanze.»

«Quindi stai per diventare un'effettiva professoressa?», chiese, senza riuscir a nascondere un sorriso. 

Trattenni una risata, «Non del tutto», feci spallucce, «Dovrò prima fare dei corsi. Poi prenderò cattedra, ancora non so dove.»

«Professoressa di... italiano?»

«Letteratura italiana, sì.»

Lui annuì, abbassando lentamente il viso. «Altri progetti?»

«Mh?», mi accigliai. 

Lui fece spallucce, stringendosi nella sua giacca di pelle, «Hai altri progetti?»

«Nulla di definitivo», borbottai, «Fabio è troppo impegnato in tribunale col padre.»

Riccardo si torturò il labbro con i denti, parve pensare a qualcosa molto intensamente, «Da quant'è che state assieme?»

«Un anno» e, quando lui si voltò a guardarmi, io abbassai lo sguardo. 

«Mh», mormorò, sospirò, «Vivete insieme?»

«Cosa? No, assolutamente no», negai, «Non mi sento pronta a quello con lui. Vivo da sola, con Luce.»

«Luce?», chiese, confuso. 

Io ridacchiai, «Il mio gattino.»

Lui schiuse la bocca, formando una "O" divertita, con le sopracciglia poco più che sollevate, «Avrei potuto immaginarlo.»

Strinsi le labbra, mi portai una ciocca dietro l'orecchio, «Fabio è un bravo ragazzo», mormorai, non so per quale motivo glielo dissi.

«Non ho mai pensato che non lo fosse», disse, sulla difensiva. 

Io lo guardai, alzando l'angolo delle labbra, «Credo di conoscerti ancora un minimo», chiosai, «Le riconosco le tue espressioni in base a ciò che pensi. E, quando sei particolarmente assorto in qualcosa, ti si arriccia qui», indicai lo spazio centrale della fronte, quasi tra le sopracciglia. 

Riccardo scosse il capo. Aprì le labbra come a voler dire qualcosa, poi fece spallucce. «È che...», sospirò debolmente, incatenò gli occhi ai miei, inchiodandomi al cemento sotto di noi, «Non mi fido.»

«Quand'è che ti sei fidato seriamente di qualcuno?», chiesi, ridente. 

«Cinque anni fa mi sono fidato», alzò le sopracciglia. 

Io trattenni il respiro, «Io non sono compresa», alzai lo sguardo al cielo. 

«Allora, no. Non mi sono mai fidato al cento per cento di una persona. Però, Alba, riguarda te», disse, «Voglio essere sicuro.»

«Non c'è n'é bisogno.»

«Invece sì.»

«Perché?», mi accigliai, nervosa, «Non ci sei più nella mia vita, Riccardo, cosa potresti mai fare?» 

«Di tutto», rispose velocemente. «Potrei fare di tutto, se tu me lo permettessi.»

«Ma di cosa parli?», sussurrai. 

«Lo ami?», domandò, d'un tratto. 

«Che?», boccheggiai, scuotendo il capo per capire meglio.

«Lui. Alba, a lui lo ami?», domandò ancora. 

«Non voglio risponderti», indietreggiai, quasi come se mi stesse per colpire con una spada. Negai col capo, «Non puoi chiedermi una cosa del genere, non adesso

«Perché?», allargò le braccia, avvicinandosi pericolosamente, «Perché sai che non lo ami? Perché sai che ho ragione io?»

«Ragione tu?», ripetetti, quasi urlando, «Non mi conosci più, smettila. Sono passati cinque anni, non puoi credere di conoscermi bene.»

«Ma conosco ancora il tuo cuore, Alba», rispose, guardandomi dritto negli occhi. «Per il resto posso imparare di nuovo.»

«Per te è tutto un gioco, vero?», mi sentii il cuore in gola, s'incastrò tra le corde vocali. «Non te ne frega niente di me, della mia vita, dei miei traguardi...», elencai. 

«Ovvio che me ne frega, Alba! Che cazzate sono?», rispose accigliandosi. «Ero il primo a crederci in questo, in te, nella tua carriera. E lo sai alla perfezione», mormorò. Poi mi guardò, ferma stante col fiato corto e le mani chiuse sul petto, «Ne ho fatti tanti di sbagli, Alba. Ma non mi sono pentito di averti dato spazio, non mi sono pentito di averti allontanata. Io sapevo che ti saresti distratta, che io non andavo bene per te in quel momento. Ho pensato a te, Alba, mi sono messo da parte. E ho fatto bene. Ma non farmene una colpa per non essere stato egoista.»

«Non sei stato egoista?», chiesi. La rabbia repressa cominciava a smuoversi nello stomaco, questa volta con più irruenza. «Sai quanto ho sofferto? Mi ci sono voluti mesi, mesi, per superare uno stupidissimo esame di sole cinquanta pagine. Ti rendi conto? Credi mi abbia fatto bene? Tutto ciò che volevo era restare nel letto a marcire, ad aspettare che in qualche modo tu ritornassi, ci ripensassi. Ma non è avvenuto. Quante volte... quante volte ho pensato di prendere il primo aereo e volare a Napoli, e da Napoli raggiungere Ischia... quante volte, Riccardo...», mi tremò la voce, «Ma meno male che non l'ho fatto. Non avrei saputo gestire la situazione, mi sarei comportata come una ragazzina», risi sarcastica. «Tutti credono che a diciott'anni non si sa niente, sull'amore, sulla vita, sul futuro, ma io sapevo tutto. E la prima cosa che sapevo, di cui ero certa, era che io volevo passare la vita con te, Riccardo. Ma non eravamo pronti, non eravamo fatti per restare. Probabilmente siamo fatti per scontrarci e basta, nulla di producente per entrambi. Forse questa cosa... questa cosa che avevamo... non doveva manco crearsi. Ti ho permesso di entrare in ogni angolo della mia vita perché ero una ragazzina, ammaliata da quello che mi davi, tutto... tutto quell'amore che non avevo mai ricevuto da nessun altro tranne che da te, a me saresti bastato per sempre, così com'eri. Coi tuoi pregi e difetti. Ti avrei amato fino alla fine. E ti ringrazio, veramente, mi hai salvata, Riccardo, mi hai dato vita, anche se dopo me l'hai strappata in un attimo. Ma mi hai restituito quel dolore in amore, e io non potrò mai dimenticare il modo in cui mi sentivo leggera con te...», sospirai, non aveva smesso di guardarmi, i suoi occhi fissi nei miei come un chiodo fisso, dolente. «Ma se tutto questo adesso tornasse, di me cosa ne sarà?», alzai le spalle, «Io so che, se potessi, io verrei con te ovunque. Ti seguirei anche in capo al mondo. Ma ho paura che questo amore, questa cosa che ci lega, mi schiacci, mi devasti talmente tanto da perdere l'equilibrio di cui ho bisogno. Io ho bisogno di stabilità, di certezze. Ho paura di te, Riccardo, di quello che ancora mi provochi dopo aver provato a cancellarti da tutte le parti. Io ho paura di ogni cosa, adesso. Ho paura di amarti troppo e di non riuscir a smettere di nuovo, a nasconderti sotto pelle», mi asciugai velocemente una lacrima. 

Riccardo aveva boccheggiato. Aveva ripercorso tutto il mio discorso daccapo in pochissimi secondi prima di rispondere. «Perché non provarci? Perché non rischiare?», chiese, si avvicinò di un passo. «E se non andasse come credi? Se magari questa fosse la nostra occasione?» 

«E se non lo fosse, invece?»

«Io il rischio lo correrei, Alba», ammise, «Io non posso amare più nessun'altra.»

«Ma ho una vita, una che sta per iniziare.»

«Lo so», sospirò, «Ti sembrerò ancora più egoista, ma io in questa tua nuova vita ci voglio essere. Io ti voglio nella mia. Non voglio più stare lontano da te. Se mi chiedessi di restare, adesso, su due piedi, io non ci penso più di una volta. Rimarrei ovunque, anche su una panchina. Se questo vuol dire viverti, io rimango. Rimango eccome. Io non scappo più, non riesco a immaginarmi senza di te», mormorò, «Se io ti ho salvata, allora tu cos'hai fatto?», ridacchiò, «Tu mi hai dato libertà, una libertà che non credevo si potesse respirare da una persona. Mi hai dato quella concezione di amore che vedevo ovunque, ho imparato ad amare con te, Alba, e non sono abituato a farlo con altre persone», fece spallucce. Si fermò a osservarmi, poi le sue labbra si curvarono piano, «Non ho mai smesso di amarti. Nonostante tutte le donne che ho avuto attorno, io non ho mai smesso di vederti negli angoli delle stanze, non ho mai smesso di immaginare la tua risata e i tuoi capelli nelle coperte. Sapevo, però, che per poter darti qualcosa di concreto, dovevo pur diventare qualcuno. E ho deciso di arruolarmi, per dimostrarmi che posso diventare chiunque, e tu mi hai dato forza. Ciò che sono adesso, che sarò tra pochi mesi, lo devo a te. Ed io sarei pronto a tutto. Accetterei qualsiasi cosa, anche a costo di vederti felice con un altro, ma tu devi dirmelo, perché è quello di cui ho bisogno. La tua felicità, Alba, prima di ogni cosa», aveva il respiro più veloce, poi sorrise. «Tanto ti amerò lo stesso.»

Io scossi il capo.

Mi asciugai una lacrima, che non sapevo se fosse di gioia o di tristezza.

Ma di una cosa ero certa: io lo volevo. In tutti i modi in cui una persona può volere un'altra. Lo volevo vicino a me, in tutti i posti del mondo. Volevo riamarlo, volevo essere sommersa da quella leggerezza che il suo amore mi dava. Volevo vivere di serenità e giornate passate sotto le coperte a ridere. Volevo quella vita che avevo sognato di vivere. Solo con lui.

E, per un attimo, tutti i problemi si affievolirono in una linea sottilissima. Per un attimo niente esisteva più, solo io e lui. Il resto non importava. E tutte quelle paure scomparvero, si fossilizzarono, si congelarono nell'attimo in cui risi. 

Risi, abbassando il viso. Incredula. Incredula di essere di nuovo lì, punto e a capo. Nel luogo in cui tutto era iniziato. 

Poi incrociai i suoi occhi. «Però mi ci porti a Sydney?»

Lui si morse il labbro, annuì ridacchiando. «Ti porto dove vuoi.»

Un secondo dopo, Riccardo allungò il braccio, mi sfiorò la spalla con la mano e la poggiò sulla mia guancia. Alternai gli occhi nei suoi, poi guardai le sue labbra, e giurai di aver sentito il mio cuore esplodere violentemente, un terremoto, tempesta, cataclismi si avventarono nel mio petto. Il suo pollice a premersi sull'angolo della mia bocca, ed il suo respiro a sfiorarmi il mento.

Nei suoi occhi la scintilla che cercavo sulla parete di camera mia, tra la notte e le sue stelle. Un sorriso sottile a formarsi sulle sue labbra prima di chiuderlo sulla mia bocca. 

Respirai il suo profumo, mi invase qualsiasi emozione che potessi provare in quel momento.

Le sue labbra a ripercuotermi, a svegliarmi. Un'onda moribonda a schizzarci delle goccioline addosso, il vento freddo a farmi svolazzare i capelli qua e là. Si premette contro di me, le sue gambe a intersecarsi nelle mie, entrambe le sue braccia che si appendevano al mio viso, mi bramava, mi cercava tra quella burrasca. Ed io che ricambiai, dopo essermi goduta quel suo calore, dopo essermi resa conto di essere viva, arrampicai le dita delle mani sulle sue spalle, sul suo collo, sulla sua nuca e i suoi ricci sottili e soffici a infilarsi tra le mie nocche. 

Mi baciò così forte da farmi male.

Ci baciammo piano, lentamente, con la consapevolezza che quello non sarebbe stato l'ultimo bacio, ma il primo di un'infinita serie.

Sfiorò il mio respiro con le sue labbra, mi baciò con una dolcezza che sapeva di impetuosità. Poi la sua lingua incontrò la mia, ci fondemmo in un unico respiro. In quel momento mi resi conto di quanto tutto quello mi fosse mancato: le sue labbra, la sua saliva con la mia, i respiri mischiati. Sorrisi nel sentire di nuovo il suo sapore, scoprendo non fosse cambiato.

Eravamo una sola persona.

Nessuno era lui, e lui non sarebbe mai stato nessuno. 

E mentre i nostri baci diventavano una sequenza infinita di carezze, sussurrai: «Resta.» Scoccai un bacio desideroso, che sapeva di speranza.

«Resto?»

«Resta, sì», annuii, stringendolo, abbracciandogli il collo, avvicinandolo sempre di più. «Resta fin quando non lo dico io», sussurrai, il suo naso a strofinarsi sul mio collo, le sue mani a stringermi i capelli morbidi e lunghi, mi abbracciò morbosamente, come solo quella volta sul quel traghetto della partenza da Ischia aveva fatto. 

Un abbraccio che sarebbe durato per sempre sulla nostra pelle.

Mi sentii tremendamente bene, pericolosamente a casa. Eternamente sua.

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