Domani sarò alba

By CuoreAdElica

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𝗖𝗼𝗺𝗽𝗹𝗲𝘁𝗮 ✔️ 𝙽𝚎𝚠 𝙰𝚍𝚞𝚕𝚝 💋 1/2 Alba ha il tramonto stampato in faccia. Capelli rossi, occhi ver... More

Cast
Albero genealogico
Chi sono Elia e Isabella?
MP3 di Alba
Prologo
Alba odia i capelloni - Parte Uno
1. L'isola dell'Amore
2. Uno sconosciuto nella Villa
3. Favori e debiti
4. Ottimo ascoltatore, pessimo argomentatore
5. La briscola è uno strumento di difesa
6. Ad ogni uomo il vestito che si merita
7. La Libera
8. Il pescatore e la monaca - Pt. 1
9. Il pescatore e la monaca - Pt. 2
10. A caccia di fiori e pranzi stravaganti
11. Il monolocale
12. Sole, spiaggia, sesso
13. Di mare e di stelle - Pt. 1
14. Di mare e di stelle - Pt. 2
15. Ne vale la pena?
16. Una canzone tua, nostra
17. Essere visti per chi siamo davvero
18. Sei dove non sono io
20. Ci viviamo
21. Sii prudente con questo tuo cuore
22. Musica jazz, sigarette e amici di famiglia
23. Notti d'agosto al sapore di mare
24. Ciao amore, ciao
Non è mai abbastanza - Parte due
25. Il tempo passa
26. Bisnonna Silvia, sei eterna
27. Resta
28. E basta
29. All'ombra di un tramonto
30. Luce dei miei occhi
31. Ne è valsa la pena
32. Nuovo inizio
33. Roma, Amor
Epilogo
Ringraziamenti
Sogno - EXTRA
Scappare - EXTRA

19. Le scritte sui muri rimangono in eterno

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By CuoreAdElica










ALBA
Ischia, estate.







I wanna spend the rest
of my sunrises
and my sunsets
with You
/
Voglio passare il resto
delle mie albe
e dei miei tramonti
con Te





















Il cielo era splendido, lucente come non lo era mai stato. Pranzammo tutti quanti assieme, venne anche mia nonna Simona con zia Ilaria e zio Flavio.

Finimmo di pranzare che erano le quattro del pomeriggio. Il caldo ci opprimeva esageratamente, ma non ci smuovemmo dal tavolo. Osservai Riccardo chiacchierare con zio Daniel, e quasi mi sorpresi nel vederlo così presente nella mia famiglia.

Lo vidi alzarsi senza dare troppo nell'occhio, mi cercò con lo sguardo. Io mi accigliai come per chiedergli dove volesse andare, lui mi venne vicino, facendo il giro del tavolo. Alzai il mento e gli sorrisi. «Dove vai?»

«Voglio andare da Keesi e Marvena. Preferisco andare di persona, tu tieniti pronta per stasera che ti vengo a prendere.»

Annuii, «Va bene.»

Quindi Riccardo mi baciò e mi salutò con una carezza sulla guancia. Lo guardai andar via mentre sfilava una sigaretta dal pacchetto con le labbra, pensai che fosse bello da far male. Pensai che forse me lo meritavo un amore così, fatto di casini e prepotenza. Un amore rovente e reale, che tanto io ero una di quelle a cui nulla faceva paura, se non la morte. Riccardo era lontanamente vicino alla morte, anzi, era più vita che mai.

Lo aspettai tutto il pomeriggio, con le cuffiette infilate nelle orecchie, le canzoni a parlare di noi e l'intimo rosso a chiamarmi dal mio letto, pronto ad essere infilato. Ballai davanti allo specchio e cantai a squarciagola saltellando per tutta la mia camera, dal bagno fino al terrazzino. Ero certa stessi facendo casino, ma non mi fermai. Era l'unico modo per tenere a bada il mio cuore e a non stressarmi nell'aspettare che Riccardo si rifacesse vivo.

Arrivò la sera, che manco me ne accorsi. Cenai con l'ansia a salire nel petto poiché Riccardo non s'era fatto più sentire. Chiesi a Geppa se le avesse scritto, o se avesse sue notizie, ma lei negò dicendo che fosse normale, era da lui, aveva bisogno di starsene per i fatti propri, forse, e meditare su quanto accaduto.

Ma, improvvisamente, un suo messaggio mi fece risplendere di gioia. Alle dieci di sera, dopo cena, stavo salendo le scale per andare in camera quando Riccardo mi scrisse.

"Sto per strada. Non farmi aspettare"

Corsi in camera. Indossai tutto quello che avevo programmato, i capelli sciolti e un paio di infradito bianche. Il cellulare stretto tra le dita e l'attesa a massacrarmi.

Non appena sentii il rombo flagrante della sua moto, scesi nuovamente giù dalle scale. Mamma e papà mi fissarono senza capire, io li informai: «Esco con Riccardo.»

Papà annuì. «Mi raccomando. Divertitevi.»

Mi avvicinai a loro di corsa, li abbracciai, mamma rise, con un sorriso enorme uscii dal portone. Riccardo era fuori al cancello, seduto sulla sella, alzò il mio casco e io corsi tra l'erba per raggiungerlo in fretta.

Aprii il cancello automatico e, nemmeno aperto del tutto, mi ci infilai, gli arrivai vicino. «Ciao», chiusi il respiro sulle sue labbra, lo baciai come se mi stessi riappropriando dell'ossigeno.

Lui spinse la mano sulla mia guancia e mi trascinò tra le sue gambe, «Sarà una lunga notte, perciò spero tu sia pronta», mi mise il casco, allacciandomelo e senza risparmiarmi un ennesimo bacio.

«Cos'hai fatto per tutto 'sto tempo?», ridacchiai, osservandolo.

«Ho fatto l'impossibile», mi sorrise, «Tu prova ad immaginare.»

«Cosa avresti mai potuto fare di così strabiliante?»

«Non è poi così strabiliante, ma ci ho messo molto, e ci ho messo anche tanto impegno.»

Mi fece cenno di salire.

«Allora stupiscimi, Romeo», mormorai, sfiorandogli le labbra e tirandomi sulla sella con l'aiuto delle sue spalle.

Riccardo rise, girò la chiave nel quadretto e partì per le strade di Ischia. Poggiai il mento sulla sua spalla, la vitalità ischitana a scorrermi davanti agli occhi mentre il cielo si ricopriva di stelle. Il Castello Aragonese vigeva sul mare come un mostro marino, pieno di storia e mistero.

Riccardo poggiò la mano sulla pelle del mio ginocchio, io gliela presi, accarezzandogli il dorso. Le nostre dita iniziarono un gioco contro la corsa del vento, ci sfiorammo i polpastrelli come se stessimo inseguendo qualcosa, fino a che la sua mano si sfregò contro la mia, il mio palmo schiacciato dal suo e ce le stringemmo a vicenda.

Si portò la mia mano sul petto, per poi baciarne le dita. Spirai, il profumo dei suoi capelli a riempirmi le narici, il suo profilo concentrato sulla strada e il mio sorriso sulle labbra. Gli cinsi il petto con l'altro braccio, fino a premermi forte contro la sua schiena grande.

Intraprese una via stretta, dopo aver fatto un lungo viaggio; l'unica cosa a separarci dal mare era l'asfalto, l'unica cosa a separarci dal cielo era la voglia di noi che ci teneva accorati alla terra. Il caldo e il vento freddo a ghiacciarmi le dita dei piedi e delle mani. Riccardo parcheggiò il motorino, eravamo su una montagna, mi disse fossimo a Serrara Fontana, un comune alto di Ischia, tipicamente freddo.

Mi prese per mano, era gelido il suo palmo, e mi trascinò con sé. Nel silenzio della notte mi strinsi al suo braccio, leggermente infreddolita. Valicammo un tunnel di pietra e lui mi trascinò per i fianchi, incollandomi ai suoi pettorali.

«Devi chiudere gli occhi», sussurrò, curvato sul mio orecchio, con la guancia sulla mia tempia.

La sua voce fu l'unica cosa che sentii davvero.

«Addirittura?», sorrisi, poggiando la nuca al suo petto. Mi sentivo al sicuro.

«Forza», mi diede un bacio sul collo.

Sospirai, titubante, e chiusi gli occhi. Sentii i battiti del suo cuore tradotti in sussulti sulla vena del suo collo. Mi guidò lui con le braccia attorno alla mia vita.

Camminammo per qualche metro, finché non mi fermò e mi fece girare verso la mia sinistra. «Mi spaventi, lo sai?», mormorai, spezzando il silenzio cupo.

«Non è niente di che.» Rise.

«Allora, posso aprirli gli occhi?» Chiesi impaziente.

«Conta cinque secondi, e poi li apri», mi cinse più forte, come se stessimo per frantumarci in mille cocci.

Mi schiarii la voce, cominciai: «1... 2... 3... 4... e 5», sussurrai, ridacchiai quando lui sbuffò per quanto contassi piano, ad ogni numero l'ansia saliva, come se stessi per fiondarmi in un mare oscuro senza fondale.

Sollevai le palpebre, molto lentamente. Davanti a me si eresse un'alta muraglia, contro luce, alle nostre spalle sentii il mare infrangersi mostruosamente.

C'era una scritta grande — più grande di quanto pensassi, la più grande scritta che avessi mai visto su una parete —, nera e dritta, precisa. Occupava metà parete. Schiusi le labbra quando capii cosa ci fosse scritto: "Non sono bravo con le parole, ma so dirti che ti amo"

Trattenni il respiro.

Riccardo, dietro di me, respirava a stento, «Ti amo, Alba», sussurrò, poggiando il mento sulla mia spalla, mi ciondolò in una dolce nenia, «Non l'ho mai detto a nessuno, ma a te lo direi fino a diventare noioso.» Ammise.

«Riccardo...», sussurrai, cacciai fuori il respiro che avevo trattenuto con un sorriso sulle labbra. Voltai il mento a guardarlo, «Sei matto... completamente matto.»

«Ho dovuto cambiare otto bombolette per far sì che si leggesse di notte», ridacchiò. «Adesso pure chi è in aereo o chi è su un traghetto può leggere quanto ti amo. Tutti lo potranno sapere.»

Mi girai e gli circondai velocemente le braccia dietro il collo, lo abbracciai in maniera viscerale, come se gli volessi entrare nel petto e stringerlo per il cuore, fino farlo diventare mio.

Gli presi le guance tra le mani, lui mi abbracciò la schiena. «Dimmelo ancora.»

Riccardo mi baciò, mi schiuse le labbra con le sue, assaporò le mie labbra, la sua lingua a spingersi nella mia bocca per ricercare il mio sapore, per riconoscerlo; arricciò le dita nei miei capelli. Mi rubò il respiro e qualcos'altro che pendeva dal mio cuore. «Ti amo», sussurrò, dentro i baci.

«Lo dici sul serio

«Ovvio che lo dico sul serio, Alba», mi prese la mano e la portò sul suo petto, all'altezza del cuore, «Mai stato così serio in tutta la mia vita.»

Mi morsi il labbro per trattenere tutte quelle emozioni. In quel momento, se avessi voluto descrivere quello che sentivo in una canzone, avrei utilizzato la colonna sonora di Colibrì di Cesare Cremonini.

Non avrei mai pensato che, d'ora in avanti, lo avrei amato con tutta me stessa. Riccardo mi stava prosciugando anima e cuore con quegli occhi così dolci e forti mentre il cielo faceva piovere astri, mentre il mondo girava ed io vivevo solo dai suoi polmoni.

Non mi sarei mai immaginata di amare veramente dopo quegli anni funesti in cui l'amore era stato una concezione così sbagliata, così nociva. Riccardo mi stava dando una nuova possibilità, mi stava facendo provare la linfa vitale dell'amore, mi stava riscoprendo come un libro nuovo pieno di sorprese, nonostante le rilegature disastrose che aveva questo mio libro.

Mi alzai sulle punte e lo baciai ancora, non potevo fare altro. «Aspetta», sussurrò, lasciandomi un attimo da sola. Ritornò con una bomboletta tra le mani, la percosse prima di spruzzare un'altra lettera, poi un'altra ancora, fino a scrivere una citazione: Non c'è cosa bella in cui tu non c'entri.

Risi, «L'hai già ascoltata?», dissi. Era una frase di Chiaro di Luna.

Lui annuì, «Ogni volta, prima di andare a dormire.»

Poi mi avvicinai sorridente, gli circondai le spalle e lo guardai negli occhi, per molto tempo. Lui fece lo stesso, dandomi una carezza sulla guancia. «"Voglio avere torto mentre tu mi baci..."», canticchiai piano, nel silenzio, facendo sorridere anche lui, «"Respirare l'aria dalle tue narici, come quella volta che abbiamo scoperto..."»

«"Che davanti a noi c'era uno spazio aperto, che insieme si può andare lontanissimo. Guardami negli occhi come fossimo complici di un piano rivoluzionario..."» canticchiò, incerto su alcune parti ed io lo aiutai ridacchiando.

«"Un amore straordinario

Lo abbracciai delicatamente, «Ti amo anch'io, Riccardo.» Mi strinse più forte. «Mi fa paura il modo in cui lo faccio, che tu non immagini.»

«Posso capirlo», mi lasciò un bacio sulla clavicola.

Mi prese di nuovo per mano. Ci trascinammo a vicenda sulla spiaggia illuminata solamente dal chiaro di luna, e la forma circolare di essa ritraeva uno specchio di stelle pallide come spine sulla superficie dell'acqua.

Guardai dalla battigia quella muraglia alta e imbrattata solo di quel ti amo e di quella frase. Riccardo si era steso a braccia spalancate sulla sabbia, gli occhi fissi sul cielo mentre mi bagnavo i piedi e lo raggiungevo col cuore a mille.

«Stai pensando a qualcosa?», mi posizionai accanto a lui.

Glielo chiesi con curiosità, mi sentivo in grado di leggergli la pelle, come se gliela avessi creata io, con le mie stesse mani. «Sì.»

Poggiai la guancia sul suo petto, fissando il suo mento delineato e spigoloso e le sue labbra leggermente curvate. «A cosa?», la sua mano raggiunse la mia coscia, infilò le dita sotto il vestito, ma non andò oltre, io allungai la mia mano nei suoi capelli.

«Non voglio rovinare il momento.»

«Che momento?»

«Questo mio e tuo», sussurrò, «Voglio godermelo.»

«Puoi farlo anche parlandomi di cosa ti turba.»

Allora, Riccardo, strinse leggermente le labbra screpolate e sistemò meglio la nuca sul suo polso. «Pensavo a papà.»

Io annuii. «Lo hai visto in prigione?»

«No», disse pensieroso, alzando di nuovo lo sguardo al cielo, «Però, quando ho superato il grande portone del carcere, ho temuto il peggio. Ho pensato a cosa sarebbe successo se lo avessi visto anche solo a distanza...», spiegò con voce bassa, delicata, «Probabilmente sarei impazzito. Mi chiedo se lui avesse scoperto che ero stato arrestato, le notizie gli arrivano in fretta. Mi chiedo se per un momento si è posto il problema di proteggermi in carcere», la sua mano tracciò carezze sottili, come a dirmi di non allontanarmi, che aveva freddo, che non potevo andarmene.

«Da quanto tempo non gli parli?»

«Anni», sospirò, «Ma non lo conosco, e non voglio. Pensavo solamente a se lui mi ritenesse ancora suo figlio e se mi ricordasse». Non risposi, lo guardai in silenzio. «Ci ho pensato così tanto che m'è salita la nausea.»

Sospirai e mi tirai su. Gli presi le mani e le usai come sostegno per mettermi a cavalcioni sopra di lui, Riccardo mi guardò dal basso con un sorriso tirato di lato.

«Cosa fai?», mi diede un bacio sul braccio.

«Indovina la mia opera letteraria preferita», provai a distrarlo. Vederlo assente non mi piaceva.

«Eh?», disse ridendo, «Mica so' così informato, io.»

«Buttati, provaci!», lo incitai.

«... Non lo so...» sospirò, staccando gli occhi da me solo per ragionarci sopra, «Indizio?»

«È un opera latina.»

«Ma secondo te posso mai sapere un'opera latina?» Rise forte.

«Può darsi che l'hai già sentita», ridacchiai per la sua espressione poco convinta.

«Dimmi l'autore.»

«Ovidio», sospirai.

Lui schiuse le labbra e poi sorrise, «La metamorfosi? Banale, dai!»

«Ehi!», gli pizzicai la spalla, «Non è affatto vero.»

Lui ne approfittò per trascinarmi interamente sul suo petto. «Anch'io lessi qualcosa su un filosofo, ma mi pare fosse greco.»

«Sì?», mormorai, non riuscendo a controllare il mio cuore. «Quale?»

«Prova a indovinare.»

«Indizio», gli diedi un bacio leggero, a fior di labbra.

«Ha ideato una teoria sullo stato ideale perfetto

Io alzai le sopracciglia, sorridendo, «Hai letto qualcosa di Platone?»

«Sorpresa, bambolì?»

«E sentiamo cos'hai letto?»

«Una stronzata che mi ha fatto riflettere molto», io risi per l'ossimoro nelle sue parole, «Il Simposio.»

Io piegai le labbra verso il basso in un'espressione divertita e sorpresa allo stesso tempo, «Wow, Riccardo Sorrentino, stasera stai sfoggiando tutte le doti che una donna sogna in un uomo.»

Riccardo arricciò il labbro — tipica espressione che anticipa una sua battuta a sfondo sessuale o sarcastica, «Quelle le avevo anche prima, non credi?»

«Forse sì, forse no. Chissà. Stai cacciando fuori sorprese di alto calibro.»

Lui mi scimmiottò, ricevendo un'occhiataccia mentre gli misi la mano in faccia, buttandogliela all'indietro.

«Interrogazione», enunciai, mentre lui ritornava a guardarmi con un sorriso divertito.

«Ti stai divertendo, eh?»

«Parlami del Simposio.»

Riccardo mi prese per i fianchi, aggrappandosi a me con le ginocchia a spingermi sotto di lui. La sabbia ad attutire il contatto con la pelle dei miei polpacci e dei miei vestiti, le spalle scoperte ad affondare in essa.

«Nel Simposio, Platone spiega quella che era l'origine dell'uomo. Completo, perfetto come un mela. Un giorno, però, quest'unione perfetta si divise. La mela si spezza a metà, è da qui che deriva la locuzione "dolce metà". L'uomo cercherà la parte mancante della sua mela per tutta la vita», spiegò, mettendosi tra le mie gambe, afferrandomi per le cosce e facendomi poggiare le caviglie sul suo bacino.

«Ti è piaciuto molto vedo.»

«L'ho trovato interessante», disse, allungando le mani sotto al mio vestito bianco, «A te no?»

«Un'idea abbastanza basica sull'amore», sostenni il suo contatto visivo, continuò a salire verso il mio fianco e strattonarlo nelle sue dita.

«Basica?», sottolineò con ironia.

«Mh-hm. Basica», strinsi le labbra, saccente, «Sai chi parla del vero amore?»

«No, illuminami», sfiorò con scaltrezza il confine dello slip e del suo pizzo, mordendosi il labbro.

«Alda Merini.»

«Alda Merini? Ne sei sicura?»

«In salute e in malattia. Questo è quello di cui parla lei, ma nelle sue poesie parla anche di naufragi, di tempeste e del travolgente amore. Quello che ti ruba anche il più piccolo respiro... quello proibito, quello passionale, forte», dissi, le mie mani navigarono sulla sua schiena, fino a raggiungere i suoi capelli, mi sfiorò il naso con le labbra e sospirai appena. «Ieri sera era amore, io e te nella vita. Fuggitivi e fuggiaschi, con un bacio e una bocca, come in un quadro astratto: io e te innamorati stupendamente accanto. Io ti ho gemmato e l'ho detto: ma questa mia emozione si è spenta nelle parole.»

«Anche questa è abbastanza banale», commentò con spavalderia.

«Tu sei banale.»

«Credo tu conosca Sofocle...», iniziò. Lasciandomi senza parole per tutte quelle cose che mi stava rivelando. Era stupido e superficiale da parte mia stupirmi della sua conoscenza, ma era inevitabile che dette da lui, certe cose, risultavano altamente attraenti. Era innegabile che stesse usando i miei interessi contro di me. «Bene, c'è una sorta di poesia che spulciai da qualche parte, forse in biblioteca. Non ricordo manco come si chiamasse. Ma sono sicuro che tu saprai riconoscerla», mi lasciò un bacio sul collo, sotto la mandibola, facendomi socchiudere gli occhi, «La voglia di baciarti in qualsiasi situazione, in qualsiasi posto, in mezzo a qualsiasi folla, a metà di qualsiasi discorso davanti a qualsiasi persona, a qualsiasi ora. È estenuante. Sfiancante. Mi divora. Ti prego, fa' che non mi passi mai», recitò con voce roca e bassa, la sua bocca si muoveva oltre i confini del mio corpo, si strofinava sul tessuto morbido del vestito. Ed io cominciai a respirare a stento, quando poi ritornò sulle mie labbra, disse: «Questa credo sia meglio della tua.»

«È banale anche questa», obiettai.

«Ne hai una migliore?»

Senza dargli il tempo di capire, rinchiusi le sue labbra per baciarlo. Gli strinsi le spalle tra le braccia, Riccardo mi abbracciò con potenza. Affondai il palmo della mano nei suoi capelli, sorrisi nella sua bocca e lui mi avvinghiò al suo petto per poi spostarmi sopra di lui. I miei capelli a rovesciarsi in avanti morbidamente. Poggiai la mano sul suo petto. Mi morsi il labbro e mi alzai velocemente, Riccardo alzò gli occhi al cielo e sospirò ridendo, mi guardò con i gomiti sulla sabbia ed io lo incitai a seguirmi.

«Forza! Vieni a fare il bagno!»

«Farà freddissimo, Alba», rise, alzandosi ugualmente.

«Hai paura di un po' d'acqua fredda, Sorrentino?», entrai nel mare, che mi fece rabbrividire all'istante, le onde mi bagnarono l'orlo del vestito.

Con rapidità, slacciai il vestito e lo lasciai cadere sulla riva prima di immergermi interamente.

Riccardo mi seguì. I suoi occhi saettarono sul mio fisico snello, lungo la curva dei fianchi larghi e sulle gambe lisce. Il fondale era abissale, si vedevano solo le nostre ombre riflesse dalla Luna, il nero c'inghiottiva e le stelle ci fissavano. Mi chinai e cominciai a schizzarlo non appena lo vidi immergersi, dopo essersi tolto la canotta. «Alba! Eddai!», sbottò, cercando di prendermi per le braccia, ma, vedendo che mi allontanavo e continuavo a schizzarlo, cominciò a farlo anche lui.

Inspirai forte e lo insultai per il freddo. «Smettila, basta! Tregua! Tregua!», risi, portandomi i capelli mezzi bagnati e mezzi asciutti dietro le spalle.

Riccardo mi circondò la vita, il suo petto cosparso di gocce salate attutii il mio. Gli tolsi i capelli dagli zigomi e gli sorrisi, lui si chinò a darmi un bacio sulla spalla. Poggiai la guancia contro la sua e ci stringemmo in un abbraccio pesante, che sapeva di ricordo, che sapeva di amore, per la prima volta.

L'intimità del nostro rapporto vigeva tutta in quell'abbraccio.

Le sue mani mi strinsero la schiena, scesero sulle mie cosce. Sentii i brividi della sua pelle scalfirsi nella mia. Riccardo mi agganciò ai suoi fianchi ed io mi strinsi fortissimo a lui. «Piano! È gelata...», ridacchiai, nascondendo il viso nel suo collo.

Riccardo rise a sua volta, «Dovrei gettarti a capofitto, guarda», minacciò.

«Ma tu non lo faresti mai», gli accarezzai i capelli, strofinando le labbra sull'incavo delle spalle, «Voglio passare il resto dei miei giorni ad Ischia, con te», sussurrai, sentivo l'acqua scivolare sempre più sopra, fino ad arrivarmi a metà schiena. «Non voglio stare lontana da te neanche un secondo.»

«Aspe' Alba», sussurrò, attirando la mia attenzione, facendo sì che lo guardassi negli occhi. Mi accigliai, le sue iridi reclamavano le mie, «Promettimi una cosa.»

«Sì... certo, cosa?»

«Non voglio parlare del giorno in cui dovrai partire», asserì, serio, «Non voglio ricordarlo.»

«E quando arriverà?»

«Allora, ne parleremo...», sorrise flebilmente, «Quante settimane mancano? Tre?»

Io annuii, come se sentirlo dire da lui fosse una condanna mortale. «Non ne parliamo», aggiunsi, convinta medesimamente.

Lui annuì.

Un secondo dopo ci immerse entrambi. Tolsi velocemente l'acqua dal viso, freddissima, e mi attaccai a Riccardo come uno scoglio di salvezza, come se fossi una bambina impaurita. Quando mi abituai alla temperatura, mi staccai, nuotai piano, le braccia a fluttuare sott'acqua. Riccardo affondò sotto la superficie dell'acqua nera, l'ombra del suo fisico scultoreo a nuotarmi vicino e, infine, risalire. Il rumore dell'acqua era l'unica cosa che riecheggiava nell'aria e il silenzio albergava ovunque.

Il silenzio aveva un rumore preciso.

Lo guardai portarsi i capelli all'indietro, «Te c'hai mai pensato a spostarti?», chiesi.

«Da Ischia?», domandò stranito. Io annuii. «Per andare dove?», ridacchiò, sospirò e negò schioccando la lingua, «No, non è proprio da me. So' convinto che su 'sto scoglio ci muoio.»

«Se tu non ti metti in condizione di cambiamenti, allora è ovvio che non sai se fa per te», tentai.

«E dove me ne vado? Senza lavoro fisso e senza soldi, dove mai posso andare?», alzò le sopracciglia, «Campo di spaccio e coi soldi che mi dà tua nonna, e fidati che è già tanto.»

Sospirai e mi immersi. Dopo essere risalita, Riccardo mi stava ancora guardando. Mi passai una mano tra i capelli, «Non hai intenzione di cercare un lavoro più... che ne so... più conveniente per il futuro?»

«Può darsi. Ma non saprei dove sbattere la testa», mormorò, sincero.

«E... e non vorresti prendere in considerazione il rientro a scuola?»

«Mi prendi per culo?», trattenne una risata, «Un ventenne in una prima? Da schifo.»

«Esistono anche le scuole serali.»

«Se, certo», rise, leggermente nervoso, «Non c'ho tempo da perdere appresso a due calcoli e due poeti.»

«Se la pensi così allora non potrai mai andare da nessuna parte.»

«Infatti non voglio andare proprio da nessuna parte», specificò, «Mi cercherò un lavoretto che mi darà più soldi solo quando Greta sarà grande, così da poterle dare più possibilità. Tipo il meccanico, o non lo so, il cameriere... qualcosa che comunque mi dia tanto guadagno.»

«Tu pensi proprio di merda», mi accigliai. Mi stavo per incazzare.

«Ora perché t'importa tanto del mio lavoro, scusa? Che c'è? Ti vergogna il fatto che sia uno straccio di ragazzo?»

«Che?», sbottai, «Come ti salta in mente?»

«Te ne esci così, dal nulla, con queste presunzioni», fece un'espressione infastidita.

«Certo, perché a me importa di te. Coglione», lo guardai male, «Perché mi dà fastidio che tu creda di essere sprecato su 'sto mondo. Che cazzo, hai un cervello, usalo! Puoi fare qualsiasi cosa tu voglia e ti imponi dei schifosi limiti. Prima mi fai la predica per entrare in facoltà e poi fai 'sti discorsi paradossali, te non ce la fai ad esse' coerente», spiegai a perdifiato.

«Sì, perché tu vuoi quello coi soldi nel buco del culo, quello che ti accontenta sempre. Siete tutte così, tutte che pretendete e pretendete. Cazzo, riprenditi, non tutti hanno le possibilità che hai avuto tu. Ciò che faccio, lo faccio di mia iniziativa, non mi faccio influenzare da quello che provo per te solo per darti la soddisfazione di dire che stai co' uno decente. Se ti dà così fastidio il fatto che mi danno due spicci a fine giornata me lo puoi dire tranquillamente. Tu hai degli obbiettivi, per questo ti faccio le prediche del cazzo, voglio il tuo successo, mi sembra normale. Io non ho un cazzo di niente, Alba, ma che te ne parlo a fa' se tu pensi solo a cambiare le mie abitudini del cazzo.»

Io scossi il capo, strinsi la fronte e mi morsi il labbro per trattenere le lacrime. «Vattene a fanculo», lo schizzai malamente per poi alzarmi dall'acqua.

Lo sentii sbuffare, «Alba, dai, non fa' la bambina.»

«Sei solo un'egoista di merda, Riccà», sbottai, salendo dall'acqua e arrivando a riva. Mi strizzai i capelli, «Riesci sempre a rovinare ogni fottuta cosa, non te ne rendi conto.»

«Ti ho solo detto ciò che vedo.»

«E vedi male!», sbottai, voltandomi verso di lui che si era alzato a sua volta, le mani a tirarsi i capelli all'indietro. «Non riesci manco a capire quando una persona prova a preoccuparsi per te!», lo guardai, «Che cazzo! Ti senti subito attaccato e attivi subito la difensiva. Questo è il ringraziamento per averti tirato fuori da quella merda de prigione!»

«Guarda che posso pure ritornarci se ti turba tanto.»

«Ti odio quando fai così!», gli diedi le spalle e mi inoltrai sulla spiaggia.

«Perché ti dà fastidio quando una persona ti rinfaccia i tuoi pregiudizi?»

«Ma di quali pregiudizi parli?», alzai la voce, «Io non ho alcun pregiudizio, né su di te, né su nessun altro. Non me ne frega un emerito cazzo del tuo lavoro! Tantomeno di quanti soldi c'hai!», gli urlai contro, le lacrime a riempirmi gli occhi, «Sei solo uno stronzo egoista, ecco cosa sei», gli dissi, notando fosse ormai a pochi metri da me, un'espressione crucciata e mezza nervosa. «Siete voi tutti così. Non siete per niente diversi», sbottai, in un singhiozzo, lui indurì la mascella.

«Di chi parli, Alba?»

«Di te e Manuel», mormorai, «Siete due pezzi di merda. Mi fate credere veramente di amarmi, e al primo colpo mi fate ricredere tutto. Okay, forse ho sbagliato, forse dovevo spiegarmi meglio, ma questo non ti dà il diritto di farmi sentire in colpa e una stronza per aver provato a capire se mai avessi potuto realizzare un futuro con te!», cacciai fuori, una lacrime mi ghermì la guancia, seguita da un'altra ancora, e ancora, e ancora.

«Eh? Ma di che parli?», alzò le spalle, «Un futuro con me

«Sì, idiota! Ho sempre lo stupido vizio di strafare. Di esagerare. Volevo cercare di capire se fossi stato disposto a trasferirti a Roma, o cazzate varie. Ma a quanto pare a te interessa poco e niente, non capisci mai niente e pensi che io sia come le tue ragazze precedenti. Manco lo capisci, pensi solo a te stesso». Incrociai le braccia al petto, infreddolita e piena di brividi, trattenni i singhiozzi, «So ch'è affrettato, ch'è praticamente impossibile, che siamo troppo distanti e ancora troppo immaturi, ma lasciami fantasticare come una bambina almeno.»

Riccardo mi raggiunse, deglutì, «Scusa», boccheggiò, «Mi dispiace, sul serio.»

«Non me ne faccio niente delle tue stupide scuse. Prima dici che io sono una bambina, e poi sei tu quello che si comporta in tal modo. So cos'è quello che fai tu», gli puntai l'indice contro, premendolo sul suo petto nudo, «Tu hai paura di aprirti veramente a qualcuno perché non sei stato abituato. Io non ti sparo un proiettile in testa se mi dici le tue paure o i tuoi sogni, è una cosa normale. Non usare mai più la difensiva contro di me che potrei picchiarti, non sto scherzando.»

Lui annuì, «Hai ragione, scusami sul serio, non volevo che succedesse questo», strinse le labbra, «È che... è difficile per me.»

Ricordai di ciò che mi aveva raccontato settimane prima, di come non aveva mai avuto la rappresentazione di una relazione d'amore davanti e l'aveva vista solo a sprazzi tramite persone per strada o Geppa e Tonio o Keesi e Franco. Aveva imparato ad amare a pezzi, e la relazione con Shira era stata troppo frettolosa, da adolescenti e irresponsabili per capirne qualcosa.

«So che è difficile per te. Ma lo è anche per me», mi asciugai le lacrime. «Se vuoi davvero provarci, devi solo lavorare con me. Si ama in due, Riccardo, non si corre e non si retrocede. Impariamo assieme», tentai, e lui mi guardò negli occhi come se fosse spaventato. Sospirai, «E, comunque, non volevo dirti che rovini sempre tutto, è stata la rabbia a parlare.»

Lui ridacchiò, «Non me la sono presa, avevi ragione. So che sono un coglione, faccio schifo. Mi dispiace davvero per quello che ho detto, avresti dovuto affogarmi sott'acqua. Scusami», mi prese le guance tra le mani, accarezzò i miei zigomi e sospirò desolato. Poggiò la fronte sulla mia, «Scusami, piccola. Mi dispiace così tanto.»

«Non farmi ricredere mai più.»

Lui mi prese per la nuca e mi baciò con delicatezza, poi con più trasporto. «Se oso dirti altro di così meschino, ti obbligo a spaccarmi la faccia», mormorò. «Scusami.»

Poggiai le dita sui suoi polsi e mi avvicinai alle sue labbra. Lo baciai con tutta l'urgenza che avevo, avevo il bisogno di sentirlo vicinissimo, così mi alzai sulle punte e lo costrinsi a chinarsi lievemente per tenermi stretta. «Non voglio più piangere per te, Riccardo.»

Riccardo annuì. «Preferisco morire piuttosto che vederti piangere di nuovo. Ammazzami se dovesse succedere.»

Gli cinsi il collo con le braccia. «Voglio che mi fai dimenticare tutto», sussurrai, le sue mani mi spogliavano persino della mia stessa pelle, «Di tutti e di tutto», sussurrai ancora, e lui mi baciò le clavicole. «Voglio che sia questa la mia vera prima volta. Non voglio pensare che Manuel mi abbia avuta per primo.»

«Non dirlo», sussurrò, quasi con sofferenza, «Ti prego», mi accarezzò la guancia, mi guardò negli occhi, «Non nominarlo più quando sono con te.»

«Tu insegnami a fare l'amore», sussurrai. «Fingiamo che questa è la prima volta. Per me e per te. Fammi dimenticare ogni cosa e ogni persona, te ne prego.»

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