Domani sarò alba

By CuoreAdElica

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𝗖𝗼𝗺𝗽𝗹𝗲𝘁𝗮 ✔️ 𝙽𝚎𝚠 𝙰𝚍𝚞𝚕𝚝 💋 1/2 Alba ha il tramonto stampato in faccia. Capelli rossi, occhi ver... More

Cast
Albero genealogico
Chi sono Elia e Isabella?
MP3 di Alba
Prologo
Alba odia i capelloni - Parte Uno
1. L'isola dell'Amore
2. Uno sconosciuto nella Villa
3. Favori e debiti
4. Ottimo ascoltatore, pessimo argomentatore
5. La briscola è uno strumento di difesa
6. Ad ogni uomo il vestito che si merita
7. La Libera
8. Il pescatore e la monaca - Pt. 1
9. Il pescatore e la monaca - Pt. 2
10. A caccia di fiori e pranzi stravaganti
11. Il monolocale
12. Sole, spiaggia, sesso
13. Di mare e di stelle - Pt. 1
14. Di mare e di stelle - Pt. 2
15. Ne vale la pena?
17. Essere visti per chi siamo davvero
18. Sei dove non sono io
19. Le scritte sui muri rimangono in eterno
20. Ci viviamo
21. Sii prudente con questo tuo cuore
22. Musica jazz, sigarette e amici di famiglia
23. Notti d'agosto al sapore di mare
24. Ciao amore, ciao
Non è mai abbastanza - Parte due
25. Il tempo passa
26. Bisnonna Silvia, sei eterna
27. Resta
28. E basta
29. All'ombra di un tramonto
30. Luce dei miei occhi
31. Ne è valsa la pena
32. Nuovo inizio
33. Roma, Amor
Epilogo
Ringraziamenti
Sogno - EXTRA
Scappare - EXTRA

16. Una canzone tua, nostra

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By CuoreAdElica





ALBA
Ischia, estate.




I never liked that song
but once I knew it is
your favorite,
I listened to it on repeat
and it became one of the
best songs I've ever heard
/
Non mi è mai piaciuta questa canzone
ma una volta che ho scoperto
fosse la tua preferita
l'ho ascoltata in continuazione
ed è diventata una delle
canzoni più belle che abbia mai sentito.























Mi svegliai con il rumore familiare di un vinile di Alessandro Celentano. Risuonavano le sue canzoni d'amore, ed io, nel mentre, ricominciai a riconoscere ciò che mi circondava.

La tenda della mia finestra svolazzava per il vento caldo, da sotto ad essa i raggi di luce filtravano come lame d'oro e arrivavano a invadere il pavimento e i lembi di lenzuola disfatti.

Strofinai i piedi sotto al lenzuolo assorbendone la ruvidezza sul tallone. Sentii le gambe leggermente indolenzite, mi portai una mano tra i capelli girandomi sulla schiena. Sospirai e deglutii aprendo gli occhi, catturai la libreria sistemata e la radio di mio nonno che mi guardava.

Strofinai la palpebra con il dito e voltai il mento verso destra. Riccardo giaceva onirico sul mio letto. Il suo viso pendeva dall'altro lato, i ricci biondi a coprirgli la tempia e lo zigomo in maniera arruffata, da bambino. Un braccio flesso fuori dal letto, l'altro piegato sul suo addome virile che spirava flemmaticamente.

Aveva le labbra schiuse e la sua pelle baciata dal Sole sembrava modellata da mani esperte. Sotto quella luce, Riccardo era un angelo. Aveva un'aria tranquilla e soave, temibilmente tranquillo. Le ciglia folte riposate sulle palpebre, il suo profumo a inondare l'intero letto o addirittura tutta la camera.

Mi persi a guardarlo.

Ricordai la notte passata con una sensazione di smarrimento a colpirmi in piena pancia. Non era uno smarrimento sensato, era più figurato, metaforico. Pensando a lui, pensando a quello che stavamo condividendo, io mi sentivo persa. Come se per secondi infiniti non sapevo più chi fossi, chi ero davvero. Pensavo a lui ed ero persa, persa dove? Non lo so.

Pensai a tutte quelle volte che mi era affondato dentro, prendendosi ogni cosa, costruendosi ricordi tutti suoi. Tutti quegli istanti in cui lo avevo guardato negli occhi e mi era risultato impossibile non baciarlo. Tutti quei momenti in cui ci risultò difficile persino respirare. La carne a diventare rovente sfregata contro la sua, il mio corpo che veniva percosso dal suo, che rispondeva solo ai suoi baci. Le sue labbra che mi incantavano, mi ricordavano che non avevo mai fatto sesso in quel modo così insidioso e intenso. I suoi capelli a solleticarmi il ventre mentre il suo viso mi stuzzicava piacere, i suoi occhi che ricevevano i miei mentre la sua lingua assaggiava il mio sapore, ed io che infilavo le dita nei suoi capelli e trattenevo l'orgasmo con il ventre in fiamme. La mia risata attutita dalla sua bocca, lui che mi intimava di non far rumore, la sua saliva a tracciare scie piacevoli ovunque, io che mi stringevo al suo collo, che lo abbracciavo forte prima di sentirlo dentro di me. Io che mi mettevo sopra di lui, che lo guardavo negli occhi mentre mi muovevo piano e compitata, e Riccardo mi stringeva i fianchi, si mordeva il labbro, contraeva i muscoli dell'addome, il collo ad arrossarsi, il viso piegato all'indietro mentre andavo a fuoco insieme a lui e mi chinavo a baciarlo per respirare dai suoi polmoni, perché non sapevo come altro respirare se non da lui. Riccardo che mi premeva le mani sulla schiena e cominciava a muoversi sotto di me, a stringermi in pugno i capelli e guardarmi con i suoi occhi, con tutti i suoi occhi, cominciava a dirmi che ero bellissima, che gli scoppiava il cuore, che mi voleva ancora, che non dovevo fermarmi. Ed io, con il cuore a mille, continuavo, continuavo fino a baciarlo senza respiro, fino a stringere le palpebre e tremare senza forze con il petto rosso e i muscoli pizzicanti.

Sorrisi finendo di guardarlo. Affondai la guancia sul cuscino, arrossii come una bambina. Allungai una mano, seguii con le dita i suoi ricci fino ad affondarci con le nocche dentro. Riccardo sospirò rumorosamente, arricciò il naso e si leccò le labbra, deglutì, il suo pomo d'Adamo a muoversi repentino. Lo vidi stringere gli occhi e riprendere a dormire placidamente.

Gli accarezzai il lobo, la campanellina d'oro, poi le vene sul collo, le clavicole sporgenti. Disegnai i tatuaggi sul suo petto e distesi il palmo sopra agli addominali, carezzandoli piano, tastandoli sotto pelle.

Riccardo si strofinò gli occhi con l'altra mano, si umettò il labbro: «Dai, Shira.»

In un attimo, mi accigliai, tolsi la mano e alzai il viso dal cuscino. Stavo per gridargli addosso quando poi si voltò con un sorriso pronto ad aprirsi in una risata folgorante.

Spalancai la bocca, boccheggiai. «B... brutto coglione!», gli diedi uno schiaffo sulla spalla, «Pezzo di merda!», sbottai, incalzata dalla sua risata bassa e roca, si tenne la pancia con la mano e alzò il viso, mi guardò negli occhi e scoppiò di nuovo a ridere.

«Smettila di ridere!», trattenni una risata e affondai con la guancia sul cuscino. «Non sono scherzi da fare...»

Riccardo sospirò e si morse il labbro. Mi circondò il ventre con il braccio, affondò il viso sulla mia spalla, «Non ho resistito, scusa.»

«Fanculo», alzai gli occhi al cielo, stringendomi nelle scapole, lui mi abbracciò la schiena e mi accarezzò la pancia, i fianchi.

«Buongiorno, bellissima», lasciò un bacio sulla guancia.

Lo guardai di sbieco e sorrisi appena. Gli diedi un bacio lento alzando il mento di poco, lui premette di più le labbra sulle mie, con le dita a stringermi la pelle morbida della pancia.

Strofinai il naso sulla sua guancia e alzai le iridi sulle sue. «Giorno», mormorai, sorridendo più evidentemente. Riccardo mi guardò le labbra e mi diede un altro bacio.

Poi sistemò il capo accanto al mio. Un'espressione tenera sul volto, assottigliò un poco le palpebre, il viso rilassato ma ancora assonnato. «Voglio che mi dici una canzone bellissima.»

Io ridacchiai, lui sorrise vedendomi ridere, mi osservò come se fosse la prima volta. «Che intendi?», poggiai la guancia sul palmo della mano, incrociando i suoi occhi. «Ne ho tante», feci spallucce.

«Una che potrei ascoltare per pensare a te.»

«Ma mica te la devo dire io.»

«No, io ne voglio solo una. Una che ascolterò per ricordarmi di te.»

«Quindi solo una?»

«Sì», annuì, «Una che imparerò a memoria e che dovrò associare a te. Ne ascolto poche di canzoni. Voglio una che sia tua», spiegò.

Sorrisi, poi annuii. Mi allungai verso l'MP3 regalato da mio padre qualche anno prima, tutto bianco con dietro inciso il mio nome. Avevo creato infinite playlist, ma ricordai che da ragazzina ne avevo fatta una proprio sulle canzoni che avrei voluto che mi dedicassero, una cosa sciocca, tuttavia che trovai utile in quel momento.

Mi illuminai quando ne vidi una che mi piaceva tantissimo. «Chiaro di Luna, di Jovanotti».

Riccardo ci pensò su, «Mi va bene. Me la ricorderò.»

Posai l'MP3, mi sistemai vicino a lui. Ci guardammo a lungo, senza saperci dire niente, nel frattempo vidi una strana consapevolezza nei suoi occhi, qualcosa di diverso e affascinante. Mi resi conto che, seppure Riccardo avesse gli occhi di un normalissimo color nocciola chiaro, aveva uno sguardo ammaliante, un po' felino e affilato.

«Sai che non ero mai stato con una rossa?», fissò i miei ricci rossi sparsi sul cuscino bianco.

Io lo guardai leggermente divertita. «Be', c'è sempre una prima volta.»

Lui rise. «Mi piacciono molto i tuoi capelli.»

«Grazie mille», ridacchiai, guardando il suo sorriso diventare più largo. «Anche a me piacciono i tuoi.»

«Ah, sì?»

«Mh-hm. Non sono mai stata con uno coi capelli lunghi.»

«Lunghi mica tanto, eh», si accigliò, divertito, «Mi arrivano alla mascella e allo zigomo. Dovrei pure tagliarli», disse portandoseli all'indietro.

«No, perché? Sono belli così», glieli accarezzai piano.

«Mi fanno sembrare poco serio.»

«Ma tu sei poco serio.»

Finse una risata, «Simpatica, Alba, davvero.»

Mi mordicchiai il labbro mentre provavo a non sorridere e mi piegai per baciarlo. «Non tagliarli troppo corti che poi non ti riconosco più», mormorai, accarezzandogli il labbro con il pollice.

«Tranquilla», sorrise, alternando le iridi nei miei occhi.

«Invece, io cosa non dovrei cambiare cosicché tu mi riconosca?», sorrisi con furbizia.

Lui arricciò le labbra e mi diede un morso sulla guancia. «Niente, perché tanto ti riconoscerei anche coi capelli a zero.»

Io scossi il capo, «Non ti credo», gli diedi un bacio, «Non fare il ruffiano», un altro bacio, «Se tu mi vedessi per strada, ti gireresti dall'altra parte.»

Riccardo alzò le sopracciglia. «Se mai ti vedessi in mezzo alla strada, è meglio che cominci a correre perché col cazzo che ti lascio di nuovo.»

«Quindi tu speri di rincontrarmi?»

«Perché non dovrei? Se l'anno prossimo non vieni a Ischia faccio di tutto per venirti a trovare.»

«Sul serio?», dissi sorpresa.

«Sì, ma solo se mi prometti di entrare in facoltà e non avere nessun uomo con te.»

«Se mi prometti che ti fai sentire ogni tanto, giuro che non mi fidanzerò mai

«Promesso», mormorò, dopo mi baciò, mi prese per le guance e strinse quella promessa tra le nostre bocche, ripetè che me lo prometteva accarezzandomi la schiena e le natiche, carezze dolci e non maliziose, carezze che sapevano di tenerezza.

Lo abbracciai forte, affondando con il mento sulla sua spalla e le mie labbra a poggiarsi sul suo collo. Rimanemmo abbracciati per un sacco di tempo, fino a che non sentimmo il rumore dei passi frenetici di Gioele su e giù per le scale.

«Mi faccio una doccia e scendo a lavorare. Se non vuoi che mi vedano, me ne esco per il balcone», propose, dandomi un bacio sulla tempia.

Io negai. Alzai il mento e lo guardai negli occhi, «Ieri Gioele ha visto che mi hai baciata e lo ha riferito subito a mia madre», ridacchiai.

«Che bastardo», rise.

«Mamma gli ha detto che non deve spiarmi.»

«Poi mi chiedi perché anch'io ho un debole per tua madre...»

«Scemo», gli diedi un bacio veloce. «Staccati, prima che finisce male», mi allontanai, aggrappando alle dita le lenzuola e coprendomi il seno.

Riccardo sospirò e si strofinò le mani sulla faccia. Si alzò ancora nudo, una mano tra i capelli mentre raccoglieva il suo boxer, la sua canottiera e il suo pantalone. Appoggiai la schiena alla testiera e portai le ginocchia al petto. Osservai, con il mento leggermente inclinato, la cascata di tatuaggi che gli ricopriva la schiena, riconoscendone disegni e parole.

«Cosa guardi?», disse Riccardo, con una punta di divertimento nello sguardo.

Io strinsi le labbra e finsi di non capire. «Vado a prenderti del caffè, non metterci troppo in doccia.»

«... Certo», rise, aprendo la porta, «Il caffè...»

«Zitto», pescai il primo slip che avevo nel cassetto e lui si chiuse in bagno. Afferrai una t-shirt lunga e la infilai.

Aprii la porta e, a piedi scalzi, scesi le scale e raggiunsi la cucina. Geppa stava tritando del pesto quando entrai.

«Buongiorno, Alba bella, come siamo raggianti stamane!», mi sorrise.

Io ridacchiai, «Anche tu oggi sei molto incantevole. Hai cambiato trucco?», le domandai avvicinandomi alla macchina del caffè.

«Hai visto? Mi sta meglio questo azzurrino?», disse, sfiorandosi le palpebre con le dita.

«Mh-hm», le sorrisi, feci una montagnetta di polvere di caffè nella moka.

Entrò mio padre, con il giornale in mano e gli occhiali calati sul naso dritto. I capelli ricci più scombinati del solito, «Oggi fa un caldo bestiale... ma arò 'sta Riccardo? Gli devo chiedere di accendere un po' quei condizionatori mezzi scassati», si sventolò, «Buongiorno, amore di papà», mi sorrise avvicinandosi, per poi darmi un bacio sulla fronte.

«Riccardo nun s' fa sntì a ierj asser» — «Riccardo non si fa sentire da ieri sera.»

«Non è ancora arrivato?», chiese papà, guardò l'orario al polso.

«Mi devo preoccupà?», chiese Geppa, portandosi una mano al petto, già intenzionata a prendere la cornetta del telefono.

«Riccardo ha dormito qua», m'intromisi io, aspettai che il caffè si preparasse picchiettando le dita sul marmo della cucina, vicino ai fornelli.

Entrambi mi fissarono. L'espressione immobile sui loro volti mi fece ridere. «Oh, ha dormito nella camera degli ospiti? Tua mamma non me l'ha detto... strano che non sia ancora sceso, però», si accigliò papà, era pronto ad uscire per bussare alla porta della camera degli ospiti.

«No... no, ha dormito con me», dondolai sui talloni.

Cadde un silenzio agghiacciante, ma non imbarazzante. Vidi Geppa trattenere un sorriso e stringere malamente le labbra striminzite colorate di rosa, continuò a pestare le foglie di basilico come se non avesse sentito nulla.

Papà boccheggiò e alzò le sopracciglia, mosse convulsamente le mani e si umettò le labbra. «Tu... e Riccardo...?»

«Sì.»

Papà annuì. Si grattò la nuca e continuò a balbettare fino a quando non vide lo stessi guardando con fare divertito. Quindi si schiarì la voce, «No, certo», deglutì rumorosamente, «Sì, insomma... lo avevo sospettato, no? Geppa, giusto

«Come dice, signore?», disse Geppa, senza saper trattenere un sorriso come se lo avesse sempre saputo.

«No, dico...» — papà parve sudare improvvisamente — «... si vedeva una certa... chimica... capito cosa intendo? Nel senso, già avevo percepito questa... amicizia...? Cioè, sì... come te lo spiego...», si incespicò nelle parole.

Io gonfiai le guance non appena cercò l'aiuto di Geppa con gli occhi.

Scoppiai a ridere, Geppa dopo di me. Papà finse di ridere assieme a noi. «Va tutto bene, papà. Riccardo si comporta bene con me e sto bene con lui. Non andare in panico.»

«Forse tuo padre intendeva dire che noi tutti avevamo notato dei sorrisi strani su entrambi, e quindi avevamo sospettato qualcosa. O no, signor Elia?»

«Sorrisi... certo, sì!»

«E comunque se Riccardo osa comportarsi male con la mia Alba, lo meno sottoterra io stessa», assicurò a mio padre.

Papà annuì, mi sorrise nervosamente e con un cenno del sì accorse fuori dalla cucina. «Isabella!», gridò impacciato, «Amore!»

Io e Geppa ci guardammo e ridemmo di nuovo. Versai il caffè nella tazzina per Riccardo e mi portai con me una ciotola di fragole.

Salii su per le scale attenta a dove mettevo i piedi e aprii la porta della mia camera con il gomito. Appena vi entrai vidi Riccardo che si strofinava i capelli con le dita. La mia camera profumava solo del mio bagnoschiuma, che adesso era anche sulla sua pelle.

«Caffè pronto», enunciai richiudendo la porta con il tallone.

Riccardo si voltò, un occhio strizzato mentre si portava le ciocche all'indietro. «Ho sentito tuo padre gridare, non lo avrà preso un infarto spero.»

Risi, poggiandogli la tazzina sul comodino ed io mi accomodai sul mio letto con le fragole incastrate tra le gambe. «No, ma quasi», alzai le sopracciglia, «Gli ho detto che hai dormito qui.»

«Alba, se vuoi farmi uccidere dillo prima.»

«Macchè!»

«Oh, allora vuoi assassinare tuo padre? Vedi che è giovane, ha una famiglia, una moglie...»

«Ma stai zitto», gli lanciai un cuscino addosso ridendo. «Vedi che non è la prima volta che dormo con uno. È solo che non ho un ragazzo in camera da tantissimo tempo. Mio padre si sarà sentito un attimo destabilizzato, devi tener conto che l'ultimo che m'ha toccata era uno psicopatico, perciò lo capisco», gli spiegai, afferrai una fragola e ne mangiai un pezzo.

«Sì, lo capisco anch'io», si venne a sedere accanto a me e gli passai il caffè, «Non riuscirei a immaginare Greta in questa situazione, diventerei matto a forza di pensare che un infame la picchierebbe.»

Io mangiai un'altra fragola, ridacchiai. Lui mi guardò confuso, «No... pensavo a quando Greta sarà grande, tipo alla nostra età. Non vorrei essere nei panni del suo fidanzato.»

«Greta non avrà fidanzati fino ai venticinque anni», disse schifato, come se al solo pensiero potesse vomitare.

Risi di più. «Così è ovvio che ti odierà! Aspetta che s'innamora e poi ne riparliamo.»

«La mia bambina non si innamora di nessuno se non del suo papà», mormorò finendo il caffè. Scossi il capo e lo guardai fare il giro del letto. «Ora è meglio che vada giù prima che tuo padre mi venga a prendere con un fucile alla mano per davvero», si chinò a darmi un bacio veloce.

«Attento che adesso non sarà molto clemente con te. Appena vai giù vedi di accendere i condizionatori, così lo fai un po' felice», lui annuì ammiccando un sorriso e fece per andarsene, ma lo tirai nuovamente indietro per la canotta, «Un altro bacio.»

Lui mi prese la guancia e si piegò verso di me, spinse le labbra sulle mie con delicatezza e premura. Gli accarezzai il mento e gli sorrisi dopo che s'era allontanato, mi fece un occhiolino e uscì da camera mia.

Trattenni un sorriso e, ripensando a tutto, a tutto quello che avevo nella pancia e quello che avevo provato la sera prima, affondai il viso nel cuscino e risi istericamente.

Col passare dei giorni e delle settimane, io e Riccardo ci conoscemmo meglio. Gli feci vedere i miei video di quando facevo danza, e lui ne fu veramente interessato. Invece, lui mi fece vedere le fotografie di quando Greta uscì dall'ospedale. Mi raccontò di come avevano arrestato suo padre e di come improvvisamente dovette prendere le redini dei suoi debiti.

Io lo ascoltavo. Ce ne stavamo seduti sul pavimento del mio balcone, le gambe sovrapposte e il cielo a divenire rosa. Lo guardavo in silenzio quando, davanti a me, dipinse la scena dell'incarcerazione e di come dovette crescere velocemente senza dover perdere tempo.

Gli avevo domandato se gli avesse pesato lasciare la scuola a tredici anni, lui mi rispose: «No, non mi ha pesato. Sono sempre stato uno a cui le regole stavano strette. Dicono che la scolarizzazione è importante per i bambini, ma io sono stato educato anche senza scuola. Credo di essere abbastanza educato, certo non so il galateo, non so tutti i tempi verbali inglesi e non sono bravo nei calcoli matematici, ma le cose essenziali le so: so leggere, so scrivere e so come comportarmi in mezzo alla gente», fece spallucce, «Ho intrapreso un percorso di autoeducazione, mi sono occupato io stesso di acculturarmi a modo mio. Esistono le biblioteche, esiste internet ad oggi, e mi sento fortunato per questo. Mi piace essere ignorante in fin dei conti.»

Io lo guardai sorridente, «Non sei ignorante», mormorai, «Sei più intelligente di molte persone che conosco.»

«Magari mi insegnerai qualcosa tu, professoressa», mi prese il mento dandomi un bacio sulla guancia.

«Non sono ancora professoressa», ridacchiai.

«Ma lo sarai.»

«Perché ci tieni così tanto che io entri in facoltà?», gli domandai, facendo intrecciare la mia mano alla sua.

«Perché voglio che tu diventi chi sei degna di essere. Io ci conto sul serio», mi tolse i capelli dalla spalla, «E dovresti iniziare a farlo anche tu.»

Attorcigliai il braccio attorno al suo e poggiai la tempia sulla sua spalla, Riccardo mi diede un bacio tra i capelli e rimanemmo così per molto tempo, fino al finire dell'imbrunire, con le sue dita ad accarezzarmi il dorso della mano.

Non c'era voluto molto ad abituarci a quel contatto che avevamo. Era difficile nasconderlo, non riuscivo a non cercarlo, a non guardarlo e non sorridergli. Era difficile non parlargli, nascondere il cuore.

Una sera, dopo cena, con il casco in mano e le chiavi nell'altra, Riccardo annunciò se ne stesse per andare. Ma, invece di recarsi subito al cancello, venne dietro alla mia sedia, alzai il mento verso di lui, confusa, egli curvò appena le labbra in un sorrisetto furbo e si chinò a lasciarmi un bacio forte sulle labbra.

Si staccò e mi fece un occhiolino rassicurante. «Buonanotte a tutti», disse con un cenno, dopodiché diede le spalle e si avvicinò alla sua moto.

Avevo anche scoperto che, tra tutti i mezzi di traporto che gli avevo visto portare, solo uno era il suo, ossia la moto. La macchina — la Peugeot con cui c'era venuto a prendere in discoteca — e il motorino erano, rispettivamente, di Angelo e di suo padre.

Mi morsi il labbro e arrossii evidentemente. Mia mamma era divertita dall'espressione di mio padre, Iris e Sofia squittivano sottovoce. Zia Monica si coprì la bocca e lanciò messaggi subliminali a suo marito che non c'aveva capito niente poiché parlava da mezz'ora della partita Lazio - Napoli con zio Flavio.

Tonio s'era addormentato sulla sedia e Geppa confabulava con mia nonna, che, nel frattempo, mi guardava soddisfatta, come se avesse previsto tutto.

Riccardo mi baciò davanti a tutti senza pensarci troppo. Come per dimostrarmi qualcosa.

"Se ti bacio di nuovo davanti a tuo padre mi prende a sprangate?"

Citò il suo messaggio, alle dieci di sera. Risposi sorridendo, ormai m'era impossibile non farlo. Quando si trattava di lui cominciavo a sorridere senza sosta. Mi rigirai sul letto, ancora con i capelli bagnati dalla doccia fatta per rinfrescarmi dal caldo.

"Ma no. Pensa solamente che c'hai avuto coraggio a farlo."

Effettivamente di coraggio ne aveva avuto. Baciarmi davanti alla mia famiglia dopo quello che era successo con Manuel a distanza di un anno era da pazzi. Si aspettavano che adesso Riccardo mi trattasse come una rosa appena sbocciata, fragilissima.

"Avevo fatto una scommessa con tuo fratello."

"Coglione."

"Se ti avessi baciata, lui mi avrebbe assicurato di lasciare il portone aperto di notte, così mi sarei potuto infiltrare per toglierti le mutande e fotterti per bene."

"Ma sei scemo? Non l'avrai fatta sul serio 'sta scommessa..."

"No, non gli ho detto esplicitamente "fotterti per bene", ma gli ho detto che ti avrei dato un bel regalino."

"Anch'io ho un regalino per te."

"Sì?"

"Un ceffone, stronzo."

"Dai, scherzavo! Non c'era nessuna scommessa di mezzo."

Io scossi il capo e scodinzolai i piedi nell'aria, sospirai ridendo e cliccai sulla cornetta verde, il cellulare prese a squillare. Aspettai mi rispondesse.

«Principessa, mi dica.»

«Sai chi ha fatto una scommessa?»

«No, chi?»

«Mamma e papà», dissi.

Riccardo si ammutolì un secondo. «Che intendi dire?»

«Li ho sentiti discutere in maniera poco seria dalla cucina. Avevano appena ingurgitato litri di vino rosso potente, sai in vino veritas...», ridacchiai, «... hanno rivelato che appena ci siamo incontrati, a giugno, hanno scommesso che nel giro di un mesetto, tra noi due sarebbe successo qualcosa.»

«Non ti credo.»

«E mio padre ne era così convinto che non aspettava altro!» Risi.

«Non prendermi per culo.»

«Mia madre ha dovuto sganciare trenta euro, perché lei credeva che sarebbe successo qualcosa solo dopo una settimana, mentre papà, conoscendo il mio carattere freddo, scommise per un mese o tre settimane», spiegai.

«Non so se ridere o piangere.»

«Ho scoperto che quando gli dissi che avevi dormito con me, lui era corso da mia madre a dirle tutto per la scommessa.»

«Non so se prenderlo come un pregio o un difetto il fatto che tuo padre sia competitivo, adesso», rise.

«È un uomo buono. Gli piaci», ammisi.

«Seria?»

«Ovvio. Stravede per te. Ho sempre saputo che volesse trovassi qualcuno qua a Ischia, va più d'accordo con i suoi compaesani. Non va d'accordo manco con il mio migliore amico.»

«Hai un migliore amico?», chiese, scettico.

«Sì, certo, si chiama Tommaso», sorrisi.

«Dimmi che non è uno di quei tipi che ti fa sedere sulle sue gambe o ti ha vista nuda nei camerini», lo sentii sbuffare.

Io risi. «Ma certo. Tommi lo conosco da quando sono piccola, è stato il primo a vedermi nuda se è per questo.»

«Oh, Dio, che merda!»

«Riccardo...», risi, «Vedi che Tommi, be', è gay. Il suo fidanzato si chiama Emanuele, sono stupendi!»

Riccardo rimase in silenzio. «Forse è per questo che non va d'accordo con tuo padre.»

«Mio padre non è omofobo, Riccardo», alzai gli occhi al cielo.

«Comunque», sospirò, riprendendosi da quel discorso scioccante, «Non so se suona male dire che sono felice che il tuo migliore amico sia gay o meno. Non mi fido dei migliori amici etero.»

«Hai dei problemi seri con la gelosia, mi sa.»

«Già, lo credo anch'io.»

Nei giorni successivi era diventato più semplice starci vicini. Quando arrivava alle undici per lavorare, la prima cosa che faceva era venire a cercarmi e a darmi un bacio, mi diceva che fossi bella ogni giorno.

Agosto si addentrò con calma, nel tepore caldo del Sole. Mamma e papà erano più tranquilli con l'idea che mi stavo divertendo in quella vacanza. Riccardo mi aveva portata in giro per Ischia, in spiagge affollate e in quelle desolate. La mia carnagione diveniva più scura, rosata. La sua bronzea, olivastra, in contrasto con i suoi tatuaggi.

Una sera eravamo sul mio balconcino, era diventato il nostro luogo di chiacchiere e rivelazioni continue, il caldo serale ad avvolgerci a tal punto da farmi rimanere in mutande e canottiera, con la vasca di gelato finita e con i cucchiai a galleggiarci dentro.

«Posso guardare i tuoi tatuaggi?», domandai, guardandogli la nuca ricoperta da ricci biondi, «Non li ho mai visti tutti.»

Riccardo si voltò a scrutarmi. «Non che ne abbia molti... ma va bene», fece spallucce e si tolse la maglietta.

Guardai il movimento delle sue spalle, le linee scure ad abbracciare l'incarnato. Osservai il perimetro di due ali che gli coprivano le scapole, una scritta in corsivo citava: "non so amare, fa' attenzione"

«Un po' cupo questo...», ne tratteggiai le linee.

«Quale? Quello della frase di Luchè?», domandò, «C'avevo diciassette anni.»

«Qual è il più recente?». Riccardo si guardò il petto e si voltò, indicandosene uno sul fianco. Era una gabbietta per uccelli con la porta aperta e le sbarre un poco ammaccate. Io sorrisi, «È molto simbolico.»

«Forza, qual è il tuo preferito?»

«Shakespeare», annuii, «Mi piace questo», mormorai, indicando la scritta sul costato.

Lui si piegò per vedere meglio. Annuì e sorrise, sospirò e rialzò il mento. Iniziò a citare: «Più dolce sarebbe la morte se il mio sguardo avesse come ultimo orizzonte il tuo volto, e se così fosse...»

«Mille volte vorrei nascere per mille volte ancor morire», recitai assieme a lui.

Risi sottovoce, e lui mi guardò in silenzio mentre mi avvicinavo per abbracciarlo e poggiare la guancia sul suo petto. Un gesto infantile, ma che mi venne spontaneo. Rimasi avvinghiata a lui per quanto mi bastava, mi accarezzò i capelli e non mi disse di spostarmi o non fece nulla che potesse farmi capire gli desse fastidio.

Rimasi abbracciata al suo torso palpitante forse per minuti, il vento caldo ad accarezzarmi la pelle e le cicale ad accompagnare i nostri respiri assieme alla Luna, eterna spettatrice e fonte di luce pallida.

Una mattina presto, invece, sul tavolo in giardino, impugnavo una matita e accanto a me c'era il mio stereo con due CD che ascoltavo quasi sempre: quello dei Modà e quello di Gazzelle.

Riccardo mi venne vicino, curioso. «Cosa fai?»

«Scrivo», dissi sorridente.

«Cosa scrivi?», si accomodò sulla sedia vicino a me.

«È il mio diario», ridacchiai, «Ci scrivo le mie cose.» Coprii la pagina, macchiata di nero con la mia scrittura dritta, quando Riccardo provò a sbirciare qualcosina.

«Ci sono anch'io nel tuo diario?», accennò un sorriso insolente, le sue dita a spostarmi una ciocca dietro l'orecchio.

Io assottigliai le palpebre. «Chi può dirlo?»

Lui si accigliò divertito, poggiò i gomiti sul tavolo e rubò un chicco d'uva accanto a me, lo guardai male. «Posso farti un ritratto?»

«Che?», risi, mentre risuonava Sbatti di Gazzelle.

«Sono bravo a disegnare.»

«Sul serio?», giocherellai con la matita tra le dita.

«Sì. Muoviti, dammi 'sta matita», mi prese la matita da mano e agguantò il mio diario. Prese pagina pulita e cominciò a scarabocchiare tutto chinato su di esso, impedendomi di vedere.

Risi quando cacciò fuori la lingua, concentrato. Si portò all'indietro i capelli e mi lanciò un'occhiata con un sorriso storto. Scosse il capo e ritornò al suo disegno.

Lo vidi scrivere qualcosa disordinatamente e richiuse il diario. Me lo fece scivolare davanti, si alzò dalla sedia dandomi un bacio dietro la nuca, si allontanò entrando in casa.

Lo guardai scomparire nell'oscurità della Villa causata dalla luce troppo insistente del Sole in giardino, creava un sorta di chiaro-scuro.

Divertita, aprii il taccuino, curiosa di ciò che avesse combinato.

Non c'era niente. O meglio, c'era, ma non era un mio disegno. Era un ritratto di un tulipano, sotto ci aveva scritto una lunga didascalia: "Stavo scherzando, faccio schifo a disegnare. Però comunque un ritratto te l'ho fatto. Sei bella da morire Alba, sarebbe stato impossibile copiare alla perfezione la tua faccia. Hai un sorriso che mi lascia senza fiato, non smettere mai"

Arrossii inevitabilmente e sorrisi, carezzai la sua scrittura aggrovigliata e scrissi sopra la pagina la data: 6 agosto, 10:33.














Note d'autore.





Siamo arrivati a pagina 408. Sono spaventata per i prossimi capitoli? Sì.

Per adesso godetevi questa tranquillità 😉 e nel frattempo correte su Instagram a seguirmi se non l'avete ancora fatto ♥️.

@/ericasspoetry

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