Domani sarò alba

By CuoreAdElica

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𝗖𝗼𝗺𝗽𝗹𝗲𝘁𝗮 ✔️ 𝙽𝚎𝚠 𝙰𝚍𝚞𝚕𝚝 💋 1/2 Alba ha il tramonto stampato in faccia. Capelli rossi, occhi ver... More

Cast
Albero genealogico
Chi sono Elia e Isabella?
MP3 di Alba
Prologo
Alba odia i capelloni - Parte Uno
1. L'isola dell'Amore
2. Uno sconosciuto nella Villa
3. Favori e debiti
4. Ottimo ascoltatore, pessimo argomentatore
5. La briscola è uno strumento di difesa
6. Ad ogni uomo il vestito che si merita
7. La Libera
8. Il pescatore e la monaca - Pt. 1
9. Il pescatore e la monaca - Pt. 2
10. A caccia di fiori e pranzi stravaganti
11. Il monolocale
12. Sole, spiaggia, sesso
13. Di mare e di stelle - Pt. 1
14. Di mare e di stelle - Pt. 2
16. Una canzone tua, nostra
17. Essere visti per chi siamo davvero
18. Sei dove non sono io
19. Le scritte sui muri rimangono in eterno
20. Ci viviamo
21. Sii prudente con questo tuo cuore
22. Musica jazz, sigarette e amici di famiglia
23. Notti d'agosto al sapore di mare
24. Ciao amore, ciao
Non è mai abbastanza - Parte due
25. Il tempo passa
26. Bisnonna Silvia, sei eterna
27. Resta
28. E basta
29. All'ombra di un tramonto
30. Luce dei miei occhi
31. Ne è valsa la pena
32. Nuovo inizio
33. Roma, Amor
Epilogo
Ringraziamenti
Sogno - EXTRA
Scappare - EXTRA

15. Ne vale la pena?

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By CuoreAdElica







ALBA
Ischia, estate.







La vita è fatta d'incontri.
L'importante è viverli, rischiare.
Non sprecare occasioni, perché non tornano.
Vivere, conoscere, amare.
Il tempo non torna indietro,
Non ci viene restituito.
Si deve vivere.
E un po' di follia non deve mancare.
Si deve rischiare.
Magari si conoscerà una persona speciale.
Quella che definisco la persona giusta.













Allerta capitolo lungo.
⚠️




























Quando mi svegliai, sentii solo il rumore dell'acqua della doccia e il rumore dell'attracco delle navi nel porto. Mi sfregai le mani sugli occhi, mi strizzai rumorosamente. Vidi che vicino a me non ci fosse Riccardo, sfiorai le lenzuola sfatte e affondai con il viso sul suo cuscino, sentendo profondamente il suo odore.

Ero ancora nuda, mi coprii il seno con le coperte osservando il mare dalla finestra aperta da cui entrava il caldo asfissiante dell'estate e la brezza salmastra.

Non mi resi conto che lo scrosciare dell'acqua si fosse fermato, e, adesso, Riccardo aprì la porta, fece uscire da quella bolla in cui s'era rinchiuso il profumo fresco di felce e muschio del suo bagnoschiuma. Aveva un boxer addosso e l'asciugamano tra le dita per sfregarla sui capelli. Cercò un pantalone dal suo armadietto, poi si voltò a guardarmi convinto stessi dormendo, ma sorrise quando mi trovò sveglia.

Alzai una mano e lo salutai, stesi le labbra in un sorriso morbido e chiusi di nuovo gli occhi. Lo sentii ridacchiare, poi ci fu il rumore del letto che scricchiolava sotto le sue ginocchia e i suoi capelli umidi sulla mia guancia mentre si chinava a baciarmi la spalla, la tempia e poi le labbra.

«Ciao, bellissima», sussurrò.

«Ciao», mormorai, accarezzandogli i capelli.

«La tua colazione è già servita», sussurrò ancora, guardandomi negli occhi.

Mi accigliai e guardai dove lui indicò col mento. Sul tavolino, su un vassoio ordinato, giaceva un cappuccino, un cornetto farcito e qualche fragola vicino, accompagnato tutto da due peonie.

«Ma...», borbottai, «Dove... dove le hai trovate le peonie? Sono introvabili.»

«Mi sottovaluti, bambina», mi sorrise lasciandomi un altro bacio distratto quando lo guardai senza parole, si sollevò andando nuovamente in bagno e lasciandomi da sola.

Sospirai, non ponendogli ulteriori domande. Portai lo sguardo sul pavimento in cerca di qualcosa per coprirmi. «I miei vestiti?»

Lo sentii ridere dal bagno. «È una storia abbastanza divertente.»

Mi ricordai che la metà di loro erano rimasti in cucina e l'altra metà era da qualche parte nel corridoio. «Oh Dio, cos'è successo?»

«Stamattina, mentre tu dormivi una meraviglia, alla porta ha bussato Shira», ridacchiò per l'ironia del momento, mi portai una mano sul viso. «Fortuna tu non abbia sentito niente.»

«Mi vuole morta, non è così?»

Lo sentii ridere ancora.

«Dio, che imbarazzo», sussurrai, coprendomi il viso sotto le lenzuola, avrei preferito sotterrarmi e mai uscire da quel letto. «Era tanto arrabbiata?»

«Ha trovato la mia maglietta, la tua e il tuo reggiseno. Non lo so, vedi tu», rise ed entrò in camera con lo spazzolino tra i denti. Cacciò da un cassetto una maglietta e me la tirò addosso.

«Io non esco da qua dentro», lo guardai da sotto le coperte, con solo gli occhi da fuori.

«Che esagerazione!», mi solleticò il fianco, «Vedi che hanno visto di peggio.»

«Senti, smettila di trovare un lato positivo perché non c'è», Riccardo roteò gli occhi al cielo, palesemente divertito dal mio protestare, ritornò al bagno: «Quella mi vuole soffocare con il mio reggiseno! E chissà cos'ha pensato Keesi... non farmici pensare!», piagnucolai.

Sentii Riccardo sciacquarsi la bocca ed entrare in camera. «Davvero ti stai facendo problemi per una mia ex?»

«Un'ex che vorrebbe vedermi su una lapide e squartarmi, sì», alzai le sopracciglia. «Non voglio manco immaginare la sua faccia quando ha trovato i vestiti. Mi sento in colpa. E poi è figlia di quella donna così dolce...», dissi ancora, schiacciando la faccia sul cuscino, allargando sempre di più il problema. «Mi odieranno tutti, sono una stronza.»

«La smetti?», sbuffò, con divertimento. Mi venne vicino poggiando le ginocchia sul letto, stese il gomito vicino alla mia spalla. «Girati, dai.»

«No. Se mi giro tu mi convinci che non è così con quella faccia che hai.»

Riccardo rise più forte. Decise di afferrarmi contro il mio volere per i fianchi e mi capovolse tra le coperte, sospirai mentre lui mi toglieva i capelli dalla faccia e mi guardava ancora con un mezzo sorriso sulle labbra.

«Devi stare tranquilla», disse semplicemente, «Non ti odia nessuno, bambina. Seppur non mi dispiacerebbe tenerti chiusa qua dentro solo per me, non è possibile legalmente e quindi dovrai affrontare qualsiasi pericolo», disse con fare drammatico, ricevendo un'occhiataccia, «Keesi lo sa che sua figlia esagera, lo sa che io sono andato avanti per la mia strada e sa che non amo più sua figlia. Le piaci molto, invece. Keesi le vedeva le ragazze che mi portavo a letto quando se ne andavano la mattina. Non preoccuparti, sul serio, ti stai facendo problemi per niente», alzò le sopracciglia per un cenno di approvazione, sperò di riceverlo, ma ottenne solo maggiori obiezioni.

«Sì, okay Casanova, ma pensa a cosa pensa di me. Sono piombata dal nulla nel suo monolocale, caspita, penserà che sono una sciagurata.»

Riccardo scosse il capo. «Non pensa nulla di brutto su di te. Non lo penserebbe mai», mi portò una ciocca dietro l'orecchio, «Pensa che sei una ragazza bellissima e che faccio le migliori scopate con te», disse, dandomi un bacio a tradimento prima che potessi dargli uno schiaffo.

«Coglione.»

Egli rise, riscaldandomi il cuore. «Mangia e fatti grande», mi lasciò un altro bacio sul collo e si alzò.

Lo guardai infilarsi una canottiera blu alla rinfusa e scendere al locale scalzo, i suoi passi veloci risuonarono nel corridoio.

Infilai la sua maglietta e sospirai. A piedi nudi scesi sulla moquette bianca e mi diressi sul divanetto vicino al vassoio. Mangiai con gusto il cornetto farcito e le fragole. Avevo le gambe incrociate, lo sguardo sul porto più vivo che mai e il libeccio entrava in una folata oltre le tendine bianche.

Gustai il cappuccino odorando la peonia profumatissima. Sorrisi al solo pensiero che fosse uscito a cercarne una esclusivamente per me.

Andai nel bagno e mi diedi una rinfrescata dal caldo appiccicoso che colava dal cielo densamente quella mattina. Legai i capelli ricci in una mezzaluna, indossai i miei vestiti.

«Ti amo

Mi fermai di sana pianta nel bel mezzo del corridoio, intenta a sistemare la roba con cui avevo fatto colazione in cucina. Ormai mi conoscevano anche gli altri dipendenti.

«Smettila.»

«Perché non mi ascolti?»

«Perché non ne ho bisogno.»

«Invece sì. Ho capito i miei errori, Ric, ti prego. Dammi una seconda possibilità. Io ti amo da tutta la vita!»

Mi affacciai lentamente dall'angolo del muro, quello che separava il monolocale dall'interno del pub. Vidi Shira con le mani sulle guance di Riccardo, lui che le stringeva i polsi e la costringeva a toglierle dalla sua faccia.

«È arrivato il momento di guardare avanti, Shira. So che è difficile, lo è stato anche per me, ma non puoi restare accorata al passato. Hai una vita avanti, io non sono quello giusto per te, devi fartene una ragione.»

«E per chi saresti giusto?», si scostò indignata, «Per lei?», rise amaramente, ma con lo sguardo nervoso, sarcastico. «Credi che se ti conoscesse sul serio ti vorrebbe ancora?»

Riccardo scosse il capo, ridendo, si passò il polso sul labbro, «Alba è cosa mia, lasciala perdere. Sei veramente così gelosa?»

«No. Mi fa schifo quella ragazzina, ma mi fa anche pena. Non immagino come potrà mai sentirsi sapendo come mi hai trattata e cosa mi hai fatto passare. Credi che se le raccontassi tutto, ti amerebbe nonostante tutto? Come io faccio dopo tutto questo tempo?»

«Io non ti ho fatto proprio niente. Non dire 'ste cazzate, Shira.»

«Lo sa che hai una figlia?»

Cosa?

Una figlia? Riccardo ha una figlia?

Mi accigliai, boccheggiai cercando il respiro.

Una figlia?

Assorbii un gelo improvviso sulla mia pelle, sgranai gli occhi.

Riccardo indurì la mascella, la prese per il polso, facendole evidentemente male. «Non metterla in mezzo, stronza. Mia figlia non ha niente a che fare con te, né con Alba. Smettila di fare così, lasciami in pace.»

«Pensi che la tua piccola e innocente Greta vorrà ancora bene al suo papà sapendo che vuole andare avanti per la sua strada?», alzò le sopracciglia e poi gli guardò le labbra.

Per un attimo pensai che stesse per baciarlo.

«Greta mi conosce. È mia figlia, lo sarà per sempre. Tu devi starle lontano, capito?»

«Mi hai tradito con una puttana e ci hai avuto una figlia mentre stavi con me, Riccardo!» Si dimenò tra le sue mani, «Sei uno stronzo, pensi solo a te stesso! Glielo dirai a Greta, che tu e la sua mammina in realtà non siete mai stati insieme e non sapevate manco come vi chiamavate? Chissà cosa dirà quando capirà che sua madre era solo una scopata per te...»

«Smettila, Shira», disse lui, con serietà, «Devi lasciar stare la mia vita.»

«Poi non venire a piangere da me quando Greta ti odierà e quando rimarrai solo, ancora.»

«Non contarci», sorrise amaramente.

Shira lo spinse veloce, uscì dal corridoio.

Riccardo reclinò il viso all'indietro, si passò una mano sulla faccia. Quando fece per voltarsi e venire verso di me, io indietreggiai, ma il suo cellulare squillò, distraendolo.

Fissò lo schermo e strinse le labbra. Cliccò la cornetta verde e si portò il display all'orecchio, «Ciao, bimba mia», sorrise, poggiandosi alla parete.

Si sentiva molto poco di quello che diceva la bambina.

«Eh, amore di papà, oggi lavoro. Non posso portarti con me, mi dispiace... perché ti annoi dai nonni?», mormorò, grattandosi la guancia, «La mamma? Dov'è?», poi annuì alzando gli occhi al cielo, «Va bene, dille di chiamarmi dopo che le devo parlare... no, bimba, non voglio litigare di nuovo con lei», si passò una mano tra i ricci, «Scusami, bimba, ti prometto che domani passiamo più tempo insieme, ti porto a mangiare il miglior zucchero filato dell'isola, okay? Non piangere, amore, dai... ti devo lasciare, stai con la nonna su, aiutala. Ti chiamo tra poco, voglio sapere quello che hai fatto. Sì, ti voglio bene anch'io, amore. Ciao, ciao.»

Dopodiché attaccò e riportò il cellulare in tasca.

Appena intuii stesse per avvicinarsi al monolocale, corsi verso il divano nuovamente.

Quella notizia mi destabilizzò, mi stritolò lo stomaco. Non sapevo cosa stessi provando. Sapevo che probabilmente mi sarei dovuta vergognare per come erano andate le cose, ma sapevo anche che arrabbiarmi e strillargli addosso era da insolenti, da immature. Inizialmente, pensai che fosse meglio piantarlo in asso, prendere la mia roba con una scusa e lasciarlo stare per sempre, che gli avrei scombinato la vita e lui avrebbe facilmente scompigliato la mia... ma, in realtà, desideravo così tanto che mi entrasse nella vita che scappare via passò all'ultimo posto di una lista infinita.

Avrei dovuto rendermi conto che tutto ciò era sbagliato, che forse non dovevo essere lì, che quella situazione era del tutto irrazionale per me e per lui, era un rischio.

La domanda apparì spontaneamente nella mia testa: quanto sono disposta a rischiare per lui? Ne vale la pena per uno come lui?

Lo vidi entrare nel monolocale e sentii i nodi nella gola defluire nello stomaco, impigliandosi tra loro e creando un gomitolo infinito.

Mi sorrise. «Hai fatto colazione?»

Senza pensarci troppo, dissi: «Dobbiamo parlare seriamente, chiudi la porta.»

Lui parve confuso, ma, senza ribattere, chiuse la porta e si avvicinò titubante. «Di cosa vuoi parlare?»

«Di te.»

«Di me

«Mi hai detto tutto su di te?»

«No, tutto proprio no...», si accigliò, appoggiandosi allo schienale del divano su cui ero seduta.

«Ma mi hai detto tutte le cose più importanti?»

«La maggior parte, sì.»

Io sospirai, mi mordicchiai il labbro. «Però non mi hai raccontato nulla di tua figlia...»

Riccardo incatenò gli occhi ai miei. Sentii il silenzio incombere nella stanza come un macigno enorme. Riuscii a vedere lo sconforto sulla sua faccia, lui sospirò rilassando le spalle, si portò una mano sulla fronte e si grattò il sopracciglio con il pollice.

Capii che lui non voleva farmi sapere niente di sua figlia. Lo capii dalla fragilità del suo sguardo. Capii che forse aveva intenzione di lasciarla fuori, forse proteggerla.

«Hai sentito, vero?»

«Ho sentito Shira. Ho sentito la chiamata», mormorai sinceramente.

Lui annuì, deglutì e poggiò le mani sullo schienale.

«Chiariamo le cose: lo capisco se non vuoi imbatterti in questa situazione, nemmeno io mi ci imbatterei. Quindi sei libera di andartene, prima che le cose possano diventare più serie, per me soprattutto. Perché se continuiamo a vederci e tu non sei sicura di questa cosa che abbiamo — perché, almeno io, non posso negarlo che qualcosa c'è —, personalmente, non sarò in grado di superarla così in fretta. Prima che decidi di mandarmi a far fottere, dimmi le tue intenzioni.»

Lo capivo.

Riccardo non era uno di quelli che s'apriva facilmente su cose personali consapevole che, poi, quella persona lo avrebbe lasciato andare. Non avrebbe mai parlato di sé con qualcuno di possibilmente estraneo.

«Non mi piacciono le bugie, Riccardo», mormorai, «E ti mentirei se ti dicessi che non ho pensato di andarmene via, che era una cosa troppo estrema persino per me. Ma sono pur sempre quella bambina che si è buttata nelle onde a quattro anni», ridacchiai, facendo sorridere anche lui, «E ti mentirei ancora se ti dicessi che, invece, non voglio avere niente a che fare con te. La realtà è che a me piaci, e non in una maniera indifferente come avrei sperato...», strinsi le labbra, «Mi piace stare con te. Però voglio sapere tutto, non mi piace scoprire le cose in questo modo. Mi avevi detto di non volere figli, e invece vengo a sapere che ne hai una...»

«Vuoi davvero sapere tutto?»

«Ovvio che voglio sapere. Voglio che tu ti senta a tuo agio con me, non è giusto per te stesso. Non ti giudicherò, Riccardo, non sono quel genere di persona.»

Egli mi guardò intensamente. I brividi a ripresentarsi sulla mia pelle. Sospirò e abbassò lo sguardo. «Greta ha due anni», cominciò, con un sorriso tenero, «Tutti dicono sia uguale a me, ha due occhi marroni grandi quanto una casa e dei capelli biondi bellissimi», la descrisse con fierezza, «Ha un caratterino abbastanza tenace, le piace ottenere le cose che vuole, e a me piace viziarla... forse sbaglio, ma ho paura che creda che non le voglia bene», ammise, «La madre si chiama Anna. Sono stato stronzo come mio padre, ed è per questo che mi odio tantissimo. Anna è rimasta incinta dopo una sola sera che siamo stati insieme. Non è una puttana, come credo tu abbia sentito. Andavamo a scuola insieme da piccoli, ci conoscevamo già. L'ho incontrata ad una festa, ero mezzo sbronzo, le cose tra me e Shira non andavano bene da un pezzo. Sì, è vero, l'ho tradita come un vigliacco, ed è uno dei rimpianti che ho della mia vita», non mi guardò, «Anna mi ha rivelato di essere incinta un mese dopo, che manco mi ricordavo fossi stato con lei. Mi disse che non lo voleva, che non aveva tempo, che era veramente troppo presto. Però, in qualche modo, mi sentivo in colpa a farla abortire. Era stata anche colpa mia, soprattutto mia. Farle passare le pene dell'Inferno per colpa mia era troppo. Insieme abbiamo deciso di continuare la gravidanza, in quel periodo Shira lasciò Ischia dopo averlo scoperto, ma io non ci rimasi male, le cose non funzionavano più, fingere di stare ancora bene insieme era da stupidi», raccontò, facendo il giro del divano e sedendosi vicino a me. «Decidemmo di chiamarla Greta perché significa "persona preziosa", ed io volevo che questa bambina ottenesse tutto il bene del mondo, tutto quello che io posso darle. Anna d'inverno e in autunno va a Ponza, per l'Università, mentre io sto con Greta e mi aiutano a guardarla anche Geppa e Tonio e mia mamma», mi disse, «In primavera ce la dividiamo un po', anche se litighiamo ogni volta. D'estate dovrebbe stare con Anna, ma lei non se ne importa tanto e finisce sempre dai suoi nonni, che sono dei rompicoglioni assurdi. Mi sento in colpa quando mi chiama in lacrime, Anna lo sa che lavoro d'estate e a maggior ragione dovrebbe stare con Greta, ma dice che se la vede lei con sua figlia», sospirò, grattandosi il collo, «Ti ho detto di non voler figli perché non credo di riuscir a essere il padre di altri bambini. Mi è difficile essere quello di una bambina, figurati di altri due», fece spallucce, «E poi a stento riesco a portare mille euro a fine mese ad Anna che mi chiama per gli alimenti puntualmente.»

Io sospirai, lo guardai. Allungai la mano sulla sua e gliela strinsi. Lui sorrise socchiudendo gli occhi, mi carezzò le nocche con il pollice e guardò la stretta che gli diedi. Sperai di dimostrargli più di quanto pensassi.

«Ti dispiace se ti dicessi che vorrei conoscerla?»

Lui sollevò le iridi sulle mie con sorpresa. «Dici sul serio?»

«Sì. A me non dà fastidio, anzi. Credo che Greta sia fortunata ad averti come papà, si capisce da come ne parli che ci tieni sul serio. E poi lo vedo anche dai sacrifici che fai tra i mille lavori, adesso capisco perché ti ostini a lavorare tanto... lo fai anche per lei», gli accarezzai la mano, le dita.

Riccardo sorrise con malinconia. «Non voglio farle mancare niente. Mi si spezza il cuore sapendola triste perché non le ho potuto comprare qualcosa che desidera tanto... la mia assenza la sente, Alba, ed io non faccio altro che avere paura, per me e per lei. So quanto sia difficile avere dei genitori assenti, solo da quando ho Greta capisco i tentativi di mia madre e detesto averla odiata da bambino, quando mi lasciava sempre con i miei nonni o da Geppa e Tonio... non voglio essere come mia madre.»

«Andiamo», dissi d'un tratto, alzandomi, «Muoviti, accompagnami cinque secondi a casa che mi metto qualcosa di pulito e poi la andiamo a prendere.»

«Che? Alba, non posso non lavorare oggi. Tuo padre mi uccide.»

«Non dire sciocchezze. Ci parlo io con lui, tu muoviti», lo tirai per il braccio.

«Alba, non dire stronzate.»

«Fidati di me», gli sorrisi, «Fai felice sia me che tua figlia. Forza!»

«Giuro che non so se riempirti di baci o ignorarti.»

Presi le chiavi del suo motorino, il mio cellulare e lo trascinai dietro di me. Riccardo rise sottovoce, prima di sbucare nel locale si allungò per afferrarmi il bacino e stamparmi un bacio sul collo e sulla guancia.

Gli sorrisi e mi voltai per dargli un altro bacio.


Riccardo parcheggiò il motorino accanto ad un marciapiede. Si tolse il casco, si portò i ricci all'indietro in un gesto automatico e mise il cavalletto.

Una volta accompagnata alla Villa, corsi a cambiarmi e mettere qualcosa di più presentabile. Mi ero docciata alla velocità della luce e feci un trucco leggero, l'abbronzatura cominciava a giovare il mio aspetto. Scesi le scale quasi volando, Riccardo parlava con mio padre in maniera tranquilla.

Mamma, mentre se ne stava seduta con le gambe nude sulla poltrona, un vinile di Sinatra acceso e un libro di Pasolini sulle cosce, mi guardava con un sorriso nascosto. Pareva voler dirmi qualcosa. Mi fece un occhiolino ed io le sorrisi con contentezza.

«Dai, andiamo», tirai per il braccio Riccardo, le mani a stringergli il gomito.

Mio padre scosse il capo. «Andate, va'. L'affido a te, Riccà, mi raccomando», gli diede una pacca sulla spalla.

Qualche minuto dopo, eravamo per le strade di Ischia a viaggiare con l'aria ingolfata di sale addosso, il mio cuore batteva forte contro la sua schiena, le braccia legate al suo petto e la sua mano mi cingeva il polpaccio, un simbolo di affetto.

«Mi aspetti qui?», chiese, alzandosi dal sedile, «Guarda, è proprio lì», indicò la casa di fronte a noi, con un giardino minuto e un cane che abbaiava nella nostra direzione.

«Okay», sorrisi, con leggerezza.

Riccardo mi guardò quando mi appoggiai con la schiena alla capsula per i caschi. «Vieni qui», disse, riavvicinandomi a lui.

«Che?»

«Dammi un bacio», mi prese per il mento facendomi alzare il viso, si piegò su di me ed io, ridacchiando, mi allungai per lasciargli un bacio dolce sulle labbra.

Si allontanò poco dopo, attraversò la strada e, dando una carezza al cane che gli era andato incontro, bussò al portone un paio di volte per poi incrociare le braccia al petto nell'attesa. Esso si aprì, sbucò il profilo di un uomo esile e dai capelli biondi mezzi bianchi, la fronte appena sporgente e raggrinzita, gli fece un cenno con il mento, sembrò stranito di vederlo. Mi parve di sentire qualche parola, ma parlò solamente in napoletano e mi risultò difficile capire tutto.

Fui certa che gli domandò il motivo di quella visita, perché non fosse a lavoro e come sapeva che Greta si trovasse da loro. Riccardo rispose con pacatezza, anche se il tamburellare del tallone sul pavimento di pietra non garantiva la sua completa tranquillità.

Dopo qualche secondo, Riccardo aprì le labbra in un sorriso e si abbassò sulle ginocchia allargando le braccia. Un bambina ci sfrecciò dentro come se fosse fatto di piume, era corsa da lui tentennante, con le gambine corte e un sorriso enorme. I loro capelli si mischiarono; ricci, folti e biondi. La bambina gli strinse le braccia al collo come se gli volesse entrare nel petto.

Riccardo le diede un bacio sulla guancia e le sistemò la gonnellina, le disse qualcosa che la fece emozionare a tal punto da rigettarsi nuovamente nelle sue braccia. Riccardo se la strinse al petto, si alzò e salutò i genitori di Anna. Poi lui la incitò a fare lo stesso, allora Greta salutò i nonni e anche il cane, il tutto continuando ad abbracciare il papà.

Riccardo attraversò la strada.

«Greta, vuoi conoscere una persona?»

Greta, con un'espressione vispa, annuì, le manine chiuse sotto il mento. Riccardo le sistemò la frangetta bionda e, con un saltello, se la voltò tra le braccia. «Lei è Alba», mi indicò.

Greta si girò con gli occhi grandi, sorrise subito sentendo il mio nome. Mi salutò con la mano, chiudendola e aprendola teneramente. Allungò le braccia come se volesse venirmi immediatamente in braccio.

Riccardo, sorpreso, acconsentì. La presi in braccio e le sorrisi, «Ciao, Greta», le accarezzai le guance.

«Fiori!», disse, con una voce a dir poco dolce, emozionata, s'indicò la gonnellina a motivi floreali.

«Ti piacciono i fiori?», alzai le sopracciglia, interessata.

«Tanto tanto.»

«Lo sai che piacciono anche a me?»

«Abba!», sorrise poggiando la testa sulla mia spalla.

Riccardo ridacchiò per come avesse pronunciato il mio nome. «Stai ferma, che ora devi mettere il casco», disse, afferrando un casco rosa e piccolo.

Greta s'imbronciò, stringendosi a me. «No! Niente casco!», piagnucolò, «No, papà!»

«Sì, papà, invece», alzò le sopracciglia Riccardo, tentando di essere minaccioso, ma non ci riuscì del tutto quando Greta tirò fuori il labbro.

«No!», si dimenò, appigliandosi a me.

«Greta, su. Se non ti metti il casco non ti porto in un bel posto. Vuoi stare con papà

Greta si mordicchiò il pollice, con una lacrima sulla guancia. «... Sì», disse sottovoce, dolcemente. «Abba, vieni anche tu?»

Io annuii.

Allora, Greta, guardò il casco e si allungò con le mani per afferrarlo. Se lo infilò con sicurezza; Riccardo, nascondendo un sorriso, glielo allacciò.

«Brava», le diede un bacio sulla fronte. Se la prese in braccio, si sedette davanti a me, «Stringiti a papà, eh. Ci sei, Alba? Stringiti anche tu, che andiamo lontano.»

Mi strinsi alla sua schiena, non me lo doveva nemmeno dire, tanto io mi sarei stretta a lui ugualmente. Greta, nel frattempo, aveva preso a canticchiare una canzoncina tutta sua.

Partì nuovamente. Il tragitto fu lungo. Ostacolato da semafori, vento caldo e le risate di Greta a ciò che gli diceva Riccardo.

Giungemmo a Sant'Angelo dopo mezz'ora. Greta scorrazzò giù, cominciò a correre malamente per il parcheggio. Riccardo si tolse il casco e le afferrò la mano, portandosela vicino. «Devi stare vicino a me, Gre, quante volte te lo devo dire?», la rimproverò prendendosela in braccio, le aggiustò i capelli scompigliati dal vento.

Scesi anch'io, non aspettai Riccardo, e piuttosto sistemai io i caschi nel bauletto.

Riccardo tolse le chiavi dal quadretto e le infilò in tasca. Mi prese per mano, facendo scivolare le dita tra le mie, mi trascinò con sé. «Mi sembra familiare, com'è che si chiama qua?», chiesi, stringendogli il braccio.

Riccardo mi lanciò un'occhiata con un sorriso, «Gre, dille tu dove siamo, Alba non è di Ischia.»

Greta mi guardò. «Sant'Angelo. Andiamo in spiaggia, papi?»

Ricordai fosse dove mio padre mi portava a fare i primi bagni quand'ero piccolina, avevo forse l'età di Greta. Ci mancavo da anni, fui felice di essere lì con loro. Sentivo di essere nel posto giusto al momento giusto, non avrei cambiato niente di quei momenti.

«Vuoi andare in spiaggia? Vedi che tira vento, farà freddo», le disse.

«Conchiglie!» Applaudì velocemente, insistendo.

«Vuoi raccogliere le conchiglie?», Greta annuì, «Allora ci andiamo, ma solo per qualche mezz'ora, eh, che poi dobbiamo andare da Luciano.»

Greta «Evviva!»

Camminammo vicini, vicinissimi, come se lo avessimo fatto già per una vita intera, e chiacchierammo fino a quando non raggiungemmo la zona pedonale. Greta mi prese per mano, si avvinghiò al mio vestito.

Le accarezzai i capelli e lei mi sorrise con la stessa luce che abitava nelle iridi di Riccardo.

Il mare, lì, s'imbatteva nelle scogliere, s'incrostava sul pelo, la schiuma diveniva bianca e imperlata. La superficie blu cobalto s'inchiodava ai miei occhi come una calamita. Il mare era bellissimo. E la frastagliata vegetazione, composta da fiori ed erbe selvatiche, si arrampicava sui muri grigi. Sant'Angelo era alternata tra ristoranti gourmet e negozi di souvenir che sorgevano lungo la discesa liscia, che portava al mare. Girando a destra, la strada si apriva in una piazza enorme. Una via portava alla spiaggia, l'altra portava a ristorantini e gelaterie.

Greta corse impacciata verso la spiaggia. Prima che Riccardo potesse afferrarla, io le andai vicino e la presi in braccio, le feci il solletico e lei rise. Una risata contagiosa, quasi quanto quella del padre. Con attenzione, scesi le scale, la feci sedere su uno scalino, «Togliamo le scarpette, che dici?»

Lei annuì armeggiando con i laccetti dei suoi sandaletti. L'aiutai, fino a liberarle i piedini. La spiaggia era vuota, si sentiva solo il rumore del mare che rincorreva il vento e si scagliava sul fianco degli scogli o sulla battigia color senape.

La sabbia mischiata a pietrine e sassolini solleticava le piante dei piedi. «Forza, va' a prendere le conchiglie. Non ti allontanare troppo, però.»

«Le prendi con me?», si indicò, portandosi il pollice nella bocca.

«Ti raggiungo tra pochissimo. Tu inizia a prenderne qualcuna», la incoraggiai.

Greta, dopo avermi sorriso, corse via alzando la sabbia e si chinò per esaminare la riva coperta da un tappeto di piccolissime pietre.

Mi alzai e mi tolsi i granelli di sabbia dal vestito, dalle mie dita penzolavano i sandali di Greta.

«Le stai simpatica», udii Riccardo, mi venne vicino circondandomi i fianchi con il braccio.

«Ha solo due anni, Riccardo, non penso riesca ad avere una concezione di simpatia e antipatia», ridacchiai e lui mi lasciò un bacio sulla nuca.

«Però riesce a percepire quando una persona è bella dentro. Sai, si dice che i bambini riescano a vedere veramente le anime degli adulti. Proprio come gli animali», il suo respiro mi sfiorò la pelle del collo, poggiò il mento sulla mia spalla.

«Chi può dirlo? Ha conosciuto altre tue ragazze?»

Riccardo assottigliò le palpebre, divertito. «Io non ho avuto altre ragazze.»

«Bugiardo. Non ha conosciuto Shira?», gli diedi una gomitata amichevole.

«Sì. Ma ci sono certe persone che non hanno l'istinto materno», mi tolse una ciocca dal viso, portandola dietro all'orecchio, mi guardò tutta, alzò piano l'angolo delle labbra. «Dato che citi tanto le tue amate canzoni e i tuoi amati cantanti...», iniziò, attirando la mia attenzione, «Hai sentito mai parlare di un certo Luchè

Io aggrottai la fronte. «No. Ma, dal suo nome, intuisco sia partenopeo, o no?»

«Perspicace», ridacchiò, prendendomi in giro, lo scimmiottai. «C'è una canzone che si chiama "Non abbiamo età"», mi informò, «C'è una frase che parla di come un ragazza lo faccia sentire nuovo. Lo fa sentire come se non avesse mai avuto ex, come se non avesse mai fatto sesso», pronunciò piano, inchiodando gli occhi nei miei, una tortuosa ipnosi. «Ecco. Sai, tu mi fa sentire un po' così. Un po' nuovo, un po' senza esperienza.»

Scossi il capo, sorrisi mordicchiandomi il labbro. Mi obbligai a guardare il mare, la figura di Greta correva avanti e indietro per la riva bagnata con le manine sporche di sabbia.

«Vorrà dire che forse ascolterò questa canzone», dissi, feci la misteriosa.

Lui mi sorrise e mi fece un occhiolino, mi prese di nuovo la mano e mi portò con sé. «Gre, fa' vedere che hai trovato!», urlò.

Greta corse verso di noi, orgogliosa, con le mani imbrattate e un sorriso gioioso. «Guarda! Conchiglie!», aprì i palmi, «Vieni con me adesso?», mi guardò speranzosa.

Io annuii felice. Tolsi le scarpe e le passai a Riccardo con un sorriso stretto. Lui sospirò e le strinse assieme a quelle di sua figlia. Nel frattempo Greta raccomandò a suo padre di non perdere le sue preziose conchiglie.

Ci mettemmo a sfilare tra le vibrazioni del mare che rimbalzavano sotto i nostri piedi, ci bagnammo le dita e raccogliemmo tantissime pietre, ci consultavamo in ogni scelta, sorridevamo e ridevamo.

Riccardo si sedette sulla sabbia. Le ginocchia alzate con sopra le sue braccia, giurai di averlo visto farci un video mentre giocavamo a non farci toccare dall'acqua: quel gioco di mio padre.

Con le mani grondanti, corremmo da Riccardo. «Papà! Guarda! Guarda quante!», disse elettrizzata Greta.

Riccardo con le sopracciglia alzate in una sorpresa e curiosità da genitore — quella curiosità che si regala ai bambini per renderli felici, solo per far capire ai propri figli che erano veramente orgogliosi della loro scoperta —. «Che belle, amore mio», le sorrise dandole un bacio tra i capelli mentre lei si chinava per contarle male — da uno passava a dodici senza sapere come —, le diedi anche quelle che avevo pescato io.

«Questa grande la do a te, perché sei il mio papà supereroe!», esordì, con felicità.

«Ti ringrazio», ridacchiò.

«Questa verde la do a te», si girò verso di me, saltellando, «Guarda! È come gli occhi!», mi indicò con una allegria.

Vedere i bambini godersi le piccole cose era una sensazione che portava magia nello stomaco.

Io le sorrisi. «Grazie», le accarezzai la testolina.

«E questa la do a mamma...», la fece vedere a Riccardo, egli strinse le labbra annuendo. «Ti piace?»

«Sì. Piacerà anche alla mamma, se non le piacerà la daremo alla nonna. Okay?»

Greta annuì. «Posso portarle anche a Geppa e Tonio?», chiese, raccogliendone alcune.

«Non saprei, lavorano anche loro...», prese le sue manine, le liberò dalla sabbia. «Poi vediamo, fidati di papà», provò a tirarle sù il morale dandole una carezza sotto al mento.

Io deglutii e mi sedetti sulle ginocchia. Vidi Greta con gli occhi lucidi, «Facciamo una cosa», le presi una manina. Riccardo mi guardò, «Oggi pomeriggio ti va di giocare con dei bambini?»

Greta annuì.

«Ci sei mai stata in piscina?»

Greta negò.

«Allora oggi stai con me. Ti faccio conoscere il mio fratellino e i miei cuginetti. Stai con loro. Così puoi dare le tue conchiglie a chiunque.»

Le su si illuminarono gli occhi, ma prima che Greta rispondesse, Riccardo intervenì: «Non può.»

«Cosa?»

«Perché?», sussurrò Greta, flebilmente.

«Alba, non posso lasciarti fare questo.»

Io mi accigliai, non capii capire. «Ma che dici?»

Riccardo voleva dirmi qualcosa, voleva dirmi altro, ma si limitò a stringere le labbra, guardò sua figlia. «Ti devo riportare dai nonni.»

«Non è vero», dissi attirando l'attenzione di Greta.

«Alba, non puoi», continuò lui.

«Non m'importa», alzai le sopracciglia, guardandolo. «Oggi ti divertirai con me, Greta, e tuo padre lavorerà», gli sorrisi.

Greta ciondolò sui talloni. Riccardo si grattò la guancia, «Posso, papi?»

Riccardo guardò me, poi guardò Greta. Sospirò restio, rilassò le spalle. «Sì, certo che puoi, amore».

Pranzammo ad un ristorante di Casamicciola, era un amico di famiglia Luciano, era accogliente, gentile con chiunque. Greta non smise di chiacchierare nemmeno un attimo, mi aveva raccontato di tutto, di ogni aspetto della sua vita: della sua amica Stefania, del suo asilo, di sua mamma, mi aveva raccontato dei suoi cartoni preferiti. Riccardo la guardava sempre con un sorriso addosso, le riservava sempre qualche carezza.

Tornammo alla Villa.

Greta mi stava incollata alle gambe, Riccardo portava tra le dita i nostri sandali. Le accarezzai i capelli e la presi in braccio, tranquillizzandola con un sorriso.

Fu facile far capire alla mia famiglia che quella tenera bambina fosse la figlia di Riccardo. Sapevo fossero tutti apprensivi, ero stata fortunata, non avrebbero mai giudicato Riccardo.

Mio padre sorrise a Riccardo, «Hai una figlia bellissima, Riccardo, perché non ce lo hai detto sùbito?»

«Non pensavo fosse importante. Non ho molto tempo per lei in questo ultimo periodo. Non volevo disturbare. Sarei stato in grado di portarmela dietro ovunque, ma non potevo», disse, si strinse nelle spalle muscolose con le mani nelle tasche.

«Sciocchezze! Questa meraviglia può venire qui quando vuole», gli sorrise mamma, avvicinandosi a Greta, ch'era ancora in braccio a me, per darle una carezza sul viso, «Non disturberete mai, Ric.»

Papà annuì. «Oh, e poi t'assomiglia troppo! Stessi occhi, guarda là», ridacchiò, facendo ridere anche me.

In quel momento lo capii.

Greta era il punto debole di Riccardo. Era iperprotettivo, la teneva sempre d'occhio, le sorrideva anche da arrabbiato e la proteggeva con uno sguardo. Greta lo guardava alla stessa maniera, con una felicità immensa. Ogni figlia dovrebbe avere un padre come Riccardo, sempre accorto e dolce. Pensare che non ne voleva avere più, di figli, era come una dolente pugnalata. Ma capivo anche che aver avuto Greta in un periodo difficile era stato un trauma, una difficoltà per lui.

Mi aveva raccontato di come si sentiva in colpa per i dolori che provava Anna e di come si lamentava. Mi aveva raccontato di come avrebbe voluto prendersela lui nel grembo al posto di Anna, piuttosto che farle avere quei tormenti. Mi aveva parlato di come non osava mai dormire nel letto assieme a lei, perché lei non voleva, ma nonostante ciò rimaneva seduto su una sedia tutta la notte, vegliando su entrambe. Mi raccontò di come, il giorno del parto, era stato in uno stato di ansia spaventoso, che non riusciva a calmarsi e lo innervosiva la minima cosa. Mi raccontò di come non sopportava Anna e la sua voglia di far distaccare in tutti in modi lui da sua figlia. Mi raccontò di come non sopportava la mancanza di maternità da parte sua, che non riusciva a capire quando Greta avesse fame, quando doveva essere cambiata o quando doveva dormire. Mi aveva raccontato di come aveva fatto nottate intere in ospedale per i problemi respiratori di Greta, poiché soffriva d'asma, e della sua continua febbre, quando, invece,  Anna ne approfittava per andare a ballare.

«Andiamo a mettere il costumino?», le dissi, sorridente.

«Sì! Dovrei avere dei costumini bellissimi di Alba di quando era piccolina, adesso li vado a prendere», mamma mi passò Greta.

Lei mi abbracciò, contenta, Gioele la fissava curioso assieme ai suoi due cuginetti.

«Saluta papà che adesso andrà a lavorare mentre noi ci divertiamo», solleticai Greta. Lei alzò la manina e gli sorrise: «Ciao, papà», dissi ridendo, «Ciao, ciao», ripetette Greta.

Riccardo mi guardò e scosse il capo, mi fece un occhiolino e salutò Greta dandole un bacio sulla fronte.

Greta scelse il suo costume, uno rosa. Fu semplice scoprire che il suo colore preferito fosse proprio quello. Con mamma scelse dei braccioli, nel mentre io mi ero chiusa nel bagno per mettere il mio di costume.

Con Greta tra le braccia, tutta sorridente per il suo costume, scesi nuovamente in giardino. Papà si era chiuso di nuovo nello studio, mamma prendeva il Sole con un libro sulle gambe, Gioele ci venne incontro.

«Lele, presentati a Greta. Anche voi, forza bambini», li incitai piegandomi sulle ginocchia.

«Ciao, Greta. Sono Gioele, puoi chiamarmi Lele. Ti va di giocare con me?»

«È piccolina, Lele. Fa' attenzione. Io vi guardo da bordo piscina», sorrisi mentre lui le prendeva la manina, gentilmente, cominciò ad elencarle tutti i suoi hobby come se lei ne sapesse qualcosa di Star Wars e Percy Jackson.

Tolsi le infradito e lasciai cadere le gambe nell'acqua piena di cloro della piscina, Riccardo passò di lì. Gioele e Greta si divertivano a spararsi con le pistole d'acqua ed io li guardavo attenta, ma Gioele sapeva come comportarsi, era un bambino responsabile ed estroverso, faceva amicizia anche con i muri. Era dotato di un'ottima capacità di adattamento, sapeva come essere simpatico a chiunque.

I miei occhi calamitarono quelli di Riccardo. Il suo sguardo si sciolse sulla mia figura, lungo il mio petto, sulle mie braccia, sulla mia pancia e sulle mie cosce. Lo avevo visto respirare piano, poi indurì la mascella.

Poco dopo mi venne vicino, io guardai i miei piedi roteare nell'acqua. Si chinò sulle ginocchia, «Scusami per prima.»

«Per esserti comportato da stronzo?», mormorai, sospirando, «Tranquillo mi ci sono abituata ai tuoi atteggiamenti di merda.»

«Per questo mi dispiace», ripetette. Cercò il mio sguardo in tutti i modi. «Non sapevo come l'avrebbero presa i tuoi... e—»

«Perché pensi che tua figlia sia una condanna?», sbottai, girandomi verso di lui, riuscii a guardarlo veramente negli occhi, «Greta non è una sfortuna, Riccardo. Non dovresti averne vergogna.»

«Chi dice che ne ho vergogna?», si accigliò, sulla difensiva. «Non provare a far credere a mia figlia questo genere di cose.»

«Te pensi io sia scema? Pensi che sia come Shira? Che faccio di tua figlia un tuo sbaglio? Un modo per ricattarti?», gli puntai il dito contro, «Ti rispondo io: no. Penso che i figli siano la cosa migliore che possa accadere ad una persona. Cavolo, Riccardo, ha il tuo stesso sangue. Non potrei mai farle una cosa del genere, a lei e quantomeno a te. Sii felice di avere dei figli, Riccardo...»

Riccardo sospirò. «Io amo mia figlia», calcò quella parola come una verità troppo potente. «Ma non posso permettere che lei ami anche te.»

Schiusi le labbra. «Eh?», alternai gli occhi nei suoi.

«Sì. Non puoi farla affezionare a questo, a te», sospirò. «Te ne andrai, Alba. Non fingiamo di non saperlo. Sarà difficile per chiunque, per me e per mia figlia. Non posso sopravvivere all'inverno con la consapevolezza che tu, magari, ti sei dimenticata di questi momenti. Perché per noi due, per me e Greta, questo non potrà più accadere», mi spiegò con una crudezza bastarda, mi si gelò il sangue. «Tu non sei fatta per me. Non sei fatta per quello che ti posso dare io. Sei destinata a cose più grandi e sfarzose. Io non posso darti più di una spiaggia e un piatto da venti euro», ridacchiò, «Giuro che ti lascio farmi innamorare, ma non farlo con mia figlia. Preferisco che lei non soffra quanto soffrirò io», abbassò lo sguardo, rimanemmo in silenzio entrambi, un silenzio che accettava tutto quello, un silenzio consapevole, non potevo contraddire ciò che aveva detto Riccardo.

Aveva detto la verità. Non eravamo fatti per restare in eterno. Eravamo due meteore. Due ricordi vaghi di un passato nefasto.

Deglutii.

Riccardo si schiarì la voce. Mi prese la mano e se la portò in mezzo al petto. La fece aderire tra le sue mezzelune del petto. Io trattenni il respiro, sentii la sua pelle viva sotto le mie dita. Alzai le pupille, incontrai le sue. «Te l'ho detto», disse lui, «Sono tuo. Anche se farei di tutto per non esserlo.»

Io ammiccai un sorriso.

«A che giorno siamo?»

«Ventotto luglio», disse.

«Questo ventotto luglio voglio che duri un altro po'», ridacchiai. "Un altro po'", avevo detto, ma pensavo "Per sempre". «Puoi riuscirci?»

Riccardo annuì. Si avvicinò, raggiunse la mia guancia. Fece per baciarmi, ma prima di farlo, gli chiesi: «... abbiamo ancora un mese e una settimana, Riccardo. Non lasciarmi andare adesso. Voglio viverti bene

«Promettimi che entrerai in quell'Università e che la prossima estate non ti porterai dietro un altro uomo», mi strinse la guancia, reclinandomi il viso e guardandomi negli occhi.

«Sarai il primo a saperlo se entrerò», gli sorrisi con sincerità, «... non credo ci sia altro uomo che possa farmi sentire in questo modo.»

«Io credo di sì», mi assicurò Riccardo, «Non posso essere l'unico stronzo a vedere quanta bellezza contieni dentro e fuori. C'è un vero uomo, da qualche parte, che sta solo aspettando che io mi levi dai piedi.»

Io scossi il capo.

«Tu promettimi che avrai altri figli.»

«Non te lo posso promettere.»

«Perché?»

«Non sono pronto e non lo sarò mai.»

«Ma se mai accadesse, assicurati che quella donna sia quella giusta. Sii felice di dare il tuo cognome ad una persona nuova», gli sorrisi.

«Ti farò sapere se mai dovessi avere altri figli.»

Io annuii.

Non aspettai altro: mi fiondai con le labbra sulle sue. Riccardo mi tenne il mento e accarezzò lentamente la mia bocca, premetti le labbra contro le sue e la mia mano scivolò sulla sua guancia e nei suoi capelli.

Quel bacio sapeva di speranza, sapeva di ricordo, sapeva di ingiustizia.

Respirai il profumo che lasciavano i suoi capelli e mi staccai un secondo dopo. Lo guardai negli occhi con una consapevolezza lapalissiana. Lui fece lo stesso, sospirò e strinse le labbra in un sorriso sghembo: «Adesso meglio che vado a lavorare. Grazie per tener d'occhio Greta.»

«Figurati», gli sorrisi.

Restai ferma, i bambini si divertivano e pensai, pensai che forse aveva ragione Riccardo, che avrei sofferto quasi quanto lui la distanza che ci sarebbe stata tra di noi. Aveva ragione, c'era un pericolo imminente che non avevo preso in considerazione.

Mi stavo innamorando. E non potevo impedirlo.

Riccardo stava incidendo il suo nome sul mio cuore con lo stelo ruvido di un albero, mi faceva sanguinare e nel frattempo mi baciava per non farmi sentire dolore. Quando i suoi baci non ci saranno stati più, il dolore mi avrebbe invasa completamente, mi avrebbe colta alla sprovvista. E, da stupida, io non lo avrei impedito. Riccardo stava diventando più di qualcuno, stava diventando un'orma, un viso da ricordare per sempre.

«Mamma», sentii un sussurro mentre mi alzavo dall'acqua, mio fratello era corso vicino nostra madre, che leggeva ancora, «Mamma, Alba e Riccardo si sono dati un bacio... sulla bocca», sussurrò ancora, elettrizzato e sorpreso.

Gioele non mi aveva mai visto con qualcuno. Era troppo piccolo per ricordarsi di Manuel ai tempi in cui era veramente il mio fidanzato, si ricordava solo gli schiaffi che avevo ricevuto da lui e i pianti che mi procurava.

Mamma alzò le sopracciglia divertita. «Lele, non spiare tua sorella», gli pizzicò il naso, «Piuttosto aiuta Greta a nuotare.»

Gioele annuì e corse da Greta che stava armeggiando con dei giocattoli e la bocca assumeva un'espressione scioccata per quanti ne fossero.

Mia madre mi guardò. Allungò gli angoli delle labbra in un sorriso. Ritornò a leggere il suo libro e canticchiò.

Quando Geppa e Tonio videro Greta si stupirono, la presero in braccio e la spupazzarono di baci. Greta li abbracciò forte e corse a prendere le sue conchiglie, gliele regalò. Ne regalò una a chiunque vedesse in giro, pure alla bisnonna.

A cena ci accomodammo tutti intorno al tavolo. Greta mi venne in braccio ed io la aiutai a mangiare. Avvicinò il dito alla sua guancia per indicare fosse buono.

«Ti piace, eh?», sorrisi e le lasciai un bacio tra i capelli.

Riccardo lanciava continuamente gli sguardi a sua figlia ad ogni boccone ella facesse. Lo trovavo estremamente attento nei suoi confronti. Le dava moltissime attenzioni ed era sempre pronto a soddisfare le sue esigenze.

«Allora, Greta», disse mia mamma, guardandola, «Dimmi un poco, quanti anni hai?»

«Due», disse, alzando due dita.

«Due? Wow», sorrise, «Ti è piaciuto giocare con Gioele?»

Greta annuì mentre rideva, le passai un bicchiere d'acqua che afferrò con entrambe le manine.

Il Sole calò piano, mangiammo le fragole e i bambini si godettero il gelato con i piedi in piscina. Il cellulare di Riccardo squillò, si alzò scusandosi e andò in cucina.

Lo seguii con lo sguardo fino a vederlo rispondere e portarsi il display all'orecchio. Si appoggiò ai fornelli. Mi alzai e lo raggiunsi non appena notai che si stesse innervosendo.

Entrai nell'androne e mi appoggiai allo stipite della volta in cucina, le braccia incrociate.

Riccardo si portò le dita sugli occhi, «Anna, ma se non c'eri quando la sono andata a prendere?», sbottò, poi sbuffò. «Dici a quel coglione del tuo fidanzato di farsi i cazzi suoi, Greta è mia figlia e lui non deve averci niente a che fare», si accigliò, torturandosi i capelli. «Io lavoro, Anna! Porca troia! Sei sua madre! Non posso farmi sempre io il culo a strisce per darle soddisfazioni! Che cazzo, ti rendi conto che hai messo al mondo una bambina o anche quello te lo sei dimenticato? Ti puoi allontanare da Antonio? Se dice un'altra parola vengo là e lo sfondo di mazzate», si grattò nervosamente la guancia, «E vattene a fanculo, allora. Mia figlia rimane con me quanto mi pare e piace dato che tu non ti preoccupi minimamente di lei e la lasci dai tuoi genitori che già c'hanno i problemi loro. No, Anna, io lo so fare il padre, sì. Che cosa c'entra adesso il fatto che io fumi? Ti stai arrampicando sugli specchi! Me la vedo io con Greta, non cagarmi il cazzo, rimani a scopare con quel coglione che solo con lui potevi accoppiarti», mormorò e poi attaccò, rinfilando il cellulare in tasca con aggressività.

Riccardo inspirò con calma e si portò le mani sulla faccia, si chinò con i gomiti sul bancone e deglutì rumorosamente. «Vaffanculo», le sue spalle si mossero sù e giù per i respiri profondi che faceva. Con calma, mi avvicinai a lui, sciolsi le braccia e portai le mani sulla sua schiena.

Lui voltò il mento di poco, non mi guardò, ma sapeva fossi io. «Ehi», sussurrai, facendo scivolare le mani sulle sue spalle, mimai una sorta di massaggio. «È tutto okay?»

«Sì...», annuì, «Scusami», mi diede un bacio sul dorso della mano e abbozzò un sorriso tirato.

«Tranquillo», mi tirai a sedere sopra al bancone, accanto a lui. «Problemi con Anna?»

«Solite questioni», mormorò, stanco, «A volte mi chiedo come sia possibile che lei non senta la mancanza che dà a Greta. Mi chiedo come faccia a non rendersene conto», disse, «Si ricorda di lei solamente quando è con me, come se io potessi causarle del male... incredibile. Si fa viva solo quando Greta è con me. Poi non si preoccupa nemmeno un po', né di me né di sua figlia.»

«Vorresti fosse più presente?», domandai, accarezzandogli i capelli.

«Vorrei che si rendesse conto di me» fece spallucce. Si voltò a guardarmi. «Non siamo niente, io e Anna, nemmeno lontanamente. Non siamo mai stati insieme, non ci siamo mai sorrisi e non ci siamo mai scambiati nemmeno una risata. Però, per me, lei è pur sempre la madre di mia figlia, è Greta ciò che ci lega. Io provo da due anni a farle capire quanto ci tengo a questa bambina, che mi dispiace un po' per averle incasinato i piani quella notte e le ho già chiesto scusa tantissime volte... le ho lasciato fare la vita che voleva, viversi le sue amicizie, continuare i suoi studi, avere nuove esperienze e conoscenze, ma lei a me non l'ha mai data questa possibilità», ammise, massaggiandosi le tempie, strinse la mandibola, «Sono sempre stato, e sempre rimarrò, il coglione che l'ha messa incinta e non l'ha fatta abortire perché in fondo, in fondo, una figlia la voleva davvero. Non mi ha permesso di stare tranquillo, non quanto lei lo è stata in questi due anni. Che io Greta da mia madre ce la porto solo quando sta con me, che non avrei mai il coraggio di farla restare sola con lei, perché so come un bambino possa sentirsi. Non le è mai, mai, successo qualcosa quando sta con me, mai. Anna non vuole che Greta respiri più di due ore la mia stessa aria quando dovrebbe stare con lei, ed è la prima a non badarla. Mi dà fastidio, crede che io non sia buono a fare niente, e si mette in mezzo anche quello stronzo del fidanzato che mi sta proprio sul cazzo.»

Guardai Riccardo. Guardai il ragazzo che era. Vent'anni e mille paranoie e problemi addosso. Guardai il padre che era, involontariamente, ma lo era. Guardai il bambino che ancora nascondeva dentro e le mancanze di suo padre e sua madre che lo avevano reso fragile. Guardai Riccardo con tutte le sue cicatrici; avrei tanto voluto baciarlo e dirgli che sarebbe andato tutto bene, che poteva abbracciarmi e stringermi il cuore se ne avesse avuto bisogno. Avrei fatto mille cose per lui. Avrei fatto l'amore con lui ovunque, fino a fargli capire che era una bella persona, invece. Che io l'amore non l'avevo mai fatto prima di lui, che non lo avrei mai fatto con una persona cattiva. Gli avrei stretto la testa al petto affinché sentisse il mio cuore strepitare follemente.

«Sei una brava persona, Riccardo», riuscii a dirglielo, anche se le cose da dirgli erano troppe, tantissime. Riuscii a dirgli solo questo.

«Io non credo proprio», rise nervosamente, alzandosi da quella posizione innaturale.

«Invece sì», dissi con sicurezza. «Dovresti cominciare a guardarti per quello che sei veramente e non per quello che credi di essere.»

Riccardo strinse le labbra, e, per un secondo, mi parve di vedere che stesse trattenendo qualcosa. Pensai che dire altro sarebbe stato inutile, Riccardo mi aveva permesso di conoscerlo, gliene sarei sempre stata grata per questo. S'era fidato. Decisi di alzarmi sulle punte e poggiare una mano sulla sua guancia, gli baciai le labbra con lentezza, così da imprimergli tutto quello che avrei voluto dirgli. Tutto ciò che doveva capire, io glielo diedi in quel bacio.

Un bacio semplice, ma che regalava serenità. Almeno sperai di dargliela.

Riccardo si lasciò baciare, mi lasciò accarezzargli il viso dolcemente e nascondere le mie labbra nelle sue. Mi arroventò il cuore. Infilò le dita nei miei capelli, schiuse la bocca accarezzandomi le labbra con la lingua fino a incontrare la mia. La potenza con cui mi strinse fu tale da farmi indietreggiare.

Riccardo mi baciò con tutta la vita che aveva dentro. Mi prese per le guance, non si staccò nemmeno per respirare.

Serrai le labbra sulle sue. Ci allontanammo piano, lasciandoci altri baci lenti e piccoli, gli sorrisi e abbassai lo sguardo. Riccardo mi accarezzò lo zigomo con il pollice, «Vorrei averti conosciuta prima, principessa.»

Alzai lo sguardo. «Anch'io, Riccardo...», piegai il mento, annuii, «Fidati, anch'io

Lui sorrise. Il Sole scalfito nei suoi occhi.

«Basta bugie», disse lui.

Poggiai la fronte sul suo mento. «Basta bugie».

Ritornammo al tavolo.

Zio Flavio aveva alzato un po' troppo il gomito e zio Daniel lo prendeva per il culo molto volentieri, mio padre rideva a crepapelle. Mamma e zia Ilaria si guardavano sconsolate e zia Monica incitava mio zio a continuare a bere.

«Alba, ci andiamo in discoteca questo sabato?», mi chiese Sofia mentre mi accomodai vicino a loro.

«C'è una festa?», chiesi, accavallando le gambe.

«Sì. Ci andiamo? Dai, ne ho già parlato io con Michele, ci ha assicurato l'entrata e il tavolo. E pure l'alcol!», sorrise, «Ci riaccompagnano loro a casa. Dici di sì!»

«Ci penserò», afferrai il mio bicchiere di vino bianco e lo portai alle labbra.

Stavo sparecchiando la tavola quando sentii mio padre dare le chiavi della macchina a Riccardo.

Era ormai sera, la Luna vigeva alta nel cielo con tutte le sue stelle.

«La bambina dorme, non può prendere freddo sul motorino», insistette papà.

«Ma ne siete sicuro?», disse Riccardo, sistemandosi Greta sulla spalla, le teneva la mano sulla schiena.

«Eccome! Forza, l'umidità comincia a scendere», gli sorrise. «E non farti pregare di riportarla qui, eh! Puoi portarla quando vuoi! A mia moglie non dispiacciono i bambini, si diverte tanto, le dai anche qualcosa da fare in questi giorni. Mi raccomando», gli diede una pacca amichevole sulla spalla.

«Grazie mille, davvero.»

Mio padre gli fece un cenno e ritornò in salotto da mia madre, che si beveva l'ultimo sorso di vino.

Riccardo salutò Gioele, accarezzandogli i capelli. Velocemente, mi avvicinai a lui dicendo alle altre che sarei tornata sùbito. Sentii Geppa dire qualcosa sottovoce che fece ridere la bisnonna.

Arrivai a un passo da lui, gli presi il braccio e lo feci girare piano, non appena mi vide sorrise. Mi fece un cenno per chiedermi cosa volessi.

«Dopo torni?», mi appoggiai alla colonna di pietra vicino a me, affianco al cancello già aperto.

«Dopo?»

«Sì, dopo. Dormi con me? Ti lascio la porta della mia camera aperta.» Riccardo non aggiunse niente. Mi guardò e annuì. Molto semplicemente, «Allora, ti aspetto», sorrisi felice e lo guardai aprire la porta del passeggero su cui fece stendere Greta. Poi si sedette davanti e percorse il tratturo.

Corsi in camera mia. Feci una doccia fredda e indossai il pigiama pulito rosa di seta. Accesi la luce della lampada sul comodino e cominciai a leggere un nuovo libro dalla mia libreria, Guerra e pace.

Ogni poco portavo lo sguardo fuori dalla mia porta socchiusa, Riccardo arrivò dopo un'ora e mezza. Io avevo posato il libro e stavo ascoltando la musica con le cuffiette, avevo i piedi sotto le lenzuola e le mani racchiuse sotto alla guancia.

La porta cigolò silenziosamente, sbucò a passo leggero, forse temeva stessi dormendo. Tolsi una cuffietta dall'orecchio, Riccardo mi sorrise chiudendo la porta dietro di sé. Senza dire niente, si tolse le scarpe, io gli feci spazio mentre si sfilava la maglietta per poi stendersi accanto a me.

Restammo in silenzio. Il suo calore cominciava a inglobare anche il mio corpo, gli sorrisi piano, con gli occhi assonnati. Sospirai e mi avvicinai a lui, infilai il viso sotto al suo collo, ci strofinai la guancia. Le nostre gambe giocarono a scontrarsi fino ad allinearsi e incrociarsi per darsi sollievo. Il suo braccio cadde dietro la mia schiena e mi massaggiò la nuca, lentamente, e il suo respiro mi cullò dolcemente.

«Scusami se ci ho messo molto», sospirò, inspirando il mio profumo. Poggiai le dita sul suo costato, tracciandone i muscoli evidenti.

«È successo qualcosa?», sussurrai.

Riccardo poggiò la guancia sulla mia tempia, come a voler imprimermi la sua pelle addosso. «Ho litigato con Anna e Greta si è svegliata piangendo», mormorò, roco e stanco.

«Perché hai litigato con Anna?», scostai il viso dal suo collo. Lui poggiò il viso sul mio stesso cuscino e ci guardammo negli occhi, potevo sfiorargli il naso.

«Ha portato a casa Antonio», strinse le labbra.

Io gli osservai il viso delicato sotto la luce tiepida della Luna. «Cosa temi?»

«Temo che Greta possa crescere senza di me. Ho paura che Anna me la porti via e lei crescerà con tutti tranne che con me», sussurrò, accarezzandomi una guancia con il freddo.

«Greta sa che sei suo padre», gli sorrisi dolcemente, «Quella bambina non può vivere senza di te.»

Riccardo sorrise debolmente. «E se non mi volesse più bene?»

Io negai con il viso, e, mentre gli accarezzavo i capelli, alzai il mento per dargli un bacio sull'angolo delle labbra, sul mento. «Non può smettere di volerti bene, stai tranquillo.»

Riccardo infilò le mani sotto la mia canottiera per rubare un po' del mio calore. Si attaccò alla mia schiena come se ne avesse bisogno. Lo abbracciai forte, gli ripetei di star tranquillo quando lui mi riempiva di baci calmi e dolci, bollenti.

Gli lasciai un bacio sotto all'orecchio, sulla guancia e sulla spalla. Ci intrecciammo piano. In silenzio, a parte per le eterne cicale fuori alla mia camera, ci spogliammo. Non facemmo niente. La mia carne nuda sopra la sua, i miei seni schiacciati sul suo petto, le mie cosce legate alle sue e la mia guancia sulla sua spalla.

Con le sue dita che navigavano sulla mia schiena montuosa procurandomi brividi ovunque, i polpastrelli scendevano dalle mie scapole fino a fare disegni circolari sulle mie natiche. Alzai il mento, lo poggiai sul suo, le mie mani tra i suoi capelli.

«Quindi andrai in discoteca?», sussurrò lui, portando un braccio dietro la nuca per guardarmi meglio, per riempirsi gli occhi del mio volto.

«Penso che ci andrò, sì», alzai le sopracciglia, sorridendo. Divertita dalla sua espressione.

«Vedi di far tenere ferme le mani di quello», mormorò, infastidito.

«Ma di chi?», ridacchiai, «Di Michele?»

«E di qualsiasi altro essere maschile», specificò con precisione.

«Come sei esagerato, però», bofonchiai disegnando le linee dei suoi lineamenti sul suo viso. «Tu non intendi venire?», chiesi quasi speranzosa.

Lui schioccò la lingua sul palato e alzò un po' l'angolo delle labbra. «Non penso.»

«Peccato, vorrà dire che non potrai vedermi col mio vestito splendido», mormorai, sulle sue labbra.

Riccardo sorrise, «Avrò modo di vederti, puoi stare più che tranquilla», mi assicurò.

Io ridacchiai e alternai lo sguardo tra i suoi occhi e le sue labbra. Guardarlo così mi recava sempre uno strano brontolio alla pancia, come se avessi un baratro nello stomaco, come se non mangiassi da una vita intera e mi riempissi solo dei suoi occhi.

Poggiai le labbra sulle sue in un bacio. Lo abbracciai forte, poggiai nuovamente il viso sul suo petto. Pensai stesse dormendo, ma le sue mani mi sfilarono i capelli dalle spalle, «Alba...», mi richiamò.

«Dimmi.»

«Voglio fare il poliziotto.»

Mi guardai attorno, mi accigliai e alzai di nuovo il viso. Mi resi conto che quella fosse la prima cosa che Riccardo mi dicesse per quanto riguarda il suo futuro. Il mio sorriso, però, svanì flemmaticamente quando mi resi conto che non avrebbe mai potuto realizzare quel desiderio e, seppure lo avrebbe realizzato, si sarebbero riscontrate molte complicanze.

«Tuo padre lo sa?»

«Nessuno lo sa», mormorò. «Non posso dirlo in giro. Solo Dio sa cosa mi farebbero se gli scagnozzi di papà sapessero dello sfregio che gli farei. Mi ucciderebbero senza pietà, li conosco quegli stronzi», deglutì affranto. «Ho sempre voluto fare il poliziotto, sin da quando ero piccolo.»

Capii che non me lo avesse detto prima per paura, per timore. Ma, a quanto pareva, si stava fidando di me più di quanto credevo.

Sospirai e annuii. Non gli dissi nient'altro, non volevo appesantirlo, così sorrisi e lui mi guardò con gli occhi vividi, speranzosi. «Staresti bene con la divisa.»

Lui ridacchiò. «Non fanno per me le divise.»

«Oh, io penso che ti starebbe un sacco bene, invece. Mi piaceresti di più», gli pizzicai il petto con un piccolo morso.

«Me ne compro una solo per te, allora.»

Io risi e lo baciai velocemente, tra denti e labbra. Poi gli dissi: «Scherzavo, comunque. A me piaci anche così».

«Così come? Nudo?», mi prese per la nuca, pronto a baciarmi.

Risi e annuii. «Completamente nudo.»

Riccardo mi baciò prendendomi per i fianchi e spingendomi sotto di lui. La sua pelle raschiò sulla mia, sentii il suo ventre scontrarsi sulla mia pancia, le sue spalle torreggiarono su di me inghiottendomi come una formica. Ed io mi lasciai assorbire da Riccardo, dalle sue carezze carnali sulle cosce e la sua bocca a riempire la mia di parole non ancora dette.

Con premura, Riccardo mi afferrò da dietro le ginocchia e mi abbracciò forte. Mi baciò il collo, si intrecciò al mio corpo, ed io ricambiai con le braccia dietro al collo.

Avrei voluto nascondermi nella sua pelle, nel suo corpo mentre il resto del mondo viveva. Avrei voluto rinchiudermi per sempre nella sicurezza del suo cuore.

Poggiò la fronte alla mia, incatenò i miei occhi ai suoi quasi come per controllare se avessi trovato la sua stessa luce. Sospirai e lo baciai forte, come non avevo baciato nessuno, col desiderio sulla punta della lingua.

«Fa' piano e fa' silenzio.»

Riccardo si posizionò tra le mie gambe, schiuse le labbra ed io gli presi la mano e gliela strinsi forte sotto le lenzuola. L'altra mia mano a scendere sulla sua natica e spingerlo su di me. S'insinuò dentro di me, delicato, lento e con il respiro calmo e tremante. Chiusi gli occhi e serrai la bocca per evitare di sabotare tutto.

Riccardo mi baciò cominciando a muoversi, ad oscillare oziosamente sul mio corpo, le sue spinte forti e decise a farmi piegare la schiena, lo accolsi dentro di me e gli diedi modo di scivolare meglio, le caviglie strette e arcuate in avanti.

Mi strinsi a lui morbosamente, quasi come se in quel modo non avrei emesso alcun rumore. Ansimai e sussurrai il suo nome, più e più volte, lui portò la mano sopra la mia testa, si aggrappò alla testiera di ferro.

Lo pregai sottovoce, con la bocca sulla sua che cercava di risucchiare i suoi gemiti rochi. Riccardo affondò con la bocca sul mio seno, torturando quello piuttosto che gemere. Mi morse la pelle del petto mentre diventavo rossa, mentre mi riempiva del suo piacere ed io tremavo spasmodicamente sotto di lui, irrefrenabilmente, con il polso sulla bocca a soffocare l'orgasmo e il suo nome.

Ero ansante e gonfia del mio respiro, piena di lussuria, quando Riccardo mi prese il viso e mi baciò. Lo strinsi forte, sentii il mio corpo assorbire tutto quello, tutti quei sentimenti e ridacchiai quando lui imprecò.

«Cazzo, con te non sopravvivo a fine agosto», disse ridendo.

«C'è chi muore in maniere peggiori, sii contento.»

Lui annuì, «Sono contentissimo, infatti.»

Ci aggrovigliammo sotto le lenzuola, cademmo sul pavimento e scoppiammo a ridere, Riccardo — sotto di me — mi accarezzò la guancia e continuò a baciarmi. Mi tenni al suo petto con i capelli rossi e ricci a penzolare sul mio viso, lui attutì la caduta. I miei fianchi aderirono ai suoi, il mio petto rimbombava dello stesso motore del suo. Lo stesso cuore.

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