Domani sarò alba

Від CuoreAdElica

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𝗖𝗼𝗺𝗽𝗹𝗲𝘁𝗮 ✔️ 𝙽𝚎𝚠 𝙰𝚍𝚞𝚕𝚝 💋 1/2 Alba ha il tramonto stampato in faccia. Capelli rossi, occhi ver... Більше

Cast
Albero genealogico
Chi sono Elia e Isabella?
MP3 di Alba
Prologo
Alba odia i capelloni - Parte Uno
1. L'isola dell'Amore
2. Uno sconosciuto nella Villa
3. Favori e debiti
4. Ottimo ascoltatore, pessimo argomentatore
5. La briscola è uno strumento di difesa
6. Ad ogni uomo il vestito che si merita
7. La Libera
9. Il pescatore e la monaca - Pt. 2
10. A caccia di fiori e pranzi stravaganti
11. Il monolocale
12. Sole, spiaggia, sesso
13. Di mare e di stelle - Pt. 1
14. Di mare e di stelle - Pt. 2
15. Ne vale la pena?
16. Una canzone tua, nostra
17. Essere visti per chi siamo davvero
18. Sei dove non sono io
19. Le scritte sui muri rimangono in eterno
20. Ci viviamo
21. Sii prudente con questo tuo cuore
22. Musica jazz, sigarette e amici di famiglia
23. Notti d'agosto al sapore di mare
24. Ciao amore, ciao
Non è mai abbastanza - Parte due
25. Il tempo passa
26. Bisnonna Silvia, sei eterna
27. Resta
28. E basta
29. All'ombra di un tramonto
30. Luce dei miei occhi
31. Ne è valsa la pena
32. Nuovo inizio
33. Roma, Amor
Epilogo
Ringraziamenti
Sogno - EXTRA
Scappare - EXTRA

8. Il pescatore e la monaca - Pt. 1

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ALBA
Ischia, estate.




Ti prometto il mare con uno shottino d'acqua
I tuoi capelli come alghe
Sulla spiaggia vestiti di sole
Stai meglio abbronzato
Te ne lavi le mani
Come i salici nel fiumiciattolo
Ti nascondi tra i rami
Come un salice piangi per nulla
Qui marci sul nulla, bufera mi culla
[...]
Acqua di Mace, Rkomi e Madame.


























Il sole trapelava dalla finestra del bar in cui stavamo facendo colazione. L'odore di caffè si mischiava a quello di brioche appena sfornate.

Papà era andato a trovare il padre di Francesco con mamma e Gioele, per la seconda volta, gli avevano portato un caffè corto e un paio di paste calde. Il resto della famiglia chiacchierava vivamente ai tavoli sparpagliati fuori al bar. Posai la tazza del cappuccino finito sulla superficie del tavolino e con gli occhi sapevo già chi cercare.

Mi alzai con una scusa quando lo beccai poggiato al bancone dentro che parlava con il barista, sembrava conoscerlo — come chiunque incontrasse, d'altronde —.

Lo raggiunsi in silenzio, senza perderlo di vista, mi feci spazio tra il via vai di turisti. Quella mattina avevo i capelli legati, una gonna leggera di lino bianca e un top verde scuro, faceva un caldo infernale. Il sottofondo era composto dalle voci di alcuni radiofonici e la tipica ciociara napoletana e ischitana.

«Ciao», esordii, poggiando il braccio sulla superficie del bancone, accanto a lui.

Riccardo aveva girato il mento verso di me, prima di incontrare i miei occhi m'aveva scrutata bene, dall'alto al basso. Dalla testa ai piedi. Poi mi sorrise, sfacciato. «Ciao... sveglia tardi oggi? Che hai fatto stanotte?», disse, provocandomi e alludendo a quello che successe in mare quella sera.

Ignorai la sua frecciatina. «Papà ti ha detto cosa faremo oggi?», lanciai un'occhiata al barista che mi salutò amichevolmente, ricambiai.

Riccardo continuò a guardarmi. La sua faccia era vicina alla mia, forse come solo la sera prima lo era stata. Per un attimo ebbi paura che mi avesse sfiorato le labbra.

«Non ancora. Però si accettano consigli, principessa. Ogni sua richiesta è un ordine

Allora ci pensai. Per qualche secondo ci dicemmo qualcosa con gli occhi, lui guardava i miei e io guardavo i suoi. Senza interruzioni, le sue iridi passavano da un occhio all'altro. «Voglio vedere una spiaggia sconosciuta, dove è impossibile andarci a piedi per terra, ma solo via mare», dissi, «C'è un lato di Ischia irraggiungibile per l'interno?»

Riccardo ci pensò attentamente. «La Spiaggia delle Monache. Ma è piuttosto selvatica e pericolante. Non c'è sabbia ed è difficile arrivarci pure da mare», mi spiegò.

«Voglio andarci», annuii, convinta, «Però, se non vuoi portarmi, non fa niente.»

«No, ti ci porto, figurati, non è per quello», portai il viso sulla sua spalla e gli sorrisi, lo sfidai per un attimo. Riccardo mi osservò ovunque, ovunque sul volto come fece quella sera. Sorrise lentamente, molto lentamente«Te l'hanno mai detto che hai un sorriso spettacolare?»

«Ti racconto una cosa, Riccardo» sospirai, attirando la sua attenzione, mi ascoltò bene. «Devi sapere che con me ci hanno provato molti ragazzi, davvero», arricciai il naso, «E qualunque complimento tu provi a farmi per fare breccia nel mio cuore, stai sereno che suonerà banale. Ho la prova della poesia che mi scrisse un ragazzo, abbastanza imbarazzante», stirai le labbra.

Lui fece spallucce. «I complimenti che faccio io, però, sono sinceri. Non li pianifico e non li faccio per secondi fini... o forse a volte sì», alzò l'angolo delle labbra in un sorriso sghembo.

«Stronzo», mormorai, raddrizzandomi sulla schiena.

Lui continuò a guardarmi anche mentre fissavo la televisione che riproduceva delle canzoni. Aveva uno strano modo di fissarmi, non era melenso, era attento. «Spero tu non abbia baciato come hai baciato me tutti questi ragazzi.» Quella frase aveva una sfumatura ironica, voleva provocarmi, tentarmi. Ma io non gliela diedi per vinta, non così facilmente.

Lo guardai male, da sotto le sopracciglia. «Li ho baciati come volevo, e loro non si sono lamentati. Umiltà, Sorrentino, umiltà.»

«Cosa te lo garantisce ch'erano soddisfatti, scusa?», disse, come per prendermi in giro.

Io con ovvietà lo guardai. «La loro erezione dopo un solo bacio.»

Riccardo strinse le labbra per non ridere e si grattò la nuca, tamburellò le dita sul tavolo ed io ridacchiai per la sua espressione timidamente divertita per la mia sfrontatezza.

Dopodiché decise di pagare. Guardai i suoi soldi, notai che avesse preso solo un caffè e di conseguenza avesse messo troppi soldi. «... Scusa, perché tutti quei soldi? Mica sta un euro e cinquanta un solo caffè?»

«Caffè sospeso», rispose, come se io già sapessi di cosa parlasse.

«E... quindi?»

Lui si accigliò come se fossi scema. «A Roma non esiste 'sta cosa?»

«Ma cosa?»

«Il caffè sospeso.»

«Non ne ho mai sentito parlare, cos'è?» Risposi curiosa.

«È un caffè già pagato. Se una persona bisognosa arriva nel bar, gli danno un caffè sospeso, ovvero già pagato. Ecco perché ho pagato di più», mi spiegò chiaramente.

«E lo fai sempre?», dissi, sorpresa e affascinata.

«Cerco di farlo più spesso possibile.»

«Lo farò anch'io, d'ora in poi», gli dissi, «Non sapevo di questa cosa, grazie.»

«Prego», mi sorrise divertito, si voltò per andarsene e mi pizzicò la guancia tra le nocche come si fa coi bambini, come spesso mia nonna faceva quando le facevo tenerezza.

Lo guardai uscire dal bar con disinvoltura, salutando qualche anziano che lo conosceva con un colpetto del mento e un breve sorriso.

Ritornai sulla barca, assieme alle mie cugine. Chiacchierammo vividamente, avevo il cuore leggero e pensavo a tutte quelle cose che avrei potuto vedere se Riccardo mi avesse portata con sé.

Ci raggiunsero tutti gli altri, poco alla volta. Papà, Tonio e Riccardo vennero dopo. Erano andati a fare il carico dal benzinaio per la barca. Gioele corse verso di loro, euforico: «Oggi dove andiamo?»

Papà lo prese in braccio, gli diede un bacio sulla tempia e gli sorrise, «Tu dove vorresti andare?»

«Non lo so... Ricki che idee hai?», gli sentii dire.

«Io un'idea ce l'avrei, devo rispettare una richiesta», gli rispose andando nella cabina del timone.

«Allora, Alba? Mi stai ascoltando?», mi richiamò Sofia, scuotendomi la spalla.

«Sì, sì», risposi distratta.

«Qual richiest?» rispose Tonio, la fronte sudata e aggrottata.

«Ce la facciamo ad andare alle Monache?»

«Alla spiaggia?», chiese mio padre, subito, «È da tanto che non ci vado, mi pare una buona idea», disse entusiasta.

«E jamne, ce a' putimm fa se c' muimm» — «Forza, ce la possiamo fare se ci muoviamo», li incoraggiò Tonio.

Il vento soffiava forte nei miei capelli mentre fissavo il cielo mischiarsi al mare e lenire ogni crepatura. Mi si addolciva l'anima osservando lo splendore dell'oceano su cui volavamo.

L'odore della salsedine si confondeva con il rumore del motore della barca, avevo preso a osservare l'orizzonte. Nelle cuffiette giravano le canzoni delle mie playlist preferite mentre stavo distesa verso le nuvole. Era una delle mie cose preferite: guardare il cielo da sopra l'acqua e la musica da sottofondo.

Intravidi l'ombra di Riccardo con la coda dell'occhio, e, contro ogni aspettativa, si stese accanto a me. Il suo profumo inconfondibile a inondarmi all'improvviso. Aveva girato il mento per guardarmi o forse parlarmi, quindi tolsi una cuffietta dall'orecchio aspettando che mi rivolgesse parola.

«Cosa ascolti?»

«Canzoni che non capiresti mai», mormorai altezzosa.

«Tipo?» Alzò le sopracciglia.

«Hai presente Mina?», chiesi, voltandomi verso il suo viso.

«Boh, sì?»

«A me piace questo genere di musica», iniziai, mi portai la mano sulla fronte per pararmi dal Sole e guardarlo più nitidamente, «Sai, penso abbiano un senso più assoluto. Le cose vecchie hanno più storia.»

«Quindi ascolti la musica da vecchi?»

«Con te non ci si può parlare», sbottai, «Soltanto perché sono nate prima di te non significa che siano meno moderne e attuali. Pensa a tutta quella gente, che so, anche tua nonna, che ha ascoltato una canzone come Se telefonando e ha pensato ad una persona. Pensa a quante persone è stata dedicata questa canzone, per me è straordinario. Canzoni che nascondono storie di tutti i tipi.»

Riccardo mi guardò, le sue pupille fisse nei mie occhi, «Secondo me tu pensi solo troppo. Goditi il momento e lascia indietro il passato, senti a me», sospirò, tirandosi sù sui gomiti.

«Senza passato non ci saremo tutti noi, idiota. E manco tu esisteresti. Tu sei solo superfici—», la mia voce si disperse dove ebbe origine quando mi guardai attorno, dopo essermi alzata a sedere. Le labbra schiuse e gli occhi a osservare il paesaggio unico davanti a me.

Sembravamo isolati dal mondo, gli unici nell'immensità dell'eternità, esiliati da terre emerse in baraonda dell'ignoto. Davanti a noi una distesa di terra incolta, selvatica e sferrata, la barca oscillava avanti e indietro sul pelo dell'acqua.

«Bentornata nel presente», mi prese in giro, alzandosi. Mi guardò nascondendo un sorriso, felice di avermi lasciato senza parole, «Muoviti, ti devo far vedere svariate cose.»

Tentennai un secondo. «Che vuol dire?»

«Come "che vuol dire?", tua madre m'ha chiesto di farti da guida turistica», rise.

Mi alzai, seguendolo ridendo. «Cosa? Sul serio?»

Riccardo si abbassò, togliendosi i capelli dal viso, afferrò un paio di maschere subacquee. «Perché dovrei mentirti?»

«Non lo so, dimmelo tu.»

Riccardo non rispose. Mi sorrise falsamente e mi diede in mano la maschera, accennando un sorriso stretto come se stesse per ridere. «Puoi aggiungerlo al mio curriculum se ti va.»

«Volentieri», gli sorrisi nel medesimo modo. Mi avvicinai al bordo della barca, osservai il mare lucido, uno specchio pulitissimo, si vedeva perfettamente la mia ombra trapassata da branchi di piccoli pesci e la profondità del fondale, ricoperto da piante.

«Ho soddisfatto la tua richiesta?», domandò, legandosi i capelli all'indietro, ordinatamente, in un codino.

«Vedremo», gli sorrisi, dispettosa.

Lui scosse il capo, «Provati la maschera, così semmai te la stringo», mi suggerì.

Osservai la maschera che copriva il naso e gli occhi e me la provai. Appurai mi andasse larga, così la appoggiai sulla fronte. «Puoi stringermela?»

«Certamente», si avvicinò, allungando le mani verso i laccetti della maschera ferma sulla mia testa. Sentii i nastri plastificati stringersi sulle tempie, alzai gli occhi verso il suo viso attento su di me.

A quella distanza così ravvicinata e stabile, notai che a stento gli arrivassi effettivamente alla gola. Per guardarlo negli occhi dovevo alzare anche un po' il mento.

Riccardo vide che lo stessi fissando insistentemente tant'è che, quando decise di ricambiare lo sguardo, ci fu impossibile non trattenere un sorriso. Il suo era furbo, il mio era imbarazzato per essere stata pietosamente beccata.

Riccardo aveva un'aria selvatica.

Era l'esatta rappresentazione delle spiagge al tramonto.

L'incarnato bruno come l'imbrunire del Sole, aranciato, gli occhi nocciola chiarissimi che ricordavano i fondali sabbiosi e la sabbia umida, e i suoi capelli lunghi, — gli arrivavano alla nuca, alla mandibola, davanti erano scalati fino agli zigomi — mossi, simili ai raggi solari alle ultime luci serali.

«Adesso dovrebbe andar bene, bambina», mormorò, la sua voce tiepida e soave.

Dopo successe una cosa inaspettata, che mi fece restare impalata per un bel po' di secondi prima di realizzare: ne approfittò per spingersi in avanti e lasciarmi un bacio distratto sulle labbra. Un bacio forte, che quando si staccò provocò un suono dolce che continuava a riversarsi nella mia mente anche quando, lui, ridendo, si era tuffato in mare.

Prima che potesse risalire in superficie, decisi di buttarmi in acqua e soffocarlo. Quando risalii in superficie, Riccardo rideva e si toglieva l'acqua dalla faccia.

«Sei proprio uno stupido», lo schizzai, senza poter evitare di ridere.

«Ci si vede sott'acqua, piccrè.»— «[...] piccola.»

Così Riccardo s'infilò la maschera e si trasportò nell'acqua marina, piena di salsedine. Sospirai, e decisi di fare la medesima cosa.

L'acqua ovattava qualsiasi cosa, potevo sentire solo il mio cuore. Riccardo nuotava davanti a me, si infilava tra i branchi di pesci e ogni tanto si girava per vedere se lo stessi seguendo. Si beccava spesso un bel dito medio alzato e lui mi faceva un occhiolino.

Nuotammo uno accanto all'altro, le nostre mani a sfiorarsi, le alte alghe marine a sfiorarci i polpacci e le ginocchia. Mi disse si chiamassero Posidonia, erano piante tipiche dei fondali ischitani.

La riva sembrava vicina, suggerita dalla vista delle prime pietre che fungevano da battigia per salire in quella spiaggia sperduta. Aveva l'aria d'essere una di quelle spiagge abbattute da un terremoto. L'alta muraglia divideva la spiaggia dalla flora dei boschi e sentieri, era frastagliata, intagliata, i segni dei fori lasciati dai pezzi di pietra lavica crollati esattamente nel mare erano occupati da nidi di uccelli. Mi domandai da quanto fossero caduti e soprattutto cosa aveva causato la creazione quel paesaggio fatiscente.

Mi feci largo tra le pietre, arrivammo tanto a riva che l'acqua era bassissima, tolsi la maschera e diedi meglio un'occhiata in giro. Riccardo fece lo stesso, «'Sta attenta alle rocce, puoi ferirti i piedi», mi intimò mentre si passava una mano tra i capelli grondanti d'acqua e dorati.

Alzai lo sguardo, osservando un gabbiano volarci sopra. Riccardo mi superò, facendomi strada. «Perché questa spiaggia è così? Che le è successo?»

«Ma, in realtà, nulla. Penso la roccia fosse debole alle sue origini, e quindi con gli agenti atmosferici si è rovinata e ha quest'aria devastata», spiegò, allungandomi la mano per aiutarmi a superare tutte quelle pietre definite e appuntite.

La afferrai, mi disse dove mettere i piedi e mi fece passare avanti. Giunti nella baita, la sabbia al tatto era una carezza di seta. Fine e labile.

«Come mai si chiama così? Spiaggia delle Monache», chiesi facendo una giravolta per fissare le punte altissime della mura, mantenni la maschera come se fosse una borsetta.

«Per due motivi: deriva dalla presenza, nei suoi fondali e scogli, di una varietà di molluschi chiamati Aplysia dal manto scuro volgarmente chiamati "monaca di mare" anche se sembra che, anticamente, questa cala venisse utilizzata dalle monache per rinfrescarsi dalla calura estiva al riparo da occhi indiscreti», mi spiegò, indicandomi una piccolissima croce in legno sopra ad una collinetta alta, tra le erbe selvatiche e le pietre. «Indica un piccolo cimitero di alcune monache, anche se si pensa sia una leggenda.»

«È strabiliante.»

«Io trovo sia inquietante.»

Io risi, saltellando qua e là, sulla sabbia. «Tu hai un pessimo rapporto con la storia, vero?», mi girai verso di lui.

«Solo perché con la storia susseguono morti.»

«Ma la storia ricorda le morti, proprio per questo.»

«Mica tutte.»

Ignorai il suo scetticismo, mi allontanai per guardare le insenature e osservare tutte quelle pietrine che si illuminavano al Sole come stelle di diamanti.

Salii verso una piccola grotta, nascosta sotto la roccia solida e grigia. Mi infilai dentro, scoprendo inglobasse una luce fioca e piacevole, riuscii a notare dei segni bianchi su di essa.

«Che fai? Ti nascondi?», la voce di Riccardo mi raggiunse, fino a infilarsi anch'egli sotto la roccia. «Guarda cosa ti ho trovato...», mi disse facendomi abbassare il mento.

Aveva il palmo aperto. Giacevano una conchiglia rosata abbastanza grande e due pietrine colorate di verde. Le afferrai, togliendo la sabbia grumosa con il pollice.

Gli sorrisi, a labbra strette. Prima che potessi dirgli qualcosa lui continuò, «Mentre stavo camminando li ho visti tutti e tre vicini. Mi sembravi tu», disse facendomi ridere e accigliare, inclinai il mento. Lui mi guardò le labbra. «La conchiglia ha dei riflessi ramati, mi sembravano simili ai tuoi capelli. Mentre... questi saranno pezzi vetro rosolati dal mare, ma avevano un verde così intenso che erano troppo simili ai tuoi occhi...», spiegò, sentendosi leggermente a disagio quando capì lo stessi fissando. «È una cosa stupida, ma—»

«No» dissi subito, sorridendogli, per un attimo sentii l'esistenza albergarmi addosso, come se la gravità si fosse palesata tutta in quel momento e la roccia tremasse sopra di me. «Non è affatto una cosa stupida.»

Lui strinse le labbra. Si mordicchiò il labbro guardandosi attorno, cercò di deviare l'imbarazzo che si vedeva sulle sue guance. «Cos'è che hai trovato tu?»

Io allungai il dito sui piccoli segni sopra la parete frastagliata e ruvida. «Non so cosa c'è scritto, sembra una frase, ma è veramente piccola.»

Riccardo si avvicinò, la ispezionò. «C'è una data...», mi guardò, sorpreso quasi quanto me, «16 luglio 1653», lesse quando fui abbastanza vicina. «Pare scritta in napoletano», notò.

«Riesci a leggerla?» Chiesi, speranzosa.

«Ci provo», si accigliò, mentre con le labbra ripeteva le lettere che riusciva a decifrare. «"Dio non sa quello che abbiamo fatto. Caterina, amami e tutto verrà perdonato".»

Rimasi in silenzio. Riccardo fissò a lungo quella scritta. «Era una monaca», sussurrò, facendomi girare gli occhi nei suoi.

«Tu dici?»

«Dice "Dio non sa quello che abbiamo fatto, amami e tutto sarà perdonato"... si parla di peccato. La monaca non è libera di praticare atti... sessuali con qualcuno. Di conseguenza mi fa pensare che questa monaca Caterina e un altro uomo abbiano consumato qui, una notte, e lui le avrà scritto qua sopra senza sapere come parlarle», provò a ricostruire la vicenda, come se la stesse leggendo dalla roccia e ne vedesse le facce.

Io ci riflettei, poiché effettivamente aveva senso. «Hai detto che le monache venivano qui a rinfrescarsi d'estate, no? Per non farsi vedere senza tuniche da altre persone all'infuori di loro stesse?»

«Dovrebbe essere così. Le monache qua a Ischia, ai tempi addietro, erano tutte di clausura. Di conseguenza uscivano raramente dai loro piccoli collegi religiosi. Sul Castello Aragonese ne vivevano alcune, ci sono ancora le camere in cui dormivano e quelle in cui venivano messe a cremare», mi spiegò, con dedizione.

«Allora, pensaci, l'uomo dovrà essere stato un pescatore...», provai, ragionandoci. Riccardo mi guardò, pensandoci a sua volta.

«Cazzo, c'hai ragione», sorrise, guardando ancora la scritta. Indicò una parola, «Qui pare esserci scritto si chiamasse Luigi, o Luca... non ne ho idea, non si capisce», mormorò.

Io sorrisi. «Hai visto? La storia serve a qualcosa», gli diedi una spintarella, «Magari abbiamo veramente indovinato la storia della povera Caterina e Luca/Luigi. Ne abbiamo rievocato la memoria vecchissima.»

«Chissà se lei è stata scoperta... o se hanno avuto un lieto fine», mormorò, curioso.

«Era nel 1600, Riccardo. A stento si guariva da un raffreddore e Dio era onnipotente. Una monaca era una monaca, un pescatore era un pescatore», dissi con oggettività.

«Come sei poco speranzosa», borbottò.

Ridacchiai. Osservai la conchiglia e le pietrine. «Comunque, grazie mille. È stata un'ottima idea, mi piace da morire fare queste cose. Sono felice tu mi abbia portata qui e mi abbia accontentata», gli sorrisi, felice sul serio, come una bambina con le sue caramelle.

«Non devi ringraziarmi. È pur sempre un mio dovere portarti dove tu vuoi. Ogni tua richiesta è un ordine», ammiccò un sorriso storto, l'angolo sollevato e le sue labbra carnose a pochi centimetri da me.

«Non è affatto un tuo dovere. Però tu non mi resisti e hai deciso di pensare col cazzo e portarmi dove volevo io», mormorai, facendolo ridere.

«E tu non mi resisti e hai deciso di seguirmi», rispose.

Alzai le sopracciglia, d'istinto. La luce sotto quella roccia era della stessa consistenza del magma. In quel momento sentii che il mio corpo fosse una nuova struttura eliocentrica, gli occhi di Riccardo fossero le mie stelle che mi osservavano e mi giravano attorno tanto da farmi venire il mal di testa.

L'acqua marina sul suo volto era vaporizzata, lasciandone una piacevole sfumatura arrossata, il sale giaceva sui suoi lineamenti, le ciglia ancora umide a fargli uno sguardo affusolato.

«Io non ti capisco», mormorai, il suo respiro mi dava freschezza dentro quella bolla di fuoco. «... Perché mi stai sempre attorno?»

Riccardo sorrise, spavaldo. «Sei tu che mi stai sempre tra i piedi», rispose, «Io non sto dietro a nessuno

«Ah no? Ieri sera perché mi sei venuto vicino invece di andartene in camera?», Riccardo mi osservò le labbra, alternò i suoi occhi ai miei, mi sentii implodere.

«Sono un gentiluomo. Avevo notato avessi parlato poco per tutta la cena, non hai riso nemmeno alle stronzate che diceva tuo zio.»

«Avevo cose per la testa», feci spallucce, «Cose mie.»

«Però, sai...», disse divertito. «Mi è sembrato che ad averti rovinato l'umore è stato vedermi con Marica.»

Io boccheggiai. «Come dici?», mi accigliai, osservandogli l'espressione compiaciuta al mio esitare. «Questo non è vero. Non sei al centro dei miei pensieri, tantomeno dei miei problemi», constatai.

«Guarda, la mia era solo una supposizione. Non vorrei che ti rivelassi una persona gelosa.»

«Semmai sarai tu la persona gelosa», ribattei.

«Io sono una persona possessiva», ne precisò l'aggettivo. «E non credo sia la stessa cosa di essere gelosi.»

«Sì, be', fatto sta che io non sono gelosa di nessuno, figurati di te. E poi se sei una persona possessiva vuol dire che sei poco affidabile

«Infatti non ho mai detto di esserlo», alzò l'angolo della bocca, un'espressione convinta.

«Quindi, perché continui a girarmi attorno? Perché proprio me?»

«Perché mi piace farlo, mi piace ronzarti vicino. E...», sospirò, osservò la linea continua dei miei capelli umidi scivolarmi sulla spalla e oltre ad essa, «... e sei l'unica che mi tiene testa, che riesce a tormentarmi anche quando non c'è», la sua voce sembrava dettare la mia morte, indolore, sentivo la forza dirompente del suo fisico scultoreo incombermi.

E quando percepii il suo volto esattamente sopra al mio, mi mancò il respiro, non riuscii a rispondergli se non dopo aver osservato il suo sguardo compiaciuto dal mio respiro irregolare e altrettanto compiaciuto dalla mia titubanza di fronte ad una vicinanza così azzerata, così spogli l'uno di fronte all'altro, così soli.

Riccardo riuscì a sfiorarmi la punta del naso con la sua, un tocco così leggero da farmi socchiudere gli occhi. «Tu non sei il mio tipo», sussurrai, le sue labbra a sfiorare le mie, apposta.

«Eppure m'hai baciato tu, ieri, non so se ti ricordi», accennò un sorriso, il suo respiro caldo a toccarmi la guancia, «O forse il tuo inconscio ha preferito rimuovere l'accaduto per il pessimo bacio che mi hai dato.»

«Te lo devi meritare un bacio dato per bene», mormorai, alzando nuovamente gli occhi su di lui, e, non appena incontrai la dolce apertura delle sue iridi ambrate, il mio stomaco si ristrinse in un attimo.

Mi sentii svitare il cuore.

«Cosa dovrei mai fare per meritarmelo, principessa?», mormorò, osservando i miei occhi muoversi sul suo volto, i suoi folti capelli biondo cenere a filtrare la luce incandescente.

Colsi quella domanda come un'opportunità per metterlo alla prova.

«Visto che mi chiami principessa...», iniziai, con un sorriso ampio, «Te prova a corteggiarmi per bene. Hai detto persino di essere un gentiluomo, quale miglior occasione?»

Riccardo sembrò allettato dalla mia proposta, tanto da sorridere più ampiamente. I suoi occhi mi guardarono, due mezzelune ridenti. «Vedi che se me lo proponi io lo faccio sul serio. Sono un uomo competitivo, devo pur prendermi la rivincita.»

Abbassai le pupille sulle sue labbra nitide. «Sorprendimi.»

Riccardo sfiorò la mia guancia con il pollice, facendomi rabbrividire lembi di pelle inadeguati, il mio cuore cominciò a battere spropositatamente e sentii il respiro danzante nel mio petto. Respirò sulle mie labbra e percepii i suoi occhi navigare sui miei lineamenti.

Seppure volessi farlo disperare nell'attesa di un solo mio bacio, il mio cuore fremeva e batteva nella speranza di ricevere un suo di bacio, anche solo misero. Solo per ridarmi ossigeno, per darmi vita e restituirmi — o rubarmi — ancora una volta una piccola parte di me.

Quando sentii il suo pollice tracciare una scia sulla mia guancia, il calore delle sue labbra a invadere persino la mia mente, la voce familiare di mio fratello rievocò la nostra attenzione, mi fece risalire sulla superficie di un oceano profondo, distaccandomi da quell'energia libidica che mi offuscò ogni razionalità esistente.

«Alba! Riccardo! Siete qui? Che fate?», lo sentii saltellare sulla sabbia, «Giocate a nascondino?»

Riccardo ed io ci guardammo per qualche secondo, fugaci e fuggiaschi, prima che Gioele fece la sua comparsa. La mano di Riccardo sfiorò appena il mio braccio e il dorso della mia di mano.

«Wow! Che bello, che cos'è?!», si guardò attorno, estasiato da quel gioco di luci brillanti.

Riccardo si chinò per prenderlo in braccio, tirandolo sù. «È una grotta», egli rispose, «Vuoi sapere la sua storia?»

«Sì, ti prego!», gli sorrise Gioele, i capelli ricci e neri ad accarezzargli la fronte e gli occhi verdi e vispi a guardarsi sempre più attorno.

Riccardo raccontò la storia, ma mettendoci del suo. Era bravo a fantasticare, aggiunse e stravolse alcuni aspetti, facendo diventare quella burrascosa storia d'amore un'avventura perfetta di un pescatore alla ricerca di una conchiglia preziosa.

Ascoltai la sua voce roca raccontare una storia che nel frattempo ne raccontava altre mille.

Quando uscimmo fuori da quella campana di vetro, la brezza mi colpì in pieno viso rinfrescandomi dal calore assorbito da Riccardo, la sua intera esistenza a crollarmi dentro come un macigno sul cuore.

Gioele tirò con sé Riccardo, lasciandomi indietro a osservarli in silenzio. Fu inequivocabile guardare la sua pelle imperlata e abbronzata sotto il bagliore sfregiante del Sole. I suoi tatuaggi a raccontarmi qualcosa di suo, che forse non avrei dovuto capire.

Osservai la sfilza di muscoli lucidi muoversi, contrarsi in ogni suo movimento e quando si chinava per ascoltare ciò che Gioele teneva da dirgli, oppure per raccogliere le pietre di cui mio fratello faceva la collezione.

«Alba!», sentii la voce dolce di mia madre, mi voltai a guardarla. I suoi occhi mi ricevettero soavi, la loro particolarità mi lasciava sempre a bocca aperta.

Mi avvicinai con le braccia conserte. «Dove siete stati?»

«Sai com'è fatto tuo padre. Appena può mi porta a sperdere, la sua voglia di curiosare non lo abbandona nemmeno all'età di cinquanta anni», sorrise, sorreggendo il suo copricostume a costine e sistemandosi un paio di ciocche aranciate che sfuggirono dallo chignon.

«E mi avete lasciata sola?»

«Sola?», mi fece eco, con una punta di ironia saccente, quasi come se conoscesse i miei gesti più di quanto conoscesse i suoi. Ero proprio sua figlia. «Riccardo non ti è stato di compagnia?»

La guardai con un'occhiataccia malevola, intimandole di levarsi quell'espressione maliziosa e mal pensante. «Certo, è stato gentile con me, molto. Però non ho trovato carino dire a lui di farmi da guida turistica, non ho bisogno di babysitter...»

«Lo so, tesoro. Ma di certo non era mia intenzione dargli il ruolo di babysitter. Ho pensato semplicemente che, magari, ti fossi sentita più a tuo agio con qualcuno della tua età, più o meno, nel visitare Ischia. O no?», alzò una spalla con grazia.

«Bel pensiero, davvero

Cercai di non vedere l'espressione di mia madre. Quanto avrei voluto che non notasse il mio stato d'animo da un miglio di distanza.

Voltai il mento verso Riccardo e Gioele, si erano seduti entrambi sulla battigia, rivolti verso il mare, i loro piedi a sfiorare il mare. Gioele gli parlava, Riccardo se ne stava disteso sui gomiti all'indietro ad ascoltarlo.

Ritornata sulla barca a nuoto, decisi di mangiare alcune fragole intagliate da Geppa appositamente per me.

Riccardo mi aveva già tirato un bel paio di occhiate che ricambiai puntualmente. Era come una calamita. Mi guardava ed io lo guardavo. Un gioco che non sapevo come e quando sarebbe finito.

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