Domani sarรฒ alba

Oleh CuoreAdElica

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๐—–๐—ผ๐—บ๐—ฝ๐—น๐—ฒ๐˜๐—ฎ โœ”๏ธ ๐™ฝ๐šŽ๐š  ๐™ฐ๐š๐šž๐š•๐š ๐Ÿ’‹ 1/2 Alba ha il tramonto stampato in faccia. Capelli rossi, occhi ver... Lebih Banyak

Cast
Albero genealogico
Chi sono Elia e Isabella?
MP3 di Alba
Prologo
Alba odia i capelloni - Parte Uno
1. L'isola dell'Amore
2. Uno sconosciuto nella Villa
3. Favori e debiti
4. Ottimo ascoltatore, pessimo argomentatore
5. La briscola รจ uno strumento di difesa
6. Ad ogni uomo il vestito che si merita
8. Il pescatore e la monaca - Pt. 1
9. Il pescatore e la monaca - Pt. 2
10. A caccia di fiori e pranzi stravaganti
11. Il monolocale
12. Sole, spiaggia, sesso
13. Di mare e di stelle - Pt. 1
14. Di mare e di stelle - Pt. 2
15. Ne vale la pena?
16. Una canzone tua, nostra
17. Essere visti per chi siamo davvero
18. Sei dove non sono io
19. Le scritte sui muri rimangono in eterno
20. Ci viviamo
21. Sii prudente con questo tuo cuore
22. Musica jazz, sigarette e amici di famiglia
23. Notti d'agosto al sapore di mare
24. Ciao amore, ciao
Non รจ mai abbastanza - Parte due
25. Il tempo passa
26. Bisnonna Silvia, sei eterna
27. Resta
28. E basta
29. All'ombra di un tramonto
30. Luce dei miei occhi
31. Ne รจ valsa la pena
32. Nuovo inizio
33. Roma, Amor
Epilogo
Ringraziamenti
Sogno - EXTRA
Scappare - EXTRA

7. La Libera

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Oleh CuoreAdElica




ALBA
Ischia, estate.







Fate quel passo in più,
date quel bacio in più
che restando fermi
non si va da nessuna parte,
che restando fermi
si perdono le migliori albe.













Sulla Libera risuonava la canzone Abbronzatissima di Vianello, accompagnata dallo scrosciare nitido dell'acqua sulla superficie incrostata della barca e dal perpetuo cinguettare degli uccelli nei paraggi.

Ci eravamo svegliati tutti presto per preparare il necessario per il primo luglio.

Il primo luglio era una festa familiare, prettamente familiare. Mio padre e mia madre erano sempre stati soliti farci festeggiare questo giorno proprio perché rappresentava il nucleo dell'estate. Ormai era iniziata la stagione più bella dell'anno, quella più acclamata da tutti.

I miei genitori adoravano fare le cose in famiglia. Sin da bambina non facevo altro che attendere quel dannato primo luglio.

Quella mattina il cielo pareva dipinto, con un azzurro a dir poco meraviglioso, limpido, sembrava lo specchio del mare. Il Sole era un disco brillante, accecante e il respiro del vento mi baciava la pelle che si abbronzava lentamente ogni giorno di più.

Papà si era svegliato alle sei, febbricitante, si era portato dietro Riccardo e nonno Pietro. Avevano raggiunto il molo della spiaggia della Corteglia, dove era attraccata la barca. Poi, con calma, la raggiungemmo tutti noi alle dieci del mattino inoltrate.

Riccardo indossava un bermuda nero, in contrasto con la pelle olivastra e i capelli biondi. Dava il cambio a mio padre nel dirigere il timone, e, quando invece non guidava, faceva da guida turistica a mio fratello, che non gli si staccava di dosso neanche un secondo. Pure se avessi avuto la strana idea di alzarmi e andare a parlargli, non potevo, che se no Gioele avrebbe spifferato tutto a mia madre, come l'amorevole fratello che era.

Ero stesa sui cuscinetti della prua a godermi il Sole, in sottofondo il rumore delle onde, lo starnazzo dei gabbiani e del motore. Mi tirai su sui gomiti, mi guardai attorno con una mano sulla fronte a pararmi dalla luce bianca dei raggi solari. Per un secondo i miei occhi caddero su di lui, su Riccardo, mi distrassi a fissare i lineamenti virili della sua schiena bronzea.

Mi alzai e lo raggiunsi, senza pensarci manco un secondo. Era seduto con mio fratello sulle gambe, i piedi ad oscillare sul pelo dell'acqua in movimento.

«Fai da guida turistica?» Dissi, sedendomi, attenta a non sfiorarlo nemmeno per sbaglio.

Riccardo alzò lo sguardo su di me, mi seguì con le pupille fin quando non mi accomodai, «Ci provo.» Gioele osservò la schiuma delle onde.

«Papà ti ha detto dove dovremo ancorarci per prima?»

«Vuole ancorarsi sotto al Castello», rispose, la sua voce risultava fresca come una folata di vento.

«Sai dirmi qualcosa sul Castello Aragonese? Non si dice mai nulla su di lui.»

Era vero. Solo attraverso Google avevo saputo qualcosa sul Castello Aragonese. Era scioccante come non si leggesse nulla sul suo conto nei libri di storia. Era stato sede di molti re e regine; era stato saccheggiato e bombardato; era passato da dinastie a dinastie, da Gerone il Tiranno di Siracusa, agli Aragonesi. Fu allestito il matrimonio di Vittoria Colonna, nobile e poetessa, con Fernando d'Avalos e accolse una centinaia di giovani artisti tra cui Michelangelo Buonarroti e Ludovico Ariosto. Era colmo di cultura, di storia, e nessuno ne ha mai parlato.

Riccardo mi spiegò tutto ciò che sapeva, mi parlò dei piombatoi e delle monache di clausura, mi parlò delle leggende che circolavano dall'antichità su di esso e altre vicende interessanti, vicende di paese. Fu interessante sentirlo parlare di qualcosa di così antico, sembrava conoscere a memoria anche i kilometri che ci distanziavano dai fondali.

«Qual è il tuo posto preferito?»

«Posto preferito?» Fece da eco.

«Sì, di Ischia. Qual è il tuo posto preferito?»

«Forio», sorrise, «Si vedono i meglio tramonti.»

Facemmo il bagno dopo esserci ancorati a pochi metri dalle alte mura frastagliate del Castello e dagli scogli, nuotammo a pancia all'aria, così da perderci nel il cielo e lasciarci trasportare dal mare. Ci stendemmo sui materassini, prendemmo il Sole mentre sulla barca riecheggiavano le canzoni di Gino Paoli, come Sapore di sale.

Riccardo si era nascosto sulla barca, dopo essersi fatto un tuffo — sembrava volersi isolare dalla famiglia, come se si sentisse estraneo davvero, questa volta — i suoi capelli si fecero salmastri, ricoperti di ricciolini e le bollicine del mare si estesero sulla sua pelle mediterranea. Con le ginocchia al petto, si sedette a fumare una sigaretta in silenzio, gli occhi socchiusi e il mento rivolto al cielo. Per un attimo supposi stesse pregando.

Riportai l'attenzione sulla mia famiglia. La superficie dell'acqua sembrava ricoperta da mezzelune brillanti, mille spilli che pungevano l'acqua seguendo un ritmo incalzante, dettato dal Sole.

«Riccà! Puoi andare a comprà la frutta?» Sentii Geppa urlarlo sulla barca, col suo costume floreale e la sua pelle sempre abbronzata, i capelli marroni legati in uno chignon ordinato.

«Mo' vado», spense la sigaretta nel posacenere accanto a sé. Si portò i capelli all'indietro alzandosi, si protese dalla ringhiera della barca con le mani su di essa; quando mi cercò, e mi trovò, non si stupì del fatto che lo stessi già guardando.

«Alba, ti va di accompagnarmi?»

Annuii, forse troppo in fretta, stranamente contenta che me lo avesse chiesto.

Si gettò in mare, con le gambe ben unite e le braccia distese, dato che per raggiungere il pontile dovevamo farcela a nuoto, lo seguii, attenta — anche adesso — a non sfiorarlo manco per sbaglio.

Mi prese in giro per quanto nuotassi lentamente. Lo schizzai e lo insultai. Raggiungemmo la scaletta con il respiro affannato. «Prima le principesse», mi fece un cenno con il capo di proseguiremo per prima.

«Non ti lascerò guardarmi il culo.»

«Come se non lo avessi fatto da stamattina», mormorò facendomi spalancare la bocca.

«Smet-ti-la», lo schizzai in faccia, di nuovo. Si strofinò il viso, le ciglia lunghe bagnate, le labbra carnose erano umide e arrossate, le guance ancora più arrossate per via del Sole preso la mattina stessa. I suoi tatuaggi sembravano prender vita sott'acqua.

«E va bene, vado per primo.»

Riccardo si agganciò alla scaletta di ferro e con uno slancio la salì. La sua pelle appena uscita dall'acqua sembrava oro colato. L'acqua gli scivolò da dosso come se fosse olio, ne rimasero le scintille ovunque.

Portò le mani tra i capelli bagnati e lunghi, li ripercosse lievemente nel tentativo di sistemarli, un gesto che imparai facesse quasi con naturalezza. Mi lanciò uno sguardo mentre percorrevo la scaletta anch'io, vidi un sorrisetto giocare sulle sue labbra.

Mi strizzai i capelli, raccogliendoli in una mano e sistemai il pezzo di sopra del costume.

«Vieni, devo farti vedere una cosa», mi intimò di seguirlo con il capo.

E così lo feci. In quel momento esatto mi resi brutalmente conto che lo avrei seguito ovunque, ovunque su quell'isola. Non c'era consapevolezza peggiore.

Il vociferare del pontile di Ischia Ponte ci inghiottì: bambini giocavano a spruzzarsi con delle pistole di plastica prese dalle bancarelle di qualche bangladino nei dintorni, mamme con occhiali da sole enormi e in costume che prendevano il Sole e carri che annunciavano a gran voce la vendita di limonate. L'asfalto nero ci bolliva i piedi, tant'è che rincorrevamo l'ombra. Riccardo mi aveva afferrato la mano, distrattamente, solo per portarmi ad una parte all'ombra dietro di lui, così non mi sarei scottata.

Fu una stretta forte, mi trascinò quasi sui suoi piedi, la sua carne della mano umida a stringere la mia. Probabilmente mi bruciò più quella stretta umida che l'asfalto rovente sulla pianta dei piedi.

«Forse avremo dovuto portarci le ciabatte», notò, ridendo, guardandomi da dietro la spalla.

«Dici?» Risposi sarcastica.

Riuscimmo, in qualche modo, a raggiungere il centro di Ischia Ponte, leggermente abbrustoliti, ma con una risata a sfumare nell'aria.

«Stammi vicino», mi raccomandò, seriamente.

«Perché? Hai paura che mi rubino?», gli diedi una spintarella.

«Le bambine si perdono spesso» inclinò il mento, per guardarmi.

Ignorai la sua risposta, portai lo sguardo in giro, tra le case colorate e il via vai di motorini.

«Dove andiamo?»

«Non sai camminare e basta?», domandò.

«No, mica ti seguo senza sapere dove mi porti.»

«Non lo stai già facendo?», rispose accigliandosi.

Di soppiatto, mi fermai. Incrociai le braccia al petto. Riccardo sbuffò, guardando in cielo come a invocare qualche Santo. Si girò verso di me, con aria scocciata.

«Adesso me lo dici?»

«Poi dici che non ti comporti come una fottuta bambina. Dài, muoviti», mi fece cenno con il mento.

«No», canzonai, «Dimmi dove mi vuoi portare. Chi mi garantisce che non mi vuoi stuprare?», chiesi, con altezzosità, «Sai che il quarto punto sul reato della violenza sessuale è quello in cui si specifica che la vittima è stata tratta in inganno dal colpevole?»

«Non ti voglio stuprare, Alba», rise.

«Ah no? Allora perché mi stai dicendo di venire con te da una parte? E sono pure in costume!»

«Ma quanti problemi ti fai? Tranquilla che non ti trarrei in inganno per portarti a letto. E poi non stupro le donne», disse con ovvietà, arricciando le labbra.

«Allora, don Giovanni, dimmi dove mi stai portando, non mi pare difficile», alzai le spalle.

Riccardo si guardò attorno frustrato, senza che capissi il movimento, si chinò sulle mie gambe e fece per prendermi a mo di sacco di patate. Sgranai gli occhi, protesi immediatamente le braccia in avanti, «Non provarci! Riccardo, mi incazzo», lo minacciai con il dito contro.

Trattenne una risata, il suo viso era vicinissimo al mio, riuscivo a vedere i nei sulle sue guance muoversi quando provava a non ridere.

«O cammini e chiudi la bocca, o sono costretto a trasportarti», spiegò con un'espressione mezza divertita.

«Per quanto mi alletti abbastanza il fatto di non camminare su 'sto asfalto, preferisco di no», Riccardo annuì soddisfatto, «Però dammi un indizio.»

«No, Alba, chiudi il cesso e cammina», tagliò corto.

E, senza darmi il tempo di ribattere, mi lasciò indietro.

Sbuffai e lo raggiunsi a passo svelto. «Vedi che se è una presa per il culo mi arrabbio.»

«Non ce la fai proprio a stare zitta?»

«Ti dà così fastidio la mia voce?», risposi.

«Meglio che non ti rispondo», cambiò argomento, «Che mi dici di ieri sera?»

«È andato tutto bene, tranquillo», strinsi le labbra. «Mi sono divertita, non sapevo che facessero dei drink così buoni qui.»

«E Michele si è comportato bene?», alzò un sopracciglio.

«Ha tenuto le mani a posto. Cosa che dovresti imparare a fare anche tu, e non solo con le mani», lo guardai indispettita.

Riccardo rise, scuotendo il capo. «Ma io mica sono così molesto, io guardo rispettosamente, apprezzo ciò che vedo. È come guardare una scultura in mezzo a Firenze, mica le statue coi cazzi da fuori si lamentano?»

«Che ragionamento di merda!» lo guardai ridendo, «Innanzitutto le statue sono statue, non possono lamentarsi. Sono oggetti. Mi stai dicendo che mi ritieni un oggetto?»

«No, però sto dicendo che le cose belle — come le statue di Michelangelo — si guardano», si spiegò.

«Non trovare scuse acculturate per dirmi che ho un bel culo, scemo, che non ti si addice», sospirai.

Giunti dal fruttivendolo, osservai la vasta varietà di frutta che era in bella mostra. Si trovava dietro alle piazze, dietro ad alti palazzi da cui fuoriusciva un odore di cibo, detersivo per i pavimenti e il brusio tipicamente napoletano, dagli estremi delle strade giungeva un dolce e fresco venticello, il profumo di pane appena sfornato leniva l'aria.

Riccardo aveva preso a parlare con il proprietario, non riuscii a capire tanto, parlavano in napoletano mischiato ad un ischitano stretto e riuscivo a capire solo mezze parole.

Mentre me ne stavo dietro di lui a fissare la tavolozza di colori che avevo davanti, Riccardo reclinò all'indietro la schiena, le mani dietro ad essa che si allungavano verso di me.

Con lo sguardo indicò verso il basso. In mano aveva tre chicchi d'uva. Io sorrisi, lo riguardai, «Sai che questo è rubare?»

«Mai sprecare le occasioni, principessa.»

«Dipendente, spacciatore, babysitter, cameriere e pure ladro...», mormorai, facendolo ridere. «Non avevo mai conosciuto un ladro.»

«C'è sempre una prima volta», mi fece un occhiolino.

Scossi il capo e afferrai un chicco d'uva, per poi mangiarlo. Lui fece lo stesso mentre il commesso afferrava delle pesche.

E quando continuarono a chiacchierare, mi ritrovai ad aggirarmi tra le varie casse esposte, fino a raggiungere l'estremità dell'esposizione dei banchi, laddove c'era un negozietto piccolo, una sorta di fioraio.

Osservai attentamente un mazzo di tulipani rosa, erano bellissimi. Lo stelo verde teneva il bozzolo tenue chiuso. Il mazzo era stretto da una fiocco bianco, avvolto da una carta velina rosa antico.

Probabilmente Riccardo se ne rese conto. «Che guardi?», si avvicinò, rimase a pochi passi da me. Guardò verso la mia stessa direzione. «Ti piacciono?»

Annuii. «A me piacciono molto i fiori», risposi.

«Non so perché, ma me lo aspettavo.»

Riposai lo sguardo sui fiori. «Lo sai che ogni persona ha un fiore che lo rappresenta?»

«Ah, sì?», finse di essere veramente interessato solo per farmi contenta.

«Mh-hm. Tu secondo me sei una rosa», risposi, convinta.

«Che fiore banalotto», arricciò il labbro.

«Come tutte le battutine che fai», precisai, facendogli alzare le sopracciglia, «... e poi anche perché le rose hanno le spine, e tu sei molto, molto, spinoso. Quando si parla con te bisogna sempre avere la risposta pronta.»

Riccardo mi guardò come se gli stessi leggendo la parte finale di un libro. Gli occhi navigarono sulle mie lentiggini, sulle mie ciglia e i miei lineamenti. Gli rivolsi un'occhiata serena, poi il suo sguardo cadde sulle mie labbra mentre abbozzavo un sorriso, facendomi arrossire immediatamente.

«Io che fiore sono?», interruppi il silenzio tra di noi, sembrava che c'eravamo rinchiusi in una bolla di vetro.

Lui alternò lo sguardo tra me e la vetrina del fioraio. Quindi io mi girai verso di lui totalmente, in modo tale che potesse fissarmi meglio e appurare la sua scelta.

Gli intravidi nascere un sorriso. «Sei un tulipano», affermò.

«Un tulipano?» Sorrisi più allegramente, «Sul serio?»

«Sono uno molto sincero», alzò le mani, «I tulipani sono... delicati, raffinati, infantili. Almeno è quello che percepisco. Perciò, sei un tulipano.»

Annuii. Le sue iridi ambrate a disegnare la mia espressione sul volto, probabilmente gli stavo rivolgendo l'espressione più bambinesca che potessi mai avere. Ma, inspiegabilmente, quella descrizione così accurata mi rallegrò parecchio.

Il fruttaiolo lo chiamò. Gli distese la mano, teneva quattro sacche di frutta. Era un uomo anziano, forse sui sessant'anni, una pancia prorompente e una camicia bluastra a stargli stretta tra lo stomaco e la pancia. Un baffo a nascondergli il labbro superiore e i capelli brizzolati e corti.

«Chi è 'sta uaglion 'ccu 'tte?» — «Chi è la ragazza con te?»

Riccardo mi fece cenno di avvicinarmi. «È Alba», io sorrisi appena all'uomo. «È la figlia di Delle Donne e la moglie, Arese», mi presentò.

«Ah, sì, sì! U' scienziat?», chiese, facendomi ridacchiare.

Riccardo annuì. «Mio figlio era molto amico di tuo padre», mi disse, il fruttaiolo.

«Chi è suo figlio?», domandai, curiosa.

«Francesco. Erano amici quando andavano alle superiori. Mi ricordo ancora quando conobbi tua madre la prima volta, era sulla... Libera, mi pare si chiamasse così. Ne rimasi folgorato, una bellezza disarmante», la cadenza napoletana storpiò le parole, «Ci credo che tu sei figlia a loro, sei identica a tua madre!»

Lo ringraziai, «Me lo ricordo tuo figlio, comunque. Ero piccolina quando lo conobbi, era una delle prime volte che venivo qui», raccontai. «Adesso stiamo sulla Libera, infatti.»

«Sì? Tuo padre la tiene ancora?»

Annuii. «Mio padre non si sognerebbe mai di venderla.»

«Eh, già, gliel'ha regalata suo nonno. Il caro vecchio nonno Gioele, ne parlava sempre», disse con malinconia, poi si avvicinò al bancone. «Tenete», ci diede una bustina abbondante di ciliegie, «Un regalo da parte mia, salutami i tuoi, eh!», mi indicò.

Glielo accertai e dopodiché ci incamminammo verso il pontile. Io sorrisi, contenta, «Grazie alla mia bellezza ti ho ricavato anche delle ciliegie, e senza rubarle», gliene porsi un paio.

Lui ridacchiò, mi guardò mentre staccai una ciliegia dallo stelo con la bocca, «Guarda che basta che me lo chiedi ed io te ne rubo a miliardi di ciliegie.»

«Sei tutto scemo», risi, dandogli una spinta con la spalla. «La vera domanda è come ci arriviamo sulla barca, adesso?»

«Sono le due e un quarto. Tuo padre mi ha detto che si sarebbero attraccati agli scogli», mi informò.

«Come fai a sapere l'orario, scusa?», domandai confusa, mi guardai attorno alla ricerca di un orologio.

«Basta guardare la posizione del Sole. Me lo ha insegnato Tonio.»

Camminammo uno affianco all'altro a scambiarci ciliegie, qualche sguardo e qualche battutina.

Raggiungemmo la scogliera, oltre le scalette da cui eravamo saliti. Riccardo mi aiutò a salire sugli scogli. Era la prima volta che ci camminavo sopra. Era un passo dietro di me e la sua voce mi suggeriva dove mettere i piedi.

Mi resi conto, mentre saltellavo tra uno scoglio all'altro, con la sua voce che mi guidava e qualche sua risata accompagnata dalla mia per la mia incapacità, che in realtà con lui stavo avendo molte prime volte. Quelle cose che si fanno una volta nella vita, quelle cose un po' sconsiderate.

Gioele ci vide da lontano. «Sono tornati!», esclamò.

Riccardo con un salto svelto mi sorpassò e abbassò la piccola scala per salire sulla barca. Mi fece cenno di salire, ma io negai.

«Non te lo guardo il culo.»

«Giura.»

«Giuro.»

Così sospirai, salii con un piede sul primo scalino e lo guardai di sbieco: stava guardando altrove, verso il mare, aveva mantenuto il giuramento. Proseguii senza pensarci troppo, papà mi aiutò porgendomi la mano.

Riccardo mi fu dietro in un batter d'occhio. Tirò sù la scaletta. Passò a sua nonna i sacchi di frutta. «Sì, nonna, gli ho detto di mettere tutto sul tuo conto, non preoccuparti.„

«Queste sono un regalo», enunciai, mettendole accanto alle altre. Mamma e papà si incuriosirono, «C'era il padre di Francesco, il tuo amico del liceo. Riccardo gli ha ricordato di chi fossi figlia e lui ha deciso di regalare delle ciliegie. Ha detto che sono bella come te», mi rivolsi a mia madre.

«Il padre di Francesco?» ripetè mio padre, «Hanno ancora il negozio?», si domandò, ma io annuii ugualmente, «Allora, assolutamente, dopo dobbiamo andare a salutarlo.»

La mamma annuì, contenta.

«Riccà, forza, aiutami a calare bene l'àncora. Non c'ho più una certa forza», disse girandosi verso Riccardo, gli fece un gesto con la mano.

Riccardo eseguì, sfiorandomi la spalla e lasciando una scia del suo profumo mischiato alla salsedine.

«Ti aiuto, Geppa», dissi io, avvicinandomi per allestire una sorta di tavola da pranzo.

Ogni tanto davo un'occhiata a Riccardo che, chinato in avanti, con i muscoli della schiena a guizzare ad ogni movimento, calava l'àncora secondo le istruzioni di mio padre, che aveva in braccio Gioele.

Pranzammo in serenità, il suono dei gabbiani affamati e il Sole a battere sulle nostre teste. Il profumo delle pietanze mediterranee cucinate con amore dalla nonna e da Geppa allagò la barca in ogni angolo, mentre Tonio metteva il formaggio sulla pasta di Gioele, io versavo il vino bianco in ogni bicchiere.

Papà aiutava la mamma e Geppa con i piatti, le mie cugine chiacchieravano con la nonna e il nonno. La bisnonna Silvia se ne stava a vegliare su di noi, a sorridere e a ridere.

Riccardo era seduto di fronte a me, a pochi posti più in là.

Tra una chiacchiera e l'altra, saltò in aria l'argomento sulle università. «Tesoro, tu che università vuoi fare?», chiese zia Monica.

«Letteratura», dissi, prendendo un sorso di vino, «Sempre se passo l'esame.»

«Certo che lo passerai», mi sorrise mia madre. «Dovresti credere più in te stessa.»

Sospirai. «Incrociamo le dita.»

Papà mi sorrise, poi i suoi occhi si spostarono su qualcuno dietro di me, dall'altro lato della tavola.

«Ma, Riccardo, non ti ho mai chiesto se tu frequentassi l'Università», mormorò, interessato, spezzando un poco di pane.

Mi voltai verso il diretto interessato che spostò, a sua volta, l'attenzione su mio padre, le braccia poggiate sul tavolo, la mano a sostenergli la guancia e a tirargli leggermente l'angolo dell'occhio. I capelli biondi ormai asciutti, scombinati e ricci a incorniciare il suo viso.

«No», negò, «Non fa per me», alzò l'angolo delle labbra, indifferente.

«Non è vero che non fa per te. Hai detto che ti piace anche a te la letteratura», la voce di Gioele si fece spazio tra gli sguardi di mio padre, «Come ad Alba.»

Riccardo sorrise, mettendogli una mano sul capo, «Hai ragione. Però non ho avuto la possibilità di continuare gli studi», disse, molto semplicemente.

«Oh...», mormorò mia madre, poggiando il mento sul palmo. «Mi spiace. Non ce lo avevi detto.»

Riccardo fece spallucce, reclinandosi sullo schienale. «Non si deve dispiacere, può capitare.»

«Sì, sì, certo. Ma è sempre brutto stroncare un percorso scolastico, o di apprendimento, quando ci sono ottime capacità», spiegò mia madre. «Quindi ti piace la letteratura, eh?»

Riccardo annuì. «Non che abbia letto chissà quali libri mastodontici o conosciutissimi della letteratura, ma quello che leggo mi affascina sempre.»

«Leggi per passione, quindi?»

«Non credo sia una passione. Però chiamiamola così.»

Papà continuò, «Abbiamo una libreria alla Villa, potresti farti un giro, magari trovi qualcosa che attira la tua attenzione.»

«Gli ho già prestato due libri», mi intromisi, ricevendo lo sguardo dei miei, sorpresi, «Sì, scusate se non vi ho chiesto il permesso, ma non ci ho pensato.»

«No, hai fatto bene», mi sorrise mamma, «E quali gli hai dato?»

«Pasolini e Baudelaire. Due classici loro.»

«Come li stai trovando?», gli chiese.

«È palese siano belli. Non ho molto da aggiungere. Spesso quando leggo i libri non trovo mai le parole per descrivere ciò che ho letto. Li ho finiti pochi giorni fa—»

«Li hai finiti?», gli feci eco.

Lui mi guardò. «Sì.»

«E non volevi dirmelo?»

«Mi è passato di mente.»

Alzai gli occhi al cielo.

Passammo il resto del pranzo a chiacchierare. Sparecchiammo, zio Flavio mi prese un po' in giro, come al solito suo.

Gioele e gli altri miei cugini decisero di farsi un bagno, io, Iris e Sofia, andammo a farci un giro. Ci assaporammo Ischia Ponte nel suo silenzio pomeridiano, le onde a scontrarsi sugli scogli.

Restammo per un bel pezzo di pomeriggio a goderci la quiete, parlammo un po', discutemmo sulle varie cose da fare ad Ischia e, al ritorno, verso il pontile, intravidi la sagoma di Riccardo. Stava parlando con una ragazza.

Lui era seduto sul muretto di pietra, lei a pochi passi da lui, quasi tra le sue gambe. Lei gli sorrideva, e gli parlava con calma. Lui la fissava, senza dire niente, neanche un cenno. Però la fissava.

Eppure, senza proferire parola, Riccardo si accorse di me e decise di farmelo capire, riservandomi uno sguardo lungo e insistente. Con la punta dell'occhio feci la stessa cosa. Mi addentrai tra gli scogli, e i nostri occhi si lasciarono, si persero senza trovarsi per abbondanti ore.

Feci una nuotata, mi sentivo turbata, e neanche sapevo il perché. Avevo un peso sullo stomaco, mi convinsi fosse stato il vino e i troppi drink ingeriti negli ultimi tempi. Nuotai a lungo e largo, feci addirittura il giro del Castello Aragonese a nuoto. Andata e ritorno.

Pensai. Mi resi conto che quello che stavo provando era fastidio. Proprio nello stomaco, in alto sullo sterno, bruciandomi il respiro.

Quando tornai sulla barca era ormai tarda sera. Andai direttamente nella mia camera e feci una doccia meditata, per sbollirmi.

Lasciai i capelli ad asciugare all'aria, una canottiera addosso e un pantaloncino. Mi ero abbronzata tantissimo, le mie lentiggini si erano moltiplicate sulle mie guance e sul naso, sulle braccia e sul petto.

Cenammo, ed io rimasi in silenzio per la maggior parte del tempo. Sentii sempre gli occhi addosso, però non volli sapere chi mi stesse disturbando, forse perché in fondo già sapevo la risposta.

Mamma e papà, dopo cena, scesero dalla barca e si sedettero sugli scogli. Presero dieci ciliegie ciascuno. Li spiai in silenzio, con il rumore del mare che contornava i loro sorrisi, il tramonto rosso e focoso a splendere e morire piano.

Mangiarono le ciliegie. Conservarono i noccioli. Dopodiché ne presero uno alla volta, chiusero gli occhi e li lanciarono il più lontano possibile, il rumore dei loro piccoli tuffi a risuonare nella quiete marina.

Quello che stavano facendo era un gioco di mio padre. Consisteva nel preservare i noccioli delle ciliegie per poi lanciarli lontano, nel mare, mentre esprimevano dei desideri, e quello che sarebbe andato più lontano era il desiderio che si sarebbe avverato.

Li osservai fare quel buffo gioco e mi chiesi che desideri stessero esprimendo. All'ultimo nocciolo, lanciato da mia madre, papà le sorrise più dolcemente. Le accarezzò i capelli, lei si appoggiò contro la sua spalla, gli disse qualcosa all'orecchio e lui la strinse. Lei alzò il mento, si lasciò osservare e poi baciare. Era un semplice bacio, che trasudava di speranza, di abitudine, di dolcezza. Di amore.

Lei rimase a osservare il tramonto tra le sue braccia; lui rimase a osservare mia madre che era tra le sue braccia.

Si fece tardi. Io non cedevo alla sonnolenza. Gli unici a rimanere sulla barca furono la mia famiglia, la bisnonna Silvia, Geppa, Tonio e Riccardo.

Gli altri andarono a dormire in un albergo a pochi kilometri dalla barca, uno di quelli confortevoli per la notte, con doccia fredda e idromassaggio.

Rimasi seduta a penzoloni sulla poppa. Guardai il mare nero, salutai le stelle e la Luna. I miei mi diedero la buonanotte, «Tesoro, ancora qui?»

«Non riesco a dormire ancora. Però non resterò molto, non vi preoccupate», li assicurai, e loro annuirono, sospirando, si rinchiusero nell'oblò, nelle nostre camere.

La Luna così in alto mi fece intuire fossero le undici passate, la movida ischitana si muoveva nel borgo di Ischia Ponte, dal pontile si vedevano le luci calde dei pali che illuminavano il tragitto assieme alle stelle.

Dopodiché sentii qualcuno muoversi sulla superficie della barca. Quando i passi mi sembrarono vicini abbastanza, mi voltai.

Trovai Riccardo. Alto, le braccia conserte, la spalla poggiata sulla cabina dove c'era il timone, poco lontano da me.

«Che fai da sola qua sopra?», guardò me, poi guardò il cielo.

«Niente. Riflettevo.»

«E a cosa riflettevi?», canzonò, divertito dal mio tono saccente.

«In generale. Non ho sonno», risposi, monocorde.

«Ti ho vista silenziosa prima, a cena. Non ti senti bene?», chiese.

«Mi sono sentita male, sì», annuii.

Lui non rispose. «Ma mi posso sedere vicino a te? O mi mordi?»

«Spiritoso», gli feci spazio ugualmente.

Riccardo si sedette, scivolò vicino a me. Le sue gambe a oscillare accanto alle mie. Poggiai la tempia alla ringhiera, osservai quel paesaggio oscuro ormai imparato a memoria.

«Tieni, ti ho preso queste», allungò la mano verso di me.

Distesi il palmo, lasciò cadere delle more su di esso.

Ridacchiai. «Da dove le hai tirate fuori? Oltre che spacciatore seriale, sei pure ladro seriale?»

«Le ho prese da nonna. Ne aveva portate alcune.»

Io guardai le quattro more sul mio palmo. «Tieni, prendine due», gliele passai, e, dopo che le prese, ne mangiai una, e poi l'altra. «Prima, a pranzo, hai detto che la lettura non è una vera e propria passione», iniziai, «Cos'è, allora?»

Riccardo non si aspettava una domanda del genere. Ci pensò per un po'. «Non lo so nemmeno io. È distrazione, sicuramente. Mi allontana dalla mia esistenza, mi fa vivere una vita non mia e, probabilmente, mi piace vivere quella vita di più», spiegò, «La lettura mi fa entrare in altre vite e mi distrae dalla mia.»

«Ti annoia la tua vita?»

«No, non mi annoia. Non mi ci ritrovo, ecco. A volte penso che è una vita che gli altri hanno scelto di farmi fare. Non ho il completo controllo del suo scorrere. È come una barca senza timone, ed io sono sopra a questa barca che provo a trainarla soffiando sulla vela», descrisse, «È qualcosa più grande di me, Alba. E mi auguro che tu non mi conosca mai del tutto», mi guardò, mi guardò davvero, con gli occhi luccicanti e un'espressione assorta.

Ci guardammo per lunghi secondi, secondi in cui pensavo di star dormendo.

«A volte, però, può servirti una persona che soffi sulla vela con te.»

«La barca è in tempesta. L'altro passeggero, se cadesse in mare, io non me lo perdonerei.»

«Esistono i salvagente.»

Si lasciò sfuggire una risata. «Non nella mia barca, principessa.»

Sospirai. Sembrava che capissi tutto, ma nel frattempo non capivo niente. Però, più lo guardavo e più volevo che mi parlasse, che mi dicesse tutto di lui, che mi dicesse qualsiasi cosa, anche la più banale.

«Sai che c'è?», dissi, issandomi sulla schiena, «Non m'importa.»

«Come?»

«Vuoi fare una cosa?», chiesi, presa da una sensazione strana, diversa dalle altre, diversa da tutte le altre sensazioni, come se qualcuno mi avesse respirato nei polmoni. «Però io la farò con o senza di te», mi alzai in piedi.

«Cosa intendi fare?»

«Spogliati.»

Riccardo rise, del tutto stranito. «Ho capito bene?»

Io sbuffai, frustrata, «Non per quello che pensi tu, idiota. Sei un pervertito», sbottai, mentre cominciai a togliermi il pantaloncino.

«Cosa fai?», domandò ancora, ridendo.

«Io mi faccio un bagno», mi tolsi la canottiera, «Fa bene l'acqua fredda per il sangue e per concentrarsi. Anch'io ho bisogno di prendere le redini della mia vita, però ho bisogno di uno schiaffo morale. E visto che ci siamo...»

Rimasi in intimo davanti a lui. Un completo bianco, normale.

Senza lasciarlo ribattere, scesi la scaletta e con un piccolo salto, gli occhi stretti, mi lasciai assorbire dal mare oscuro, mi lasciai penetrare e infilzare da un migliaio di spine di ghiaccio, dandomi al cervello.

Risalii in superficie con il fiato corto. Mi passai una mano sul volto e con un sospiro guardai il cielo stellato, l'aria fredda a congelarmi piano, a svegliarmi in silenzio, latente.

E mentre stavo a peso morto sull'acqua, un altro tonfo mi fece intuire che Riccardo si fosse buttato in mare. Quando risalì in superficie imprecò in napoletano.

«Non avevi mai fatto il bagno di notte?», chiesi, divertita.

«No, è da pazzi», esalò, infreddolito, «Mi si gelano i coglioni.»

Risi di più. «Papà me lo faceva fare sempre da bambina, era da tanto che non lo facevo. Almeno anche tu hai una prima volta», gli feci notare.

Lui alzò un sopracciglio e socchiuse gli occhi lasciandosi andare, «In effetti.»

Ci lasciammo ondeggiare dal mare, Riccardo si confondeva tra di esso, mi piaceva guardare la sua pelle rabbrividire quando toccava l'acqua e i suoi tatuaggi scambiarsi col nero del fondale.

«Chi era la ragazza di prima?», mormorai, sperando non fossi risultata antipatica o impicciona.

Lui non parve sentirmi. «Mh?», mi guardò, alzando il viso dall'acqua.

«La ragazza di prima, sembrava che vi conosceste bene.»

«Ma chi? Marica?», rise, «Sa giusto come mi chiamo», lo ascoltai con le sopracciglia strette che formavano un cipiglio, «Era una mia vecchia compagna di classe, anni fa. C'ho fatto mezza cosa l'inverno scorso», raccontò.

«Capisco», dissi, distaccata. Poi notai un altro brivido percorrergli la schiena, «Avvicinati», gli consigliai. Lui mi guardò senza capire. «I corpi vicini danno più calore sott'acqua. Fidati. Avvicinati a me», gli tesi la mano.

Riccardo mi venne vicino. Sentii la pelle liscia delle sue gambe sfiorare le mie cosce e le sue braccia sfiorare le mie mani. «Non senti di essere più consapevole di quello che c'è attorno a te?»

Gli occhi di Riccardo mi scrutarono attentamente. Mi guardò come non mi aveva mai guardata. Parve vedere anche i dettagli più nascosti del mio viso.

In quel mare così confusionario, così nero e sconosciuto, con Riccardo non ebbi paura. Non scoppiò alcun magma di paura, mi guardò ed io lo trovai. Egli mi tenne incollata ai suoi occhi ed io non osai distaccarmi, neanche un secondo, per il timore di non riuscire più a trovarlo.

«Forse sì», sussurrò, impercettibilmente, il suo tono di voce sovrastato dall'essenza del mare.

Eravamo molto vicini. Le mie mani tracciarono una scia accidentale sul suo fianco, e le sue gambe toccarono le mie caviglie. Il calore dei nostri corpi cominciò a riscaldarmi.

Osservai il suo viso. C'era solo lui attorno a me. Non avevo mai avuto una persona davanti a me così reale, così chiaramente se stessa. Non avevo mai guardato qualcuno in quel modo. In quell'acqua, troppo rumorosa e ansante, sembravamo gli ultimi sopravvissuti a un naufragio, a una catastrofe.

Sentivo il movimento delle sue braccia attorno al mio corpo, come se già fossi inglobata con lui. Eravamo così vicini che gli potevo nuotare negli occhi. Così vicini che avrei potuto sfiorargli il naso, la corrente ci faceva oscillare assieme a lei e noi ci aggrappavamo al nulla, senza staccarci gli occhi di dosso. Così vicini che avrei potuto toccargli davvero la guancia. Che avrei potuto...

Avrei potuto fare tantissime altre cose.

Ma tutto ciò che feci fu protendermi piano e le mie labbra si posarono sulle sue. Fu un qualcosa di forte, qualsiasi cosa fosse, mi fece tremare tutto il cuore, le arterie, il respiro, sentii come un impatto violento ovunque sotto pelle.

La punta del mio naso a schiacciarsi appena vicino al suo. Era un bacio orrendo, eppure non gli diedi importanza. Mi imposi sulle sue labbra, forte, premendole.

E solo quando sentii di nuovo il mare viaggiare attorno a me, capii del gesto estremo, della sensazione di confusione improvvisa che mi invase, del guaio che avevo combinato.

Fu un bacio veramente tremendo, tipo quelli che si danno alle elementari, quando si gioca ad obbligo o verità. Sì, era stato così brutto.

Quando mi ritrassi imbarazzata per ciò che avevo fatto, provai a scusarmi, a fargli capire che era stata una cosa fatta senza riflettere, era stata una sciocchezza. «Scusa, non dovevo—»

Quando alzai gli occhi nei suoi, staccandoli dalle sue labbra schiuse, lui mi inghiottì. Le sue iridi mi accorparono, mi gelarono in quel mare oscuro, sotto il cielo blu. Rimasi senza respiro.

La mia voce venne tagliata, strappata via da Riccardo che non mi lasciò più parlare. Fermò il battito del mio cuore con un altro bacio. Sentii la gravità crollarmi sulle spalle.

Le sue labbra accarezzarono le mie. Mi baciò lentamente, mentre le onde ci percuotevano, Riccardo mi travolse l'anima, insinuandosi nel mio sangue. Una mano a sorreggermi il mento, a costringermi a stare zitta e a non parlare manco per scherzo. La sua bocca si schiudeva, insistente, cercava la mia, mi pregava di venirgli incontro ed io lo assecondai ogni volta, lo pregai di non smettere.

Il suo respiro affannato a mischiarsi al mio, i suoi baci a rallentare. Poggiò le labbra sulle mie, le dischiuse per riprendere fiato ed io feci la medesima cosa. Improvvisamente era diventato difficile pure mantenersi a galla. Ci respirammo a vicenda, il cuore a battermi ferocemente nelle orecchie, nella gola.

Quando socchiusi gli occhi, Riccardo già mi stava guardando. Sentii un macigno crollarmi dritto nello stomaco, come se il mio cuore fosse diventato di pietra e si fosse fermato definitivamente.

Lui accusò un piccolo sorriso. Abbastanza da stronzo.

«Scusa, manco io dovevo.»

Però non si fermò, e non si allontanò nemmeno.

Fece il contrario.

Mi accarezzò le labbra con la lingua, si spinse di più su di me. Mi lasciò senza respiro, ancora, ancora, ancora. Incontrò la mia lingua, il sale del mare a mischiarsi ai baci, ai lunghi baci, alla saliva, al respiro. E il mare mi entrò in corpo, proprio come Riccardo lo stava facendo inconsapevolmente. Mi stava ammazzando, con un'atrocità indicibile.

Il suo pollice ad accarezzarmi la mandibola e la sua pelle fredda a farmi rabbrividire come se non bastassero quei baci. Incastrò l'altra mano sulla mia nuca, tra i capelli.

La notte ci passava addosso, diventava come il mare, una cosa sola. E noi due eravamo come una supernova in tutto quel buio.

Quel bacio avrei voluto disegnarlo nei miei ricordi con qualcosa di indelebile.

Riccardo mi baciò forte. Mi strinse la faccia forte, senza farmi male, solo per farmi capire che era successo davvero, non stavo dormendo. Si timbrò nella mia mente.

Quando decidemmo di salire sulla barca, nascondemmo dei sorrisi che vagavano tra l'imbarazzo e il soddisfacimento.

Afferrai i miei vestiti sul pavimento della barca, e mi allontanai per prendergli un asciugamano. Gliela lanciai, e lui la afferrò dandomi una lunga occhiata, per poi asciugarsi i capelli e strofinarseli a testa in giù. Se la arrotolò sui fianchi, ed io mi avvolsi la mia attorno alle spalle.

«Mi spieghi cos'era?», ridacchiò, portandosi i capelli all'indietro.

«Mh?», ringraziai Dio, o qualsiasi forza superiore, che fosse notte, che se solo avesse visto come mi ero fatta rossa mi avrebbe riso in faccia.

«Quella sottospecie di bacio, se possiamo chiamarlo così.»

«Buonanotte, Riccardo», mi affrettai a dire, alzando gli occhi al cielo e passandogli vicino.

Senza darmi il tempo di pensare, mi prese il braccio, me lo strinse tra la mano e mi costrinse a voltarmi nuovamente verso di lui.

«La principessa si vergogna di rispondere?», mentre lo diceva i suoi occhi scesero sulle mie gambe nude.

«Dove sei stato prima? Sei sparito dopo cena. A chi sei andato a vendere la droga?»

«Certo, cambia pure argomento», rise, lasciandomi il braccio, «Baci come le ragazzine.»

Scoppiai a ridere, «Ah, perché tu mi avresti baciata se non lo avessi fatto io per prima?», gli sorrisi sfacciata, «Sei un cagasotto.»

«Almeno bacio bene.»

«Ma vattene a fanculo.»

«Non ti sta bene che io abbia ragione? Vedi che non c'è niente di male ad ammettere che t'è piaciuto, bambina», alzò un sopracciglio.

«Vuoi vedere come ti arriva una cinquina?», lo minacciai.

Lui rise prima di infilare il braccio sotto l'asciugamano, incollarmi al suo petto nudo e bagnato e circondarmi i fianchi. Mi stava toccando la schiena, andai a fuoco. Mi schiacciò contro di sé, un contatto scottante.

«Fammi vedere.»

«Tu sei proprio un coglione», provai a togliergli la mano dai miei fianchi, ma lui mi aveva avvinghiata così forte che sentii la mia pelle prendere la forma delle sue dita.

«Che c'è? Non me lo dai lo schiaffo?»

«Vedi di fare poco lo stupido, che se mio padre ci becca ti licenzia e ti prende a calci in culo», lo avvisai, mentre il suo sorriso sfiorò le mie labbra e il suo respiro la mia guancia.

Deglutii appena mentre lui alzava lo sguardo dalle mie labbra con quell'aria da stronzo, con quell'aria di uno che quelle mosse le aveva fatte a tutte, e tutte c'erano cascate.

«Che ti frega se vengo licenziato?»

«Non me ne frega assolutamente niente.»

«Allora perché non mi baci?»

«Lo decido io quando baciare una persona.»

«Oh, allora dovrei aspettarmi un altro bacio da bambina di quarta elementare?»

«Se non lo vuoi basta dirlo. Oppure non vuoi ammettere che ti è piaciuto?»

«A me piace ogni cosa che fai, bambina.»

Mi mordicchiai la pelle della guancia, «Falla finita. Buonanotte, Riccardo, o vuoi anche che ti accompagni nella tua camera e ti rimbocchi le coperte?», feci un'espressione divertita.

«Guarda che puoi pure infilarti nel letto.»

«Ciao, Riccardo», ridacchiai, scivolando dalle sue grinfie e raggiungendo la porta di camera mia.













Note d'autore

Abbiamo già varcato le centoventi pagine... 🫣. Adesso voi credete che sia tutto rose e fiori? Be', credete male. Adesso inizia l'avventura 🤍.
A presto!!


P.S.: Vi consiglio vivamente di cercare foto su Ischia Ponte e un po' su Ischia in generale, che dalle foto è tutta un'altra meraviglia. Vi consiglio anche di informarvi sul Castello Aragonese, che ha una storia sulle spalle di un certo spessore.

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