E il tempo scivola via

By Maschera_di_fumo

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Premessa
Playlist
Dedica
Prologo
[...]
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32 (Prima parte)
Capitolo 32 (Seconda parte)
Capitolo 33 (Prima parte)
Capitolo 33 (Seconda parte)
Capitolo 34 (Prima parte)
Capitolo 34 (Seconda parte)
Capitolo 35
Capitolo 36 (Prima parte)
Capitolo 36 (Seconda parte)
[...]
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
[...]
Epilogo

Capitolo 24

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By Maschera_di_fumo

Il viaggio in auto era stato silenzioso. Price aveva tenuto la fronte poggiata al finestrino dell'auto, scrutando il paesaggio scorrere mentre Chris era alla guida. Il rumore del motore aveva fatto da colonna sonora a quel viaggio. Solitamente ciò che gli altri pensavano di lui, ciò che dicevano, non gli era mai importato. Ma, questa volta, sentirsi sbattere la verità in faccia, gli aveva fatto male. Più delle offese, più degli stereotipi che gli avevano inflitto senza far nulla. Gli aveva ricordato, ancora una volta, che sua madre se n'era andata lentamente sotto i suoi occhi, che suo padre aveva scelto loro e non lui. Si era sentito spesso sbagliato per questo, come in quel momento. Ma poi lo aveva mandato a farsi fottere, ricordandosi che ce l'aveva fatta fino a quel momento. In quell’autovettura però, trovava molto difficile pensare in quel modo. Si sentiva stanco ed inadeguato. In quel momento avrebbe voluto crogiolarsi nel proprio letto, dopo aver fumato una gustosa sigaretta. Una di quelle che riempie i polmoni di catrame cancerogeno e deleterio, che lascia il sapore di tabacco in bocca. Peccato che Charlie gli avesse sequestrato il pacchetto. Lo stesso zio che aveva chiamato poco fa ed aveva ribadito, raccomandando la supervisione di Christopher, di mangiare. Lo stesso ragazzo che, in quel momento, se la stava facendo letteralmente addosso.

Avere lì il teppista avrebbe significato presentarlo ufficialmente ai suoi come il suo ragazzo. Presentarlo agli stessi genitori di cui non sapeva minimamente cosa ne pensassero. Se non lo avessero accettato? Se lo avessero cacciato di casa? Se li avessero insultati? Sarebbe stato in grado di riceverli? Di una cosa era certo, non avrebbe mai permesso che l’azzurrino ne ricevesse alcuno, lui non avrebbe retto. Lo osservò con la coda dell'occhio, trovandolo con la testa poggiata sul palmo della mano. Il gomito sullo sportello dell’auto.

«Siamo arrivati alla mia libaggione, messere», ironizzò il biondino, parcheggiando davanti casa. «I miei non sono ancora tornati ed Ellen ha le ripetizioni. Siamo soli».

«Ambrogio, sei davvero allusivo quando ti ci metti», scese dall’auto.

«Che posso farci? Sono un ragazzo in piena adolescenza», lo seguì per poi aprire la porta d’ingresso.

«Spegni i tuoi ormoni adolescenziali e cerca di vincere la gravità sul tuo apporto di sangue», un sorrisino sornione incrinò leggermente le sue labbra, che White baciò subito dopo.

«Me lo rendi davvero difficile», intrecciò le dita con quelle fredde del ragazzo, «Poggiamo gli zaini e poi ci prendiamo della cioccolata calda?»

Il teppista non poté far altro che annuire, anche se aveva la nausea. Non era molto di compagnia, ne era consapevole, come il fatto che il biondo si stesse sforzando di tirarlo su di morale. Perciò, quando si trovò davanti la bevanda fumante, in una tazza bianca di ceramica, si sforzò di berne qualche sorso. La avvolse con le dita guardandolo di sottecchi. «Sei agitato, vero?»

«Com'è stato il tuo Coming out?» lo aveva fatto, aveva finalmente avuto il coraggio di chiederglielo.

«L'ho fatto solo con lo zio Charlie», bevve un sorso, «Con mamma è stato diverso».

«Che intendi?» alzò un sopracciglio biondo, seduto sulla sedia al tavolo da pranzo, al suo fianco.

«Vide me e Daniel baciarci, ma fece finta di nulla. Ovviamente, appena ci accorgemmo di lei, ci staccammo come se fossimo stati scottati». Entrambi sostennero lo sguardo dell’altro mentre, in quella dimora silenziosa, Price parlava a bassa voce, come se avesse timore. «Non ne abbiamo mai parlato ma, il giorno prima che lei morisse, in quella fottutissima stanza ospedaliera, mi osservò con quegli occhi azzurri. Mi strinse la mano e mi sorrise dicendomi che era fiera di me, che sarei sempre stato suo figlio», la voce s’incrinò mentre gli occhi divennero lucidi. «Poi mi sorrise, uno di quei sorrisi malinconici mascherati da sorrisi incoraggianti, e mi disse che sarebbe stata dura, che non tutti avrebbero accettato le mie scelte di vita ma che avrei dovuto infischiarmene ed essere felice». Abbassò il capo, mordendosi il labbro inferiore. Gli occhi prudevano, le lacrime spingevano per uscire e rigargli il viso. Scrutava la tazza di cioccolata senza guardarla davvero, sembrava che, ciò che aveva appena raccontato, gli stesse passando dinanzi come un film. Non aveva mai raccontato a nessuno degli ultimi momenti con sua madre e, da allora, aveva cercato di non ricordarli, o meglio, non ne aveva avuto il tempo.

«Mi dispiace, non volevo farti stare peggio».

«Non preoccuparti, sto bene», mentì alzando lo sguardo e sforzandosi di sorridere, «Vado in bagno». Si alzò lentamente dalla sedia, ma White lo bloccò per il polso.

«Sai che ci sono, vero?» quella non doveva essere una domanda, entrambi lo sapevano bene. Chris era uno dei pochi che gli era rimasto accanto, che lo aiutava. Gli era rimasto accanto anche nelle situazioni più scomode, come le sedute della Chemioterapia. Si sentiva in colpa per tutto questo. In quel bagno, alla festa di Nick, gli aveva dato del superficiale. Si era sbagliato, avevano preso abitudine di parlare di argomenti delicati e aveva appurato che non lo fosse. Come aveva potuto giudicare una persona dalle apparenze? Proprio lui? Proprio alla persona che, in quella situazione, gli stava accanto?

«Hai demolito tutti gli stereotipi con tutti i presupposti che mi ero fatto su di te», sussurrò quella medesima frase che Christopher gli aveva rivolto il giorno che si erano baciati, nel suo appartamento. «So che ci sei», si sforzò di sorridere, anche se il groppo in gola gli impediva sempre più di deglutire silenziosamente. Si chinò verso di lui e gli lasciò un delicato bacio a fior di labbra. «Grazie», sibilò. Fece per andare, ma il biondino lo fermò.

Si alzò e lo strinse a se senza dire niente. Le parole non servivano in quel momento, nessuna di esse sarebbe mai stata abbastanza, nessuna avrebbe mai eguagliato il calore di un abbraccio, un bacio rubato, o i loro occhi che s’incrociavano e rimanevano, per un secondo in più del dovuto, a guardarsi. Poggiò la fronte sulla sua spalla, profumava di pulito.

«Dovrei andare in bagno, principessa», un lieve ghigno sollevò un lembo della sua bocca. Non voleva separarsi da quell'abbraccio, ma doveva. Sarebbe crollato davanti a lui. Il nodo in gola era sempre più persistente e le lacrime minacciavano di uscire. Ma ricambiò comunque l'abbraccio.

«Adesso non mi chiami più Signor Stalker?» si staccò controvoglia.

«Certo, ma ti ho chiamato con il tuo secondo nome», fece l'occhiolino per poi andare in bagno. Chiuse la porta a chiave e poggiò la schiena sulla superficie. Le lacrime rigarono il viso senza controllo, senza ritegno. Le gote s’imporporarono. Le labbra, che stava massacrando tra i denti, erano diventate bordeaux. Umide e salate. Si sedette sul bordo della vasca evitando il suo riflesso, nello specchio sopra al lavabo. Poggiò i gomiti sulle gambe coprendosi il viso con entrambe le mani. Non aveva il coraggio di guardarsi, non in quello stato pietoso.

Nel mentre, Christopher era rimasto lì, imbambolato. Incapace di agire, di farlo stare meglio. Sapeva che aveva peggiorato la situazione, il suo umore, con quella domanda scomoda sul coming out. Si sedette in modo scomposto sulla sedia e si passò le mani sul viso. «Sono un coglione», bofonchiò a se stesso.

«Per fortuna ne sei consapevole», il biondo sussultò, pensava di essere solo. Si voltò di scatto, trovando Ellen sull'uscio della porta.

«Ellen», sussurrò mentre si alzava velocemente, intento a sfuggirle.

«Dobbiamo parlare, non provare a filartela», si sedette e lo osservò fare altrettanto. Aveva un'espressione mista tra la confusione e la preoccupazione. «Io e Josh stiamo insieme».

«Aspetta, cosa?!» spalancò la bocca e sgranò gli occhi, increduli. «Da quando?»

«Da un po'», lo vide boccheggiare e provare ad urlare ma lo fermò alzando il dito indice. «Siamo pari. Neanche tu mi hai detto di te e Price».

«È diverso».

«In cosa sarebbe diverso? Pensavi che io non ti accettassi? Pensavi che ti avrei ripudiato come fratello solo perché ti piacciono i ragazzi? Chris, sei sempre tu! Che mi piaccia o no, sarai sempre il mio irritante fratello maggiore».

«Non mi piacciono i ragazzi, mi piace solo Vick», la corresse, sollevato. La sua sorellina lo aveva accettato senza alcun problema, si era fatto problemi per niente. Almeno per quanto riguardava la ragazza.

«A proposito, dov'è? Ho visto la sua macchina parcheggiata qui fuori e ci sono due tazze sul tavolo».

«È in bagno, Sherlock. Dorme qui», la informò.

«Sei davvero un’idiota. Eviti mamma e papà e poi inviti Price a casa? Ma che ti dice il cervello?»

«Non potevo lasciarlo solo, ha bisogno di me», abbassò lo sguardo sulla tazza ormai vuota. Già, aveva bisogno di lui ma non lo stava aiutando affatto, anzi. Sospirò, «Ho intenzione di affrontarli a cena».

«Vi sarò di sostegno», sospirò arresa. Lo aveva ripetuto anche quella sera che il teppista aveva bisogno di lui, spingendolo perfino a prendere un anno sabbatico.

«Dì tu che Vick si ferma a cena», la osservò alzarsi.

«Non faccio nulla gratis», Ellen fece un occhiolino, «In cambio non farai la paternale a Josh».

Il biondino sbuffò, «Va bene, ricattatrice».

«Allora è deciso, idiota». Un sorriso apparve sui loro volti, entrambi si sentirono il petto un po' più leggero.

§

Chris si chiuse la porta della camera alle spalle ed osservò Price che, da quando era uscito dal bagno, aveva evitato in ogni modo il suo sguardo. Si limitava a guardare a terra, con quelle guance più colorite del solito. Nessuna parola aveva lasciato quella bocca. Si avvicinò all’azzurrino, gli afferrò delicatamente il viso e lo sollevò, incrociando finalmente i suoi occhi rossi. Aveva pianto, era evitente. Erano ancora lucidi e quell’azzurro sembrava divenire ancora più intenso, acceso. Risaltava, contornato dal rossore che lo circondava. Quelle iridi così tristi cercavano di evitarlo, ancora. Gli accarezzò le gote con i pollici, dolcemente. «Non tagliarmi fuori dal tuo dolore. Io sono qui», affermò con gentilezza.

Dal canto suo, Victor sembrava spiazzato. Incrociò il suo sguardo, quelle iridi color miele erano lì. Ferme, decise. «Christopher», sibilò come se la sua voce ormai non fosse più abituata a produrre suoni. Le sue pupille scivolarono lentamente sulla sua bocca, dilatandosi. Avvicinò il viso al suo fino a sfiorargli le labbra, timidamente. Le baciò in modo casto per poi approfondirlo. Entrambi chiusero le palpebre, accentuando ogni sensazione. Le mani di White scivolarono sul lembo della felpa rigorosamente nera, mentre le braccia del teppista si stringevano sulle spalle del ragazzo. Gli accarezzò quei capelli biondo cenere, morbidi, setosi, senza mai staccarsi da quel bacio che di casto non aveva più nulla. Sentì le dita calde di Chris sfiorargli la pelle della schiena, fino a risalire lentamente la spina dorsale provocandogli dei brividi.

Lo strinse a se, facendolo aderire al suo corpo mentre carezzava quel gracile corpo. Poteva quasi sentire tutte le costole sotto quella pelle così morbida, liscia, calda. Avanzò fino al bordo del letto, facendolo indietreggiare. Interruppe il bacio contro voglia, facendolo sedere sul materasso. Entrambi avevano il respiro affannato, i loro petti si muovevano velocemente. Si tolse la maglia e riprese a baciare quelle labbra, divenute rosse e lucide, facendolo distendere. Non si era mai sentito così preso, così bisognoso di quei baci, di quel calore. Sussultò leggermente quando le dita slanciate e fredde di Victor sfiorarono il suo addome, la sua pelle nuda sotto quel tocco sembrava bruciare. Con la mano riprese ad avanzare lungo quella pelle pallida, sotto la felpa corvina, fino a sollevarla e scoprirgli il petto. Il cuore gli batteva all'impazzata, sembrava quasi pulsargli alle orecchie. Lasciò la sua bocca, i respiri si mescolavano come le iridi di quei colori così contrastanti tra loro, entrambi languidi. Esplorò con gli occhi ogni centimetro di pelle scoperta. Iniziò a lasciargli baci umidi sull’addome fino a risalire sul petto, godendosi i brividi del teppista, sotto quelle attenzioni. Fece per riprendere il bacio, ma qualcuno bussò alla porta. Sussultarono, come se quel rumore avesse appena scoppiato la loro bolla.

«È pronta la cena, colombini» li avvisò Ellen, dietro la porta, senza avere il coraggio si aprirla.

Com'era possibile che li interrompessero sempre? Poggiò la fronte sulla spalla di Price, sconfortato.

«Ho un Deja-vù», ironizzò accarezzandogli i capelli. Era successo anche l’ultima volta che lo aveva invitato nella residenza White.

«Già», sbuffò abbracciandolo, «Non voglio andare».

«Dov'è finita la determinazione mostrata nel parcheggio?»

«L’ho lasciata lì».

«Io sono qui», lo citò, ricordandogli che anche lui sarebbe rimasto al suo fianco. Almeno fino a quando il cancro glielo avrebbe concesso.

«Anche io sono qui», sorrise lasciandogli un bacio a fior di labbra, casto, prima di alzarsi e rinfilarsi la maglia.

«Sbaglio o tua sorella ci ha appena chiamati Colombini?», si sedette abbassandosi la felpa.

«Josh ed Ellen stanno insieme, credo l'abbia influenzata», alzò gli occhi al cielo. Era irritato, erano stati nuovamente interrotti.

«Christopher», lo chiamò afferrandogli timidamente la mano. Avvicinò il suo viso a quello del biondino per baciarlo, «Grazie» sussurrò con quelle labbra arrossate.

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