Tecum

By azurahelianthus

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#2 VOLUME DELLA SERIE CROSSED PATHS "𝐿𝑒𝑖 π‘’π‘Ÿπ‘Ž π‘Žπ‘›π‘π‘œπ‘Ÿπ‘Ž π‘’π‘›π‘Ž π‘›π‘œπ‘‘π‘‘π‘’ π‘ π‘’π‘›π‘§π‘Ž 𝑠𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑒... More

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I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.
IX
X.
XI.
XII.
XIII.
XIV.
XV.
XVI.
XVII.
XVIII
XIX.
XX.
XXI.
XXII.
XXIII.
XXIV.
XXV.
XXVI.
XXVII.
XXVIII.
XXIX.
XXX.
XXXI.
XXXII.
XXXIII.
XXXIV.
XXXV.
XXXVI.
XXXVII.
XXXVIII.
XXXIX.
XL.
XLI.
XLII.
XLIII.
XLIV.
XLV.
XLVI.
XLVII.
XLVIII.
L.
π„ππˆπ‹πŽπ†πŽ.
𝐔𝐍𝐀 𝐋𝐄𝐓𝐓𝐄𝐑𝐀 𝐏𝐄𝐑 𝐓𝐄
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XLIX.

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By azurahelianthus

Quando si cadeva, metaforicamente parlando, di solito c'era sempre qualcuno che ti aiutava a rimetterti in piedi. A volte eri tu, a volte era un amico, un fratello, un fidanzato o un parente. Ma quando erano tutti a crollare e nessuno aveva la forza necessaria, cosa si faceva?

Mi strinsi di più nell'abbraccio consolatorio di Erazm e nascosi il viso nel suo petto, cercando di scacciare le lacrime agli occhi. Mi sentivo grata, dannatamente grata, ad averlo ancora qui con me e di conseguenza quasi in colpa. Nivek era morto per salvarmi o almeno credeva di star facendo questo. 

Non sarei morta. Mi sarei beccata la pallottola, sarei finita in coma, avrei sofferto, ma non sarei morta. E lui sarebbe stato ancora vivo, perché era così che doveva andare. 

Osservai Rut stringere Ximena, che piangeva a dirotto malgrado non avesse chissà quale rapporto passato con Nivek, e Med che stava poggiato sul muro a braccia conserte e sguardo vitreo. Anche Erazm piangeva, ma lui era sempre stato così: sentiva il dolore degli altri come se fosse suo e piangeva, piangeva e piangeva. Non lo conoscevano molto, ma erano sconvolti quanto noi, perché non c'era una singola persona al mondo che avrebbe potuto dire che Nivek non era speciale per tutti. Emanava luce e divertimento da lontano e anche se non ci parlavi quella luce ti scaldava dentro. Non potevi non volergli bene. 

Spostai lo sguardo su Dantalian e Myn. Si stringevano con un braccio e lei aveva la testa posata sul suo petto, proprio come me ed Erazm. Piangeva a dirotto, osservando il corpo di Nivek che io e Melville avevamo coperto con un lenzuolo in attesa della polizia e dei soccorsi che sarebbero serviti a ben poco. Quest'ultimo si era occupato di tutto il resto.

Aveva addormentato Denholm a forza di pugni, scagliandosi contro di lui con tutta la rabbia e il rancore per aver ucciso quello che reputava suo fratello, "la sua ombra da anni" l'aveva chiamata. Poi aveva preso la pistola con un fazzoletto, per non sovrapporre le sue impronte a quelle di quel bastardo, e l'aveva posata sulle sue gambe. I fascicoli, le foto della stanza di cui parlava Nezha, i filmati delle videocamere poste nel bagno e anche la vera planimetria dell'istituto, compreso di tunnel segreti, era mostrata da una foto presente nel telefono di Denholm, il tutto poggiato sulla scrivania in attesa delle forze dell'ordine. 

Melville tornò dentro, mano nella mano con Honey, che era così sconvolta con quei suoi occhi rossi e le guance rigate di lacrime che non fu difficile trovare la forza di sorriderle un po', solo un po'. E per lui sembrò una salvezza, perché ricambiò malgrado la lucentezza dei suoi occhi. 

Mi districai dall'abbraccio di Erazm per prendere un po' di aria e mi sporsi dalla finestra che avevamo aperto del tutto, per far entrare aria pulita e cancellare la puzza di sangue. Oggi, malgrado tutto, c'era un sole caldo e splendente lì in alto. 

Mi chiesi se Nivek sapesse che io fossi diversa, se avesse capito qualcosa di me e della mia vera natura. Se saperlo avrebbe cambiato qualcosa nel corso degli eventi o se avesse comunque avuto l'istinto di buttarsi davanti a me per salvarmi. Chissà cosa aveva pensato negli ultimi attimi, mi chiesi, ma in realtà lo sapevo perché lo avevo vissuto. A me, però, era stato dato il modo di tornare. Lui non sarebbe potuto tornare più, ovunque fosse, e io speravo fosse in paradiso. Lo speravo con tutto il cuore. 

Un piccolo movimento destò la mia attenzione e quando spostai lo sguardo su di esso il mio cuore saltò un battito. 

C'era una farfalla. Una farfalla bianca, con delle piccole linee arancioni sulle ali. E mi stava volando attorno. 

«Ciao Nivek». Mi sfuggì un singhiozzo a metà fra il pianto e la risata. Le porsi un dito su cui poggiarsi e lei lo fece, senza alcuna esitazione o paura, come se fosse venuta qui per questo. «Dan!». Sussurrai. 

Quando mi voltai, ancora con la farfalla sul dito, il suo sguardo era già su di me. Gli passò negli occhi dorati un lampo di sorpresa e subito dopo un sorrise nostalgico, indicando a Myn quello che avevo sull'indice. Lei buttò uno sguardo al corpo accanto a lei e poi alla farfalla, di nuovo al corpo e di nuovo all'insetto. Poi si portò una mano alla bocca e iniziò a singhiozzare compulsivamente. 

Solo in quel momento Melville alzò lo sguardo. «Voi credete davvero che... che... insomma...». Non riuscì a dirlo e per questo si morse le labbra. 

Mi sentii improvvisamente osservata e alzai lo sguardo dalla farfalla solo per vedere gli occhi di Dantalian, Rut, Erazm, Ximena e Med su di me. Mi fissarono con affetto e io ricambiai con tutta la forza che portavo dentro e poi annuimmo tutti quanti. 

«Sì». Disse semplicemente Rut, con lo sguardo ancora su di me. «Sì».

La farfalla si alzò in volo poco dopo e sparì fuori dalla finestra, ma il calore e la speranza che aveva lasciato in noi non se ne andò mai. Anche quando le sirene della polizia e dei soccorsi si avvicinarono sempre di più, continuammo tutti a sorridere e a lacrimare. 

«Sono incinta». Annunciò improvvisamente Jessamyn. 

Sgranai gli occhi, anche se qualche dubbio lo avevo avuto, e Honey fu l'unica a non essere presa in contropiede. Dantalian indietreggiò un po' e la fissò come se fosse uscita di senno. «Lui lo sapeva?».

Lei scosse la testa e si posò le mani sulla pancia. «Non volevo dirglielo prima che fossi sicura, ma... ma non ho fatto in tempo... avrei voluto dirgli tutto dopo la gita, ma tutto è precipitato e... e ora non so... non so più cosa fare». Era distrutta. Potevo descriverla solo con questa parola. 

«Credo che lui lo sapesse, perché mi ha detto che voleva che ti aiutassi e che adesso avresti dovuto vivere per due. Forse... dentro di sé lo sentiva o aveva dei dubbi». Mormorai e questo aumentò il suo pianto. 

Honey le si avvicinò e le accarezzò la schiena, oltre che la pancia, in lenti cerchi delicati, sussurrandole che avere forti emozioni non faceva bene al bambino e che avrebbe dovuto calmarsi, farlo per Nivek, perché lui gliene avrebbe dette quattro se l'avesse vista in quel modo. 

Melville la fulminò quando Myn osò insinuare che forse era meglio se avesse abortito, perché da sola non ce l'avrebbe mai fatta. «Non dire mai più una cosa del genere. Se vuoi abortire, lo farai perché non vuoi un bambino, non perché sarai sola».

Rut, stranamente, le dedicò un'occhiata comprensiva. «È capitato?».

«Beh, di certo non volevamo crescere nostro figlio qui dentro, ma... appena usciti da qui avremmo provato a farne uno, perché volevamo una famiglia giovane». Ribatté lei, accarezzando la mano di Nivek che sbucava fuori dal lenzuolo e che sicuramente non era ancora del tutto fredda. 

Dantalian annuì di riflesso. «Allora non è niente di che, avete solo un po' accelerato i tempi». Sussurrò a voce bassissima, fissando il lenzuolo con sguardo vitreo. Sembrava stesse per esplodere e io avrei voluto tenerlo fra le braccia per contenerne i danni che avrebbe recato a sé stesso. 

Al richiamo della polizia seguimmo le voci e le sirene fuori dall'istituto, fermandoci all'ingresso. I soccorritori osservarono preoccupati Melville e andarono a preparargli una barella, mentre altri, insieme alla polizia, si avviarono per le scale, dove adesso c'erano soltanto Nivek, a terra e privo di vita, e Denholm, ancora incosciente. 

I due pullman erano tornati, posteggiati più in là rispetto alla polizia, e i nostri compagni erano tutti fuori, che ci osservavano spaventati e alquanto preoccupati, specialmente Samir e Thone. Amaya era in braccio a Rica e Damian era a braccia conserte, ma con la fronte aggrottata fissava la ferita al ginocchio di quello che era suo padre, anche se non lo sapeva. 

«Questo bambino crescerà, Myn, e si sentirà un bambino fortunato. Guarderà il cielo e saprà che c'è una persona, lì, che lo proteggerà per sempre. Che niente potrà mai più farvi del male. Ci siamo noi, Myn, ci siamo noi». Melville mormorò a bassa voce. «Non pensavo di diventare zio così presto, ma...». Spostò lo sguardo su Amaya e Damian. «Non sono neanche il primo. Vorrà dire che saremo gli zii più fighi. E lui lo sapeva. Dio se lo sapeva».

Chi non sapeva non capì, ma chi capì quasi pianse a quelle parole. 

Malgrado gli inviti dei soccorritori a mettersi sul lettino, Melville li superò e si diresse, zoppicando ancora un po', dal resto del nostro gruppo, pronto a dire le parole più brutte che potessero uscirgli dalla bocca, l'unica notizia che mai avrebbe voluto dare. Quando sentimmo i primi singhiozzi e poi gli urli sofferenti, fu come ricevere il secondo colpo, ma con la stessa intensità del primo. 

Dantalian non resistette. Non più. 

Cadde sulle ginocchia e fissò semplicemente il cielo, senza fiatare in alcun modo, senza emettere nessun suono. Ma il suo cuore spezzato lo potevo vedere da qui e il mio si lacerò di un pezzo in più. 

Non aveva mai pianto. Mai, davanti a nessuno, e io lo sapevo bene perché se tutti lo avevano considerato un mostro per anni era anche per la sua spiccata incapacità di mostrare le sue emozioni. Ma lì, ora, in quel momento, lui stava piangendo. Le lacrime non potevano rigargli il volto, non potevano uscire dai suoi occhi, non potevano scorrere inesorabili lungo le sue guance, ma... le sue spalle tremavano. I suoi occhi erano lucidi e rossi. Le sue labbra fremevano dalle troppe emozioni trattenute per troppi anni.

Lo avevo visto piangere solo due volte, anche se lui pensava fosse la prima, ed era abbastanza. Mi inginocchiai di fronte a lui e con i pollici gli accarezzai le guance morbide, prive di qualsiasi accenno di barba, e il suo sguardo si posò su di me. Abbassò la nuca e la poggiò sul mio grembo, stringendomi nello stesso modo con cui si stringe l'ultimo bagliore di luce che ti è rimasto, e io feci l'unica cosa che mi rimaneva da fare per alleggerire un po' il suo peso. 

Lo strinsi allo stesso modo e piansi io per lui.

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