Tecum

By azurahelianthus

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#2 VOLUME DELLA SERIE CROSSED PATHS "𝐿𝑒𝑖 π‘’π‘Ÿπ‘Ž π‘Žπ‘›π‘π‘œπ‘Ÿπ‘Ž π‘’π‘›π‘Ž π‘›π‘œπ‘‘π‘‘π‘’ π‘ π‘’π‘›π‘§π‘Ž 𝑠𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑒... More

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I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.
IX
X.
XI.
XII.
XIII.
XIV.
XV.
XVI.
XVII.
XVIII
XIX.
XX.
XXI.
XXII.
XXIII.
XXIV.
XXV.
XXVI.
XXVII.
XXVIII.
XXIX.
XXX.
XXXI.
XXXII.
XXXIII.
XXXIV.
XXXV.
XXXVI.
XXXVII.
XXXVIII.
XXXIX.
XL.
XLI.
XLII.
XLIII.
XLIV.
XLV.
XLVI.
XLVII.
XLIX.
L.
π„ππˆπ‹πŽπ†πŽ.
𝐔𝐍𝐀 𝐋𝐄𝐓𝐓𝐄𝐑𝐀 𝐏𝐄𝐑 𝐓𝐄
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XLVIII.

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By azurahelianthus


"Sono pronto a dirti addio 
ma non sono pronto a sentirlo da te."
- Anonimo

❄︎

Dantalian

L'unico pensiero che avevo in mente, oltre il desiderio di uccidere Kyran, era raggiungere Myn e Honey che avevo visto rientrare nell'istituto da una delle enormi finestre che aveva Denholm nel piano del suo ufficio. Non avevo idea del perché fossero tornate indietro, ma lo avevano fatto.

«Che cosa diavolo state facendo?». Ringhiai alle loro spalle, facendole sobbalzare. 

Myn mi osservò colpevole. «Ximena ha scoperto che Nezha è rimasta qui ed è tornata indietro. Non potevamo lasciarla da sola!».

«Quindi siete tornate tutte e tre indietro, ergo nessuno è più andato a chiamare aiuto?». Assottigliai lo sguardo. 

Honey si morse la guancia. «Ehm, beh... messa così». 

«Adesso entrambe girate i tacchi e correte a chiamare aiuto!».

Myn mi fulminò. «Non lasceremo Arya, Nezha e Ximena da sole».

«Non sono da sole infatti, amore mio». Un tocco di bianco si palesò al mio fianco e l'inconfondibile odore di vaniglia che emanava mi colpì. «Ci siamo io, Dantalian e Melville. Fra poco arriveranno anche Rut, Erazm e Med e andrà tutto bene, voi mettetevi al sicuro». Nivek assunse un sorriso rassicurante. 

Honey e Myn lo guardarono con paura, ma solo quest'ultima parlò. «E tu? Tu ti metterai al sicuro?». 

Nivek le si avvicinò con una falcata e le accarezzò i capelli con una mano, mentre con l'altra salì dal fianco, indugiando sulla parte della pancia, e poi si fermò sul cuore. «Io sarò sempre al sicuro se ci sarai anche tu. Mentre Dan si occuperà di quel figlio di buttana, io andrò ad aiutare Mel e Arya, voi chiamerete aiuto, nel frattempo arriveranno gli altri e tutto questo sarà il bruttissimo ricordo di un fantastico nuovo inizio». Per loro era quasi impercettibile la nota di incertezza che trapelava dalla sua voce, ma io la sentii tutta. C'era qualcosa che non andava nel bucaneve. 

«Col cazzo. Tu vai con loro e ti metti al sicuro». Avanzai a braccia conserte e li fissai male tutti e tre. 

Nivek mi gettò addosso uno sguardo pieno di rabbia. «Credi che io me ne stia qui, fermo senza fare nulla, mentre i miei due fratelli sono in pericolo di vita in mezzo a due psicopatici?».

Lo fissai a lungo. Così tanto che ad un certo punto iniziò a battere i piedi sul pavimento in maniera nervosa, fissandomi con uno sguardo che non ammetteva un "sì" alla sua domanda retorica. Poi spostai lo sguardo sulle due ragazze. «Correte. E non fermatevi finché non troverete aiuto».

Afferrarono il concetto alla svelta, visto che al mio ordine si precipitarono fuori. Myn, prima di correre via, si fermò per baciare più volte l'intero viso del suo ragazzo, o quel che era, e le vidi una lacrima solcare la sua guancia mentre gli sussurrava qualcosa come "non abbiamo una seconda chance, perciò ti prego stai attento, che non posso tornare a casa senza di te". 

Non poteva perché la sua casa era lui. Non aveva nient'altro al di fuori di quelle quattro mura, se non lui.

Quando furono abbastanza lontane da non sentirci mi voltai e gli posai le mani sulle spalle, scuotendolo con forza. «Tu e Melville siete ciò che di più vicino all'amicizia io abbia mai avuto. Siete i miei fratelli, i miei migliori amici, e ho perso così tante persone nel momento in cui ho iniziato ad amarle che tutto ciò mi fa paura. Non voglio perdervi». Mormorai con voce rauca. 

«Non ci perderai, cazzone...». Mi posò una mano sul retro del collo e fece sbattere le nostre fronti, osservandomi dalla patina lucida stesa sopra il cielo azzurro nei suoi occhi. «Non ci perderai mai».

Chiusi gli occhi e per la prima volta nella mia vita lo abbracciai, come lui abbracciò me. Un abbraccio deciso, forte, proprio come il bene che ci volevamo. Poi ci staccammo e annuimmo a noi stessi, a qualcosa che solo noi sapevamo, qualcosa che non c'era bisogno di dire. Lo sapevamo. 

Mi seguì per tutto l'istituto, cercando quel pezzo di merda che aveva preso Nezha, anche se infondo lo sapevamo che si sarebbe nascosto dove mai nessuno avrebbe cercato: la palestra. La ragazza era legata ad una sedia con delle corde sul petto e stava inveendo contro il suo aguzzino, scalciando e cercando di colpirlo. 

Nivek fece cadere appositamente un peso a terra e Kyran si voltò di scatto con una faccia pallida, eppure non indietreggiò. Ma la paura nel suo essere per me, un demone, era come l'odore del cioccolato per gli umani, e io ne avevo un profondo bisogno. «Mi pare di averti detto che neanche Dio ti avrebbe salvato da me». Indicai il crocifisso sulla parte dietro di lui.

«Non ho paura di un demone del cazzo». Sputò acido. 

Osservai la reazione di Nivek, a cui ovviamente non avevo mai rivelato ciò che ero davvero a differenza di Melville, ma lui alzò le spalle e sorrise. «Ti sembra che non lo sapessi, amico? Ho vissuto con Melville, Samir e Thone per anni, non è stato difficile riconoscere il quarto».

Scossi la testa e tornai a Kyran. «Forse ti sei sempre chiesto perché io non ti sopporti dalla prima volta, anche se credo sia chiaro, ma te lo spiego in breve: ho sempre saputo chi fossi e che, di conseguenza, avresti spezzato il cuore della ragazza che amavo. E allora ho passato ogni giorno fino ad oggi aspettando il momento in cui io avrei spezzato le tue ossa per tutte le volte in cui tu hai finto di volerle bene».

«So che non mi crederai, ma io ad un certo punto mi sono davvero affezionato a lei». Abbassò lo sguardo in tempo per non vedermi saettare verso di lui, prendendolo dal colletto della divisa e sbattendolo al muro di specchi della palestra. 

Gli scossi il corpo con forza. «Cazzate!».

«È vero!». Strillò. 

Gli mollai un pugno, godendo nel sentire l'osso del suo naso spezzarsi sotto le mie nocche, ora sporche di sangue suo e mio. Lo tirai via solo per spingerlo sul pavimento. «Lei si fidava di te!». Tuonai, dandogli un calcio in pieno viso che lo fece stendere sulle piastrelle. 

Prima grugnì sofferente e dopo sputò a terra una parte del sangue che gli aveva riempito la bocca, macchiandogli tutti i denti di rosso. «Come si fidava di te, no? Non siamo poi tanto diversi, caro Dan».

«Noi non siamo uguali». Sibilai, afferrandolo per i capelli e avvicinandolo al mio volto. «Io ho fatto tutto quello che ho fatto, anche spezzarle il cuore, solo per lei. Tu l'hai fatto per te stesso».

Ordinai a Nivek di spostarsi e, ignorando la sua domanda confusa, presi il corpo dell'idiota sotto di me, issandolo in piedi e scagliandolo sulla parete di vetro. Essa esplose in mille pezzi, alcuni volarono via, alcuni caddero a terra, e altri si conficcarono su di lui, che scivolò verso il pavimento con lentezza e urlò di dolore. Rimase fermo, semplicemente fermo, a terra. 

Ma noi non avevamo finito. Oh no, non avevamo finito. 

Mi piegai in ginocchio dietro di lui e gli passai un braccio sul collo. Feci pressione sulla sua gola, assicurandomi che venisse stretta in una morsa decisa, e iniziai a stringere. Lui iniziò a dimenarsi, graffiandomi anche il braccio per cercare di salvarsi, e le sue gambe si mossero a velocità, come se volesse strisciare via. 

«Dantalinan, non ucciderlo!». Nezha strillò preoccupata. 

Alzai lo sguardo su di lei. «Vuoi davvero che viva dopo quello che ti ha fatto?!». Sibilai furioso. 

«Voglio vendicarmi io. Voglio torturarlo giorno dopo giorno finché non diventerò il suo incubo peggiore». Sputò acida.

Il mio ragionare venne interrotto da un suono che mi gelò i muscoli, tanto da allentare la presa e permettere a Kyran di sgusciare via. Indietreggiò fino al muro e si posò il mento, seppur sporco, sulle ginocchia. C'erano appena stati due spari, uno dietro l'altro. 

Mi alzai di scatto. «Arya!». Tuonai preoccupato. 

«Vado io!». Nivek mi superò a passo svelto. «Tu pensa a liberare Nezha e ad essere sicuro che quel pezzo di merda le non faccia niente!». 

Lo chiamai e lui si voltò, sull'uscio della porta. Il sole alle sue spalle gli illuminava i capelli bianchi ed erano l'unica cosa di lui che effettivamente si vedesse. «Ritorna, mi raccomando». Sussurrai con il cuore in gola. 

Lui annuì e mi sembrò vederlo sorridere con tristezza. «Ci provo, ma non ti assicuro in che forma». Poi si voltò e corse dalla mia fidanzata e dal suo, nonché mio, fratello. 

Mi avvicinai a Kyran e non me ne fregò un cazzo di vederlo spaventato, di sentirlo implorare per la sua vita. Gli presi la testa e gliela sbattei sul muro alle sue spalle, facendo attenzione a non spaccargli il cranio con troppa forza o a provocargli un'emorragia interna. Slacciai le corde che legavano il petto di Nezha, usufruendo un po' del potere di coercizione, e lei annuì. 

«Grazie, Dan. Per tutto quello che fai». 

Le sorrisi, malgrado l'ansia mi stesse mangiando vivo. Avevo una brutta sensazione addosso, un'inquietudine che mi era capitato poche volte di avere. Era come se sentissi un costante "tic tac" in mente, come se il tempo d'improvviso avesse un peso maggiore. 

E non avevo torto, perché un terzo sparo lacerò l'aria e stavolta tutto il mondo mi crollò addosso, perché c'era di sicuro qualcosa che non era andato come avevamo calcolato. 

Guardai Nezha ad occhi sgranati e lei mi spinse in avanti. «Corri Dan, corri! A lui ci penso io!». Urlò. «Corri!». 

E io corsi. Svelto salii quattro rampe di scale, o forse cinque, non le seppi contare, con il cuore all'altezza dello stomaco. 

Fa che non sia successo niente. 

Fa che non sia successo niente. 

Afferrai il corrimano per issarmi più in fretta sopra ad ogni scalino, con il fiato corto che poco c'entrava con la corsa, la vista sfocata e la mente piena di brutti pensieri. 

Fa che non sia successo niente. 

Fa che non sia successo niente.

Fa che non sia successo niente.

Fa che non sia successo niente. 

Svoltai l'angolo come una furia e mi mancò il respiro solo ad intravedere il sangue sul pavimento. Una pozza di sangue scarlatto, fresco e provocato dalla perforazione di uno degli organi vitali, considerando quanto sangue ci fosse. Pregare, se mai avesse avuto senso, adesso non l'aveva più. 

Entrai nell'ufficio in punta di pieni, impaurito da quello che avrei trovato, e se Dio era a conoscenza di tutto allora ora sapeva quanto avrei voluto perdere la vista, così da essere incapace di vedere quella scena. 

Nivek era steso a terra, con la camicia bianca macchiata di sangue, e con altro sangue che fuoriusciva dalla sua bocca, così come da una ferita al petto. Arya era piegata su di lui, gli parlava e tentava di tenerlo sveglio il più possibile, la sua maglia nera era strappata in certi punti e quel tessuto lo aveva usato per tamponare la ferita sul petto. Perché bucaneve aveva un foro di proiettile dritto al cuore. 

Bucaneve aveva... un foro di proiettile. Al cuore. 

«Dantalian...». Singhiozzò Arya e io mi accasciai al suo fianco. Si spostò per lasciarmi il posto e permettermi di stare vicino al mio amico. 

Gli passai un braccio tremante sotto la nuca e quando spostò lo sguardo su di me gli vidi in quegli occhi color cielo quanto fosse felice che io fossi lì con lui. «Mi avevi detto che non ti avrei perso». La mia stessa voce così tremante e bassa l'avevo sentita forse circa tre volte in tutti i miei anni di vita. 

«Tu non mi... perderai mai infatti. Perdersi... è più che il... semplice... morire». Sussurrò, accarezzandomi la mano che aveva sostituito quella di Arya e che ora manteneva una certa pressione sul suo petto. 

Chiuse gli occhi per un po', un po' troppo, e il panico ficcò le sue dannate dita dentro la mia anima, scavando a fondo e tirando fuori tutto il dolore che avevo provato due volte nella mia vita. Una era ritornata da me, ma l'altra... l'altra era ancora su, dove vanno le persone buone, e non sarebbe mai più tornata. 

«No! Nivek no!». Urlai con tutte le mie forze. 

Il mio naso si riempì di un odore dolce come il cioccolato e questo mi spezzò. Il dolore provato da altri per noi era il dolce più prelibato, ma in quel momento mi faceva venire solo dei conati di vomito. Il mio amico, il migliore amico, mio fratello, stava soffrendo. Stava morendo

Lo sentivo, lo sentivo in me come lo sentiva Arya. Noi andavamo a braccetto con la morte e la sapevamo riconoscere. 

«Nivek, non farmi questo!». Urlai a squarciagola, con la sete di vendetta che mi ostruiva la gola. Lui aprì e chiuse gli occhi più volte, come se fossero diventati improvvisamente troppo pesanti, e questa scena mi riportò un ricordo che non volevo rivivere. 

Non di nuovo, ti prego Dio, non di nuovo.

Sorrise. Malgrado il dolore, lui sorrise. E io capii che era la fine, come lo avevo capito quando al suo posto c'era stata Arya anni prima. 

«Nivek, no cazzo! Resisti, sto chiamando aiuto! Fratello, ti prego, non farmi questo! Resisti!». Tuonò Melville, staccando il telefono fisso dal suo apposito contenitore e avvicinandosi a noi. Denholm era dietro la sedia, sul pavimento, legalo con delle corde e in uno stato di incoscienza forse provocato da dei pugni. Lo avrei ucciso. Lo avrei aspettato all'inferno e sarei stato il suo girone personale.

«C-ci incontreremo di n-nuovo, fr-fratelli m-m-ie-i. V-Ve lo giuro...». Si fermò, con una smorfia di dolore che gli attraversò il viso pallido e spento. 

«C-i v-v-vediamo d-dove il cielo si i-incontra c-con il m-mare». 

Deglutì rumorosamente mentre Melville si piegava al suo fianco e con la mano tentò di accarezzarmi un braccio, come con la testa si avvicinò al petto di Melville, ma la sua presa ormai era così debole da sembrare quasi inesistente. Io, però, la sentivo comunque e mi bruciava dentro, mi creò un varco e l'oceano che era sempre stato nei miei polmoni mi inondò del tutto. 

«Dove il cielo... incontra il mare?». Sussurrai confuso e lui annuì.

Ero perso. 

Io. Ero. Perso.

Gli strinsi la mano, la strinsi forte, non importava se era sporca di sangue, se la sua pelle era fredda o se la sua presa era troppo debole. Melville gli accarezzò i capelli bianchi e nei suoi occhi trovai la mia stessa patina lucida che si trasformò in lacrime, e io seppi che se avessi potuto piangere adesso l'unico rumore della stanza sarebbero stati i miei singhiozzi.

«Ci vediamo dove il cielo incontra il mare, bucaneve». Mormorai a voce bassa e rauca.

«Una partner per una partner-». Rivoli di sangue continuavano senza sosta a scorrere fuori dalle sue labbra e i suoi denti erano macchiati di rosso, ma lui li mostrava comunque in un sorriso affettuoso. 

Mentre voltava lentamente la testa verso Arya e le diceva qualcosa, io mi bloccai come una statua. Capii la sua frase all'improvviso e mi gelai.

Una partner per una partner.

Io avevo "salvato" Myn. Lui aveva dato la sua vita per Arya, senza sapere che essa era eterna e immortale.

Lo guardai incapace di chiedergli cosa aveva fatto. Incapace di dirgli che mi aveva appena distrutto, che niente sarebbe più stato lo stesso, che ogni farfalla che avrei visto l'avrei ricollegata a lui, che il mio cuore bruciava e che la mia mente era spenta, che mi sarebbero mancate le sue sfuriate per il mio mancato ordine, le nottate passate a leggere, i mille scherzi che avremmo fatto ai gemelli, le risate, le confessioni, i monologhi interiori, i suoi consigli, il suo odore di vaniglia e la sua dannata torta alle carote, che mi sarei fatto piacere in suo onore. Non dissi mai niente di ciò, ma seppi riassumerlo con una sola frase. 

«Ti voglio bene, amico mio». Gli sussurrai all'orecchio. 

Melville deglutì rumorosamente. «Ti voglio bene, fratello». Mormorò e si appoggiò sul lato opposto al mio, sulla spalla di Nivek. 

«Ora.. sei libero». Gli sfuggì un singhiozzo.

Nivek chiuse gli occhi. Lentamente. E con il sottofondo delle nostre lacrime, oltre che dei nostri cuori distrutti, non li riaprì mai più. 

La chiamata al 911 partì solo in quel momento, quando la linea tornò ad essere stabile, quasi come se fosse un orribile segno, e Melville si portò il telefono all'orecchio con fare meccanico. Aveva gli occhi rossi, un labbro spaccato, del sangue sui pantaloni che usciva dalla ferita al ginocchio, delle lacrime lucide sulle guance e lo sguardo spento. 

«Pronto? Qui è il 911». Disse la voce dall'altro capo del telefono. 

E mentre Melville, con voce spenta, spiega le cose essenziali all'agente, chiedendo anche un'ambulanza urgente sul posto, io non posso fare a meno che accasciarmi di lato e nascondermi fra le braccia morbide e sicure della ragazza che amo. Pensando solo che tutto questo non ha un minimo senso, perché l'unica persona che non doveva andarsene se ne era già andata. 

Era di nuovo troppo tardi, per lui che l'aveva sempre sentito addosso questo "troppo tardi".

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