Tecum

By azurahelianthus

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#2 VOLUME DELLA SERIE CROSSED PATHS "𝐿𝑒𝑖 π‘’π‘Ÿπ‘Ž π‘Žπ‘›π‘π‘œπ‘Ÿπ‘Ž π‘’π‘›π‘Ž π‘›π‘œπ‘‘π‘‘π‘’ π‘ π‘’π‘›π‘§π‘Ž 𝑠𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑒... More

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I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.
IX
X.
XI.
XII.
XIII.
XIV.
XV.
XVI.
XVII.
XVIII
XIX.
XX.
XXI.
XXII.
XXIII.
XXIV.
XXV.
XXVI.
XXVII.
XXVIII.
XXIX.
XXX.
XXXI.
XXXII.
XXXIII.
XXXIV.
XXXV.
XXXVI.
XXXVII.
XXXVIII.
XXXIX.
XL.
XLI.
XLII.
XLIII.
XLV.
XLVI.
XLVII.
XLVIII.
XLIX.
L.
π„ππˆπ‹πŽπ†πŽ.
𝐔𝐍𝐀 𝐋𝐄𝐓𝐓𝐄𝐑𝐀 𝐏𝐄𝐑 𝐓𝐄
π‘πˆππ†π‘π€π™πˆπ€πŒπ„ππ“πˆ
πŒπ„π‘π‘π˜ π‚π‡π‘πˆπ’π“πŒπ€π’ β„οΈŽ ππŽππ”π’

XLIV.

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By azurahelianthus

Canzone consigliata:
Tears of gold slowed - Faouzia


"Il sesso è tutto nella testa".
- Erica Jong

❄︎

Non avrei mai pensato di tornare a sentirmi a mio agio, figuriamoci a sentirsi davvero sexy, come d'altronde mi ero sempre sentita prima del grande ostacolo che il destino mi aveva messo davanti e che mi aveva diviso in due parti, simili per gli altri, ma spezzate e diverse per me.

Oscillai il corpo, reso più slanciato dai tacchi che mi aveva regalato, o che forse aveva rubato, il mio principe guerriero, e mi osservai allo specchio con il primo sorriso orgoglioso che mi dedicavo da anni. Accarezzai le curve morbide del mio corpo senza più vergognarmi, strette nel tessuto di pizzo di un corpetto nero. Mi voltai e mi osservai il sedere, sorridendo di più nel vedere come fosse evidenziato da un paio di culotte quasi del tutto trasparenti, malgrado il pizzo dello stesso colore del resto.

Il tocco più sensuale, però, lo davano le autoreggenti. Avevo scoperto che a Dan piacevano, più di tutto, tre cose in particolare nel mondo del sesso: strapparmi gli indumenti, accarezzarmi la bocca con il pollice e stringermi il collo con la mano. Lo faceva davvero senza pensare, lo vedevo dal suo sguardo che in quei momenti era perso. 

Raccolsi tutto il coraggio presente in me, che probabilmente era molto, e uscii dal bagno della camera per poggiarmi allo stipite della porta con il fianco. Mi aveva portata allo stesso cottage dell'ultima volta, obbligando Melville a dargli la macchina per ricambiare il favore di aver badato a Damian e Amaya. Un'esperienza terribile gli aveva detto, facendo il solito melodrammatico, ma io sapevo che sotto sotto gli era piaciuto. 

Notando il lievissimo rumore di uno spostamento d'aria, posò il telefono sul comodino e si voltò, finalmente, verso di me. 

Mai niente fu così soddisfacente come vederlo sgranare gli occhi e sentirlo deglutire a secco. Tenne il labbro inferiore sui denti e mi squadrò da capo a piedi, percorrendo il mio corpo con uno sguardo così intenso da sentire le sue mani bruciarmi addosso come fuoco. Poi posò una mano alla sua sinistra, sul letto, e la batté più volte sulle lenzuola in un invito silenzioso. 

Scossi la testa con un sorrisino sulle labbra. «Se mi desideri, oggi dovrai venirmi a prendere tu». 

«Non che io abbia fatto altro fino ad ora, flechazo». Mormorò roco e si alzò lentamente, come un felino che puntava alla gustosa preda. 

Indossava solo dei boxer neri e bianchi, aderenti fino a mostrare la grande protuberanza che li riempiva. Il petto era abbronzato, come sempre, con gli addominali dalla parvenza di pietra, coperti da alcuni tatuaggi, sia piccoli che grandi. Il più maestoso era sicuramente il leone, la cui parte finale della coda spariva sotto l'elastico e che sapevo a memoria dove si fermasse: seguiva l'incavo perfetto della V dei suoi fianchi. Era sempre strano pensare che fosse bellissimo e ricordarmi che era mio. 

Mi passò una mano sul fianco, salendo verso il braccio e stringendomi il collo con decisione, ma senza mai recarmi vero dolore. «Se mi guardi così finiamo prima di cominciare».

«Sono solita cominciare solo per finire». Sussurrai, anche se la sua presa ostacolava la facilità con cui di solito dialogavo. 

Si leccò le labbra, che portavano addosso l'ombra del sorriso più sensuale che avessi mai visto. «Anche io, ma con te non vedo l'ora di finire solo per ricominciare di nuovo, e di nuovo, e ancora una volta».

Mi mancò un battito, ma non gli diedi la soddisfazione e feci finta di nulla, inclinando la testa all'indietro per guardarlo meglio. «Lo so che non sai resistermi».

«E se fossi tu quella che non sa resistermi?». Mi soffiò sulle labbra. 

Mi avvicinai così tanto da sfiorargli la bocca mentre parlavo. «Se inizio un gioco è solo perché so di vincerlo. Se ho iniziato questo gioco è solo perché so che basta una sola parola per farti perdere il controllo». 

«Sarà divertente vederti tentare». Ironizzò, lasciando la presa sul mio collo per allontanarsi di due passi. «Ricordati che sono un demone, tesoro. Far urlare la gente è il mio hobby preferito, specialmente se quella sei tu».

Intrecciai le mani dietro la schiena, facendogli capire che non mi sarebbe servito neanche toccarlo, e incrociai anche le gambe, dove il suo sguardo si soffermò più a lungo. Inclinai la testa di lato. «Sono tua». I suoi occhi si alzarono di scatto verso il mio viso. «Ti appartengo dal momento in cui hai varcato la soglia di quel ristorante, vestito di nero e di pelle, e nessuno mi ha più toccata come mi hai toccato tu. Nessuno ha mai avuto quello che hai avuto, perché dopo di te ho sentito che tu saresti stato l'ultimo. Tu sei il mio ultimo tutto e io ti appartengo, stavolta di mia spontanea volontà».

Il suo respiro corto lo percepii facilmente, il suo scattare verso di me un po' meno. Si scontrò sul mio corpo e la sua presa sul mio collo fu così inaspettata che anche la mia, di mano, andò a stringere il suo polso. Il suo sguardo era oro liquido, così intenso e ardente che mi sembrava quasi di vederlo fluire come acqua. «Tu...».

Batté la mano libera sul muro alle mie spalle, su cui ero stata spinta con poca delicatezza, e adagiò la parte inferiore dei fianchi per farmi sentire addosso l'effetto che gli avevo fatto, ricordandomi quando aveva fatto qualcosa di simile mentre eravamo sul letto della casa di Azazel. 

«Tu sei l'unica che mi fai un brutto e un buono effetto. Mi fai perdere la testa un secondo prima e me la fai ritrovare un secondo dopo, mi fai perdere il controllo e me lo fai riacquistare anche solo guardandoti in questi bellissimi occhi. Sei bella come un angelo e mi rendi il diavolo, come è possibile?». Mi passò la lingua sul labbro inferiore. 

Assaggiai il suo sapore, anche se lo conoscevo alla perfezione. «Mi chiedo anche io come fai ad essere bello come un angelo ma rimanendo il solito demoniaccio». 

«Giochi sporco, Arya!». Ringhiò disperato. 

Si scontrò contro la mia bocca come un uragano e da quel momento fu tutta un'esplosione di stelle. Mi lambì il labbro inferiore con la lingua, io gli morsi il suo solo per lenire il dolore dopo, succhiandolo. Si strinse i miei capelli fra le mani solo per tirarmi più indietro la testa e avere il modo migliore per esplorare la mia bocca con la lingua. Con la mano libera scese fino alle cosce e, una ad una, slacciò le autoreggenti con ferocia. Si fermò per tirarsi indietro, facilitandosi l'operazione, e tenendo l'esterno delle calze le strappò, creando uno squarcio lungo tutta la coscia. 

«Queste...». Si sedette sul bordo del letto, poggiandosi il mio piede sul ginocchio. Alzò lo sguardo su di me. «...devono sparire». 

Osservandomi con una fame insaziabile le tirò via, o almeno ciò che di loro restava, e le gettò lontano, in un angolo remoto della stanza. Passò le mani sulle mie cosce e le portò dietro, sul mio sedere, stringendone la carne morbida. Sorrise e, usufruendo della velocità che lo rendeva molto diverso da un umano, mi spinse sul muro.

Un piccolo ghigno mi allargò le labbra. «Non sono il tipo di donna che si fa comandare». Con forza, più della sua ormai, lo spinsi indietro, fino a cadere sul letto ancora perfettamente ordinato. Allacciai la mano al suo collo, come aveva fatto lui pochi minuti prima, e mi sporsi vicino al suo orecchio per mordergli delicatamente il lobo. 

«È il motivo per cui mi fai impazzire, infatti». Mugolò appagato dal dolore. 

Non durò molto la sua resa. Con un colpo di anche invertì la situazione e mi ritrovai stesa sotto di lui, con la sua presa sul collo, una sua gamba fra le mie e il suo respiro caldo sulle labbra. «Una volta ti dissi che preferivo questa di posizione, per quanto l'altra mi facesse eccitare». Mi lasciò un paio di baci languidi sul collo, sulle clavicole, sul petto. Mi morse un seno e il piacevole dolore che ne ricavai mi fece inarcare. 

«Adoro il modo in cui ansimi, ma adoro ancora di più sapere che sono io il motivo per cui lo fai». Sussurrò, guardandomi dal basso. 

Decisi di giocarmi l'ultima carta, quella che gli avrebbe fatto perdere il controllo definitivamente. «Mi stupisco di sapere che dopo tutto questo tempo ne sono ancora in grado».

«Dopo tutto questo tempo?». Si mostrò confuso, mentre abbassava le mie mutandine come se fosse un'azione da tutti i giorni. E lo era stato.

Mi puntellai sui gomiti e i capelli mi scivolarono su una spalla, tranne per i ciuffi scuri più corti che caddero naturalmente ad incorniciarmi il viso. Il suo sguardo percorse i capelli, che andarono a sfiorarmi il seno. «Prima di te non c'è stato nessun altro, Dantalian. All'Olimpo e anche dopo non ho mai fatto niente che non fossero baci con qualcun altro».

Si immobilizzò. «Solo con me?».

«Solo con te». 

Il suo respiro si velocizzò, sentii persino il suo cuore battere un po' più velocemente, e le sue pupille si dilatarono, ma invertendosi: adesso il nero era una striscia spessa in verticale, con il dorato dei suoi occhi più giallo e luminoso del normale. La sua mano mi strinse la coscia così forte che domani sicuramente ci avrebbe preso posto un livido. Il suo controllo era andato perso e questo mi fece sorridere. 

Finché non mi tirò verso di lui dalle caviglie e, in qualche modo, mi ritrovai con la schiena la muro, le gambe attorno alla sua vita e i capelli stretti dalla sua mano libera, poiché con l'altra era occupato a tenermi su di lui senza permettermi di scivolare. Si era anche già tolto i boxer, con una velocità così eccessiva da farmi capire niente che non fosse la sua durezza appoggiata alla mia intimità. 

Mi penetrò con un solo colpo di anche, deciso e senza alcuna esitazione, con una forza che mi fece strillare, ma lui non se ne badò. «Puoi urlare quanto vuoi, flechazo, è questo il motivo per cui ti ho portato qui. Oggi le tue urla, i tuoi orgasmi, i bassi ansimi e il tuo corpo, sono tutti miei».

«Solo miei, esattamente come te». Uscì da me solo per rientrarci con più forza, riempiendomi con un'altra stoccata decisa. 

Mi strinse i capelli e poggiò la fronte sulla mia, incatenandomi anche con lo sguardo. «Dillo».

«Cosa?». Ansimai, gettando la testa all'indietro per via delle scosse di puro piacere che mi attraversavano la schiena, finendo fino ad annebbiarmi il cervello. 

Mi diede un'altra stoccata, sempre più decisa della precedente. «Che sei mia, flechazo. Che tutto quello che hai dato a me non l'ha avuto nessun altro in questo fottuto mondo». Ringhiò. 

«Sono tua, Dantalian!». Strillai quando posò entrambe le mani sul mio sedere e mi aiutò ad andare incontro ai suoi colpi incessanti. 

Si scontrò contro la mia bocca, reclamandola, e allontanandosi solo per ansimare anche lui di piacere con le labbra dischiuse. «Continua!».

«Tutto quello che ti ho dato...». Mi fermai quando mi penetrò ancora, stavolta però si susseguirono più volte, come se stesse iniziando a perdere il controllo di tutto, peggio di prima. «...l'ho dato solo a te».

Mi baciò come se mi volesse divorare, stringendomi il viso con la mano e costringendomi a prendere tutto ciò che mi stava dando. «Cazzo!».

Si mosse, ancora dentro di me, e si avvicinò al letto continuando a baciarmi con ferocia, come se da quella semplice azione ne dipendesse il suo respiro. Mi buttò sul letto e mi girò, facendomi sentire una bambola fra le sue mani, ma mai gli avrei vietato di fare qualcosa, non stavolta. Non ora che eravamo entrambi pazzi l'uno dell'altro. Il mio senso da ribelle si era acquietato, fuori dal letto, poi, sarei tornata com'ero sempre stata. 

Mi ritrovai con le mani che stringevano il cuscino con forza e il viso sulla coperta viola. Prese un altro cuscino, più ampio, e me lo posò sotto la pancia, facilitando il lavoro di entrambi. Mi inarcai quanto bastava, per permettergli di tornare a fare ciò che di più meraviglioso stava facendo fino a pochi secondi prima. 

«Muoviti!». Ringhiai. 

La sua voce fece trapelare il sorrisetto che sicuramente portava sul volto da principe crudele. «Tutto quello che desidera, mia signora».

Finalmente, avrei osato dire, mi penetrò di nuovo. Un'altra sola stoccata che mi mandò in paradiso, specialmente perché in quella posizione riusciva ad andare ancora più a fondo, e io strillai, incapace di trattenere il piacere che mi stava attraversando. Mi agguantò i capelli, stringendoli con forza, e lo sentii imprecare più volte, anche bestemmiare forse, alle mie spalle. 

«Arya, porca troia!». Tuonò. 

Ansimai. «Non fermarti o giuro che ti riempio di pugni».

«C'è una pistola in garage, se mai mi fermerò... usala per spararmi». Citò, a modo suo, una delle frasi più iconiche di Modern Family, e la cosa mi fece molto ridere. Anche in questi momenti non perdeva la sua ironia. 

Però perse qualcos'altro: il controllo totale di sé. Dopo qualche secondo, aumentò il ritmo, così tanto che per diversi minuti l'unico rumore della stanza furono i nostri gemiti, la nostra pelle sudata che si incontrava e la tastiera del letto che sbatteva contro il muro. Quando capii di essere vicina glielo annunciai. 

«Dan...». Sprofondai con il viso sulla coperta e questo mi portò ancora più in alto con il sedere. 

Posò le mani sui miei fianchi. «Lo so, lo so, anche io». Mormorò, appagato così tanto da essere sofferente. 

Gli ultimi colpi furono frenetici, forti e decisi. Le sue dita ormai scavavano sulla mia carne come se ne facessero parte e la gola mi faceva quasi male da quanti strilli avevo buttato fuori. Il sudore mi colava ovunque, i capelli erano una massa appiccicata alla mia tempia e il mio corpo era simile ad un budino. Il sesso per gli dei, così come per i demoni, era così: intenso da distruggerti o niente. 

Venni con un urlo appagato, ma soffocato dalle coperte, e Dantalian mi seguì poco dopo. Quando venne mi morse la spalla, in preda al piacere, e poi si accasciò su di me, con il viso sul mio collo, le mani che mi sfioravano dolcemente la schiena e un sorrisetto sfinito sulle labbra. 

Non so quanto tempo passammo così, ma sicuramente abbastanza da farmi tornare il controllo sui muscoli. Anche lui se ne riappropriò, aiutandomi ad alzarmi in ginocchio e slacciandomi il reggiseno, che era l'unica cosa rimasta stranamente intatta, o almeno più o meno, visto che ormai mi circondava la vita. 

Mi fissò con uno sguardo felice. «Doccia. Subito».

«Ne ho bisogno». Annuii. 

Scese dal letto ancora totalmente nudo, graziandomi con la visione del suo sedere sodo, dalla pelle abbronzata, e della sua schiena possente, mentre si piegava per prendere qualcosa dal suo zaino.

Fissai ciò che si stava mettendo in bocca e mi fu palese cosa fossero solo quando me le porse. Le fissai confusa, ma ne presi qualcuna. «Mentine? Da quando?».

«Rylan le amava. Le ho trovate l'altro giorno al supermercato e ho deciso di prenderle. Non ne mangiavo una da anni, quando è successo ciò che è successo e sono cambiato avevo altro a cui pensare. Ma sai che significa questo?». Mormorò a pochi centimetri dalle mie labbra e l'odore di menta mi investì. 

Scossi la testa. «Che vuoi avere un buon alito?».

Rise fragorosamente, scostandomi le ciocche sudate dalle tempie, e dandomi un bacio dolcissimo, diverso da quelli che avevo ricevuto fino ad ora. «Che se tu ce l'hai fatta a far tornare Haven, non vedo perché io non dovrei far tornare Rylan. Ho capito una cosa da quando sto con te...».

«Cosa?». Lo fissai con tutto l'amore che riuscivo a trasmettergli, ma solo in silenzio, come le stelle e la luna fra di loro. 

Mi baciò e poi sussurrò ad occhi chiusi. «Che insieme, noi possiamo tutto e anche di più».

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